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domenica 6 marzo 2016

El globalista

La “globalizzazione buona” di Bergoglio 



Nel pomeriggio del 1 marzo 2016 il Papa ha incontrato a Santa Marta una trentina di aderenti al movimento del cristianesimo sociale francese dei “Poissons Roses” e al connesso laboratorio di idee “Esprit Civique”.
Sui contenuti dell’incontro pomeridiano, protrattosi per circa un’ora e mezza, il direttore del settimanale francese “La Vie”, Jean-Pierre Denis, presente all’incontro, ha scritto sul sito internet del settimanale un accurato resoconto dal titolo “Conversation politique avec le pape François”, che è stato tradotto e pubblicato da L’Osservatore Romano del 4 marzo 2016. e ripreso dal servizio d'informazione vaticano news.va.
Il testo si presenta come uno spaccato del bergoglio-pensiero che, tra luoghi comuni e battute ad effetto, rende bene l’idea del “tipo di papa” ammannitoci dai moderni cardinali.


Scorriamo il resoconto e leggiamo:
«Certo, la globalizzazione ci unisce e ha dunque aspetti positivi. Ma credo che ci siano una globalizzazione buona e una meno buona. … La globalizzazione migliore sarebbe piuttosto un poliedro. Tutti sono uniti, ma ogni popolo, ogni nazione, conserva la sua identità, la sua cultura, la sua ricchezza. La posta in gioco per me è questa globalizzazione buona, che ci permette di conservare ciò che ci definisce

Una sorta di giuoco di parole che usa disinvoltamente la contraddizione per dire nulla. Se la “globalizzazione buona” permette di conservare ciò che ci distingue non è una globalizzazione! Quindi non esiste una “globalizzazione buona”, ma solo “la globalizzazione” o il suo contrario. Ed un “cattolico” dovrebbe aver chiaro questo concetto, visto che “cattolico” è sinonimo di “universale”, che non a caso si contrappone a “globale”. La globalizzazione, infatti, ha in vista un regime universale fondato sulla quantità, mentre la cattolicizzazione – ci si passi il termine – mira ad un regime universale fondato sulla qualità, fondato cioè su un unico sentire che vibra per la vita spirituale e non per la vita materiale. Il che significa che un mondo cattolico sarebbe un mondo dove identità e cultura sono sostanzialmente uniche per tutti, mentre le diversità sono fattori accidentali che vengono riportati all’universale dall’essere cattolici. È questo che un tempo si chiamava “cristianità”, un contesto cioè dove le differenze si ricomponevano in un unico sentire e vivere ispirati eminentemente a Dio.
È questo che intendeva dire Bergoglio? Ci si permetta di rispondere: no!

Risposta che può sembrare eccessiva, ma che trova conferma in quest’altra perla bergogliana:
«Possiamo parlare oggi di un’invasione araba. È un fatto sociale» … «quante invasioni ha conosciuto l’Europa nel corso della sua storia! Ma ha sempre saputo superare se stessa, andare avanti per ritrovarsi poi come accresciuta dallo scambio tra le culture».

Si passa così dall’apparente esaltazione delle identità alla chiara apologia del meticciato culturale, ovviamente tutto di marca bergogliana, perché l’Europa non si è mai “accresciuta dallo scambio tra le culture”.
Che si parli dell’Europa “romana” o della successiva Europa “cristiana”, la storia ci insegna che le diverse “culture” che si sono avvicendate sul suolo europeo, dai celti ai barbari e ai vichinghi, hanno trovato nell’unica “cultura” dominante, la romana o la cristiana, il loro punto di soluzione e di trasformazione. Fu la “cultura” romana prima, e cristiana dopo, a fare l’Europa attraverso l’assorbimento in sé delle altre “culture”, che vennero trans-formate e sublimate in qualcosa di più profondo e insieme più alto di esse. 

Altro che  lo “scambio tra le culture” favoleggiato e decisamente auspicato da Bergoglio! Soprattutto ove si pensi che egli prende spunto da quella che chiama “invasione araba”, altra imprecisione, chiaramente voluta per indurre in un inganno linguistico, visto che non di “arabi” si tratta in questo processo di pratica “occupazione” straniera, ma di “musulmani”, cioè di portatori di una “cultura” che intende sostituirsi a quella europea e con la quale Bergoglio vorrebbe realizzare uno “scambio”.
Siamo alla confusione e alla demagogia, tutte foriere di disastri e di irreparabili danni alle anime.

E dopo la “globalizzazione buona” non poteva mancare la “laicità buona”, altro mito caro ai papi conciliari da Montini a Ratzinger e ora a Bergoglio. Il quale, per rendere più chiaro il suo pensiero – si rivolge ad un gruppo di francesi - cita tre personaggi tutt’altro che cattolici, definendoli esempii della “fortissima vocazione umanistica” della Francia:
Emmanuel Mounier, Emmanuel Lévinas, Paul Ricoeur. Il primo, esponente del modernismo e progressismo cattolici degli anni ’30-’40, il secondo, ebreo critico della scolastica e della filosofia dell’essere, il terzo, protestante sostenitore di Marx, e quindi del marxismo, di Nietzsche, e quindi del nichilismo, di Freud, e quindi della psicanalisi.

Chi non avesse ancora capito chi è Bergoglio… è servito! Soprattutto quando questi confessa con orgoglio: “Per me, de Certeau resta a tutt’oggi il più grande teologo”…
de Certeau? E chi è costui? “Un gesuita sessanttottino e manipolatore della mistica con la psicanalisi”, come ha annotato il nostro Servodio in Bergoglio si confessa 

«La Francia è riuscita a instaurare nella democrazia il concetto di laicità. È una cosa sana. Oggi uno Stato deve essere laico. La vostra laicità è incompleta. La Francia deve diventare un Paese più laico. Occorre una laicità sana».
Ecco il coniglio dal cilindro:
«Una laicità sana include un’apertura a tutte le forme di trascendenza, secondo le differenti tradizioni religiose e filosofiche. D’altro canto anche un laico può avere un’interiorità» … «Perché la ricerca della trascendenza non è solo un fatto [hecho],ma un diritto [derecho]».

Parole che entusiasmo per la loro profondità! Una profondità che attiene più agli abissi del caos che alle altezze dello spirito.
Dobbiamo diventare più laici, dice Bergoglio, per aprirci a tutte le forme religiose e filosofiche, per esercitare il “diritto” alla trascendenza.
Se questo è un papa!

Ma questo non è un papa, ma un povero chiacchierone che si compiace del nulla delle sue corbellerie: una sana laicità inclusiva! Cioè un rinnovamento del vecchio Pantheon dove trovavano posto tutti gli dei e dove giustamente i cristiani si rifiutarono di collocare il loro vero Dio, e per questo vennero martirizzati.
Ma Bergoglio non sa nulla del martirio in nome di Dio, lui che crede di essere furbo e scaltro affermando:
«Mettiamo da parte la dimensione religiosa» … «La misericordia è la capacità di commuoverci, di provare empatia. Consiste anche, dinanzi a tutte le catastrofi, nel sentirsene responsabili. Nel dirsi che bisogna agire. Non riguarda quindi soltanto i cristiani, ma tutti gli esseri umani. È un appello all’umanità».

Bergoglio non sa nulla nemmeno di Dio, intriso com’è di umanesimo e di struggimento sentimentale, che lui si picca di chiamare “misericordia”.

È per questo che i cardinali modernisti, grazie al rifiuto di Ratzinger, lo hanno voluto al papato, perché si potesse speditamente e gioiosamente compiere la rivoluzione vaticanosecondista del “noi, noi più di tutti siamo i cultori dell’uomo”, di nefasta montiniana memoria.


di Belvecchio

http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1441_Belvecchio_Globalizzazione_buona.html

Non solo periferie estreme: la visione europea di Francesco, tra radici e identità

Il Papa e l'integrazione politica del Vecchio continente, tra Robert Schuman e la necessità di "laicizzare la laicità". Parla Stefano Ceccanti
di Matteo Matzuzzi | 05 Marzo 2016 

Papa Francesco al Parlamento europeo di Strasburgo, nel novembre del 2014 (foto LaPresse)
Roma. E’ vero che Francesco, nel suo primo triennio di pontificato, di Europa ha parlato poco, preferendo focalizzarsi su altre aree del pianeta, quelle periferie esistenziali che attendono l’apertura degli ospedali da campo chiamati a sanare le ferite dei più lontani. Ma il Papa “una chiara percezione europea ce l’ha, e l’ha fatto chiaramente intendere quando ha spiegato di essere favorevole al processo d’integrazione politica”, dice al Foglio Stefano Ceccanti. Il costituzionalista di area cattolico-democratica qualche giorno fa ha partecipato all’udienza concessa da Francesco al movimento dei Poissons Roses, che si rifà all’esperienza del cristianesimo sociale francese.

ARTICOLI CORRELATI La laicità europea è sacraUn incontro dove s’è parlato di tutto, “una sorta di ping-pong in cui ci si interrogava a vicenda. Lo stile era diretto, i temi toccati sono stati tanti”, aggiunge: dalla laïcité à la francese – “direi che la sua raccomandazione è stata quella di laicizzare la laicità, cioè di farla finita con l’ideologizzazione ma puntando su una chiara distinzione tra stato e chiesa” –  fino alla capacità degli italiani “buoni mediatori” ma poi sempre pronti a darsi calci sotto il tavolo del negoziato. Su tutto, il riferimento costante alla periferia, “il primo termine chiave, in senso sia geografico sia esistenziale”, dice Ceccanti. Quel che rileva – anche perché rappresenta un filone assai poco indagato nelmare magnum di riflessioni sul Pontefice culturalmente figlio del cattolicesimo sudamericano è la visione che ha Francesco circa il destino dell’Europa, da lui considerata “l’unico continente capace di apportare una certa unità al mondo”. Non la Cina, che non ha “una vocazione di universalità e di servizio”. “Francesco – ricorda il nostro interlocutore – è partito dal discorso pronunciato a Strasburgo nel novembre del 2014, quindi ha ricordato il padre fondatore Robert Schuman e quanto da lui fatto per l’integrazione”.
Quel che forse ha stupito, semmai, è l’approccio del Papa, che “si colloca un po’ tra l’apparato concettuale di Paolo VI e la classica spontaneità latinoamericana”, osserva Ceccanti. C’è un passaggio in particolare delle parole di Bergoglio che aiuta a decrittarne (per quanto possibile) gli ideali di riferimento, ed è quello in cui ha spiegato il senso della sua preferenza alla scuola gesuita di stampo francese, anziché spagnolo: “La corrente francese comincia molto presto, fin dalle origini, con Pierre Favre. Ho seguito questa corrente, quella di padre Louis Lallemant. La mia spiritualità è francese. Il mio sangue è piemontese, è forse questa la ragione di una certa vicinanza. Nella mia riflessione teologica mi sono sempre nutrito di Henri de Lubac e di Michel de Certeau. Per me, De Certeau resta a tutt’oggi il più grande teologo”. Che qualcosa sia cambiato, nella posizione della chiesa riguardo l’Europa lo dimostra anche il riferimento che Francesco ha fatto alle radici cristiane dell’occidente, tema che per anni ha dilaniato coscienze e governi, fino al naufragio del progetto di Costituzione europea: “L’attuale Pontefice declina la questione in modo diverso, l’identità di cui si parla non è fissa”, dice Ceccanti: “Non è che gli altri arrivano e si devono adeguare. Bergoglio propone di rinnovare e di riproporre in modo moderno queste radici, rifacendosi a Mounier, Ricoeur, Lévinas. E questo è possibile perché l’Europa è in grado di assorbire le spinte esterne, di resistere alla mescolanza di identità diverse”.

http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/03/05/non-solo-periferie-estreme-la-visione-europea-di-francesco-tra-radici-e-identit___1-v-139053-rubriche_c589.htm

1 commento:

  1. Abbiamo, nella stessa persona e al contempo, discorsi eterodossi e discorsi contorti senza capo né coda, oltre che quelli ortodossi attinti dalla tradizione.
    Se il protagonista di questo teatrino surreale non fosse il papa, la cosa susciterebbe una pensosa comprensione, visto che sulla scena umana accade questo e ben altro.
    Trattandosi del papa, tuttavia, ci si domanda quali siano i salvagente previsti per malaugurati casi come questo.
    E quel che fa più specie è il leggere, nella biografia autorizzata di J. M. Bergoglio, che lo stesso ha una laurea in filosofia, è stato professore di letteratura e di psicologia (!), ha studi di teologia, è stato rettore del collegio massimo e delle facoltà di filosofia e di teologia nel medesimo istituto ed è autore di 3 libri religiosi.
    Tutto questo non può che far interrogare profondamente sull'istituzione 'Chiesa cattolica' e sui criteri applicati per valutare gli uomini da promuovere pastori.
    P.S.
    in una biografia di Bergoglio scritta da un giornalista argentino (che ora non so reperire nel web) era detto che egli, conseguito il titolo di tecnico chimico, lavorò "come cavia" in un laboratorio chimico.
    Mi domando ora che cosa sperimentarono su di lui. Visti gli esiti alla lunga distanza, direi che la domanda è legittima.
    Marisa

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