ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 20 marzo 2016

Esserci e farci

Quello che i giornaloni non vi dicono sul genocidio dei cristiani
Anche gli Stati Uniti ci arrivano (in ritardo): in medio oriente è in corso un massacro etnico e religioso. Ecco tutto ciò che c'è da sapere

Nell’ultimo giorno utile concessogli dal Congresso, il segretario di stato americano John Kerry ha dichiarato che quello in corso nel vicino oriente, tra Siria e Iraq, “è un genocidio” che ha come vittime le minoranze religiose, e cioè yazidi, cristiani e sciiti. Kerry ha definito le azioni dei miliziani jihadisti “crimini contro l’umanità”. Con una mossa inattesa, il segretario di stato ha così sconfessato platealmente il proprio portavoce John Kirby, che lunedì sera – appena reso noto il voto unanime (393 sì, nessun no) dato dalla Camera dei rappresentanti alla risoluzione che parlava di “genocidio” – diceva alla stampa che il verdetto non era vincolante e che difficilmente l’Amministrazione si sarebbe conformata a quanto deciso a Capitol Hill. Invece, Kerry ha sposato appieno la risoluzione promossa dal repubblicano Jeff Fortenberry, arrivando anche a ipotizzare operazioni sul terreno per tutelare le minoranze minacciate. Ora la pressione è tutta sulla Casa Bianca, dove Obama tace mentre il suo portavoce, Josh Earnest, solo due settimane fa escludeva che ci fossero i presupposti legali per parlare di genocidio.




Earnest basava le proprie considerazioni sul rapporto della missione effettuata nella piana di Ninive dallo U.S. Holocaust memorial museum. Dall’indagine, risalente all’agosto 2014, emergeva che “sotto l’ideologia dello Stato islamico, gli aderenti a religioni considerate infedeli o apostate – inclusi gli yazidi – sono costretti alla conversione o uccisi, e i membri di altre religioni – come i cristiani – sono soggetti a espulsione, estorsione o alla conversione forzata”. Non veniva considerato, quindi, un successivo dossier del Comitato per i diritti umani dell’Onu, secondo il quale “gli atti di violenza perpetrati contro i civili a causa della loro affiliazione (o presunta affiliazione) a un gruppo etnico o religioso possono essere considerati un genocidio”.

Le argomentazioni della Casa Bianca avevano indotto i professori della Princeton University, Robert P. George e Cornel West, a intervenire: "In nome della decenza, dell'umanità e della verità, chiediamo al presidente Obama, al segretario di Stato John Kerry e a tutti i membri del Senato e della Camera dei rappresentanti di riconoscere e di dire pubblicamente che i cristiani in Iraq e Siria – insieme a yazidi, turcomanni, shabak e musulmani sciiti – sono vittime di una campagna di genocidio". Ancora a metà dicembre, l'Amministrazione sembrava decisa a non riconoscere i cristiani vittime di un genocidio perpetrato dalle squadre jihadiste di Abu Bakr al Baghdadi . Dopotutto, la realtà è quella di un'America che archivia l'esportazione della libertà religiosa e preferisce tingersi d'arcobaleno.

Fondamentale per la decisione del Dipartimento di stato è stata la risoluzione approvata (393 sì, 0 no) lo scorso lunedì dalla Camera dei Rappresentanti di Washington, che ha definito "genocidio" quanto accade nel vicino oriente per mano dei miliziani dell'Isis.

Durante l'Angelus di Santo Stefano, lo scorso 26 dicembre, anche il Papa era intervenuto sulla questione, ricordando "coloro – e sono purtroppo tantissimi – che come santo Stefano subiscono persecuzioni in nome della fede, i nostri tanti martiri di oggi". Sempre a cavallo del Natale, Francesco invitava alla preghiera "per i cristiani che sono perseguitati, spesso nel silenzio vergognoso di tanti".








I segnali, dopotutto, erano ben evidenti già mesi fa, come il Foglio raccontò nello speciale dello scorso 21 novembre. Fare stime è difficile, i numeri ballano e i censimenti non sono sempre possibili, data la situazione sul terreno sconvolto da anni di guerre e tensioni etniche e religiose. Quel che si può dire, è che rispetto a un paio d’anni fa il numero di paesi dove la persecuzione nei confronti dei cristiani è considerata estrema (cioè a livello massimo) è passato da sei a dieci, ha scritto di recente in un rapporto la Fondazione di diritto pontificio Aiuto alla chiesa che soffre. Il rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, scriveva che "la solidarietà per i perseguitati è un dovere che non deve conoscere barriere, astuzie e riserve politiche", mentre il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, osservava che "il fondamentalismo e il radicalismo di matrice islamista, esplosi di recente e alimentati all’interno di vaste  regioni dell’Africa e del medioriente, hanno tragicamente accresciuto le dimensioni di questa vera e propria emergenza  planetaria. E spicca, tra tutti,  il dato numerico che riguarda le comunità cristiane, in termini assoluti le più perseguitate e con il maggior numero di vittime".

Le testimonianze dai territori controllati dallo Stato islamico sono univoche. Il parroco della cattedrale latina di Aleppo, padre Ibrahim Alsabagh, ripercorreva i momenti seguiti all'attentato che lo scorso ottobre colpì la chiesa durante una celebrazione eucaristica: "Hanno puntato la cupola, che è la parte più debole della struttura. Se fosse crollata, con essa sarebbe venuta giù la maggior parte del tetto. L’esplosione è avvenuta proprio nell’ultima parte della celebrazione, quella in cui avviene la distribuzione della comunione. Lo ricordo bene, erano le 17.45”.. Eppure, nonostante la tragedia, la fede si rafforza. Ne è un esempio la comunità cristiana di Aleppo e ne è un esempio Myriam, bambina di poco più di dieci anni rifugiatasi con la famiglia a Erbil dopo la fuga dalla sua città d'origine, Qaraqosh, in Iraq. Da lei nessuna parola d'odio nei confronti dei jihadisti: “Non voglio far loro niente, chiedo solo a Dio di perdonarli”. “E anche tu puoi perdonarli?”. “Sì”. “Ma è difficile perdonare chi ci ha fatto soffrire”. “Io non voglio ucciderli, perché dovrei? Certe volte piango perché abbiamo lasciato la nostra casa, ma non sono arrabbiata con Dio, lo ringrazio perché si occupa di noi”.




Situazione che ha progressivamente portato le massime autorità della gerarchia episcopale mediorientale a chiedere l'intervento di truppe (non solo arabe, ma anche occidentali) per fermare la minaccia jihadista. I boots on the ground come soluzione "inevitabile",aveva detto il patriarca di Babilonia dei caldei, mar Louis Raphaël I Sako: "L'Isis sarebbe sconfitto facilmente, se solo la comunità internazionale si mettesse d’accordo”. Padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, usava parole chiare: "I leader islamici sono stati timidi nel denunciare l'abominio che è in corso".

In un'intervista al Foglio, il Patriarca di Antiochia dei siri, Ignace Youssif III Younan, si poneva sulla linea di Sako: “I raid non bastano, bisogna essere realisti. I bombardamenti aerei non sono sufficienti, perché questi terroristi sanno come nascondersi tra i civili. E’ necessario coordinare i raid con gli eserciti nazionali, come stanno facendo gli americani in Iraq e i russi in Siria”.

Ma perché i cristiani sono la carne da macello prediletta? La risposta l'ha data il Patriarca di Antiochia dei Maroniti, Béchara Boutros Raï: "Nell’inconscio dei musulmani il giudaismo è stato completato e soppiantato dal cristianesimo e questo è stato completato e soppiantato dall’islam. Perciò il cristiano non è accettato come cristiano, è semplicemente un uomo che deve diventare musulmano e ancora non l’ha fatto”.

Anche per questo, come ha scritto l'islamologo egiziano Samir Khalil Samir, vi è la necessità di rivoluzionare il pensiero islamico contemporaneo: "E’ una menzogna dire che l’Isis non c’entra niente con l’islam. Io posso capire chi dice così, perché intende dire che non si riconosce in quell’atteggiamento. Questo è vero, molti musulmani sostengono che quello non è il vero islam, che invece dovrebbe essere pacifico. Però, quando lo sento dire da qualche imam, la cosa diventa grave. Ciò che fa il cosiddetto Stato islamico, infatti, è sempre appoggiato in modo chiaro da un un giurista musulmano che afferma come il determinato atto sia conforme a un precetto dell’islam".
di Matteo Matzuzzi | 18 Marzo 2016 

“Non c’è un genocidio di cristiani e non ci servono protettori”

Il Patriarca e cardinale maronita Bechara Boutros Rai: l’incontro tra il Papa e Kirill è stato un fatto provvidenziale. E i cristiani del Medio Oriente giudicano positivamente l’intervento russo nel conflitto siriano
AP/LAPRESSE
Il Patriarca e cardinale maronita Bechara Boutros Rai

28/02/2016
ROMA

Il Medio Oriente è sconvolto dalla tempesta delle guerre, del terrorismo e delle pulizie etnico-religiose. Ma la tempesta passerà, e anche i cristiani non spariranno dalle terre dove è nato Gesù e si è diffuso il primo annuncio cristiano. Il cardinale libanese Boutros Bechara Rai, Patriarca di Antiochia dei maroniti, non sembra contagiato dai toni catastrofici che segnano tanti interventi di altri vescovi e Patriarchi mediorientali. Lui dà ragione con accenti appassionati della speranza cristiana che lo anima anche riguardo al futuro del Vangelo in quella parte del mondo. 

Beatitudine, esponenti di altre Chiese cattoliche orientali hanno espresso riserve per l’abbraccio tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill, e soprattutto per la dichiarazione comune da loro sottoscritta. Come è stato vissuto quell’evento tra i cristiani del Medio Oriente?  
“Da noi l’ecumenismo non è una questione accademica. È la vita di tutti i giorni. Tra cristiani di diverse tradizioni ci incontriamo spesso e decidiamo tutto insieme. Abbiamo percepito l’incontro tra il Papa e il Patriarca russo come un fatto provvidenziale, e io l’ho scritto anche al Papa. La dichiarazione comune, la sto leggendo un pezzo per volta al programma di formazione cristiana che tengo ogni settimana in tv. Ho cominciato coi paragrafi dedicati ai cristiani in Medio Oriente. La prossima settimana tratterò della parte sulla famiglia. Io ho rapporti fraterni anche col Patriarca Kirill. Ci scriviamo sempre, mi sono consultato con lui anche sulle questioni della politica”.  

Quale giudizio prevale tra i cristiani del Medio Oriente riguardo all’intervento russo in Siria, che ha cambiato le sorti del conflitto e viene criticato da molti circoli in Occidente?  
“La Russia si occupa da sempre dei cristiani del Medio Oriente, soprattutto quelli ortodossi. Nel solo Libano, i russi hanno aiutato a far nascere almeno un’ottantina di scuole ortodosse, che rappresentano un contributo importante per la vita ecclesiale. Riguardo alla guerra, ai nostri occhi l’intervento della coalizione guidata dagli americani non ha fatto altro che consolidare i jihadisti del Daesh, lo Stato Islamico. E questo ci spingeva sempre a porci delle domande. Poi sono arrivati i russi, stanno colpendo Daesh e allora si sentono le proteste di chi li rimprovera di voler solo sostenere il regime siriano… Allora non ci si capisce più niente. Noi sappiamo solo che non è possibile essere preda delle organizzazioni terroristiche: Daesh, al Qaida, al Nusra, e i mercenari che ci mandate dall’Occidente… Quindi noi giudichiamo positivamente questo intervento russo, come una lotta concreta lotta contro il Daesh. Poi, è ovvio che tutti gli Stati hanno i propri interessi politici. Ma almeno c’è una Nazione, la Russia, che parla anche dei cristiani del Medio Oriente”. 

Ma c’è sempre bisogno di qualcuno che difende dall’esterno i cristiani del Medio Oriente? Non c’è il pericolo di teorizzare per loro nuovi protettorati, come quelli esercitati un tempo dalle potenze occidentali?  
“Non c’è più nessun protettorato, e forse non c’è mai stato. Gli Stati facevano i loro interessi, sotto la coperta del protettorato. Noi non abbiamo bisogno di protettori. Abbiamo bisogno solo che dall’esterno ci lascino in pace, Prima di questi interventi esterni, c’erano stati tanti problemi, ma negli ultimi tempi vivevamo in pace. Lungo la storia abbiamo sempre trovato le vie per andare avanti”. 

Eppure ci sono tante forze e organizzazioni, anche politiche, che dicono di voler aiutare i cristiani in Medio Oriente.  
“Sì, va bene, ma si tenga conto che noi non siamo degli individui isolati, o delle piccole minoranze derelitte. Siamo la Chiesa di Cristo, che si trova in Medio Oriente. Ci sono quelli che trattano i cristiani mediorientali come dei poveretti, quelli che dicono: venite da noi, che vi accoglieremo, cinquanta qui, cento lì, cinquecento in quell’altro Paese…. A questi dico che le cose non funzionano così. Noi vogliamo rimanere nella terra nostra, insieme ai musulmani, dove abbiamo vissuto insieme per 1400 anni, e vogliamo rimanerci nel nome del Vangelo. Abbiamo creato una cultura insieme, una civiltà insieme. E tutti quelli che ora combattono in Medio Oriente, non sono del Medio Oriente”.  

L’alternativa obbligata, in Medio Oriente, è tra regimi autoritari e fanatismo jihadista?  
“L’ultimo tempo di sangue e dolore è iniziato coi popoli di diverse nazioni che esprimevano il legittimo desiderio di riforme politiche. È un diritto chiedere cambiamenti. Ma poi quelle richieste sono sparite, e sono venute fuori le organizzazioni terroristiche, sostenute da fuori con i soldi, le armi e il sostegno logistico. A tanti che ne parlano sempre, la democrazia e la libertà non interessa davvero. Hanno altri interessi”. 

C’è anche chi, riguardo alla condizione vissuta ora dai cristiani in Medio Oriente, utilizza sempre le categorie di persecuzione e addirittura di genocidio. L’uso di queste espressioni è sempre appropriato?  
“Il problema in Medio Oriente non un problema di persecuzione dei musulmani sui cristiani. I problemi sono altri: quelli tra sciiti e sunniti, tra regimi e gruppi terroristici, e tra Arabia Saudita e Iran, che si fanno la guerra sul suolo della Siria, dell’Iraq, dello Yemen, e in Libano si fanno guerra politica. I cristiani ci vanno di mezzo, ci sono stati attacchi mirati, perchè nel caos succede sempre così. Ma non possiamo parlare di persecuzione vera e propria e sistematica, e tanto meno di genocidio. Ci sono molte più persecuzioni contro i musulmani che contro i cristiani, I cristiani sono vittime come tutti gli altri, ma i 12 milioni di siriani che sono dovuti scappare dalle loro case non sono cristiani. Anche le atrocità del Daesh sono rivolte più contro i musulmani che contro i cristiani”. 

Ma anche fuori dagli scenari di guerra, nei Paesi del Medio Oriente i cristiani vivono spesso situazioni obiettive di discriminazione.  
“Ci sono difficoltà, maltrattamenti, ci sono regimi che non rispettano la libertà religiosa, ma tutto questo è un’altra cosa rispetto alla persecuzione e addirittura al genocidio. E sono situazioni con cui noi abbiamo una certa familiarità storica. Se ci si lascia in pace, troveremo noi le soluzioni per andare avanti nelle situazioni nuove che ci troveremo a vivere. I protettorati del passato, di cui abbiamo accennato prima, hanno fatto più danni che bene ai cristiani che dicevano di voler difendere. Gli Stati fanno solo i loro interessi, e i cristiani venivano identificati come un corpo estraneo, da espellere. Mentre noi nelle nostre terre ci siamo nati, e abbiamo saputo vivere anche sotto i regimi più dittatoriali. Per questo nelle nostre terre noi non saremo mai “minoranze”, anche se rimanesse un solo cristiano in tutto il Medio Oriente I cristiani mediorientali riconoscono i limiti, rispettano le leggi e le autorità costituite. Sanno bene di vivere in Paesi dove l’islam è religione di Stato, la Sharia e sorgente principale delle leggi. Desiderano le riforme, Certo. Ma rispettano i tempi della storia. A quelli che vengono con le bombe, che fanno la guerra con la scusa di voler la democrazia e le riforme, o addirittura dicono di voler aiutare i cristiani, non si può dar credito. Non vogliono davvero le riforme. Cercano altro”. 

Quale è allora il modo di aiutare i cristiani che soffrono?  
“Chi riceve i colpi non è come quello che li conta. Dobbiamo sempre immedesimarci con chi è in difficoltà, perché siamo la Chiesa di Cristo. Ma stare vicino a chi soffre non vuol dire invitare i cristiani a fuggire dalle loro terre. Bisogna aiutarli lì dove si trovano. Ai politici stranieri che incontro ripeto sempre: fate finire la guerra, trovate soluzioni politiche ai conflitti, e lasciateci in pace, Non chiediamo altro”. 

Nel disastro del Medio Oriente, il Libano vive una crisi istituzionale devastante. Eppure non è stato risucchiato dai conflitti.  
“Il Libano rimane una necessità per tutto il Medio Oriente. Lì cristianesimo e islam vivono in una condizione di eguaglianza”.  

Ma anche lì la situazione politica è bloccata dallo scontro tra forze allineate con l’Iran o con l’Arabia Saudita.  
“All’Iran chiediamo sempre di fare pressioni sul Partito sciita di Hezbollah, perchè la smettano di boicottare le elezioni presidenziali. Siamo senza Presidente da quasi due anni, fanno mancare sempre il quorum alle riunioni del parlamento convocate per l’elezione. Al posto di Presidente deve essere eletto un cristiano maronita. Ma quelli di Hezbollah hanno deciso di boicottare ogni candidatura che non sia gradita a loro”. 

Vede davvero qualche possibilità di trovare una via d’uscita dal conflitto siriano?  
“Finché la Turchia tiene aperte le frontiere a tutte le organizzazioni terroristiche, la pace rimane un sogno. E la coscienza della comunità internazionale sembra essere morta. Tutti questi esseri umani sparsi nelle strade del mondo non significano niente, per chi ha in mano il potere nel mondo”. 

Tanti capi cristiani ripetono dichiarazioni catastrofiche. Lei, invece, una volta ha detto che anche questa tempesta passerà.  
“I cristiani non sono un gruppo etnico-religioso, e non sono un partito politico. Sono i figli della Chiesa di Cristo. La loro presenza, anche in Medio Oriente, non dipende solo dagli equilibri politici e dalle vicissitudini della storia. C’è una tempesta, e allora noi facciamo il gioco della canna, che si piega, non si irrigidisce, e la tempesta passa, e la canna non si spezza. Abbiamo vissuto difficoltà peggiori di quelle presenti, ai tempi di Mamelucchi e degli Abassidi. Anche i Patriarchi maroniti hanno vissuto per 400 anni in posti inaccessibili, in piccole celle in alte montagne, altre volte nel profondo di valli isolate, per custodire e essere custoditi nella fede cattolica. La fede non è mai spenta dalle tribolazioni, come si vede bene anche in tutta la storia della Chiesa di Roma. Io sento che il Medio Oriente ha più che mai bisogno di noi, ha bisogno di sentire un’altra voce. Diversa da quella della guerra, dell’odio, del sangue innocente sacrificato. Ha bisogno della voce del Vangelo. Oggi più che mai”.  

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