ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 9 marzo 2016

L’esito mortale della Chiesa


Risposta a Dugin: il cattolicesimo rimane vera Chiesa


di Satiricus

La lettura di Dugin circa l’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill è indubbiamente interessante, anche per il fatto di offrire una prospettiva ex parte scismatica, che effettivamente introduce spunti innovativi rispetto al nostro modo di pensare abituale. Al link riportato troverete i rimandi mediatici e la trascrizione in inglese della riflessione duginiana.
Muovo il mio breve commento in merito. E’ vero, Roma è cambiata ed ha perso il peso geopolitico dei secoli andati; il secolarismo ateo e la massoneria liberale hanno soppiantato il Cattolicesimo nella guida attiva dell’Occidente e, dati alla mano, sembra umanamente ineccepibile che il Cattolicesimo ormai stia morendo, con l’aggravante, non ancora sconfessata e forse ultimamente acuitasi, del compromesso con la cultura secolare e del cedimento alla politica del nuovo Ordine.

La mia obiezione all’affondo del filosofo russo è che fin qui viene esibito uno sguardo eccessivamente immanente, che non tenga sufficientemente conto del rilievo spirituale della storia e di sue possibili letture alternative, insomma si riconosce una critica troppo politica e troppo russa, lucida circa la sintomatologia, ma non circa la diagnosi degli eventi.

In risposta, propongo piuttosto la profezia del mistico Divo Barsotti, secondo la quale l’esito mortale della Chiesa sarebbe simbolo della Sua partecipazione alla sentenza subita dal Capo, il Cristo.

Questa lettura, che palesa il segreto propriamente cattolico circa la storia, trova numerosi precedenti e tra essi amo segnalare l’analisi di uno spirito eccelso del Cattolicesimo, padre Guéranger, riformatore di Solesmes. La sua comprensione della crisi liturgica occidentale e la sua costatazione piana circa l’apparente salubrità delle pratiche liturgiche orientali sono un ottimo e sintetico paradigma per rispondere a Dugin e al suo trionfalismo neo-imperiale.

Leggiamo cosa asserisca l’abate benedettino nel XIV capitolo delle Istitutions liturgiques e proviamo ad estenderne le considerazioni oltre l’ambito meramente liturgico: «Non è possibile eresia liturgica dove il simbolo è già minato, dove non si trova altro che un cadavere di Cristianesimo, cui soltanto gli impulsi, oppure un galvanismo, imprimono ancora qualche movimento, finché, cadendo a pezzi dalla putrefazione, diverrà del tutto incapace di ricevere stimoli esterni. E’ dunque solo in seno alla vera Chiesa che può fermentare l’eresia antiliturgica, vale a dire quell’eresia che si pone come nemica delle forme del culto. Soltanto dove c’è qualche cosa da demolire il genio della distruzione cercherà di introdurre il veleno» (P. Guéranger, L’eresia antiliturgica e la riforma protestante, Amicizia Cristiana, Chieti 2011, p.14).

Che stiano così le cose? Che il decadimento cattolico dipenda dall’essere il solo e incorrotto Depositum Fidei contro di cui si schiantano le repulsioni diaboliche e anticristiche? Ciò detto, condivido la critica al compromesso in cui i Cattolici occidentali hanno disastrosamente condotto la Chiesa nei tempi moderni, né la riflessione citata esclude che in qualche modo un’alleanza con gli Scismatici possa risultare il mezzo concreto per risollevare le nostre sorti (il che poi mostrerebbe il risvolto provvidenziale della rottura occorsa mille anni fa).
La storia e il suo Giudice ci diranno quale sia la lettura migliore tra quelle sopra offerte, irriducibili ed antitetiche usque ad unitatem, per ora mi premeva solo chiarire che, seppur tra mille crisi e tradimenti, seppur morenti e decadenti, noi cattolici non siamo certo privi di una risposta vigorosa e di una prospettiva gloriosa da confessare.
http://www.campariedemaistre.com/2016/03/risposta-dugin-il-cattolicesimo-rimane.html

Socci. Le critiche che fanno bene al Papa

(di Roberto de Mattei) La lettera che papa Francesco ha indirizzato lo scorso 7 febbraio ad Antonio Socci merita la stessa attenzione del libro che Socci ha dedicato a La profezia finale. Lettera a papa Francesco sulla Chiesa in tempo di guerra (Rizzoli, 2016).

Il libro dello scrittore senese è diviso in due parti: la prima contiene una raccolta di profezie, antiche e recenti che prospettano gravi catastrofi per il mondo, se non si convertirà e farà penitenza. Le distruzioni materiali previste da tante profezie appaiono come una conseguenza della situazione di devastazione spirituale in cui oggi si trova immersa la Chiesa. Tra i tanti messaggi celesti, quelli della Vergine a La Salette e il sogno di don Bosco sul futuro di Roma tratteggiano uno scenario di tragedia e di speranza analogo a quello che la Madonna annunciò a Fatima nel 1917.

Altre rivelazioni private citate da Socci, possono essere considerate discutibili, ma il merito dello scrittore senese è comunque quello di avere ricordato l’esistenza di una dimensione profetica e apocalittica che è inseparabile dalla teologia cattolica della storia.


La seconda parte del libro, in forma di “Lettera aperta”, è una serrata critica a papa Bergoglio di cui l’autore ricorda minuziosamente tutti gli atti e le parole che, fin dall’inizio del suo pontificato, hanno lasciato sconcertati, affranti e a volte scandalizzati i fedeli, fino al punto di porsi la domanda che campeggiava sulla copertina diNewsweek alla vigilia del suo viaggio in America: Is the Pope Catholic? Al Papa Socci rivolge queste vibranti parole: «La scongiuro: ripensi a tutta la strada che ha fin qui percorso, eviti altri passi gravissimi, come un’Esortazione postsinodale che apra alle idee del cardinale Kasper (…). Soprattutto eviti di convocare un nuovo Sinodo che – come si paventa – metta nel mirino addirittura il celibato ecclesiastico. È soprattutto di un grande Giubileo della penitenza che tutti avremmo bisogno» (p. 221).
Antonio Socci è un giornalista che, come tale, è abituato ad intervenire sugli avvenimenti a caldo, con tutta la tempestività che la sua professione richiede. Questo talvolta può andare a scapito dell’approfondimento, ma poiché è mosso da una forte passione, egli è disposto a mettere in discussione sé stesso e le proprie convinzioni purché la verità e null’altro, prevalga. Chi non condivide alcune tesi di Socci deve riconoscergli questa qualità, più volte da lui dimostrata.
Quel che è certo è che papa Francesco, dopo avere ricevuto il libro, non lo ha scomunicato, biasimato, e neppure ignorato, ma ha preso carta e penna e, con una lettera autografa, gli ha scritto: «Caro fratello: Ho ricevuto il suo libro e la lettera che lo accompagnava. Grazie tante per questo gesto. Il Signore la ricompensi. Ho cominciato a leggerlo e sono sicuro che tante delle cose riportate mi faranno molto bene. In realtà, anche le critiche ci aiutano a camminare sulla retta via del Signore. La ringrazio davvero tanto per le sue preghiere e quelle della sua famiglia Le prometto che pregherò per tutti voi chiedendo al Signore di benedirvi e alla Madonna di custodirvi. Suo fratello e servitore nel Signore, Francesco».
Queste poche righe demoliscono una certa “papolatria” diffusa negli ambienti conservatori. Il Pontefice ricorda che criticare il Papa non solo è lecito ma può «fare molto bene» al Papa stesso, aiutandolo a «camminare sulla retta via del Signore». Con il temine papolatria intendiamo un’indebita divinizzazione della figura del Papa, che è cosa ben diversa dalla venerazione e dal devoto rispetto che gli dobbiamo per la carica che ricopre. La franchezza, anche critica, osserva Socci, può essere di aiuto per il vescovo di Roma, «soprattutto quando la mentalità dominante esagera con l’adulazione» (p. 92). Il grande teologo domenicano Melchior Cano affermava: «Pietro non ha bisogno delle nostre bugie o della nostra adulazione. Coloro che difendono ciecamente e indiscriminatamente ogni decisione del Sommo Pontefice sono quelli che più minano l’autorità della Santa Sede: distruggono, invece di rafforzare le sue fondamenta».
Qualcuno potrà dire che la lettera a Socci di Francesco è diretta ad “includere” tutti, dai progressisti ai tradizionalisti, in un abbraccio sincretista. Ma al di là delle intenzioni, ciò che contano sono i fatti e il fatto è in questo caso, l’apprezzamento che il Papa esprime per i suoi critici. Le parole rivolte da Francesco a Socci si estendono a tutti coloro che negli ultimi anni hanno criticato il nuovo pontificato: da Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, fino agli articoli di Ross Douhat sul New York Times e alla petizione pubblicata da un gruppo di scrittori cattolici sul Remnant l’8 dicembre 2015. Francesco ci ricorda che si possono criticare gli atti non infallibili del Papa, soprattutto per quanto riguarda le sue scelte politiche e pastorali, a condizione che la critica sia rispettosa e che riguardi gli errori della persona e non l’autorità del papato.
Il tradimento della classe politica cattolica è sempre stato accompagnato dal tradimento storico dei vertici ecclesiastici, ma non era mai accaduto che un Papa scegliesse Eugenio Scalfari come suo confidente e indicasse Emma Bonino e Giorgio Napolitano, come le grandi figure dell’Italia di oggi, senza rivolgere nessuna parola di incoraggiamento, di sprone o anche una semplice benedizione alle centinaia di migliaia di cattolici del Family Day.
E mentre al Senato passava la legge Cirinnà che legalizza le unioni omosessuali, Papa Francesco, dopo aver taciuto in Irlanda, ha taciuto anche in Italia, assumendosi grandi responsabilità. «Perché Santo Padre – chiede Socci con tono accorato – lei ha cessato di opporsi a quel micidiale attacco alla famiglia che il mondo ha intrapreso da anni?» (p. 127). Il 6 marzo su Libero, Socci è opportunamente intervenuto criticando la nascita di un nuovo partito cattolico, dopo l’esperienza del Family Day.
L’idea di trasformare le associazioni di ispirazione religiosa in qualcosa di politico, spiega Socci, in passato ha sempre fallito. Ma l’errore non riguarda solo il tempo e i modi con cui l’iniziativa è stata annunciata. È l’idea stessa di un partito politico cattolico, costretto ad accettare le regole della democrazia relativista, che deve essere respinta, mentre i movimenti di opinione sono capaci di influenzare la politica in maniera ben più efficace dei partiti. In Italia si è formata negli ultimi anni un ampio movimento di resistenza al processo di secolarizzazione in corso. Alle origini di questo movimento c’è una misteriosa ma reale azione della grazia, ma c’è anche l’opera di tanti cattolici che, da decenni, oppongono a questo processo il loro impegno culturale e morale.
Il Family Day contro la legge Cirinnà ha rivelato a molti l’esistenza di questo movimento. Ma nel momento in cui il mondo cattolico ha espresso, con il Family Day, la sua maggior forza, ha anche manifestato la sua estrema debolezza. La forza è quella che viene dalla base, la debolezza quella che caratterizza i vertici del movimento che, poche settimane dopo il Family Day, hanno mostrato le loro divisioni.
Questa frammentazione non deve meravigliare. Quando sale la marea, appare sempre chi vuole cavalcarla ponendosi alla guida di un movimento che non ha creato e che non rappresenta. Ha ragione Socci quando osserva che «oggi i cattolici hanno ben altro da fare. Altro che partiti tematici. La loro prima emergenza è impedire l’autodemolizione della Chiesa e della società». L’Esortazione post-sinodale che papa Francesco firmerà il 19 marzo sarà un nuovo passaggio di questo processo di autodemolizione? Confermerà la dottrina della Chiesa o si allontanerà in qualche punto dal suo perenne Magistero? E come dovrebbero comportarsi in questo caso i cattolici? Queste sono le domande urgenti oggi sul tappeto. Domande che esigono tutta la attenzione di cui può essere capace un’intelligenza illuminata dalla grazia. (Roberto de Mattei)
Article printed from CR – Agenzia di informazione settimanale: http://www.corrispondenzaromana.it
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