ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 16 marzo 2016

Post triduo

Dopo tre anni, è più chiaro perché questo Papa non piace a troppi

Effetti collaterali di un Francesco non occidentale

Papa Francesco (foto LaPresse)
Sbucò sulla Loggia delle benedizioni, annunciato dal nome Francesco senza numeri, disse “buonasera” e si presentò come vescovo di Roma. Tre anni dopo quel 13 marzo 2013 la direzione del suo pontificato rispecchia quanto si poteva immaginare nell’oscurità piovigginosa di quella sera. Ma allo stesso tempo rimane fluida, lontana da possibili bilanci. Invece sono senza dubbio più chiare e consolidate le motivazioni di chi, con intuizione precoce, aveva intuito che “questo Papa piace troppo”, per citare un fortunato titolo del Foglio poi divenuto titolo di un altrettanto fortunato libro (ma è giusto una citazione: non si parla qui delle opinioni di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro, e di Giuliano Ferrara).
Un Papa che piace troppo, in termini di teologia negativa, significa: questo Papa non piace proprio. Ecco qualche motivo, con una piccola limitazione del campo: che piaccia a tanti “nemici” della chiesa, da Scalfari a Obama, è totalmente irrilevante.

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Non piace, Bergoglio, perché non considera il mondo come un campo di battaglia in cui la chiesa sia incaricata delle retroguardie dei valori morali. Quando afferma, nella Laudato si’, che “quando non si percepisce nella realtà stessa l’importanza di un povero, di un embrione umano, di una persona con disabilità – per fare solo alcuni esempi –, difficilmente si sapranno ascoltare le grida della natura stessa”, è chiaro che la morale sessuale (degli altri) e la famiglia monoparentale – che pure difende, tra poco arriverà la sua Esortazione post sinodale sul tema – non sono gli unici parametri di riferimento. Più chiari sono oggi anche alcuni motivi interni che da subito avevano creato allarme. Il primo è che è stato scelto da un partito “non italiano” e non di curia, che per la prima volta sta cedendo davvero il campo. Può essere che la riforma della curia rimanga la grande incompiuta del pontificato, ma è evidente che la considerazione di Bergoglio per le conferenze episcopali locali è un segno che sarà difficile cancellare. Infine, il disprezzo per il formalismo e il tradizionalismo l’ha reso insopportabile a chi vi legge un pericoloso segno della crisi della chiesa.
Per la prima volta da molti secoli il Papa appare come un fratello da un altro pianeta rispetto all’agenda consolidata e (per molti) tradizionale della chiesa cattolica. Come ha scritto Alberto Melloni su Repubblica, in futuro potrebbe anche tornare un “Pio XIII” a rimettere le cose in ordine. Nel frattempo, come si racconta abbia detto Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico, a suo fratello Giuliano quando divenne Papa: “Poiché Dio ci ha dato il Papato, godiamocelo”.
di Maurizio Crippa | 15 Marzo 2016 
http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/03/15/dopo-tre-anni-pi-chiaro-perch-questo-papa-non-piace-a-troppi___1-v-139425-rubriche_c395.htm
Il Secolo XIX

I primi 90 anni di Dario Fo: «Non amo troppo Dio, Papa Francesco sì»

16 marzo 2016 Alberto Mattioli
Milano - «Non mi piace il Dio dell’Antico Testamento, un Dio incazzoso, vendicativo, che tenta le sue creature sapendo già che cederanno. Questo Papa invece sì, e molto, specie quando dice che il denaro è lo sterco del diavolo, che l’amore per i poveri è nel Vangelo prima che nel marxismo. Già, è vero, ma non lo ricordavano mai». Dario Fo, 90 anni il 24 marzo, riceve nella sua bella casa milanese vestito da pittore, sì, proprio con la casacca tutta sporca di colori. Si alza da un quadrone che sta dipingendo, si siede dietro un muro pieno di fotografie non incorniciate, si aggiusta l’apparecchio acustico e inizia ad alluvionarti di parole.
«Sì, che sono ancora ateo. Come diceva Voltaire, Dio è la più grande invenzione della storia. Però ogni tanto non posso fare a meno di pensare a Lui». Con la “elle” maiuscola? «Ma sì, io l’ho scritto così». Pensare e scrivere: così l’ultimo libro di Dario Fo con Giuseppina Manin, s’intitola “Dario e Dio”.
Il Nobel riceve nella sua bella casa milanese vestito da pittore, sì, proprio con la casacca tutta sporca di colori, tipo Cavaradossi. Si alza da un quadrone che sta dipingendo, si siede dietro un muro pieno di fotografie non incorniciate (i familiari, gli attori, Falcone e Borsellino, una Franca Rame - lei sì, in cornice - giovane e bellissima), si aggiusta l’apparecchio acustico e inizia ad alluvionarti di parole. Farlo parlare non è mai stato un problema. Il problema semmai, ma non per gli intervistatori, è sempre stato quello di farlo stare zitto. «Vede questo?», e ostende una copia del Sole24Ore: «Anche un vescovone, Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, recensisce il mio libro con rispetto, il rispetto che si ha per una persona che ragiona. E del resto io di Dio con rispetto ho sempre parlato, anche quando ci facevo sopra uno sghignazzo».

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