Ita et nunc
Come allora colui che era nato secondo la carne perseguitava quello nato secondo lo spirito, così anche ora (Gal 4, 29).
Se i Protocolli dei Savi di Sion fossero stati un falso compilato dalla polizia zarista, non si capisce a che scopo Nicola II ne avesse portato con sé una copia a Ekaterinburg, dove fu trucidato con tutta la sua famiglia. Altro indizio di autenticità è il fatto che buona parte del piano in essi descritto si è già realizzato, a cominciare da quella rivoluzione marxista, finanziata e diretta dalle logge ebraiche, che in una prima fase lo detronizzò e in una seconda lo eliminò fisicamente. Non senza motivo un esperto di massoneria, qual era padre Kolbe, li aveva presi molto sul serio. I figli carnali di Abramo, non sopportando che i suoi figli spirituali li abbiano soppiantati nel godimento dei beni messianici, si sono votati ad una lotta senza quartiere contro di loro, fino all’ultimo cristiano. Non potendo certo sterminarli tutti (nonostante i ricorrenti massacri inaugurati nel 1792 e tuttora in corso per mano islamica), hanno pensato bene di pervertirne la fede al fine di condurli inavvertitamente alla loro stessa apostasia e riassorbirli così nella propria incredulità.
Subito dopo la moltiplicazione dei pani, Gesù – come recita il testo greco, a differenza delle traduzioni edulcorate – si era ritirato sul monte per sottrarsi al rapimento da parte della folla, che aveva deciso di farlo re. Era la volontà umana di mettere Dio, se possibile, a servizio dei propri interessi terreni, rifiutandone in pari tempo l’amore con le connesse esigenze morali. Era la stessa blasfema arroganza dei loro padri che, nel deserto, avevano tentato il Signore: «Visto che ci ha dato da bere facendo sgorgare acqua dalla roccia, facciamoci dare anche da mangiare. Ma il pane non ci basta, vogliamo pure la carne» (cf. Sal 77, 20). Era lo stesso atteggiamento del figlio minore della parabola (cf. Lc 15, 11-32), che sfrutta la relazione filiale per rivendicare una fetta del patrimonio di famiglia, ma al tempo stesso la distrugge nella pretesa stessa di ottenere qualcosa che presuppone la morte del padre: «Io non ti voglio come genitore se non in quanto mi dài l’eredità, con cui potrò vivere come mi pare e piace, come se tu non ci fossi più».
«Se il mio popolo mi ascoltasse, se Israele camminasse per le mie vie! […] Li nutrirei con fiore di frumento, li sazierei con miele di roccia» (Sal 80, 14.17). Anche l’obbedienza del figlio maggiore, esteriore, interessata e astiosa, oltraggia l’amore paterno immolando la relazione filiale sull’ara di un interesse egoistico puramente materiale, così da perdere gli inimmaginabili benefici che la paternità divina tiene in serbo per i suoi piccoli: «Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo» (Lc 15, 31); esattamente le stesse parole che Gesù, esprimendo quella sublime reciprocità alla quale si è degnato di associarci, rivolge al Padre al termine dell’Ultima Cena: «Tutto ciò che è mio è tuo e tutto ciò che è tuo è mio» (Gv 17, 10). È ben più e incomparabilmente meglio di un capretto per far festa con gli amici, ma pure di tutti i piaceri acquistati con i soldi del padre e finiti in una pozza di fango in compagnia dei maiali; è ben più e incomparabilmente meglio di tutte le quaglie del deserto e di qualsiasi delizia gastronomica…
Il benessere della società occidentale, garantito peraltro da ingiustizie accecanti e da interminabili violenze senza nome, ha ridotto molti cristiani di nome in un vero e proprio porcile; quel progresso che proprio la fede in Cristo, mediante l’assunzione di quanto di buono la civiltà umana ha prodotto, ha reso possibile nel corso della nuova èra si è ritorto contro i suoi stessi beneficiari, una volta rifiutato il Padre da cui tutto proviene. Il sintomo più evidente di questa nefasta inversione di rotta è quella disgustosaperversione dei costumi che san Paolo stigmatizza come effetto del mancato riconoscimento di Dio da parte dei pagani (cf. Rm 1, 18-32). Ma la colpa di chi, una volta lavato, è tornato a rotolarsi nel fango è ben più grave: è come un cane che annusa il suo vomito (cf. 2 Pt 2, 22). «Se infatti, dopo aver fuggito le corruzioni del mondo per mezzo della conoscenza del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, rimangono di nuovo in esse invischiati e vinti, la loro ultima condizione è divenuta peggiore della prima. Meglio sarebbe stato per loro non aver mai conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltare le spalle al santo comandamento che era stato loro trasmesso» (2 Pt 2, 20-21).
Oggi nessuno dubita che il padre del figliol prodigo sia pronto a riabbracciarlo e a festeggiare nel modo più splendido il suo tanto atteso ritorno: ci viene ripetuto in tutte le salse e ad ogni occasione. Ma bisogna pure che questo benedetto figlio apra una buona volta gli occhi per vedere il fango in cui sguazza e si decida a tornare indietro! Finché non accetta di guardare in faccia la propria realtà e non prende la salutare decisione di allontanarsi dalla deplorevole condizione in cui si è posto da sé (cosa che lui solo può fare, sia pure aiutato dalla grazia), non cambierà mai nulla. Il Padre, certo, lo aspetterà sempre, ma non serve a niente dirgli che tutto va bene, quando di fatto non è così: in questo modo non si fa altro che cacciarlo sempre più nel fango confermandolo nei suoi errori e nei suoi peccati, esattamente secondo l’aberrante concezione luterana.
Come ci insegnano i protagonisti stessi della storia sacra nella sua prima fase, quando il popolo indurisce la cervice, rifiutandosi di ascoltare il Signore che ripetutamente lo richiama e ammonisce, alla misericordia divina non resta altro mezzo che il castigo. Molti arricciano il naso a sentir parlare di un presidente che da tre lustri, nel Paese più esteso del mondo, tiene saldamente le redini del potere con metodi poco democratici – se non moralmente discutibili – che includono l’eliminazione fisica degli oppositori. Non intendiamo certo onorare Machiavelli, ma è sempre la storia sacra (tanto l’antica quanto la nuova) ad insegnarci che il buon Dio è molto meno schifiltoso dei suoi figli e, per certe operazioni, non pretende affatto di trovare strumenti perfetti: per correggere Israele si servì di un Sargon II e di un Nabucodonosor, per impiantare la Chiesa di un Costantino e di un Carlo Magno – senza curarsi di non scandalizzare i benpensanti modernisti…
Certamente il nostro eroe ha bisogno di una più perfetta conversione: la sua Chiesa, pur con tutto lo splendore delle sue tradizioni, non gli trasmette la totalità della verità rivelata né gli garantisce una piena comunione con il Corpo mistico. Ci vorrebbe un gesuita come quelli di una volta, che erano andati in Russia a convertirne la nobiltà per arrivare fino allo zar… magari anche un missionario di un altro ordine, visti i tempi che corrono. Ad ogni modo, una tale conversione tornerebbe utile a tutti: agli Ortodossi russi, che, con la libertà ritrovata, nelle loro smaglianti liturgie rischiano di scivolare in un insidioso culto dell’uomo; ai greco-cattolici ucraini della Crimea e del Donbass, che, dopo neanche trent’anni di tregua, si ritrovano di nuovo a subire la persecuzione; a noi occidentali, che, in questi settant’anni, abbiamo completamente dimenticato che cosa significhi (nell’eventualità di un’altra guerra mondiale, seppure momentaneamente scongiurata) un’occupazione straniera. Perciò, se vogliamo che la punizione del nostro Paese infedele non sia troppo severa e che esso sia liberato al più presto dai diktatlegislativi della massoneria giudaica, non c’è necessità più urgente di questa: pregare, pregare e ancora pregare.
Pubblicato da Elia
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