Sui peccati non rivelati (anche per vergogna) in confessione
"Beata Caterina Anna Katharina Emmerick"
"Ieri, 27 ottobre 1821, fui portata da una donna che era sul punto di perdersi. Lottai con Satana davanti al letto della malata, ma il demonio mi buttò fuori. Era troppo tardi…questa donna era sposata e aveva tre figli. Era considerata molto bella e viveva secondo il mondo e la moda. Aveva un rapporto illecito con un sacerdote, e aveva taciuto in confessione questo peccato. Aveva ricevuto i santi sacramenti e tutti facevano grandi elogi della sua buona preparazione e disposizione per ben morire…tutti i miei sforzi risultarono vani. Era troppo tardi, non mi fu possibile avvicinarmi a lei e morì. Era atroce vedere Satana che si portava via quell’anima."
San Giovanni Bosco:
"Vidi certi giovani di un aspetto tetro avevano attorcigliato al collo un gran serpente, che con la coda scendeva fino al cuore e sporgeva in avanti la testa e la posava vicino alla bocca del meschino, come per mordergli la lingua se mai aprisse le labbra.
La faccia di quei giovani era così brutta che mi faceva paura; gli occhi erano stravolti, la loro bocca era storta ed erano in posizione da mettere spavento.
Tutto tremante domandai nuovamente che cosa significasse e mi fu detto: “Non vedi? Il serpente antico stringe la gola con doppio giro a quegli infelici per non lasciarli parlare in confessione e con le fauci avvelenate sta attento per morderli se aprono la bocca. Poveretti! Se parlassero, farebbero una buona confessione e il demonio non potrebbe più niente contro di loro. Ma per rispetto umano non parlano, tengono i loro peccati sulla coscienza e tornano più e più volte a confessarsi senza osare mai metter fuori il veleno che racchiudono nel cuore”
Padre Giovan Battista Ubanni, gesuita"
"......raccontava che una donna per anni, confessandosi, aveva taciuto un peccato di impurità. Arrivati in quel luogo due Sacerdoti domenicani, lei che da tempo aspettava un confessore forestiero, pregò uno di questi di ascoltare la sua Confessione.
Usciti di Chiesa, il compagno narrò al confessore di aver osservato che, mentre quella donna si confessava, uscivano dalla sua bocca molti serpenti, però un serpente più grosso era uscito solo col capo, ma poi era rientrato di nuovo. Allora anche tutti i serpenti che erano usciti rientrarono.
Ovviamente il confessore non parlò di ciò che aveva udito in Confessione, ma sospettando quel che poteva essere successo fece di tutto per ritrovare quella donna. Quando arrivò presso la sua abitazione, venne a sapere che era morta appena rientrata in casa. Saputa la cosa, quel buon Sacerdote si rattristò e pregò per la defunta. Questa gli apparve in mezzo alle fiamme e gli disse: “Io sono quella donna che si è confessata questa mattina; ma ho fatto un sacrilegio. Avevo un peccato che non mi sentivo di confessare al sacerdote del mio paese; Dio mi mandò te, ma anche con te mi lasciai vincere dalla vergogna e subito la Divina Giustizia mi ha colpito con la morte mentre entravo in casa. Giustamente sono condannata all’inferno!“.
Dopo queste parole si aprì la terra e fu vista precipitare e sparire."
Sant’Alfonso de Orozco (1500 – 1591) descrisse un episodio simile che riguardava la figlia d’un illustre nobile la quale, per aver omesso un grave peccato persino in punto di morte, venne inesorabilmente condannata eternamente.
Natuzza Evolo (1924 – 2009), parlando d’un suo contemporaneo da poco deceduto, affermò che egli, nonostante l’apparente vita esemplare che conduceva, era stato dannato per aver dimenticato volontariamente dei peccati gravi.
Santa Teresa d’ Avila (1515 – 1582), tramite una visione, ricevette un monito urgente da diffondere ai fedeli riguardo la pericolosità di questo tipo di sacrilegio:
(…) ed ecco, ad un tratto, spalancarsi innanzi agli occhi una voragine profondissima tutta ripiena di fuoco e di fiamma, e laggiù cadere abbondantissime, come la neve d’ inverno, le povere anime. Spaventata, santa Teresa alza gli occhi al cielo e dice :”Mio Dio, mio Dio! Che cosa vedo mai? Chi sono tutte quelle anime che vanno perdute? Saranno certamente anime di poveri infedeli…”.
“No, Teresa – rispose Gesù – no! Sappi: quelle anime che vedi in questo momento andare all’ inferno per mia permissione, sono tutte anime di cristiani come te”.
Teresa ancora più stipita intervenne: “Ma saranno anime di gente che non credevano, che non praticavano la religione, che non frequentavano i Sacramenti…”.
“No, Teresa, no! Sappi che sono anime di cristiani battezzati come te, che come te credevano e praticavano…”.
“Ma allora non si saranno confessati mai, neppure in punto di morte”.
“No, sono anime che si confessavano e si sono confessate anche in punto di morte…”, dice Gesù.
“Come, o mio Dio, vanno dannate?”.
“Vanno dannate perchè si confessano male!…Và, o Teresa, racconta a tutti questa visione e scongiura Vescovi e Sacerdoti di non stancarsi mai di predicare sul rischio delle confessioni mal fatte, onde i miei cari cristiani non abbiano a convertire la medicina in veleno e servirsi in male di questo sacramento, che è il sacramento della misericordia e del perdono”.
La Santa volle in seguito precisare che per “confessioni mal fatte” non si intendono solo quelle costellate da omissioni volontarie, ma anche quelle fatte con poca fede, nessuna intenzione di cambiare vita o, perlomeno, cambiare quei piccoli aspetti del carattere che andrebbero modificati.
A questi si potrebbero aggiungere i pensieri che falsamente inducono a farci credere santi, come se non peccassimo mai o come se lo facessimo sempre e solo venialmente.
In questo caso la Confessione si tramuta – come dice espressamente Gesù – da medicina a veleno per l’anima."
"Ieri, 27 ottobre 1821, fui portata da una donna che era sul punto di perdersi. Lottai con Satana davanti al letto della malata, ma il demonio mi buttò fuori. Era troppo tardi…questa donna era sposata e aveva tre figli. Era considerata molto bella e viveva secondo il mondo e la moda. Aveva un rapporto illecito con un sacerdote, e aveva taciuto in confessione questo peccato. Aveva ricevuto i santi sacramenti e tutti facevano grandi elogi della sua buona preparazione e disposizione per ben morire…tutti i miei sforzi risultarono vani. Era troppo tardi, non mi fu possibile avvicinarmi a lei e morì. Era atroce vedere Satana che si portava via quell’anima."
San Giovanni Bosco:
"Vidi certi giovani di un aspetto tetro avevano attorcigliato al collo un gran serpente, che con la coda scendeva fino al cuore e sporgeva in avanti la testa e la posava vicino alla bocca del meschino, come per mordergli la lingua se mai aprisse le labbra.
La faccia di quei giovani era così brutta che mi faceva paura; gli occhi erano stravolti, la loro bocca era storta ed erano in posizione da mettere spavento.
Tutto tremante domandai nuovamente che cosa significasse e mi fu detto: “Non vedi? Il serpente antico stringe la gola con doppio giro a quegli infelici per non lasciarli parlare in confessione e con le fauci avvelenate sta attento per morderli se aprono la bocca. Poveretti! Se parlassero, farebbero una buona confessione e il demonio non potrebbe più niente contro di loro. Ma per rispetto umano non parlano, tengono i loro peccati sulla coscienza e tornano più e più volte a confessarsi senza osare mai metter fuori il veleno che racchiudono nel cuore”
Padre Giovan Battista Ubanni, gesuita"
"......raccontava che una donna per anni, confessandosi, aveva taciuto un peccato di impurità. Arrivati in quel luogo due Sacerdoti domenicani, lei che da tempo aspettava un confessore forestiero, pregò uno di questi di ascoltare la sua Confessione.
Usciti di Chiesa, il compagno narrò al confessore di aver osservato che, mentre quella donna si confessava, uscivano dalla sua bocca molti serpenti, però un serpente più grosso era uscito solo col capo, ma poi era rientrato di nuovo. Allora anche tutti i serpenti che erano usciti rientrarono.
Ovviamente il confessore non parlò di ciò che aveva udito in Confessione, ma sospettando quel che poteva essere successo fece di tutto per ritrovare quella donna. Quando arrivò presso la sua abitazione, venne a sapere che era morta appena rientrata in casa. Saputa la cosa, quel buon Sacerdote si rattristò e pregò per la defunta. Questa gli apparve in mezzo alle fiamme e gli disse: “Io sono quella donna che si è confessata questa mattina; ma ho fatto un sacrilegio. Avevo un peccato che non mi sentivo di confessare al sacerdote del mio paese; Dio mi mandò te, ma anche con te mi lasciai vincere dalla vergogna e subito la Divina Giustizia mi ha colpito con la morte mentre entravo in casa. Giustamente sono condannata all’inferno!“.
Dopo queste parole si aprì la terra e fu vista precipitare e sparire."
Sant’Alfonso de Orozco (1500 – 1591) descrisse un episodio simile che riguardava la figlia d’un illustre nobile la quale, per aver omesso un grave peccato persino in punto di morte, venne inesorabilmente condannata eternamente.
Natuzza Evolo (1924 – 2009), parlando d’un suo contemporaneo da poco deceduto, affermò che egli, nonostante l’apparente vita esemplare che conduceva, era stato dannato per aver dimenticato volontariamente dei peccati gravi.
Santa Teresa d’ Avila (1515 – 1582), tramite una visione, ricevette un monito urgente da diffondere ai fedeli riguardo la pericolosità di questo tipo di sacrilegio:
(…) ed ecco, ad un tratto, spalancarsi innanzi agli occhi una voragine profondissima tutta ripiena di fuoco e di fiamma, e laggiù cadere abbondantissime, come la neve d’ inverno, le povere anime. Spaventata, santa Teresa alza gli occhi al cielo e dice :”Mio Dio, mio Dio! Che cosa vedo mai? Chi sono tutte quelle anime che vanno perdute? Saranno certamente anime di poveri infedeli…”.
“No, Teresa – rispose Gesù – no! Sappi: quelle anime che vedi in questo momento andare all’ inferno per mia permissione, sono tutte anime di cristiani come te”.
Teresa ancora più stipita intervenne: “Ma saranno anime di gente che non credevano, che non praticavano la religione, che non frequentavano i Sacramenti…”.
“No, Teresa, no! Sappi che sono anime di cristiani battezzati come te, che come te credevano e praticavano…”.
“Ma allora non si saranno confessati mai, neppure in punto di morte”.
“No, sono anime che si confessavano e si sono confessate anche in punto di morte…”, dice Gesù.
“Come, o mio Dio, vanno dannate?”.
“Vanno dannate perchè si confessano male!…Và, o Teresa, racconta a tutti questa visione e scongiura Vescovi e Sacerdoti di non stancarsi mai di predicare sul rischio delle confessioni mal fatte, onde i miei cari cristiani non abbiano a convertire la medicina in veleno e servirsi in male di questo sacramento, che è il sacramento della misericordia e del perdono”.
La Santa volle in seguito precisare che per “confessioni mal fatte” non si intendono solo quelle costellate da omissioni volontarie, ma anche quelle fatte con poca fede, nessuna intenzione di cambiare vita o, perlomeno, cambiare quei piccoli aspetti del carattere che andrebbero modificati.
A questi si potrebbero aggiungere i pensieri che falsamente inducono a farci credere santi, come se non peccassimo mai o come se lo facessimo sempre e solo venialmente.
In questo caso la Confessione si tramuta – come dice espressamente Gesù – da medicina a veleno per l’anima."
Bergoglio clamoroso: confessione valida anche se si tace per vergogna. Bene peccatori ostinati. Francia, sana laicità multireligiosa
di CdP Ricciotti.
È passata quasi in sordina questa ennesima contro-catechesi di Bergoglio. Pochi giorni fa, ad una delegazione del movimento francese dei Poissons Roses, “cristiani di sinistra”, Bergoglio ha auspicato: «Alla
Francia serve “una laicità sana”, che “comprende un’apertura a tutte le
forme di trascendenza, secondo le diverse tradizioni religiose e
filosofiche”» (clicca qui).
Cosa ne pensa la Chiesa?
Leggiamo su La Civiltà Cattolica, anno 132, volume IV,
Quaderno 3151, pp. 215 e 216: «A questi sforzi di emancipazione e di
laicizzazione la Chiesa ha reagito con la condanna, in blocco, del
laicismo, dei suoi fondamenti dottrinali e delle sue manifestazioni nei
diversi campi (legislazione ecclesiastica, lotta alla scuola cattolica,
laicizzazione del matrimonio), e con l’affermazione dei principi
cristiani. Cosi, Pio IX nel Sillabo (1864) condanna il
razionalismo assoluto, l’indifferentismo, la separazione tra Chiesa e
Stato, l’esclusione della Chiesa dal campo della scuola. Leone XIII
sostiene l’obbligo per la società civile di rendere un culto pubblico a
Dio e di onorare la Divinità secondo le regole e il modo con cui Dio
stesso ha detto di voler essere onorato, e dichiara assurda l’opinione
di coloro i quali pensano che sia permesso nelle cose pubbliche
allontanarsi dagli ordini di Dio e legiferare senza tenerne alcun conto;
rigetta, quindi, le “libertà moderne”, vale a dire la libertà di culto, la libertà di parola e di stampa, la libertà d’insegnamento e la libertà di coscienza (cfr. Libertas, 20 giugno 1888). San Pio X condanna come “un errore assai pernicioso” la separazione tra Chiesa e Stato, rilevando che “questa
tesi infligge gravi danni alla stessa società civile, perché questa non
può prosperare né durare a lungo quando non si dà nessun posto alla
religione” (cfr. Vehementer nos, 11 febbraio 1906). Pio XI chiama il laicismo “la peste della nostra epoca” (cfr. Quas Primas, 11 dicembre 1925), e condanna la “laicità” intesa come “un sentimento o un’intenzione contrari o estranei a Dio e alla religione” (cfr. Maximam Gravissimamque, 18 gennaio 1924, in AAS XVI [1924], 17). In particolare, egli afferma che “tutto
il genere umano è sotto la potestà di Gesù Cristo. Né v’e differenza
fra gli individui e il consorzio domestico e civile, poiché gli uomini,
uniti in società, non sono meno sotto la potestà di Cristo di quello che
siano gli uomini singoli. È Lui solo la fonte della salute privata e
pubblica; è Lui solo l’autore della prosperità e della vera felicità sia
per i singoli cittadini sia per gli Stati. Non rifiutino, dunque, i
Capi delle nazioni di prestare pubblica testimonianza di riverenza e di
obbedienza all’impero di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono,
con l’incolumità del potere, l’incremento e il progresso della patria” (cfr. Quas Primas, in Civiltà Cattolica. 1926 – 110)».
Ma veniamo ad una ulteriore contro-catechesi, nuovamente sui Sacramenti. Un’altra l’abbiamo vista appena ieri (clicca qui).
2016-02-11 Radio Vaticana. Bergoglio prima si lancia in un’invito criptoluterano all’anticlericalismo: «La
malattia del clericalismo… Tutti! Tutti! Anche io. Tutti abbiamo
questo… Non siamo principi, non siamo padroni. Siamo servitori della
gente».
Subito dopo afferma pericolosamente: «Quando una persona
viene al confessionale, è perché sente qualcosa che non sta bene,
vorrebbe cambiare o chiedere perdono, ma non sa come dirlo e diventa
muto. ‘Se non parli non posso darti l’assoluzione’. No. Ha parlato con
il gesto di venire e quando una persona viene è perché non vuole, non
vorrebbe fare lo stesso un’altra volta».
Ancora, riferisce Radio Vaticana: «E se una persona dice: “Io
non posso promettere questo”, perché “è in una situazione
irreversibile”, ma c’è un principio morale: ‘ad impossibilia nemo tenetur’ – aggiunge Bergoglio – se è impossibile che lui capisca, ma sempre cercare come perdonare».
Due giorni prima aveva incontrato i “Missionari della misericordia”.
Ci domandiamo: ma perché, nella Chiesa sono mai esistite Congregazioni di missionari anti-misericordiosi?
Il sito del Vaticano ci riporta il Discorso completo, qui cito un estratto: «[…]
mi raccomando di capire non solo il linguaggio della parola, ma anche
quello dei gesti. Se qualcuno viene da te e sente che deve togliersi
qualcosa, ma forse non riesce a dirlo, ma tu capisci… e sta bene, lo
dice così, col gesto di venire. Prima condizione. Seconda, è pentito. Se
qualcuno viene da te è perché vorrebbe non cadere in queste situazioni,
ma non osa dirlo, ha paura di dirlo e poi non poterlo fare. Ma se non
lo può fare, ad impossibilia nemo tenetur. E il Signore capisce
queste cose, il linguaggio dei gesti. Le braccia aperte, per capire
cosa c’è dentro quel cuore che non può venire detto o detto così… un po’
è la vergogna… mi capite. Voi ricevete tutti con il linguaggio con cui
possono parlare».
Cosa ne pensa la Chiesa?
Usiamo il Catechismo di san Pio X commentato da Padre Dragone, pp. 592 e 593: «N°
372. Che cos’è l’accusa, dei peccati? L’accusa dei peccati è la
manifestazione dei peccati fatta al sacerdote confessore, per averne
l’assoluzione. Il sacramento della Confessione è istituito a modo di
giudizio. Il sacerdote confessore è il giudice cui spetta pronunciare la
sentenza di assoluzione o di condanna. Ma prima di pronunciare la
sentenza deve conoscere i peccati e le disposizioni del penitente
l’unico che le può manifestare, accusando se stesso. È quindi NECESSARIO
che il peccatore faccia l’accusa dolorosa dei suoi peccati. Se l’accusa
o confessione è sincera e dolorosa, il sacerdote confessore pronuncia
la sentenza di assoluzione; se invece il penitente si rifiuta di essere
sincero, di pentirsi o di proporre di non peccare più, il confessore
DEVE NEGARE l’assoluzione. ANCHE SE LO ASSOLVESSE IL PENITENTE NON
SAREBBE PERDONATO, PERCHÉ NON PONE TUTTI GLI ATTI (ACCUSA, DOLORE E
PROPOSITO DI SODDISFARE CON L’EMENDAZIONE E LA PENITENZA) CHE SONO COME
LA MATERIA DEL SACRAMENTO. Il sacerdote confessore assolvendo in questo
caso porrebbe la forma, che non costituisce il sacramento senza la
materia. In primo luogo il sacerdote confessore è giudice. Ma è anche
medico e padre. Perciò DEVE CONOSCERE i mali del penitente per poterli
curare e guarire, assolvendo e suggerendo i mezzi per non ricadere. “Al
medico si devono manifestare le piaghe” (Tertulliano, De poenit.,
10, 1). Il Concilio di Trento ha definito: “Se qualcuno oserà affermare
che per la remissione dei peccati nel sacramento della Penitenza non è
necessario e di diritto divino confessare tutti e singoli i peccati
mortali, anche occulti… e le circostanze… di cui si ricorda dopo
diligente esame, SIA SCOMUNICATO” (Sess. 14, can. 7; DB 917). L’accusa
dei peccati dev’essere fatta in ordine all’assoluzione, cioè per essere
assolti. Se tu racconti i tuoi peccati a un sacerdote ma non hai
l’intenzione di ricevere l’assoluzione, anche se il confessore te la dà,
non è valida. Infine la confessione dev’essere fatta al sacerdote
confessore, cioè approvato per le confessioni. Quello non approvato
assolve invalidamente, eccetto i moribondi. Riflessione. – Teniamo
presente che la confessione è una accusa dolorosa, fatta dal penitente.
Nelle nostre confessioni dobbiamo quindi essere pentiti e fare noi
stessi l’accusa e non costringere il confessore a farci l’esame con una
noiosa serie di domande.
«Esempi. 1. Il libro degli Atti degli Apostoli ci fa sapere che ad
Efeso molti convertiti andavano da san Paolo e gli confessavano i loro
peccati. Coloro che avevano seguito le arti magiche o superstiziose,
portarono i loro libri di magia, se ne fece una catasta e fu bruciata in
presenza del popolo. Il valore dei libri bruciati era di parecchi
milioni di lire (v. At c. 19).
«2. San Clemente Romano, Papa (91-100) e discepolo di san Pietro,
scrive: “Chi ha cura della sua anima non deve vergognarsi di confessare i
suoi peccati ai preposti della Chiesa, per poter ricevere da loro la
santificazione. L’apostolo Pietro insegnava che conviene manifestare ai
sacerdoti perfino i nostri pensieri. Finché siamo in questo mondo
convertiamoci di cuore, perché quando ne saremo usciti, non avremo più
la possibilità né di confessarci, né di pentirci”.
«Leibnitz, grande filosofo e pensatore protestante, lasciò scritto:
“Non si può negare che l’istituzione della confessione sia opera della
sapienza di Dio. Certamente il cristianesimo non ha nulla che meriti
lode maggiore. In un confessore serio, pio, prudente, io vedo un gran
mezzo per la salute delle anime. E se in questo mondo è appena possibile
trovare un solo amico fedele, quanto non si dovrà stimare colui che
dalla religione viene legato da un sacro giuramento a mantenere la fede
nelle anime e ad aiutarle a salvarsi? Il confessore è apportatore di
pace, di onore, di luce e di vera libertà morale».
La vergogna non è una scusante. È necessario, per essere validamente
assolti e non sacrilegamente, formulare l’accusa in ordine
all’assoluzione ed averne l’intenzione, e l’opinione contraria è «in
anatema», come comanda Trento.
Sant’Alfonso, Padre dei Moralisti e dei Confessori, spiega in Foglietto di cinque punti… nelle Missioni, Punto V, Della rovina di quelle anime che per rossore lasciano di confessare i loro peccati: «Inoltre
nella missione bisogna fortemente e più volte inculcare il punto di
vincere la vergogna nel confessare i peccati. Chi è pratico di missioni
ben intende che per questa maledetta vergogna l’inferno fa grande
acquisto d’anime. Onde questo è il maggior frutto delle missioni: le
quali per tal motivo ne’ paesi di campagna non solo sono utili, ma
precisamente necessarie; perché in tali paesi i confessori sono pochi e
per lo più parenti o amici, onde il rossore ha più forza ne’ paesani di
far loro tacere i peccati.
«È una compassione il vedere quante anime guadagna il demonio
per questa via, specialmente in materia di peccati disonesti, ne’ quali
il nemico in atto di commetterli fa perdere il rossore, ma poi lo mette
innanzi quando la persona se li ha da confessare. Di ciò appunto
parlando sant’ Antonino narra che un santo romito vide una volta il
demonio in una chiesa dintorno ad alcuni che voleano confessarsi, e gli
dimandò che facesse colà. Rispose il nemico: “A costoro, acciocché
commettessero il peccato, io tolsi il rossore; ora loro lo rendo,
acciocché non se lo confessino”. Quindi scrive san Grisostomo: Pudorem dedit Deus peccato, confessioni fiduciam: invertit rem diabolus; peccato fiduciam praebet, confessioni pudorem.
«Oh Dio! sorella mia, hai fatto il male: se non te lo
confessi, certamente sei dannata: ora perché non te lo confessi?
Rispondi: mi vergogno. E per non vincere questa vergogna vuoi esser
dannata per tutta l’eternità nel fuoco dell’inferno? È vergogna
offendere questo Dio così buono che ci ha creati; ma non è vergogna il
confessarsi di averlo offeso. Ma giacché vuoi tacere il peccato, almeno
lascia di confessarti; al peccato fatto vuoi aggiungere il sacrilegio
della mala confessione? Intendi quel che fai, facendo un sacrilegio? Al
peccato già fatto, col quale ti hai meritato l’inferno, non vi è altro
rimedio per te che il sangue di Gesù Cristo, che ti laverà l’anima, se
ti confessi bene; ma tu, con tacere il peccato ti metti sotto i piedi il
sangue di Gesù Cristo medesimo».
Anche laddove Bergoglio, solitamente popolano e dal lessico sguaiato,
quasi per confondere le idee usa invece il latinismo «ad impossibilia
nemo tenetur», non dobbiamo farci trarre in inganno. «Nessuno è tenuto a
fare cose impossibili», e questo è vero, tuttavia anche i santi sono
stati consci dei propri limiti, nessuno però ha riconosciuto il limite
dell’uomo come una scusante verso se stessi e le costanti cadute. Come
spiega sant’Alfonso: non bisogna mai fare pace col peccato, anche se ve
ne sono alcuni duri da debellare. Senza il pentimento, difatti, non può
esserci assoluzione.
Tornado sempre a Bergoglio, nel punto in cui esplicita il senso del latinismo usato: «”Io non posso promettere questo”, perché è in una situazione irreversibile»,
non si capisce a quale “situazione irreversibile” egli faccia
riferimento. Chi non può promettere di smettere di peccare, è
consapevole che sta peccando, ma dimostra di non volersi redimere
(ostinazione). Potremmo analizzare molti casi “limite”, ma non mi sembra
questa la sede e comunque il risultato non cambierebbe, viste le
premesse della “religione bergogliana”, che NON è la Cattolica, come
stiamo volta per volta dimostrando.
Aggiunge Padre Dragone (Op. Cit., pag. 599): Se ci vergogniamo o se non ci pentiamo «…
non otterremo il perdono e saremo svergognati dinnanzi a tutti nel
giudizio universale. Ora ti puoi illudere di tenere nascosto il tuo
peccato. Ma lo puoi nascondere a Gesù Cristo ed alla tua coscienza?
Verrà il giorno che il tuo vergognoso segreto sarà manifestato davanti a
tutti a tutti gli uomini adunati per sentire la sentenza del Giudice
eterno. È assai meglio subire ora la vergogna manifestando il peccato al
solo confessore e averne il perdono, che subire l’onta di essere
scoperti peccatori davanti a tutti gli uomini e a tutti gli angeli
presenti nel Giudizio universale, ed essere condannati. La vergogno di
quel giorno sarà senza frutto!».
San Pio X al numero 377 del suo Catechismo spiega: «Chi per vergogna […] tacesse un peccato mortale, non farebbe una buona confessione, ma commetterebbe un sacrilegio». Al numero 380 poi spiega l’assoluzione: «Il
sacerdote nella confessione, dopo aver ascoltato l’accusa del penitente
ed essersi accertato delle sue disposizioni, pronuncia la sentenza di
assoluzione della colpa, se l’accusa fu sincera e il dolo vero,
efficace, interno, universale; o di condanna, non assolvendo, se il reo
non ha le disposizioni necessarie».
Ora, io non sono nessuno e non ho alcun potere, ma ho quantomeno il
dovere di denunciare la verità e di esortare i fedeli ed i religiosi di
ogni ordine e grado a sollecitare il proprio vescovo, se ancora di
vescovi si può parlare, ad ammonire canonicamente Bergoglio per questa
sua ennesima sedizione e semina di veleni. Potranno perdere la sedia, ma
almeno “conserveranno l’anima”.
Rincuoriamoci con le parole di pace di Sua Santità Pio XII al Sacro
Collegio (2 giugno 1947): «Resistite fortes in fide!. L’avvenire
appartiene ai credenti, non agli scettici e ai dubbiosi. L’avvenire
appartiene ai vigorosi, che fermamente sperano e agiscono, non ai timidi
e agli irresoluti. L’avvenire appartiene a coloro che amano, non a
quelli che odiano. La missione della Chiesa nel mondo, lungi dall’essere
terminata e presunta, va incontro a nuove prove e a nuove imprese.
L’ufficio a voi affidato dalla Provvidenza in quest’ora cruciale non è
di concludere una languida e pusillanime pace col mondo, ma di stabilire
per il mondo una pace veramente degna al cospetto di Dio e degli uomini
[…]».
di CdP Ricciotti.
- 03/03/2016
- 10:33 pm
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