"Francesco ci spaventa enormemente, e non solo noi.
Eppur ci piace"
La sorprendente analisi dell'enigma Francesco fatta dal superiore generale della Fraternità San Pio X, Bernard Fellay. Con il resoconto delle visite di un cardinale e di tre vescovi, inviati segretamente da Roma
di Sandro Magister
di Sandro Magister
ROMA, 1 aprile 2016 – L'ecumenismo di papa Francesco è davvero a larghissimo raggio. Ha incontrato il patriarca ortodosso di Mosca, andrà in Svezia a celebrare i cinquecento anni di Lutero, è amico di molti leader pentecostali, ha perfino in simpatia i seguaci dell'arcivescovo ipertradizionalista Marcel Lefebvre.
E quest'ultimo è il dato più sorprendente. Perché in campo cattolico l'ostilità contro i lefebvriani è tanto più intollerante proprio tra coloro che più si fanno vanto di spirito ecumenico e di misericordia.
Contro i lefebvriani, a motivo del loro presentarsi come cattolici "veri", si riproduce infatti il meccanismo che rende così invisi agli ortodossi i cattolici di rito orientale, da essi chiamati spregiativamente "uniati". Invisi perché troppo simili a loro, come un nemico in casa.
Già Benedetto XVI aveva denunciato questa distorsione, nella lettera aperta da lui scritta nel 2009 a tutti i vescovi del mondo dopo l'esplosione di proteste per la sua remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani della Fraternità San Pio X:
> "La remissione della scomunica…"
Papa Francesco ha compiuto anche lui un gesto di grande apertura, quando lo scorso settembre ha autorizzato tutti i fedeli cattolici, durante il giubileo, a confessarsi, volendolo, anche dai sacerdoti della Fraternità, ricevendo da essi "validamente e lecitamente" l'assoluzione:
> "La vicinanza del giubileo…"
Basti pensare, per comprendere la novità di questo gesto di Francesco, al divieto sotto pena di scomunica imposto ai suoi fedeli il 14 ottobre 2014 dal vescovo di Albano, Marcello Semeraro, di partecipare alla messa e ai sacramenti celebrati dalla Fraternità San Pio X. Semeraro non è uno qualsiasi, è anche segretario del consiglio dei nove cardinali che assistono il papa nel governo della Chiesa.
La differenza, rispetto a papa Benedetto, è che Francesco non è stato subissato di critiche e di improperi dagli ecumenisti di professione, a motivo di questa sua apertura.
Non solo. All'indulgenza degli ecumenisti per il gesto di Francesco si è aggiunto un attestato di stima senza precedenti da parte dello stesso superiore generale della Fraternità di San Pio X, il vescovo Bernard Fellay.
Fellay ha espresso il suo articolato giudizio su Francesco in un'ampia intervista registrata il 4 marzo scorso nel suo quartier generale in Svizzera, a Menzingen, e messa in rete in più lingue durante la successiva settimana santa:
> Où en sont les rapports de la Fraternité Saint-Pie X avec Rome?
> A che punto sono i rapporti della Fraternità San Pio X con Roma?
> What about the relations of the Society of Saint Pius X with Rome?
> ¿Qué sucede con las relaciones de la Fraternidad San Pío X con Roma?
> Wie ist der Stand der Beziehungen zwischen der Priesterbruderschaft St. Pius X. und Rom?
Più che di un'intervista si tratta di un intervento in prima persona di Fellay, che fa il punto sulle seguenti questioni:
1. I rapporti della Fraternità San Pio X con Roma dall'anno 2000
2. Le nuove proposte romane studiate dai superiori maggiori della Fraternità
3. “Essere accettati così come siamo” senza ambiguità né compromessi
4. Papa Francesco e la Fraternità San Pio X: una benevolenza paradossale
5. La giurisdizione accordata ai sacerdoti della Fraternità San Pio X: conseguenze canoniche
6. Le visite dei prelati inviati da Roma: delle questioni dottrinali aperte?
7. Lo stato presente della Chiesa: inquietudini e speranze
8. Cosa chiedere alla Santa Vergine?
L'intero testo è di notevole interesse, in quanto esprime il più attendibile, completo e aggiornato punto di vista della comunità lefebvriana riguardo ai suoi rapporti con Roma.
Ma i passaggi più sorprendenti sono proprio quelli in cui Fellay spiega la benevolenza di Francesco per la Fraternità, benevolenza che definisce "paradossale", perché contrastante con gli indirizzi prevalenti, di segno opposto, del suo pontificato.
È l'analisi che Fellay compie nel punto 4 del testo, riprodotto integralmente qui sotto.
Ad esso segue un altro brano tratto dal punto 6, che racconta invece lo svolgimento e l'esito delle recenti visite fatte ai seminari e a un priorato della Fraternità da quattro inviati di Roma: "un cardinale, un arcivescovo e due vescovi".
Fellay non fa i nomi dei quattro prelati. Essi sono:
- Walter Brandmüller, cardinale, già presidente del pontificio comitato di scienze storiche;
- Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru, del clero dell'Opus Dei, segretario del pontificio consiglio dei testi legislativi;
- Vitus Huonder, vescovo di Coira, Svizzera;
- Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Maria Santissima in Astana, Kazakistan.
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Papa Francesco e la Fraternità San Pio X: una benevolenza paradossale
di Bernard Fellay
Bisogna qui utilizzare il termine "paradossale": il paradosso di voler andare avanti verso una specie di Vaticano III, nel senso peggiore che si potrebbe dare a questa espressione, e, dall'altra parte, la volontà di dire alla Fraternità: "Siete i benvenuti". È veramente un paradosso, quasi una volontà di unire gli opposti.
Io non credo che sia per ecumenismo. Alcuni potrebbero pensarlo. Ma perché non penso che sia per ecumenismo? Perché basta guardare l'attitudine generale dei vescovi su questa materia dell’ecumenismo: hanno le braccia spalancate per tutti, tranne che per noi!
Molto spesso ci è stato spiegato perché siamo ostracizzati, dicendo: "Non vi si tratta come gli altri perché voi pretendete di essere cattolici. Ora, con ciò create una confusione tra noi, quindi non ne vogliamo sapere". Abbiamo sentito diverse volte questa spiegazione che esclude l’ecumenismo. Allora, se questa disposizione che consiste nel dire: "Accettiamo tutti in casa" non vale per noi, che cosa rimane? Penso che rimanga il papa.
Se già Benedetto XVI e ora papa Francesco non avessero uno sguardo particolare sulla Fraternità, diverso da questa prospettiva ecumenica di cui ho parlato, penso che non ci sarebbe niente. Anzi, penso piuttosto che saremmo già di nuovo sotto i colpi delle pene, delle censure, della scomunica, della dichiarazione di scisma, che manifesterebbero chiaramente la volontà di eliminare un gruppo che dà fastidio.
Allora perché Benedetto XVI, perché adesso papa Francesco sono così benevoli verso la Fraternità? Penso che l'uno e l'altro non abbiano necessariamente la stessa prospettiva.
Per quanto riguarda Benedetto XVI, credo che ciò derivasse dal suo lato conservatore, il suo amore per la liturgia antica, il suo rispetto per la disciplina anteriore nella Chiesa. Ho potuto constatare che molti, dico molti sacerdoti, e anche gruppi che avevano problemi con i modernisti nella Chiesa, e che avevano fatto ricorso a lui quando era ancora cardinale, hanno trovato in lui – dapprima come cardinale, in seguito come papa – uno sguardo benevolo, una volontà di protezione, di aiutarli almeno quanto potesse.
Con papa Francesco non si vede questo attaccamento né alla liturgia, né alla disciplina antica, si potrebbe anche dire che è proprio il contrario, manifestato tramite molte affermazioni contrarie, ed è questo che rende ancora più difficile, più complicata la comprensione di tale benevolenza.
Penso che ci siano almeno diverse spiegazioni possibili, ma confesso di non avere l'ultima parola sulla questione.
Una delle spiegazioni è lo sguardo di papa Francesco su tutto ciò che è messo ai margini, ciò che chiama le "periferie esistenziali”. Non mi stupirebbe che ci consideri come una di queste periferie alle quali dona palesemente la sua preferenza. E in questa prospettiva, usa l'espressione “compiere un percorso" con la gente in periferia, sperando che si arriverà a migliorare le cose. Dunque non è una volontà ferma di risolvere subito: il percorso va dove va, ma alla fine lui è abbastanza calmo, tranquillo, senza troppo sapere ciò che potrà risultare. Probabilmente, è questa una delle ragioni più profonde.
Un'altra spiegazione potrebbe provenire dal fatto che papa Francesco pronuncia un'accusa abbastanza costante contro la Chiesa costituita – la parola inglese è "establishment", si dice a volte anche da noi –, un rimprovero fatto alla Chiesa di essere autocompiaciuta, compiaciuta di se stessa, una Chiesa che non cerca più la pecora smarrita, quella che è nelle difficoltà, a tutti livelli, sia per la povertà, o anche per un dolore fisico. Si vede con papa Francesco che questa preoccupazione non è solamente, malgrado le apparenze, una preoccupazione materiale. Si vede bene che lui, quando dice "povertà", include anche la povertà spirituale, la povertà delle anime che sono nel peccato, dal quale bisognerà che escano, che bisognerà ricondurre a Dio.
Anche se ciò non è sempre espresso in maniera chiara, si trovano un certo numero di espressioni che lo indicano. E in questa prospettiva egli vede nella Fraternità una società molto attiva, soprattutto quando la si paragona alla situazione dell’"establishment". Molto attiva vuol dire che cerca, che va a cercare le anime, che ha questa preoccupazione del bene spirituale delle anime e che è pronta a rimboccarsi le maniche per questo compito. Egli conosce Mons. Lefebvre, ha letto due volte la biografia scritta da Mons. Tissier de Mallerais, e questo mostra senza alcun dubbio un interesse; penso che gli sia piaciuta.
La stessa cosa si può dire riguardo ai contatti che ha potuto avere in Argentina con i nostri confratelli, nei quali ha visto spontaneità e anche franchezza, perché non gli è stato assolutamente nascosto niente. Certo, si cercava di ottenere qualche cosa per l'Argentina, dove eravamo in difficoltà con lo Stato per quanto riguarda i permessi di soggiorno, ma non si è nascosto niente, non si è cercato di tergiversare, e penso che ciò gli piaccia. Può darsi che sia questo lato umano della Fraternità che lo attira, si vede che il papa è molto umano, dà molto peso a queste cose, e questo potrebbe spiegare una certa benevolenza nei nostri confronti.
Ancora una volta non ho l'ultima parola su questa questione e certamente dietro a tutto ciò c'è la Divina Provvidenza. La Divina Provvidenza che opera per mettere dei buoni pensieri in un papa che, su molti punti, ci spaventa enormemente, e non solamente noi. Si può dire che tutti quelli che sono più o meno conservatori nella Chiesa sono sbigottiti da ciò che succede, da ciò che egli dice e, malgrado ciò, la Divina Provvidenza si adopera per farci passare attraverso questi scogli in un modo molto sorprendente.
Molto sorprendente, perché è chiaro che papa Francesco vuole lasciarci vivere e sopravvivere. Ha perfino detto, a chi lo vuole sentire, che non farebbe mai del male alla Fraternità. Ha anche detto che noi siamo cattolici. Ha rifiutato di condannarci per scisma, dicendo: "Non sono scismatici, sono cattolici", anche se dopo ha usato un termine un po' enigmatico, cioè che noi siamo in cammino verso la piena comunione.
Su questo termine "piena comunione" sarebbe proprio bello una volta avere una definizione chiara, perché si vede che non corrisponde a niente di preciso. È un sentimento, è un non si sa bene cosa.
Anche molto recentemente, in un'intervista a nostro riguardo, Mons. Pozzo riprende una citazione che attribuisce al papa stesso – si può dunque prenderla come una posizione ufficiale –, che ha confermato alla commissione "Ecclesia Dei" che noi siamo cattolici in cammino verso la piena comunione. Mons. Pozzo precisa come questa piena comunione si può realizzare: con l'accettazione della forma canonica, che è una cosa abbastanza sconvolgente, una forma canonica risolverebbe tutti i problemi di comunione!
Un po' più avanti, nella stessa intervista, dirà che questa piena comunione consiste nell'accettare i grandi principi cattolici, cioè i tre livelli di unità nella Chiesa, che sono la fede, i sacramenti e il governo. E parlando della fede, egli parla piuttosto del magistero. Ma noi non abbiamo mai messo in discussione alcuno di questi tre elementi. E dunque non abbiamo mai messo in discussione la nostra piena comunione, ma l'aggettivo "piena” lo spazziamo via, dicendo semplicemente: "Siamo in comunione secondo il termine classico utilizzato nella Chiesa. Siamo cattolici, e se siamo cattolici siamo in comunione, perché la rottura della comunione e precisamente lo scisma".
Le visite dei prelati inviati da Roma: delle questioni dottrinali aperte?
Queste visite sono state molto interessanti. Chiaramente da un certo numero dei nostri sono state percepite con una certa diffidenza: "Che vengono a fare da noi questi vescovi?". Questo non era il mio punto di vista. […] Io ho detto più volte a Roma: "Venite a trovarci". Non hanno mai voluto. Poi, tutto d'un tratto, […] un cardinale, un arcivescovo e due vescovi sono venuti a vederci, a visitarci, in circostanze differenti, nei seminari, anche in un priorato. […]
La prima cosa che ci hanno detto tutti (era una parola d'ordine o un loro sentimento particolare? Non lo so, ma è un fatto) è stata: "Queste discussioni si svolgono tra cattolici; questo non ha niente a che vedere con delle discussioni ecumeniche; siamo tra cattolici". Quindi, dall'inizio, si spazzano via tutte queste idee come: "Non siete completamente dentro la Chiesa, siete a metà, siete fuori – Dio sa dove! –, scismatici…”. No! Noi discutiamo tra cattolici. È il primo punto che è molto interessante, molto importante. Malgrado quello che, in certe istanze, si dice ancora a Roma oggi.
Il secondo punto – penso ancora più importante – è che le questioni affrontate in queste discussioni sono le questioni classiche sulle quali si inciampa. Che si tratti della libertà religiosa, della collegialità, dell’ecumenismo, della nuova messa, o anche dei nuovi riti dei sacramenti… tutti ci hanno detto che queste discussioni avevano per oggetto delle questioni aperte.
Penso che sia una riflessione fondamentale. Fino a qui hanno sempre insistito per dire: dovete accettare il Concilio. È difficile rendere esattamente la portata reale di questa espressione "accettare il Concilio". Cosa vuol dire? Perché è un fatto che i documenti del Concilio sono totalmente diseguali, e che la loro accettazione si fa secondo un criterio graduale, secondo una scala di obblighi. Se un testo è un testo di fede c'è un obbligo puro e semplice. Ma quelli che, in un modo completamente sbagliato, pretendono che questo Concilio è infallibile, costoro obbligano a una sottomissione totale a tutto il Concilio. Allora se "accettare il Concilio" vuol dire questo, diciamo che non accettiamo il Concilio. Perché, precisamente, noi neghiamo il suo valore infallibile.
Se ci sono certi passaggi del Concilio che ripetono quello che la Chiesa ha detto altre volte e in un modo infallibile, è evidente che questi passaggi sono e restano infallibili. E noi li accettiamo, non c'è nessun problema. È per questo che quando si dice "accettare il Concilio" bisogna ben distinguere cosa si intende. Nonostante questo, anche con questa distinzione, fino ad ora si è sentita da parte di Roma un'insistenza: "Dovete accettare questi punti, fanno parte dell'insegnamento della Chiesa e dunque dovete accettarli". E si è sentito fino ad oggi – non soltanto da Roma, ma anche dalla grande maggioranza dei vescovi – questa ammonizione, questo grande rimprovero che ci fanno: ‘"Voi non accettate il Concilio".
Ed ecco che, tutto d'un tratto, su questi punti che sono i punti di inciampo, gli inviati di Roma ci dicono che si tratta di questioni aperte. Una questione aperta è una questione su cui si può discutere. E quest'obbligo di adesione è fortemente attenuato e anche, forse, del tutto eliminato. Penso che sia un punto fondamentale. Bisognerà poi vedere in seguito se ciò si confermerà, se veramente si potrà discutere liberamente, diciamo onestamente, con tutto il rispetto che bisogna avere verso l'autorità, per non aggravare ancora di più la situazione attuale della Chiesa che è talmente confusa, precisamente sulla fede, su quello che bisogna credere, e là noi chiediamo questa chiarezza, questa chiarificazione, alle autorità. Noi la chiediamo da molto tempo. Diciamo: "Ci sono dei punti ambigui in questo Concilio e non sta a noi chiarirli. Noi possiamo esporre il problema, ma chi ha l'autorità per chiarirli è proprio Roma". Nondimeno, ancora una volta, il fatto che questi vescovi ci dicono che sono delle questioni aperte è per me fondamentale.
Le discussioni propriamente dette si sono svolte, secondo la personalità dei nostri interlocutori, con più o meno facilità, perché ci sono stati anche degli interessanti confronti dove non eravamo necessariamente d'accordo. Comunque l'apprezzamento, credo, è unanime, dalla parte di ciascuno di questi interlocutori: essi sono rimasti soddisfatti delle discussioni. Soddisfatti anche delle loro visite. Ci hanno fatto i complimenti per la qualità dei nostri seminari, dicendo: "Sono normali (per fortuna! Bisogna cominciare da qui), non è della gente limitata, ottusa, ma che vive bene, aperta, gioiosa, normale, semplicemente". Questo è stato un commento espresso da tutti. È il lato umano, è innegabile, ma non bisogna mai dimenticarlo.
Per me, questo discussioni, o più esattamente questo aspetto più facile delle discussioni, è importante. Perché uno dei problemi e la sfiducia. Questa sfiducia è certo che noi l'abbiamo. E penso che si possa anche dare per certo che Roma l'ha nei nostri confronti. Fintanto che regna questa sfiducia, la tendenza naturale è di interpretare male o di considerare la peggiore delle soluzioni possibili su quello che si dice. Fintanto che siamo in questo contesto di sfiducia, non andremo molto avanti. Bisogna arrivare a una fiducia minima, a un clima di serenità, per eliminare queste accuse a priori. Penso che sia ancora il contesto nel quale noi ci troviamo, nel quale si trova Roma. E ciò prende del tempo. Bisogna che le due parti arrivino ad apprezzare correttamente le persone, le loro intenzioni, per arrivare a dissipare tutto ciò. Penso che ci vorrà del tempo.
Ciò richiede anche degli atti dove si manifesti una buona volontà che non sia quella di distruggerci. Ora c'è sempre un po' quell'idea tra noi, che si è sparsa in maniera abbastanza rapida: "Se ci vogliono, è per soffocarci, ed eventualmente distruggerci, assorbirci completamente, disintegrarci". Questa non è un'integrazione, è una disintegrazione! Evidentemente, fintanto che c'è questa idea, non ci si può aspettare niente.
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La videoregistrazione originale dell'intervista di Fellay del 4 marzo 2016:
> Entretien avec Mgr Bernard Fellay
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351262
Lo stesso strampalato discorso mons. Fellay lo potrebbe fare per Satana! Che pagliaccio!!!
RispondiEliminaLc 6,26 Guai a voi, quando tutti gli uomini diranno bene di voi, perché allo stesso modo facevano i padri loro verso i falsi profeti.
RispondiEliminaSta tentando di demolire il Cattolicesimo, "eppur ci piace"...
RispondiEliminaI casi sono 3:
-INCIPIENTE DEMENZA SENILE
-SINDROME DI NORIMBERGA
-MALCELATA COMPLICITA'
oppure una combinazione di tutte e tre le opzioni!
Invece dell' "Eppur si move!" ora abbiamo l' "Eppur ci piace!"
RispondiEliminaAd ogni modo a mio avviso il superiore Fellay coglie nel segno quando dice:
"Su questo termine "piena comunione" [pronunciata da papa Bergoglio, ndr] sarebbe proprio bello una volta avere una definizione chiara, PERCHE' SI VEDE CHE NON CORRISPONDE A NIENTE DI PRECISO. È UN SENTIMENTO, E' UN NON SI SA BENE COSA."
Non so se il Superiore sia aggiornatissimo sul profluvio comunicativo bergogliano, ma caso vuole che sono ormai molto abbondanti i temi sui quali il papa parla dando adolescentemente molto peso al suo proprio sentire.
Nulla di male se questo fosse illuminato anche da un pensiero teologico, e teologico secondo Santa Romana Chiesa, non secondo il MELTING POT di sua personale creazione.
Calderone sentimental-religioso di cui potrebbe persino chiedere ed ottenere il brevetto, visto che sulla scena umana - in fatto di papato - non s'era ancora mai visto nulla di simile.