ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 16 aprile 2016

Il bel tacer..

DIALOGO TRA CRISTIANI E GIUDEI

    Come non si fa un’intervista. Quando un dialogo interreligioso somiglia piuttosto a un monologo nel quale i Cristiani devono solo tacere. I poteri "finanziari" che vogliono annientare il senso dell'identità Cristiana 
di Francesco Lamendola  



 Il mensile Vita Pastorale del febbraio 20016, dopo la visita di papa Francesco alla Sinagoga di Roma, effettuata il 17 gennaio (e celebrata con la foto di copertina e la trionfalistica dicitura: Papa Francesco ha fatto visita alla Sinagoga di Roma, tra applausi, strette di mano, abbracci e baci dell’anello), ha ritenuto di offrire una riflessione sui rapporti tra ebraismo e cristianesimo, come dice l'occhiello dell'articolo, mediante un’intervista non a un teologo cattolico o a un esponente autorevole del clero cattolico, o della cultura cattolica, ma a Paolo De Benedetti, il quale sarà, senza dubbio, una degnissima persona, ma è parte in causa in quel processo di dialogo inter-religioso, che, per i modi in cui, talvolta, viene posto, somiglia poco a un dialogo e piuttosto a un monologo, nel quale i cristiani devono tacere e solo gli altri, parlare.

Ecco come l'intervistatore, Giuseppe Altamore, presenta l’intervistato:
Teologo, biblista, docente di giudaismo, alla facoltà teologica dell'Italia settentrionale di Milano per molti anni e di Antico testamento agli istituti di Scienze religiose delle università di Urbino e Trento, Paolo De Benedetti è nato ad Asti nel 1927. Membro della commissione ecumenica e per il dialogo interreligioso della diocesi di Milano, è da sempre un uomo di cerniera tra ebraismo e cristianesimo, innanzitutto per motivi personali, oltre che per interesse umano e professionale. Nato in una famiglia borghese, il padre era ebreo e permise che a undici anni fosse battezzato a patto che l'educazione religiosa gliela impartisse sua madre che era cattolica. Liceo ad Asti, primo anno di filosofia alla cattolica - tra i compagni d corso ricorda Emilio Tadini - poi è passato a Torino.Per la Bibbia e il giudaismo, De Benedetti è autodidatta. Oltre all'ebraico, conosce un po' di babilonese, il siriaco, l'aramaico, altre lingue orientali le ha imparate negli anni dell'università dal presidente del tribunale di Asti Silvia Giacomoni.
Già il fatto di intervistare, su questo argomento, un teologo vicinissimo all'ebraismo, come Paolo De Benedetti, non garantisce quella imparzialità e quella serenità che si richiederebbero ad un commento nei confronti delle recenti aperture della Chiesa cattolica nei confronti dell'ebraismo. Che cosa avrebbe dovuto o potuto dire, costui, se non apprezzare tali aperture e minimizzare o banalizzare le differenze fra cattolicesimo ed ebraismo, sostenendo che Gesù, dopotutto, era un ebreo, e quindi lasciando intendere che il "vero" cristianesimo è quello giudaico, quello che ritorna alle sue radici giudaiche, e non quello greco, agostiniano, tomista (e, in effetti, anche paolino), che sottolinea le differenze, anche perché si riallaccia alle correnti filosofiche greche? Tutto sta a vedere se costoro hanno ragione; se il cristianesimo è un prodotto puramente giudaico, o se non sia illegittimo escludere la componente greca (i Vangeli sono scritti in greco, dopotutto, così come tutti gli altri libri del Nuovo Testamento); e, ad ogni modo, se sia corretto minimizzare il piccolo dettaglio che il giudaismo ha rifiutato, e con violenza, il cristianesimo; che ha voluto la morte di Gesù e ha fatto uccidere molti dei primi apostoli, nonché aizzato le persecuzioni anticristiane nell'Impero Romano (e, più tardi, fiancheggiato la conquista araba della Siria, dell'Egitto e del Nord Africa); che, per il giudaismo, Cristo è un falso Messia, nonché un bestemmiatore sacrilego del vero Dio; e che tutto il cristianesimo è, dal suo punto di vista, un tragico errore, appunto perché si regge sulla figura e sul significato della missione di Cristo, sulla Redenzione mediante la sua passione, morte e Resurrezione: tutte cose che suonano come orribile eresia e profanazione agli orecchi dei devoti giudei.
Queste cose vanno dette con chiarezza, non per rinfocolare astio e incomunicabilità fra le due religioni, ma per recuperare il senso delle differenze; e, naturalmente, per non poggiare la ricerca del dialogo e il rispetto della fede altrui sulle basi equivoche, sdrucciolevoli, falsamente zuccherose, di un appiattimento, di una confusione concettuale, di una attenuazione della identità e specificità di ciascuno, a cominciare dalla propria. Il cristiano non deve avere il complesso di colui che si ritiene depositario della Verità; per il cristiano, l'idea che Cristo rappresenta la Verità, è cosa assolutamente normale e  non ha nulla di spiacevole o di aggressivo nei confronti dei non cristiani. Il dialogo va bene, ma non si può "includere" tutti nella propria identità: bisogna essere dialoganti con tutti, ma inclusivi solo a livello di diritti fondamentali della persona; per ciò che riguarda le opinioni personali, le credenze, le tradizioni, e, naturalmente, anche la fede religiosa, ciascuno deve essere se stesso e deve essere fiero di esserlo. Invece, oggi, molti cristiani sembrano vergognarsi di dichiarare la propria fede e la propria identità, di rivendicare il loro essere cristiani;  si svergognano di dire che Cristo è la Verità: pare loro, quasi, che, così facendo, mancherebbero di rispetto, o di carità, o di tolleranza, nei confronti degli altri. Ma ciò è completamente sbagliato. Per non mancare di rispetto agli altri, si finisce per fare torto a se stessi: e questa auto-castrazione della propria identità equivale a una grave mancanza di rispetto nei confronti di sé, di quello che si è, di quello che il proprio patrimonio religioso e spirituale rappresenta. Il dialogo deve avvenire tra diversi, ciascuno sulla base del proprio modo di essere: altrimenti non sarebbe un dialogo, ma un tentativo surrettizio di omologare ogni fede e ogni credenza, di relativizzare tutti i valori, di giungere all'indifferentismo religioso e, forse, a una super-religione sincretista, volta in realtà a deificare l’Uomo.
Tornando a Paolo De Benedetti. In tutte le sue opere ricorre sempre la medesima litania: Gesù non è venuto ad abolire, ma a confermare la legge mosaica. Vero: ma è una parte della verità. La nascita di una religione è un processo non statico, ma dinamico: e se tale era l'intenzione originaria di Gesù, essa non è stata accettata dai giudei. Lo disse Lui stesso: la pietra, scartata dai costruttori (i giudei), è diventata la testata d'angolo (di una fede nuova, che noi conosciamo come cristianesimo). Non è stato Cristo a rifiutare il giudaismo, ma il giudaismo a rifiutare Cristo. Ora, che altro avrebbe potuto dire De Benedetti, intervistato da Vita Pastorale, se non quello che ha detto? Ma una intervista il cui copione è già scritto in partenza, che intervista è? E una rivista cattolica di vita pastorale, che fa commentare dagli altri le decisioni e gli orientamenti della propria Chiesa, sta assolvendo degnamente e correttamente alla propria funzione sociale? Una rivista, come qualsiasi altra istituzione di tipo formativo e informativo, deve avere una ragione sociale: e questa, per una rivista cattolica, deve essere, evidentemente, il rafforzamento e la chiarificazione del sentimento religioso dei propri lettori, che sono, guarda un po', dei credenti, non dei filosofi o degli studiosi di indirizzo relativista. Intervistare tutti, va bene; intervistare: ma chiedere conferme alla validità dei modi con cui si porta avanti il dialogo inter-religioso, rivolgendosi a chi è direttamente parte in causa, anzi imboccandogli addirittura le risposte, senza poi dare spazio a chi, all'interno del proprio credo, potrebbe avere delle opinioni diverse, non sulla bontà del dialogo, ma sulla bontà dei mezzi: ebbene, questo non ci sembra appropriato, né rispettosi di se stessi e, come dicevamo poc'anzi, della propria identità. Io non devo chiedere al tu la conferma di ciò che sono; sarà lui a riconoscermela, o no, ma non dietro mia sollecitazione: altrimenti tutto si riduce a uno spot pubblicitario, nel quale il tu mi batterà una pacca sulla spalla e mi dirà, paternalisticamente: «Bene, bene, continua così, anzi, sforzati di fare ancora qualcosa di più per essere sempre meno quello che sei, e per assomigliare sempre di più a me».
Ora, si ha motivo di ritenere che proprio questo sia il disegno ultimo, occulto (per ora) di quei poteri forti, soprattutto finanziari, che controllano e manipolano l'opinione pubblica attraverso i media, le case editrici, la scuola e le università, per non parlare dei parlamenti e dei governi, nei quali l'infiltrazione mondialista e massonica è fortissima, (e infatti i giornali e la televisione si guardano bene dal farvi anche solo qualche timido accenno): annientare il senso dell’identità cristiana fra gli stessi cristiani, perfino all’interno della Chiesa e fra i membri del clero. Tali poteri si servono dell'opera di molte persone in buona fede, ma ingenue e sprovvedute, oppure troppo sicure di rappresentare la parte "giusta" della modernità, in linea con la civiltà e con il progresso (considerati quali sinonimi), per diffondere, abusivamente, un'idea distorta di pluralismo, di tolleranza, di dialogo, di rispetto e di inclusione; un'idea buonista e a senso unico, secondo la quale solo i cristiani devono mettere fra parentesi la loro identità, e scusarsi per innumerevoli colpe del passato, lontano e recente (come se essi solamente ne avessero); mentre gli altri, appunto perché avrebbero subito gravissime discriminazioni da parte loro, hanno automaticamente una sorta di precedenza e non devono preoccuparsi, in eguale misura, di rispettare l'identità cristiana. Oggi, in Medio Oriente, è in corso un genocidio organizzato a danno dei cristiani: come è possibile parlare di dialogo e comprensione reciproca, senza pretendere che esso venga immediatamente fermato, come condizione preliminare di qualsiasi ulteriore discussione? Si può dialogare con chi punta un coltello alla gola dell'interlocutore? Oppure, nel caso del giudaismo: si può dialogare con chi pretende di appropriarsi dell'identità religiosa altrui? Tutto questo sottolineare l'ebraicità di Gesù non finisce per annacquare o annullare la specificità del cristianesimo: che nasce, appunto, come rottura nei confronti del giudaismo? O, per dir meglio: che nasce come rifiuto violento del cristianesimo stesso, da parte del giudaismo?
Ed ecco il tenore di alcune domande dell'intervista; le risposte, le lasciamo alla riflessione personale del lettore. Quel che ci preme porre in evidenza, è come il modo stesso di fare le domande tradisca tutti quei difetti cui sopra abbiamo accennato, parlando di una maniera discutibile di intendere il dialogo-religioso, da parte di certi cattolici fautori del dialogo a senso unico, dell'umiltà (spinta fino all'auto-mortificazione) a senso unico, del senso di colpa e della presentazione di scuse a senso unico, della richiesta di perdono, di approvazione, di rassicurazione da parte di esponenti di altri credi e di altri punti di vista, e nella totale indifferenza dei sentimenti di quei cattolici che, pur senza nutrire alcuna albagia, non nutrono neppure tali complessi di colpa, tali tendenze masochistiche e auto-punitive, né approvano il continuo inginocchiarsi davanti agli altri, dando quasi per scontato che i cristiani, e loro soltanto, abbiamo delle colpe gravissime da farsi perdonare, a causa delle quali se ne vanno in giro ingobbiti e a capo chino, gravati dal giudizio severo e definitivo della Storia.
Professore, la "Nostra Aetate" ha cambiato una storia di ostilità e persecuzioni durata quasi venti secoli. Da allora, la Chiesa nel suo insieme ha fatto tutto il possibile per rimuovere ogni sentimento antiebraico?
Qui si dà per scontato, evidentemente, che le persecuzioni, “durate quasi venti secoli” (?), siano state solo quelle dei cristiani a danno dei giudei. Ma non è così: è un falso storico. Nei primi secoli, e specialmente nel primo secolo, le cose sono andate esattamente al contrario: furono i giudei a perseguitare i cristiani: direttamente quando poterono farlo; indirettamente, cioè istigando le autorità romane, quando non poterono. I primi apostoli perirono così: alcuni per mano dei Romani, altri per mano dei giudei. L'autore di quell'intervista ha mai sentito parlare di Stefano, il primo martire cristiano, lapidato dai giudei per aver professato la propria fede in Cristo? E ha mai letto, negli Atti degli Apostoli, che il Sinedrio cercò di far assassinare Paolo, prigioniero dei Romani, e che, a tal fine, aveva già organizzato ogni cosa, compreso il luogo dell'agguato mortale?
Poi, una insinuazione ancora più subdola, ancora più servile: siamo sicuri che la Chiesa abbia fatto il possibile per rimuovere ogni sentimento antiebraico? Anche questo, però, è un falso: è falso che la Chiesa abbia mai nutrito sentimenti antiebraici; semmai, in taluni momenti, e in talune sue componenti, ha avuto dei sentimenti antigiudaici. C'è una bella differenza: l'antiebraismo fa pensare all'antisemitismo, perché allude agli Ebrei come popolo; l'antigiudaismo è un fatto religioso, che si riferisce alla religione mosaica. La Chiesa non è mai stata contro gli Ebrei; i cattolici non hanno mai nutrito sentimenti ostili agli Ebrei, in quanto Ebrei, ma, eventualmente, in quanto seguaci del giudaismo; come provano, a contrario, le conversioni di personaggi illustri, ad esempio Edith Stein. E, del resto, il sentimento di ostilità era ampiamente contraccambiato: non solo i cattolici, o alcuni cattolici, avevano poca o nessuna simpatia per i giudei; ma anche costoro ne avevano, e ne hanno, poca o niente per i cristiani. L'estensore di quell'articolo ha mai letto le pagine del Talmud, nel quale si invocano mille maledizioni contro i cristiani? Oppure ha letto, delle Scritture ebraiche, solo quel che gli fa comodo; solo quel che va nella direzione del "dialogo inter-religioso", ma a senso unico, oggi tanto di moda fra i cattolici progressisti e multiculturalisti?
Se tanti cristiani partecipassero almeno una volta al Seder, ne rimarrebbero affascinati. Trovandosi di fronte all'eucarestia penserebbero che Gesù è passato attraverso il Seder nell'ultima cena...
Qui siamo a un passo dalla voluta confusione religiosa, se non peggio. Si auspica che i cristiani partecipino ai riti di un'altra religiose, anzi, ci si rammarica implicitamente che non lo facciano; e si insinua che, se lo facessero, scoprirebbero che anche Gesù ha fatto in quel modo l'Ultima cena (ma scritta con la lettera minuscola). Piccolo dettaglio, che viene però taciuto: l'Ultima cena di Gesù è l'atto fondativo della nuova religione cristiana; non l'ultimo atto (o non solo l'ultimo atto) della sua osservanza giudaica. Altro piccolo dettaglio: l'Ultima cena comporta un evento soprannaturale: l'istituzione del Sacramento dell'Eucarestia; non è una semplice "cena", come qualsiasi altro atto umano, per quanto impregnato di simbolismi religiosi. Ma di ciò, nulla.
Soprattutto a livello popolare mi pare che persista un atteggiamento antisemita.
Come si vede, questa non è neppure una domanda: è un’affermazione; ed è un’affermazione gravissima, per la deliberata confusione fra antisemitismo e antigiudaismo di cui abbiamo detto. La risposta, manco a dirlo, comincia con un: Infatti
Complimenti al giornalista per l’imbeccata. È così che si fanno le interviste: suggerendo le risposte? Buono a sapersi. Ma c’è di peggio. A un ceto punto, l’intervistatore non se la prende più con i cristiani in generale, ma proprio con il Vangelo. Domanda, infatti:
Quali sono i passi del vangelo (lettera piccola: nota bene) che si prestano a una lettura antigiudaica?
E ancora, subito prima:
Quando, durante la celebrazione dell’eucarestia (ancora lettera piccola) sente pronunciare la formula in cui si cita la nuova alleanza, cosa prova intimamente?
Qui non si rivolge all’intelligenza dell’intervistato, ma ai suoi visceri; e pare voler suggerire che la Nuova Alleanza celebrata nell’Eucarestia, che è, ripetiamo, l’atto fondativo del cristianesimo, sia qualcosa di cui i cristiani dovrebbero un pochino vergognarsi, una specie di furto perpetrato ai danni del giudaismo; o, quantomeno, una appropriazione indebita. Infatti: perché mai un giudeo dovrebbe risentirsi di quelle parole della sacra liturgia cattolica? In che cosa lo potrebbero offendere?
Altre domande sono: Il cristianesimo, che cos’è? Oppure: Chi è Gesù? (risposta scontata: Gesù è un ebreo…).
Ma cosa sia il cristianesimo e chi sia Gesù, un cristiano lo deve domandare alla sua Chiesa, oppure agli altri? Questo non è più “dialogo inter-religioso”: questo è mettersi in ginocchio davanti agli altri, e farsi dettare da loro le regole della propria religione…
Che tristezza. Se poi si pensa che Vita Pastorale non è una rivista qualsiasi, ma è un mensile, come specifica il sottotitolo, per operatori pastorali, cioè per sacerdoti, catechisti, eccetera, ci si chiede: è questo il modo giusto di presentare l’azione pastorale ai sacerdoti cattolici e ai catechisti? È questa la Chiesa del terzo millennio, dialogante e al passo coi tempi (della modernità)? Oppure stiamo assistendo ad una gigantesca svendita, a prezzi di liquidazione, della nostra religione, ad opera di coloro i quali dovrebbero custodirla, difenderla, riaffermarla?


Dialogo fra cristiani e giudei: come non si fa un’intervista

di Francesco Lamendola

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