ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 16 aprile 2016

Il sacramento è un tabù

Esortazione:
Francesco promuove l’etica della situazione
Sovverte la teologia morale



Ho letto integralmente l’Esortazione di Francesco: più di 240 pagine, 58000 parole. Con dei grandi ondeggiamenti di un parlare verboso, talvolta non tanto male, talaltra fortemente fastidioso, Francesco canonizza in definitiva l’etica della situazione.

La parte chiave della rivoluzione appare alla fine, nel capitolo 8. Con precauzione egli apre la porta alla comunione per i risposati, con il caso per caso. I progressisti lo celebrano come un «cambiamento radicale».

Questo distrugge in definitiva degli elementi chiave della teologia morale cattolica. I Sinodi tumultuosi hanno partorito una Esortazione tumultuosa.Perfino Associated Press riconosce la rivoluzione effettuata da Francesco nella dottrina morale. Nell’articolo apparso oggi col titolo: «Il Papa insiste che è la coscienza a dover condurre i fedeli, e non le regole», si legge:
«Venerdì Papa Francesco ha detto che i cattolici, per negoziare le complessità del sesso, del matrimonio e della vita di famiglia, devono riferirsi alla propria coscienza più che alle regole del Vaticano, e chiede che la Chiesa, affrontando alcune delle questioni più spinose che i fedeli devono fronteggiare, metta l’accento sulla misericordia piuttosto che sulla dottrina

In un importante documento di Chiesa intitolato «La gioia dell’amore», Francesco non apporta alcun cambiamento esplicito alla dottrina della Chiesa e mantiene la dottrina della Chiesa sul legame indissolubile del matrimonio fra un uomo e una donna. Ma, dando delle citazioni selettive dei suoi predecessori e sottolineando il suo insegnamento nelle note a pie’ di pagina strategicamente piazzate, Francesco ha operato delle nuove aperture nella pratica pastorale per i cattolici che si risposano civilmente, e ha fatto sapere che non vuole niente di meno di una rivoluzione nel modo in cui i preti accompagnano i cattolici. Egli dice che la Chiesa non deve più emettere dei giudizi e «gettare la pietra» a quelli che non sono all’altezza degli ideali evangelici del matrimonio e della vita famigliare.


di John Vennari

Pubblicato sul sito Catholic Family News

L'impaginazione è nostra

Un breve contributo per comprendere Francesco I

Nella sua esortazione post-sinodale Amoris Laetitia, Papa Francesco è stato accusato di essere infedele alla dottrina della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio e di autorizzare una profanazione del sacramento dell’Eucaristia.
Nonostante in questo documento dica di mantenere integra la dottrina della Chiesa sul vincolo matrimoniale indissolubile, il Papa cerca di trovare una soluzione pastorale per gli innumerevoli figli della Chiesa che vivono la difficile condizione di una seconda unione civile, irregolare alla luce della dottrina tradizionale. Così facendo egli prova a superare una dicotomia tra teoria e pratica, usando un discernimento sapiente che valuti caso per caso, al fine di non privare del sacramento coloro che già vivrebbero in grazia di Dio, nonostante la mancanza di un matrimonio contratto nella debita forma canonica.

Come si vede, agli occhi del Papa, non c’è dottrina, non c’è scienza teologica o canonica, in grado di spiegare tutta la realtà. Ci sono casi particolari, ci sono problemi concreti che non si adatterebbero perfettamente ad una norma universale astratta. 

Come c’è una legge naturale, incarnata in principi dal valore permanente e universale, che si realizza storicamente adattandosi all’indole di ogni popolo e alle sue speciali circostanze, originando istituzioni sociali e politiche proprie delle diverse culture, così la legge morale si interpreta e si applica conformemente ai drammi esistenziali di tante vite e famiglie spezzate, quantunque essa resti sempre valida e immutabile come un ideale da raggiungere, una luce per guidare il comportamento dell’uomo, che mai sarà capito se si pretende che sia universalmente standardizzato.

È chiaro che una simile comprensione del Vescovo di Roma per i figli della Chiesa che hanno fatto un passo falso non tenendo conto del sacro vincolo del matrimonio e convolando a nuove nozze nell’ambito civile, suoni come ingiuriosa alle orecchie di una parte considerevole dei cattolici che ha avuto la sfortuna di veder fallire il proprio matrimonio e che, tuttavia, per coerenza con la fede e per amore del Regno di Dio, non ha contratto un secondo matrimonio illegittimo.
Questi cattolici coerenti non devono comportarsi come il fratello maggiore della parabola del Figliol Prodigo; non devono essere gelosi e meschini rifiutando di condividere la gioia del Papa per il ritorno dei figli alla casa paterna. Dopo tutto, i cattolici che vivono in adulterio non sono scomunicati dalla Chiesa, sono solo privati della ricezione di un sacramento che, non solo trasmette la grazia, ma contiene l’Autore della grazia.

Il cardinale Charles Journet, in un prezioso opuscolo, spiega così la questione:
«Esiste – e la Chiesa lo sa bene - una moltitudine di suoi figli che, prima di abbandonare la sua casa, cominciano talvolta a lottare, poi perdono il controllo della situazione, si confessano vinti e finiscono con lo scegliere la strada più larga che il mondo mette loro a disposizione. (...) La Chiesa non li giudica. Non è essa il giudice. È Dio che in cielo tiene la bilancia con cui si soppesa il bene e il male di ogni vita umana. La Chiesa non li scomunica, perché il loro intendimento non è di rinnegarla o di apostatare. Essa semplicemente li abbandona alla loro decisione. Decisione che non è secondo Cristo, ed essi lo sanno bene, ma secondo il mondo. Fino a quando dura una tale decisione, essi non chiedono alla Chiesa di riceverli nei sacramenti di Cristo. Essa ha il compito di distribuirli fedelmente: “Ognuno ci consideri  - dice l’Apostolo - come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele.” (I Cor. 4, 1-2)».

In realtà, sembra che nell’istituzione della nuova disciplina dei sacramenti del matrimonio e dell’Eucaristia, le parole ispirate dallo Spirito Santo alla penna dell’Apostolo siano state dimenticate o non tenute nella dovuta considerazione.
E una delle conseguenze, oltre alla profanazione del sacramento, sarà infangare e screditare ancor di più il sacerdozio agli occhi dei figli nella Chiesa.

Tuttavia, nulla di ciò che abbiamo detto finora non spiega completamente la licenza concessa dall’esortazione Amoris Laetitia.
Infatti, Francesco I ha rotto un tabù.

In Dopo la virtù (NdT), Alasdair MacIntyre racconta che quando gli Inglesi nel XIX secolo arrivarono in Polinesia, rimasero stupefatti per un enorme contrasto nel comportamento sessuale dei nativi: da un lato c’era la più sfrenata dissolutezza, d’altro, durante i pasti uomini e donne non potevano mangiare insieme; chiesto il motivo di tale divieto, la risposta fu che si trattava di un tabù, senza che si sapesse spiegare il significato del termine, di modo che risultò facile abolire il divieto arbitrario.

Mutatis mutandis, oggi, in realtà, data l'ignoranza teologica, data la regnate confusione delle idee, in molti ambienti il sacramento è un tabù. Senza nessuna esagerazione nel dire questo.

Come spiegare che il Vaticano, ancora sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, approvò l’anafora di “Addai e Mari”, che manca della forma consacratoria, se non col fatto che oggi si ritiene che la “materia” e la “forma” siano solo un residuo, ormai scaduto, dell’influenza della filosofia aristotelica sulla riflessione teologica della Chiesa? 
Come spiegare che Francesco I ha offerto ad un eretico pastore luterano un calice per la Messa, se non perché egli ritiene che il valore dell’Eucaristia è soggettivo?
Come spiegare che nella stessa occasione abbia detto ad una signora luterana tedesca sposata con un cattolico italiano (che gli chiese se poteva ricevere la comunione nella Chiesa cattolica) che avrebbe potuto farlo, purché si ritenesse in comunione con la Chiesa?

Inoltre, uno degli autori più celebrati e citati dagli ultimi papi è il famigerato gesuita e pseudo scienziato Pierre Teilhard de Chardin, censurato dal Sant’Uffizio quando il cardinale Alfredo Ottaviani, nella Sacra Congregazione della Santa Inquisizione, difendeva con energia e zelo la purezza della fede.  Il detto eretico, indegno figlio di Sant’Ignazio di Loyola, arrivò a comparare il mondo con le specie sacramentali. Disse che l’Incarnazione avrebbe sacramentalizzato il mondo intero. E dichiarò che: “Perché non soccomba alla tentazione di maledire l’Universo, faccio che adorarlo guardando a ciò che in esso è nascosto.”

In effetti, che significa sacramento nel mondo di oggi? Cosa rimane oggi della teologia cattolica tradizionale? Nihil!


Tuttavia, rendo giustizia a Papa Francesco I. Non lo accuso di essere un devastatore. Non è un nichilista. È vittima del nichilismo. È a conoscenza dei tabù della Chiesa post-conciliare. Li eliminerà uno per uno. Non resterà pietra su pietra. E dal momento che i cardinali che si dicono scontenti dei suoi atteggiamenti, sono tutti adepti delle innovazioni del Vaticano II, non saranno all’altezza di confutarlo. Francesco I sa che le loro obiezioni sono irrazionali e inconsistenti. Ha detto, giustamente, che il Vaticano II non ha prodotto tutti i frutti che si speravano per un completo aggiornamento della Chiesa.

Egli sa che non si può conciliare la metafisica dell’essere (su cui si basava tutta la teologia tradizionale) con il metodo dell’immanenza, con la filosofia dello slancio vitale, con la filosofia dell’evoluzione creatrice di Blondel, di Bergson, di Teilhard de Chardin: i nuovi padri fondatori della nuova chiesa.
E per questo, giustamente,  Francisco I non si ritiene obbligato ad ascoltare il “non possumus” di alcun vescovo che vuole porsi lungo il suo cammino.

Chi ha coscienza di tutti i problemi che ho cercato di presentare in questa nota, preghi la Madonna per me, per sé e per tutte le nostre famiglie, perché possiamo mantenere la fede, senza la quale è impossibile piacere a Dio.

Anápolis, 14 aprile 2016.
San Giustino, Martire.
di Padre João Batista de Almeida Prado Ferraz Costa

Padre João Batista de Almeida Prado Ferraz Costa è il parroco della Capela Santa Maria das Vitórias di Anápolis, in Brasile, dove celebra la Santa Messa tradizionale

L'articolo è stato pubblicato sul sito della Cappella
I neretti sono nostri



NdT: Alastir MacIntyre, Dopo la virtùSaggio di teoria morale, 2007, Armando Editore

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