ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 15 aprile 2016

La stagione nefasta della pastorale


E' stato ripreso ieri su Chiesa e Postconcilio un articolo di padre Giovanni Scalese dal titolo Una salutare autocritica, apparso sul blog Querculanus.

Vi è un passo estremamente indicativo del commento del religioso barnabita:

Il fatto che nei giorni successivi all’uscita dell’esortazione siano stati pubblicati commenti contrastanti fra loro non dovrebbe far riflettere? Non sarà che il linguaggio usato non fosse sufficientemente chiaro? È possibile che sullo stesso documento ci sia chi afferma che non cambia nulla e chi lo considera rivoluzionario? Se un’affermazione fosse chiara, non se ne dovrebbero poter dare contemporaneamente due interpretazioni opposte. La confusione provocata non dovrebbe essere un campanello d’allarme?

Ora, al di là delle domande retoriche - che contengono in sé già la risposta al quesito che sollevano - io credo che si dovrebbe applicare questo passo anche al Concilio: non è forse vero - per usare una domanda retorica - che anche i documenti del Vaticano II abbiano suscitato commenti contrastanti? che il linguaggio usato non è sufficientemente chiaro? che vi sia chi considera il Concilio in chiave di ermeneutica della continuità  e chi di ermeneutica della rottura

Il Card. Burke afferma che non ci si possa appellare allo spirito del Concilio che si oppone al Concilio stesso: che cioè non si possa far dire al Concilio ciò che esso non afferma, essendo questo un atto del Magistero. Poi però sostiene che la Amor laetitiae non è un atto magisteriale. A me pare invece che vi sia già chi cerca di appellarsi allo spirito dell'Esortazione postsinodale, proprio appellandosi al testo volutamente equivoco dell'Esortazione stessa, esattamente come si poté fare col Concilio. 

Ma per continuare con le domande retoriche di padre Scalese:

Mi rendo perfettamente conto che Amoris laetitia sfugge a questa logica dottrinale-giuridica, per porsi su un piano squisitamente pastorale; chiedo solo: è corretto rimettere in discussione un insegnamento ormai praticamente definitivo?

Non è forse vero che anche il Concilio sfugge a questa logica dottrinale-giuridica, per porsi su un piano squisitamente pastorale? non ha fosse rimesso in discussione, ad esempio con la Dignitatis humanae, un insegnamento già definito? 

E per quale motivo padre Scalese, nonostante questa contraddizione, cita fonti del Concilio a sostegno delle proprie tesi, quando queste fonti, per deliberata volontà del loro estensore, si sono volute meramente pastorali e non magisteriali, creando per la prima volta nella storia della Chiesa un'artificiosa divergenza tra dottrina e prassi?

Eppure c'è chi si ostina a non voler riconoscere l'evidenza e a trarne le conseguenze: è stato il Concilio ad inaugurare questa stagione nefasta della pastorale. E' stato il Concilio - e con esso Giovanni XXIII, Paolo VI e i loro eredi - a voler annacquare la chiarezza dottrinale del Magistero cattolico con frasi volutamente equivoche che hanno consentito ai novatori di dichiararlo rivoluzionario e  che - paradossalmente e nonostante le prove evidentissime - i conservatori citano ancor oggi a sostegno delle tesi opposte. 

E qui torniamo all'articolo di ieri: il problema di stabilire se l'Amor Laetitiae - o qualsiasi altro documento conciliare e postconciliare - sia o meno un atto magisteriale dev'essere affrontato solo dopo aver chiarito se il suo contenuto sia ortodosso o eretico, e questo ce lo dice anzitutto la ragione, ancor prima del ricorso all'analogia fidei. D'altra parte, se contenuto e forma di questi documenti fossero cattolici e coerenti con la dottrina cattolica, che bisogno ci sarebbe di note previe o capire se siano o meno documenti magisteriali?

Bene fa quindi il Card. Burke a dire che l'Amor laetitiae non è un atto del Magistero, ma deve anche dire che non lo è non perché a ciascuno sia lecito decidere arbitrariamente il Magistero cui prestare assenso, ma semplicemente perché quel documento contiene errori dottrinali, e perché il suo estensore è manifestamente eretico.

Bisogna quindi procedere per passi logici: primo, evincere dal contenuto di un documento la sua coerenza o contrapposizione alla dottrina; secondo, se il documento si dimostra eterodosso, prender atto del fatto che non è cattolico; terzo, se è un documento eretico, dedurre che non può esser parte del Magistero cattolico e che pertanto, quarto, ad esso non solo non va prestato alcun assenso, ma che dev'esser confutato e condannato.

Affermare che un documento non è magisteriale costituisce una foglia di fico, che rivela la vergogna di un peccato già compiuto, ma per il quale è necessario un atto di accusa, il pentimento, la riparazione e il proposito di non peccare più. Se ci si limita, come  fece Adamo, alla foglia di fico, non c'è possibilità di perdono.

La Gerarchia conciliare deve quindi saper andare oltre la semplice petizione di principio circa la magisterialità dell'Amor laetitiae: deve accusarsi di aver distorto deliberatamente l'insegnamento di Cristo a danno della salvezza delle anime e dell'onore di Dio e della Chiesa; dele pentirsi per esser venuta meno al mandato del Salvatore; deve riparare alla propria colpa, iniziando da quel peccato originale che è rappresentato dal Vaticano II, che contiene in nuce tutti gli errori odierni; deve emendarsi e riproporre in modo chiaro ed inequivocabile l'insegnamento tradizionale.

Citare la Gaudium et spes o la Dei verbum per confutare l'Amor laetitiae equivale a citare quale testimone a discarico di un delitto il mandante di quel delitto stesso.  

1 commento:

  1. Cesare Baronio: "Il problema di stabilire se l'Amor Laetitiae - o qualsiasi altro documento conciliare e postconciliare - sia o meno un atto magisteriale dev'essere affrontato SOLO DOPO AVER CHIARITO SE IL SUO CONTENUTO SIA ORTODOSSO O ERETICO, e questo ce lo dice anzitutto la ragione, ancor prima del ricorso all'analogia fidei".

    DEO AGIMUS GRATIAS !!!

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