ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 15 aprile 2016

Sicuri?*


Il Papa e il dramma ucraino

Domani il Papa viaggia a Lesbo, terra di approdo dei migranti. Ma c’è un’altra emergenza umanitaria, drammatica e dolorosa, a cui ha dedicato un’iniziativa speciale domenica 24 aprile: quella Ucraina. Un dramma taciuto ma non per questo meno doloroso. Ne abbiamo parlato con Borys Gudziak, Eparca della Chiesa greco-cattolica per la Francia, la Svizzera e il belgio, e responsabile delle Relazioni Esterne della Chiesa ucraina di rito greco-cattolico.
“Due settimane fa, nella domenica della Divina Misericordia, nel cuore del Giubileo dell’Anno della Misericordia, papa Francesco ha chiamato tutti i cattolici d’Europa a riconoscere e a rispondere alla crisi umanitaria in Ucraina, dove milioni di europei soffrono una guerra non dichiarata, ibrida, che si strascina da due anni. La guerra ha provocato quasi diecimila morti. Decine di migliaia sono feriti, centinaia di migliaia traumatizzati”.   
Il conflitto aveva provocato l’intervento diplomatico internazionale, e un cessate il fuoco era stato raggiunto a Minsk. Ma qual è la situazione sul campo?  
“A dispetto dell’accordo di cessate il fuoco firmato a Minsk, la guerra continua. Il numero delle vittime e dei rifugiati è solo cresciuto. Dopo due anni di guerra ci sono un milione e settecentomila sfollati all’interno, e un milione di rifugiati nei Paesi vicini. Mezzo milione non ha cibo sufficiente, e centinaia di migliaia non dispongono di acqua sicuramente potabile. Circa due milioni restano in aree dove le organizzazioni ucraine e internazionali non possono condurre attività umanitarie. Possiamo solo immaginare quale sia la loro esperienza. Questi numeri non sono pure statistiche. Dietro ogni cifra c’è una tragedia, di una persona o di una famiglia intera”.   
L’Ucraina è stata un Paese martire nella storia del XX secolo. Oltre a essere sottoposta a un regime totalitario straniero, Chiese ucraine vennero poste fuorilegge, i contadini uccisi con carestie artificiali, e la vita politica, culturale e sociale del popolo fu devastata da politiche coloniali e genocidarie. Il Paese è stato il principale teatro di guerre mondiali condotte da potenze straniere. Come risultato è stato ucciso un milione e mezzo di persone.  
“Curare tali traumi storici è estremamente difficile. Terrorizzati per tre generazioni, gli Ucraini hanno la paura nel loro DNA. Governi post-sovietici corrotti hanno manipolato una popolazione spaventata. Il pellegrinaggio dalla paura alla dignità – la dignità data da Dio – è lungo e difficile. Gli ucraini si sono mossi in avanti, facendo grandi sacrifici per i valori fondanti della civiltà europea. Durante la Rivoluzione della Dignità (2013-2014) milioni di cittadini e tutte le chiese e le religioni del Paese, ortodossi, greci, cattolici romani, protestanti, ebrei e musulmani, erano insieme, difendendo pacificamente la dignità degli esseri umani, la democrazia e l’associazione dell’Ucraina all’Europa”.   
Il regime autoritario di Yanukovich ha ucciso un centinaio di pacifici dimostranti a Maidan, la principale piazza di Kiev. Il Presidente è fuggito. Ma la Crimea è stata annessa ed è stata fomentata una guerra ibrida nell’Ucraina orientale, che consiste in azioni militari, una massiccia propaganda internazionale, ostacoli all’economia, distruzione delle infrastrutture industriali e secondo Gudziak mira alla destabilizzazione politica non solo dell’Ucraina. “Questa campagna di destabilizzazione è diretta anche all’Europa unita”.   
“E tuttavia lo spirito, la speranza e la fede della gente comune rimangono forti. A dispetto della loro sofferenza, gli ucraini credono che Dio non li ha abbandonati. Davvero, non li ha dimenticati. Ma in questo mondo il Signore lavora con mani umane. Papa Francesco, che per due anni ha parlato ripetutamente delle ingiustizie in Ucraina, chiedendo pace, dialogo e rispetto per la legge internazionale, ci chiama alla solidarietà concreta. A questo scopo il Santo Padre ci ha chiesto di condurre una speciale raccolta di fondi umanitaria per l’Ucraina il 24 aprile in tutte le chiese cattoliche d’Europa, incoraggiando tutti I cattolici e la gente di buona volontà a donare generosamente. Per papa Francesco questo gesto di carità vuole alleviare la sofferenza materiale e manifestare una solidarietà morale della intera Chiesa cattolica in Europa con il popolo dell’Ucraina”.  
MARCO TOSATTI


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Arriva il Regno di Sion? Ricordiamoci l’altro.


E sono comandi operativi, come “dimostra la loro trasformazione in vere e proprie ordinanze, come quella rivolta ai bolscevichi di Penza l’11 agosto 1918: Compagni! L’insurrezione di cinque distretti kulaki deve essere soppressa senza pietà. Gli interessi  di tutta la rivoluzione lo richiedono […]. 1) Impiccate (e assicuratevi che le impiccagioni avvengano sotto gli occhi e alla presenza del popolonon meno di cento kulak , ricchi, parassiti, che siano noti. 2) Pubblicatene i nomi. 3) Sequestrate loro tutti i cereali. 4) Indicate  gli ostaggi in conformità al telegramma di ieri [“ostaggi” sono i familiari dei nemici del popolo in attesa di esecuzione,  che venivano arrestati a loro volta,  ndr.] . Vostro Lenin. Post Scriptum: Trovate delle persone davvero dure”.
Il 9 agosto aveva scritto: “E’ necessario organizzare una guardia di uomini scelti e fidati, che diano inizio a un regime di terrore spietato contro i kulak, i preti e le Guardie Bianche. Tutte le persone sospette  devono essere internate in campi di concentramento. La spedizione punitiva deve aver luogo subito, Confermare telegraficamente l’esecuzione di questi  ordini”.  In un’altra disposizione: “Dobbiamo istituire immediatamente il terrore: scovare e liquidare centinaia di prostitute, ex ufficiali, ecc. Non vi sia un momenti di indugio.  Perquisizioni in massa, esecuzioni per occultamento  e ricettazione di armi. Arresti in massa di menscevichi e altri elementi non fidati”.
Traggo le citazioni dal prezioso studio di Gianantonio Valli,Giudeobolscevismo – Il massacro del popolo russo – Edizioni Ritter, 690 pagine, 40  euro.
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Libro opportuno per molte ragioni d’attualità.  Una è una certa ri-valorizzazione  nostalgia della dittatura sovietica che si sta  contrabbandando  dietro l’alone del prestigio di Putin sulla scena internazionale, e dell’essere questo antico agente del Kgb il restauratore della Russia e  l’antagonista morale del feroce capitalismo globale terminale, detto “democrazia occidentale”.  L’altra è ricordare ciò che continua ad essere sostanzialmente occultato: che il bolscevismo fu  un  radicalmente  “giudeo-bolscevismo”: e non solo perché Lenin era ebreo, ebrei erano i suoi complici del Comitato centrale, e quelli a cui dava quegli ordini di sterminii, esecuzioni sommarie e impiccagioni,  militanti locali e agenti della Ceka, erano in schiacciante maggioranza degli ebrei che applicavano con gioia settaria, tipica della loro “cultura” appresa nello shtletl, l’antico odio e disprezzo  giudaico per il contadino russo, il mugik: un animale ai suoi occhi. Di più: essi  applicarono un marxismo dottrinario, gonfi di tutti i pregiudizi  talmudici assorbiti nel loro ambiente, dei loro sogni di potere mondiale e  della loro “elezione”, e delle letture della Bibbia e del Talmud orecchiate in sinagoga o in famiglia. Davvero vollero istaurate il regno messianico per mezzo del terrore, come insegna il Deuteronomio: “Oggi comincerò a incutere paura e terrore di te ai popoli che sono sotto tutto il cielo, così che, all’udire la tua fama, tremeranno e saranno presi da spavento dinanzi a te. Il regno di felicità universale, il paradiso nell’aldiquà:  instaurare “il Paradiso in terra”  fu un’espressione leniniana, lo stesso che proclamò: “Costringeremo il genere umano ad essere felice, costi quel che costi!”.
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C’è assai più che un ricordo della talmudica nozione per cui i non-ebrei sono animali parlanti nel  seguente ordine di Lenin : “Ripulire il suolo della Russia di qualsiasi insetto nocivo, delle pulci: i furfanti, delle cimici: i ricchi. […]  Su dieci persone convinte di parassitismo, se ne fucilerà una”.
E questi erano ordini che il capo del Partito-Stato  dava ai capi periferici, senza mai definire giuridicamente chi fossero i “parassiti”, i “fannulloni”,   gli “elementi inaffidabili”, e “i borghesi” nemici del proletariato:  il paradiso terrestre ebraico ricostituito è, essenzialmente liberato dalla Legge – e da ogni legge.  Ovviamente i  capi locali, ebrei, si tenevano larghi nell’interpretazione del comando. Sicchè “due anni dopo, parlando al congresso della USPD (partito socialdemocratico indipendente di Germania), Juli Martov, che aveva calcolato 10 mila vittime cadute per mano della CEKA nel terrore di settembre-ottobre, si scaglia contro tali efferatezze dichiarando, presente Zinovev: ‘Come rappresaglia per l’uccisione di Uricki e per l’attentato contro Lenin, due atti  commessi da individui isolati e al massimo assecondati da alcune persone, furono giustiziate a Petrogrado, città amministrata da Zinovev, non meno di 800 persone [..] tra  i giustiziati c’era, per caso, un membro del nostro partito, Krakowski, un metallurgico. […] e Zinovev non può smentire che simili massacri vennero attuati in  tutte le città della  Russia per diretta raccomandazione del governo centrale […   ] le mogli e i figli degli avversari politici erano arrestati come ostaggi e in molte occasioni erano stati fucilati” (Martov, come Zinovev e Lenin erano ebrei).
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Che importa? Radicalmente ebraico e messianico – e  si ritrova  nell’ideologia del ‘coloni’ israeliani –  è il grido che fu elevato dal giornale  Kransyi Mec, Spada Rossa: “La nostra è una nuova morale. La nostra umanità è assoluta perché  ha le basi nel  desiderio dell’abolizione di ogni oppressione e tirannide. A noi tutto è permesso”.
Per il progetto  di paradiso in terra, solo nel terrore  rosso (1917-23) vengono uccisi  1,8 milioni di persone.  In pochissimi anni, e prima di Stalin.   “Almeno un milione di  vittime solo per motivi religiosi”: 28 vescovi, 21 330 monaci, 73.299 monache, 117 mila ecclesiastici ”.   La  persecuzione della fede ortodossa  durerà   per tutto il  periodo sovietico.  Decine di migliaia di “borghesi”, professionisti o coltivatori diretti non importa,  vengono eliminati.  Dovunque plotoni di   cekisti   conducono esecuzioni capitali come in una catena di montaggio,  sparando alla nuca  a  condannati per ore ed ore (a ciascuno dei militi vengono fornite in abbondanza vodka ed acqua di Colonia, per lavarsi  dall’odore del sangue).  Ovviamente è il collasso dell’intera società,  con le prevedibili conseguenze, già nel primo anno del Nuovo Ordine paradisiaco: “L’inverno 1918-19 fu  terribile nelle grandi città devastate dalla fame e dal tifo, private di combustibile di acqua e di illuminazione”,  lasciò scritto Victor Serge, un filo-bolscevico: “negli edifici, le condotte d’acqua e di scarico gelavano. Le famiglie si radunavano attorno a piccole stufe […] libri, mobilio, le porte e i tavolati delle camere evacuate sostituivano la legna da ardere.  A Pietrogrado e a Mosca vennero bruciate la maggior parte delle case di legno. Si trascorrevano le interminabili notti dell’inverno russo di fronte a fioco lume di una lampada. Il sistema di fognature non funzionava più; mucchi di immondizia si accumulavano nei cortili coperti di neve;  con l’inizio della primavera avrebbero preparato una nuova epidemia”.  L’epidemia di tifo a Pietrogrado, dice un altro testimone oculare: “Quest’inverno (1918-19)  vi sono morte 3oo mila persone [la città contava allora 2 milioni di abitanti]:  è  il tifo che, scoprendo questi trecentomila rattrappiti sotto la fame e il freddo, si è messa a giocare con loro”.
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“Il vecchio bolscevico Leonid Borisovic Krasin, già braccio destro di Lenin nella fabbricazione di bombe,  nel riciclaggio  di denaro, nelle rapine in banca […] resta allibito di fronte alla furia devastatrice, e scrive alla moglie: “….Ha avuto inizio il periodo del cosiddetto ‘terrore’, una delle manifestazioni più disgustose dei neo-bolscevichi.  Sono state fucilate Mosca e Pietrogrado dalle sei alle settecento persone [è il numero che abbiamo visto citato da Zinovev] nove decimi delle  quali arrestate alla cieca e per  il semplice sospetto che appartenessero alla corrente di destra dei socialisti rivoluzionari […] anche nelle provincie si è verificata una serie di fatti rivoltanti, con arresti ed esecuzioni di massa”.
Vien da pensare (o fantasticare) che l’esperimento sovietico  potesse meglio riuscire, se governato da russi, come Krasin.  Maksim Gorki, il letterato e massimo leccapiedi del regime da cui è favorito parassita, non è (pare) ebreo:  anche se ha lasciato scritto   che la lettura del savio anziano Hillel (un rabbino   contemporaneo di Cristo)  gli aveva cambiato la vita, “Per la potente umanità che  lo saturava e la sua alta stima dell’uomo”.  Saturo di questa profonda umanità,  Gorki  potrà sopportare il genocidio dei kulaki (coltivatori diretti), che già Lenin cominciò alla grande e fu la  causa della prima carestia 1921-22 (oltre 5 milioni di morti),  con queste parole:   “Suppongo che la maggior parte di dei trentacinque milioni di affamati morirà. Morirà la gente semiselvaggia, cupa, stupida dei villaggi russi […] e sarà sostituita da una nuova razza  di persone istruite, ragionevoli, letterati, gente  sensibile e di cuore”.
Compresi i due milioni di morti nella Grande Guerra e i milioni di emigrati-profughi soprattutto in Germania, gli eventi messi in moto dal giudeo-bolscevismo  “depauperano il popolo russo, in soli nove anni, di 18 milioni di individui su 143”.  I decenni seguenti, la seconda guerra mondiale, il Gulag staliniano, faranno sparire altri 40-60 milioni di russi,  faranno una società ammutolita,  impaurita dai delatori e dalla polizia, profondamente ferita. E’ a causa di questi se  il granaio  del mondo non avrà più una  agricoltura  fiorente   condotta da  coltivatori competenti  (è il prezzo del genocidio dei kulaki e della collettivizzazione:  altri 12-14 milioni di morti nei cinque anni della collettivizzazione forzata del 1929-34),  se  l’Ucraina ha il rigetto del russo, se – nonostante le sue eccellenze scientifico-tecniche – la Russia ha perso più di un giro nello sviluppo occidentale ed è un paese esportatore di materie prime anziché di oggetti industriali  avanzati.  Soprattutto, è l’eredità  del  giudeo-bolscevismo che oggi fa’ mancare a Vladmir Putin la potenza demografica,  le decine di milioni di uomini ,  le incalcolabili “risorse umane” sprecate e distrutte nel GuLag  che farebbero della Russia la superpotenza  katehon di cui abbiamo bisogno.   Risorse materiali ed umane che senza la rivoluzione, il regime zarista avrebbe infinitamente meglio sviluppato.
Contro la leggenda nera (ebraica) dello zarismo come  economia   “retrograda”    basata sulla servitù della gleba, non si dimentichi che nel 1914 “la produzione industriale per abitante aumentava del 3,5% l’anno contro il 2,75% degli Usa e l’1 per cento della Gran Bretagna. Le riserve d’oro russe ammontavano nel 1913 a 1550 milioni di rubli, mentre erano stati emessi solo 1494 milioni di rubli-carta; in quella stessa data, il franco francese era coperto    circa per il 50%.  Nel 1908, il debito pubblico per abitante era a un indice 58,7 in Russia, e  di 288 in Francia. Nel 1912, la tassazione era all’indice 3,11 in Russi contro il 26,75 in Gran Bretagna e il 12,35 in Francia”. Il debito  pubblico “nel 1914 era stato restituito all’83% grazie alle ferrovie dello Stato. Un economista francese diceva allora: “Verso la metà del secolo, la Russia dominerà l’Europa politicamente, economicamente e finanziariamente”.  (Vladimir Volkoff, Le Montage).
Invece la Russia non sarà quel “Messico con le atomiche” di certa derisione americanoide,  ma è una potenza minore, il cui sviluppo è stato storicamente stroncato,  amputato e dimidiato dal feroce progetto di costruzione del “paradiso in terra”  qui ed ora dei giudeo-bolscevici.

Potrebbe esere la prima
Potrebbe essere la prima
Resta perfino incomprensibile come essi non abbiano saputo concepire altro che un impossibile  “sviluppo attraverso la coercizione  e il terrore” e il lavoro forzato, e pretendere di espandere questo modello (concentrazionario) al mondo.  Perché non hanno cercato di includere  nel progetto  socialista  le classi operose e intellettualmente alte? Perché amputarle sanguinosamente, privandosi del loro apporto  produttivo?  Non si potevano “liberare”  le energie collettive invece di terrorizzarle e soffocarle nel loro sangue?
Ma queste  domande nascono da un’idea di impero come un grande sistema politico di incorporazione, anche di popoli e genti  diverse e ostili, per integrarli in una impresa comune, una dinamica convivenza.  Noi abbiamo in mente la potenza cordiale e civilizzatrice di Roma.  In essa, il popolo egemone si assume la responsabilità degli altri, li incardina ed eleva  al suo destino superiore.  Ma l’ebraismo non può  pensare in questi termini il proprio potere  mondiale. Non può concepire il Regno d’Israele se non come un’oppressione sterminatrice sugli altri popoli: “Oggi comincerò a incutere paura e terrore di te ai popoli che sono sotto tutto il cielo, così che, all’udire la tua fama, tremeranno e saranno presi da spavento dinanzi a te”, promette YHVH nel Deuteronomio (2,25).  Ed su ogni popolo che incontrano nella mitica avanzata verso la Terra di Canaan: “Votammo allo sterminio ogni città, uomini donne  bambini.  O in Isaia 60: “La nazione e il re che non ti vorranno servire periranno, e tali nazioni saranno completamente distrutte”; “Con la faccia a terra ti si prostreranno e lambiranno la polvere dei tuoi piedi. C’è un popolo, Amalek, di cui Dio comanda: “distruggerai tutto quello che ha e non avrai misericordia di lui” (Shemuel I, 15:1-3). Ma  non è affatto un popolo mitico. Ogni ebreo impara che deve  fare “una guerra per il Signore contro ‘Amalèk di generazione in generazione” (Shemòt, 17:16), ossia che  c’è in ogni momento storico una nazione che Israele deve distruggere “completamente” e “senza misericordia”.  Gli armeni furono bollati come Amalek dalla giunta dunmeh che prese il potere ottomano. Oggi, sono probabilmente gli iraniani. I  kulaki lo furono per i giudeo-bolscevichi:  fu decretata la loro eliminazione per esecuzioni di massa e per fame, privati delle sementi e degli animali : la carestia si diffuse in tutta la Russia. In Ucraina  si ebbero molti casi di cannibalismo .  Forse che il regime giudeo-bolscevico corse ai ripari? Tutt’altro.  In una lettera segreta a Molotov datata 19 marzo 1922, Lenin scrive: “Con la gente affamata che si nutre di carne umana, con le strade coperte di centinaia, addirittura migliaia di cadaveri, adesso e soltanto adesso noi possiamo, e di conseguenza dobbiamo, confiscare i beni della Chiesa con l’energia più selvaggia e impietosa. Dobbiamo confiscare i beni della Chiesa il più rapidamente possibile e nel modo decisivo per assicurarci un fondo di centinaia di milioni di rubli”.  I giudei favoleggiavano delle enormi ricchezze ecclesiastiche  – “8 mila miliardi di rubli”:    gli ori dei sacri oggetti avevano acceso per secoli le loro avide voglie; alla fin fine, i tesori  confiscati si rivelarono argenti dorati, poco oro e perle, forse “fra i 4 e i 10 milioni di dollari, ma è probabile che la cifra più bassa fosse più realistica”.  Ma l’Ortodossia  era decapitata da almeno 8 mila esecuzioni e centinaia di chiese dinamitate (non una sola sinagoga fu demolita), e Lenin aveva motivo di consolazione. Già in una precedente carestia s’era rallegrato: “Distruggendo l’economia arretrata, la carestia ci avvicina obbiettivamente al socialismo […] inoltre la carestia distrugge la fede non solo  nello zar, ma anche in Dio”.
Si ricordano queste cose non per suscitare odio. Ma poiché il governo  mondiale di Sion sembra si stia instaurando,  e i potenti dell’Occidente si prostrano al tempio dell’Olocausto e  abbiamo visto perire molti re che non volevano servire Sion – Irak, Siria, Libia – e “tali nazioni completamente distrutte”,  mentre impera il loro potere finanziario globale; la società del benessere si muta in società della esclusione, ineguaglianza e  miseria;   e non è lontana nemmeno la persecuzione religiosa, nel “civile” Occidente in via di metamorfosi totalitaria (il totalitarismo della dissoluzione, veicolato dai tabù del politicamente corretto), è utile rievocare quel grande esperimento precedente di Paradiso in Terra attuato da Sion. Onde sappiamo almeno, quando sarà instaurato il successivo, che non  sarà  un impero ma il suo contrario:   un anti-impero, fondato sull’esclusione anziché sull’inclusione; un contro-impero di consanguinei invece che di “genti diverse”; fondato sul terrore e il servaggio anziché sulla cordiale amicizia verso il genere umano; sulla sua distruzione invece che sulla sua elevazione.  Dalla storia del giudeo-bolscevismo sappiamo anche che fallirà; ma non senza aver gravemente ferito, e forse fatto perire, l’umanità goy.

Nota:  solo nel 1997 si è ammesso che Lenin era ebreo.  L’aveva tenuto fieramente celato.


USA e oligarchi traghettano Kiev verso un nuovo governo fantoccio

Il Premier Yatseniuk rassegna le dimissioni, mentre il nuovo governo targato Groysman si prepara al varo, dopo l’endorsement pubblico ricevuto dagli ambienti diplomatici americani. L’ex primo ministro non è più l’uomo conveniente ai giochi di potere degli oligarchi, così come manifesta è la sua liquidazione da parte di Washington. Dopo lo schiaffo del referendum olandese, le pressioni del FMI e il problema irrisolto della corruzione, la posizione di Kiev resta precaria, una molla, compressa, piuttosto che uno stato cuscinetto.
DI  - 15 APRILE 2016
  
Dal 2014 ad oggi la parola stabilità è stata forse cancellata dai dizionari ucraini, essendo tra l’altro quelli russi banditi per legge dal Paese. La politica nei piani alti dei palazzi del potere di Kiev accusa ancora dei colpi che attentano al processo di riforme che era stato richiesto al Paese, anche in ossequio agli accordi di Minsk-2 sottoscritti poco più di un anno fa, e che prevedevano una serie di riforme, costituzionali e ordinarie, per condurre l’Ucraina fuori da quello stato di dannoso torpore dal quale è da lustri attanagliata. Erano questi i compiti che i vincitori di Jevromaidan avrebbero dovuto portare a termine, carichi di grandi promesse, per la rinascita dell’orgoglio nazionale, accompagnato da qualche grivna in più in cassa e un po’ di benessere per un popolo martoriato.
L’elezione di Arseniy Yatseniuk era stata salutata come provvidenziale, visti gli enormi buoni propositi che si era posto l’esecutivo, agendo da un lato, fuori confine, per ottenere ossigeno pecuniario dal Fondo Monetario, dall’altro, istruendo una lotta interna alla corruzione imperante nella politica locale e nazionale, dichiarando guerra ad un sistema viziato dalla lubrificazione illecita degli ingranaggi burocratici. La posizione del Presidente Petro Poroshenko e del Primo Ministro Yatseniuk (il cui consenso popolare era già calato a picco nei mesi precedenti), si è aggravata ulteriormente in seguito all’inchiesta dei Panama Papers, che vede direttamente coinvolto il cioccolataio di Bolgrad, mentre ha scoperto nuovamente un nervo infiammato della politica ucraina: quella fantomatica lotta alla corruzione e all’evasione fiscale che, in fin dei conti, nessuno ha condotto. È così che l’esponente del Fronte Popolare, uscito grande vincitore dalle elezioni del novembre 2014, ha rassegnato le sue dimissioni da capo dell’esecutivo, in linea con le non ottemperate promesse di risanare l’Ucraina. Già in febbraio il Ministro delle Finanze, Aivaras Abromaivicius, lituano naturalizzato ucraino lo stesso giorno della sua nomina al dicastero, aveva rinunciato al suo incarico a causa del lassismo nei confronti del problema della corruzione, ritirandole tuttavia qualche giorno dopo. Oggi il mostro è stato mutilato dalla testa, e difficilmente si potrà ricucire lo strappo procurato.
La discussione tra i gruppi parlamentari per la nomina del nuovo Primo Ministro parrebbe anzi addirittura conclusa, facendo convergere la decisione sulla persona di Volodymyr Groysman (ebreo come Yatseniuk), presidente dell’assemblea parlamentare, la Verkhovna Rada, nonché ex ministro e membro del Block Petro Poroshenko. Sull’onda di promesse per un governo aperto e riformista, Yatseniuk ha quindi abbandonato il suo posto, sentendosi vittima di una crisi artificialmente creata per accantonare la sua figura, sebbene egli stesso si senta indirizzato ad un incarico di maggior prestigio e responsabilità. Ad onor del vero, parrebbe che le sue asserzioni non siano poi così distanti dalla realtà delle cose: martedì scorso l’Ambasciatore statunitense a Kiev, Geoffrey Pyatt, ha dichiarato che la formazione di un governo stabile sarà la condizione necessaria affinché l’azione di soccorso condotta con i mezzi finanziari del FMI prosegua senza intoppi. Per contro si presume che Natalya Yaresko, il ministro delle Finanze di Yatseniuk – ex funzionario dell’Ambasciata statunitense a Kiev e naturalizzata lo stesso giorno della sua nomina – che aveva condotto le trattative per i prestiti del Fondo Monetario, non troverà posto nel prossimo esecutivo targato Groysman, ed è difficile valutare se sia un bene o prelude a qualcosa di peggio.
La prospettiva che scaturisce dall’analisi di questo scenario politico incerto è duplice: l’ingerenza della rappresentanza diplomatica statunitense in terra ucraina resta preponderante, dettando esplicitamente la linea politica necessaria affinché l’Occidente non stacchi la spina al malato agonizzante. Per contro il rimpasto di governo è sintomo di un malcontento raggiunto nelle stanze dei bottoni di Kiev. Così come due mesi fa era stato disertato il voto di sfiducia all’ex premier Yatseniuk, oggi la direttrice di chi tira le fila dei partiti (ossia chi ci mette i soldi ma non la faccia), non vede più nel banchiere di Chernivtsy il frontman ideale per la prosecuzione del proprio disegno politico. L’Ucraina è un Paese ben lontano da trovare la sua dimensione ideale, e lo riprovano le ostilità mai sedate nel Donbass, il discredito del popolo europeo ad un percorso di affiliazione al mercato comune del continente e una escalation di tensione culturale ed economica con la Russia che ha condotto Kiev ad essere una molla, più che uno stato cuscinetto, compressa e asfissiata per corrotta indole politica.

1 commento:

  1. "Arriva il regno di Sion?"...
    Veramente è già arrivato, rinforzato dal dominio del Cartello Bancario
    ebraico-kazaro. Continua così la tradizione iniziata nella metà del 1700
    nella Judengasse a Francoforte dalla famiglia Bauer in Rotschild. Sia il bolscevismo che il nazismo furono finanziati da banche giudaiche come
    Warbug, Loew&Cohn, in perfetta sintonia con i Rotschild, la mano nascosta
    che ha armato gli assasini dei Romanoff.In una delle sue visioni la famosa
    mistica Teresa Neumann disse:" Ho visto un cimitero con molte lapidi, su una
    vi era scritto 'Qui giace l'uomo che si credeva Dio'.

    Jade







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