IL VIAGGIO A LESBO, UN'OCCASIONE PERDUTA
Si è infatti risolta in un discorso pronunciato in italiano (profughi e immigrati masticano quasi tutti l'inglese), una lingua sconosciuta e inafferrabile,
di Domenico Cacopardo Italia Oggi 21.4.2016
La visita di papa Francesco a Lesbo è stata un'occasione perduta. Si è infatti risolta in un discorso pronunciato in italiano (profughi e immigrati masticano quasi tutti l'inglese), una lingua sconosciuta e inafferrabile, affidata a improbabili traduttori, e in una sorta di «relaese» (liberazione) di tre famiglie musulmane detenute nel campo di concentramento realizzato nell'isola. Insieme a tutti gli altri (circa trecento persone) i liberati erano in attesa di deportazione in Turchia secondo le decisioni dell'Unione europea, volute da Angela Merkel. Non è chiaro quali criteri abbiano ispirato il papa e la Comunità di S. Egidio nella scelta dei fortunati. Qualunque sia stato il criterio è facile immaginare il disappunto e la delusione degli altri, il cui cuore s'era aperto alla speranza all'annuncio dell'arrivo del vicario di Cristo.
Un evento pompato per una decina di giorni dalle varie organizzazioni umanitarie presenti a Lesbo si è trasformato, alla fine, in una beffa per almeno 290 persone, reduci da drammatici viaggi attraverso zone di guerra, sino a un mare ostile e traditore. Cosa dovevamo aspettarci da un papa che va in un campo di concentramento europeo, dopo decine di discorsi sui ponti e sull'accoglienza? Cosa doveva fare per far cambiare passo ai gelidi e ottusi burocrati europei, incapaci di una visione coerente con il progetto di integrazione che fu ideato da De Gasperi, Adenauer e Schumann e portato avanti per decenni dai leader italiani, tedeschi e francesi?
Papa Francesco doveva fare una sola cosa ben precisa: una volta messo piede in quel triste luogo di detenzione e pena doveva annunciare che da lì non si sarebbe mosso finché tutti i detenuti non fossero stati liberati e ammessi nel territorio europeo. Un atto vero di carità vera che avrebbe fatto del papa comunicazionale un papa evangelico e rivoluzionario. Francesco non avrebbe corso alcun pericolo nel comportarsi come si sarebbe comportato Francesco d'Assisi e tanti altri santi che hanno vissuto la fede, non la retorica della stessa. Per queste ragioni abbiamo definito il viaggio del pontefice a Lesbo un'occasione perduta. E aggiungiamo: che non si ripresenterà. La retorica vince la sostanza: ancora una volta.
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Bruciò vivi due coniugi cristiani in Pakistan, per il tribunale deve tornare in libertà
Libero su cauzione il proprietario della fornace nella quale furono gettati Shahzad Masih e Shama Bibi, accusati di "blasfemia"
di Matteo Matzuzzi | 21 Aprile 2016 ore 10:30
Shahzad Masih e Shama Bibi furono gettati vivi in una fornace il 4 novembre 2014
Yousaf Gujjar, il principale sospettato per l'omicidio di Shahzad Masih e Shama Bibi, i coniugi cristiani gettati vivi in una fornace a Kot Radha Kishan, il 4 novembre 2014, perché accusati di blasfemia, è stato scarcerato su cauzione. La notizia, ripresa dall'agenzia Fides, è stata data dall'ong pakistana "Lead". La decisione è stata presa contro il parere del viceispettore generale della polizia di Kasur, responsabile delle indagini, che ha confermato che "se non fosse per questo individuo, l'incidente non sarebbe mai accaduto". Secondo la ricostruzione più affidabile, Gujjar – che della fornace è anche il proprietario – avrebbe incitato la folla a punire i due giovani coniugi, bruciati vivi dopo due giorni di torture. Già in passato il principale sospettato aveva presentata domanda di rilascio su cauzione, ma la richiesta era stata regolarmente respinta. Ora, a neppure un mese dalla strage di Lahore del giorno di Pasqua, la Corte ha cambiato idea.
ARTICOLI CORRELATI “In Pakistan si insegna ai bambini che i cristiani contaminano l’acqua” L’occidente ignavo ha già ucciso Asia Bibi Quando si riempiono le piazze per Asia Bibi?"L'odio in Pakistan è così radicato che tanti musulmani pensano che i cristiani contaminino l'acqua potabile, tanto da bere in pozzi separati", diceva lo scorso marzo al Foglio Wilson Chowdhry, presidente della British Pakistani Christian Association (BPCA). E la responsabilità, spesso, è delle istituzioni, ai massimi livelli: "Anche lo Stato è coinvolto, implicato nell'omicidio di innocenti uomini cristiani, impiccati o assassinati in modo brutale dalla polizia. Le chiese sono spesso costrette a firmare contratti con notabili musulmani locali in riunioni in cui i cristiani si trovano in inferiorità numerica (riunioni presidiate dalla polizia). I riti devono essere inoffensivi per i musulmani". La lista delle violazioni dei diritti umani, aggiungeva Chowdhry, "è infinita, ma è del tutto chiaro che tali esempi altro non sono che tentativi di eliminare la comunità cristiana del Pakistan".
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