ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 28 aprile 2016

Macello in corso

Le suore martiri e le voci dei cristiani perseguitati Per non dimenticare chi è stato ucciso per la fede
Le quattro suore indiane uccise nello Yemen
Si tingerà di rosso anche per le suore di Aden questa sera la Fontana di Trevi. A ormai qualche settimana di distanza dalla loro barbara uccisione nello Yemen, la manifestazione in favore dei cristiani perseguitati promossa a Roma dall'Aiuto alla Chiesa che Soffre tornerà oggi a fare memoria anche di sister Anselm, sister Margherite, sister Reginette e sister Judit, le Missionarie della Carità col grembiule sopra il sari orrendamente insanguinato dai miliziani dell'Isis. 

L'Acs lo farà per non piegarsi alla memoria breve di chi ha archivia molto in fretta le vite donate per stare accanto agli anziani e agli ammalati nel cuore di una guerra feroce. Ma lo farà anche per un motivo più elementare: perché il loro martirio non è affatto finito. Quella tragedia figlia dell'odio jihadista continua, infatti, nell'angoscia per la sorte di padre Tom Uzhunnalil, il salesiano indiano, unico sacerdote cattolico rimasto ad Aden, di cui da quel giorno non si hanno più notizie. 
Sister Sally - la religiosa miracolosamente sfuggita al massacro nascondendosi nella cella frigorifera della casa delle Missionarie della Carità - oggi si trova al sicuro, fuori dallo Yemen. Ma nel suo memoriale su quanto accaduto - vero e proprio martirologio dei nostri tempi - ha raccontato di aver visto padre Tom nella cappella quando stavano arrivando i jihadisti. Stava consumando le particole del tabernacolo, ricorda: un gesto per evitare almeno per l'Eucaristia la profanazione che poi puntuale sarebbe arrivata. Ma sister Sally ricorda anche che padre Tom era perfettamente consapevole del destino che li attendeva; era lui a raccomandare alle suore di stare pronte al martirio che sarebbe potuto arrivare in qualsiasi momento. Per questo il suo consumare il Pane eucaristico, ultima istantanea che abbiamo di questo sacerdote, ha certamente anche un altro significato: il salesiano indiano ha cercato in quel viatico la forza per il viaggio verso l'ignoto insieme agli uomini vestiti di nero.
Nessuno sa fino a dove l'Eucaristia l'abbia accompagnato. Fin dal primo giorno le autorità indiane hanno promesso alla famiglia in Kerala di mobilitarsi per la sua liberazione; e ancora l'altro giorno una delegazione della Conferenza episcopale indiana, in un incontro con il premier Narendra Modi, ha ringraziato per l'impegno dimostrato dal ministro degli Esteri. Quello delle autorità indiane, che nello Yemen non hanno più neppure una rappresentanza diplomatica, non è un compito facile nel contesto di oggi, dove una fragile tregua dopo tredici mesi ha fermato le ostilità, ma ampie zone del Sud rimangono esposte alle incursioni delle formazioni jihadiste. 
Tra l'altro nello Yemen oggi il terrore si nutre anche di episodi di sciacallaggio: alla fine di marzo, per esempio, era stata fatta circolare sui social network la notizia secondo cui l'Isis avrebbe crocifisso platealmente padre Tom il giorno del Venerdì Santo. I salesiani e la Conferenza episcopale indiana avevano subito dichiarato che non si trattava di una minaccia credibile. E i fatti hanno dato loro ragione. Intanto, però, il terrore di un orrore ancora più sanguinoso aveva già viaggiato da un capo all'altro del mondo, sortendo probabilmente il suo effetto.
Il martirio delle suore nello Yemen continua però anche in un altro senso: quello dei frutti delle loro vite donate. Per chi non crede, certo, si tratta solo di una coincidenza; ma sta di fatto che pochi giorni dopo la loro sepoltura delle Missionarie della Carità in questa terra martoriata, si è materializzato abbastanza a sorpresa un barlume di negoziato tra il governo sostenuto dai sauditi e i ribelli houthi. Certo, in mezzo c'è stato anche un altro orrore terribile: il bombardamento della coalizione saudita sul mercato di al Khamis, con oltre cento morti lasciati sul terreno. 

Però il 10 aprile è arrivato il cessate il fuoco e in Kuwait sono partiti dei negoziati con la mediazione dell'Onu con l'obiettivo di porre fine a una guerra che in appena tredici mesi ha fatto più di settemila morti. Oltre ad aprire le porte di Aden alle scorribande delle milizie legate all'Isis. Resta lungo e pieno di incognite il futuro dello Yemen. Però in Cielo adesso c'è qualcuno che continua a guardare con amore questa terra. Anche per questo i martiri non andrebbero mai dimenticati. E le luci di questa sera a Fontana di Trevi sono quanto mai preziose.


di Giorgio Bernardelli 29-04-2016

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-le-suore-martiri-e-le-voci-dei-cristiani-perseguitatiper-non-dimenticare-chi-e-stato-ucciso-per-la-fede-15999.htm

Luka ci racconta il martirio dei ragazzi di Garissa
Il massacro nel campus dell'università di Garissadi Anna Bono 28-04-2016
La notte del 29 aprile alla fontana di Trevi, illuminata da fasci di luce rossa per ricordare i cristiani martiri, uccisi per la fede, ci sarà anche Luka Loteng, uno studente del Kenya. Aiuto alla Chiesa che soffre, la fondazione che ha organizzato l’evento, ha voluto che fosse uno dei quattro ospiti incaricati di aprire la serata raccontando altrettante storie di martirio. 
Luka parlerà dei 147 studenti universitari cristiani uccisi nel campus di Garissa, in Kenya, il 2 aprile 2015. Quel giorno, di prima mattina, alcuni combattenti al Shabaab, il gruppo jihadista somalo legato ad al Qaida autore di molti attentati in Kenya, hanno fatto irruzione nel campus dopo aver ucciso le due uniche guardie armate che ne custodivano l’ingresso. «Andavano di stanza in stanza, di aula in aula, chiedendo ai ragazzi di dire se erano cristiani o musulmani. Alla risposta “si, sono cristiano” seguiva uno sparo»: hanno raccontato gli studenti sopravvissuti. 
Tra i primi a rivelare che cosa stava succedendo all’interno dell’ateneo è stato Collins Wetangula, che si è salvato buttandosi da una finestra e poi mettendosi a correre disperatamente verso l’uscita. Stava per fare la doccia quando ha sentito i primi spari. Lui e tre suoi compagni si sono chiusi a chiave nella stanza in cui si trovavano. «Quando i terroristi sono entrati nel mio ostello», ha detto ai militari e ai giornalisti sopraggiunti, «li ho sentiti aprire tutte le porte una dopo l’altra e chiedere alla gente nascosta nelle stanze se erano musulmani o cristiani. I cristiani li hanno uccisi sul posto. A ogni colpo di fucile ho pensato che stavo per morire anch’io. Nessuno gridava, per paura di far sapere dove si trovava».
In tarda mattinata un portavoce di al Shabaab, Ali Mohamud Tage, aveva poi comunicato alla Bbc che in effetti i miliziani stavano separando gli studenti cristiani da quelli musulmani con l’intenzione di tenere in ostaggio i primi e lasciare andare i secondi, 15 dei quali erano già stati liberati. «I kenyani», aveva proseguito Tage, «saranno scioccati quando alla fine entreranno nell’università di Garissa». Aveva ragione. Alle forze dell’ordine entrate nel campus molte ore più tardi, dopo aver ucciso tutti i jihadisti, si è presentato uno spettacolo terribile: dappertutto cadaveri di ragazzi e ragazze, tutti cristiani. Il giovane Collins, come i 147 suoi compagni che uno dopo l’altro sono stati uccisi, evidentemente non aveva pensato neanche per un momento di provare a salvarsi negando di essere cristiano. 
L’ateneo ha riaperto il 4 gennaio. Per l’occasione il vescovo di Garissa, monsignor Joseph Alessandro, ha celebrato una messa. Nell’omelia ha invitato i presenti a pregare per le vittime, per i loro famigliari e per la conversione degli assassini. Le lezioni sono riprese l’11 gennaio. Il campus adesso è dotato di migliori misure di sicurezza. Ma solo gli studenti locali, musulmani come la maggior parte degli abitanti della regione, sono tornati. 650 studenti residenti in altre parti del Paese e perlopiù cristiani preferiscono proseguire gli studi in atenei più sicuri. Agli studenti di Garissa i jihadisti non hanno dato scampo. Ad altri cristiani è stato offerto di poter vivere, a condizione di convertirsi all’Islam, e hanno scelto la morte. 
Antoine, ad esempio, un giovane siriano di 21 anni, studente di ingegneria. Nel 2014, quando la città siriana di Maloula è stata presa da Jabhat al Nusra, Antoine e due altri ragazzi cristiani si erano nascosti in una casa. Ma i jihadisti li hanno scoperti, hanno ucciso i due ragazzi e poi a lui hanno imposto di convertirsi per non fare la stessa fine. Antoine ha rifiutato ed è stato ucciso. Dei testimoni affermano che le sue ultime parole sono state: «sono nato cristiano e morirò cristiano».  Anche ad Asia Bibi, arrestata in Pakistan nel 2009, giudicata colpevole del reato di blasfemia per aver offeso il profeta Maometto e condannata a morte per impiccagione nel 2010, è stato proposto di abiurare e convertirsi all’Islam per salvarsi. 
Lo ha raccontato lei stessa in una lettera scritta nel 2012, indirizzata a quanti nel mondo si stavano mobilitando per lei: «un giudice, l’onorevole Naveed Iqbal, un giorno è entrato nella mia cella e, dopo avermi condannata a una morte orribile, mi ha offerto la revoca della sentenza se mi fossi convertita all’Islam. Io l’ho ringraziato di cuore per la sua proposta, ma gli ho risposto con tutta onestà che preferisco morire da cristiana che uscire dal carcere da musulmana. “Sono stata condannata perché cristiana” – gli ho detto – “credo in Dio e nel suo grande amore. Se lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui”». 
Asia Bibi è madre di cinque figli: «sono sposata con un uomo buono, abbiamo cinque figli, benedizione del cielo», si legge nella stessa lettera, «voglio soltanto tornare da loro, vedere il loro sorriso e riportare la serenità. Penso alla mia famiglia, lo faccio in ogni momento e chiedo a Dio misericordioso che mi permetta di tornare da loro». Ma sono trascorsi quattro anni e Asia Bibi è ancora in carcere.  

La fontana di Trevi rossa come il sangue dei martiri cristiani

Venerdì sera, a Roma, manifestazione per i cristiani perseguitati. Testimonianze e immagini per denunciare il genocidio
Roma. Venerdì sera, a partire dalle ore 20, la fontana di Trevi, nel pieno centro storico di Roma, si tingerà di rosso, il colore del sangue dei martiri cristiani perseguitati. L’iniziativa è promossa dalla sezione italiana della Fondazione pontificia Aiuto alla chiesa che soffre e ha come unico fine quello di richiamare l’attenzione su quanto accade a ogni latitudine del pianeta a chi è reo di professare liberamente le propria fede. Si tratta di denunciare la sistematica violazione del diritto alla libertà religiosa, in un mondo che ormai si è assuefatto all’agonia dei cristiani, costretti all’esodo nel vicino e medio oriente, e combattuti con ogni arma disponibile nei territori preda del gruppo terrorista Boko Haram, in Nigeria.
Sono solo due esempi del macello in corso, che ormai da più parti – compreso il Dipartimento di stato americano – si definisce “genocidio”. Lo scorso 12 aprile, nella consueta messa mattutina a Santa Marta, il Papa aveva detto che “esistono persecuzioni sanguinarie, come essere sbranati da belve per la gioia del pubblico o saltare in aria per una bomba all’uscita da Messa. E persecuzioni in guanti bianchi, ammantate di cultura, quelle che ti confinano in un angolo della società, che arrivano a toglierti il lavoro se non ti adegui a leggi che vanno contro Dio Creatore”.
Una chiesa cristiana in Siria (foto LaPresse)

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A portare la voce dei cristiani siriani sarà mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei caldei, il cui intervento sarà seguito dalla proeizione di immagini dal mondo della persecuzione. “E’ molto importante che il mondo sappia che anche nel Ventesimo secolo i cristiani sono perseguitati e finanche martirizzati per la loro fede, esattamente come accadeva secoli fa”, ha detto mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della Conferenza episcopale del Pakistan, appoggiando l’iniziativa. Il presule, a un mese dalla strage di cristiani a Lahore, la sera di Pasqua, assicura unità “nella solidarietà, nella fede e nella preghiera a quanti parteciperanno a questa lodevole iniziativa di Aiuto alla chiesa che soffre. Così noi tutti saremo forti nella nostra fede e continueremo ad essere testimoni, non dell’odio, ma dell’amore”. Mons. Audo ribadisce la volontà di frenare l’esodo dalle terre abitate per millenni: “Noi cristiani siamo determinati a restare in Siria per continuare la nostra testimonianza. Ma dopo cinque anni di guerra tanti fedeli si sono visti costretti ad abbandonare il paese ed è grande la paura che la nostra comunità possa scomparire”.

Ogni anno, Aiuto alla chiesa che soffre pubblica il voluminoso Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo, “ma i suoi contenuti saranno poco utili se non diventeranno patrimonio comune, se non scuoteranno le nostre coscienze, se non produrranno una reazione pubblica e diffusa a sostegno dei tanti perseguitati che non possono far udire la propria voce”, si legge nel comunicato che presenta l’iniziativa di venerdì prossimo.
di Matteo Matzuzzi | 27 Aprile 2016 
http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/04/27/cristiani-perseguitati-medio-oriente-fontana-di-trevi-rossa___1-v-141254-rubriche_c194.htm
(Artuto Celletti) «Soffro a vedere la mia gente lasciare la Siria. Soffro per questo drammatico esodo verso l' Europa. Tutti i cristiani andranno via e, in una intera area del mondo, resterà solo Dio con la sua misericordia, la sua provvidenza, la forza del suo perdono». Monsignor Antoine Audo riflette a voce bassa partendo da due numeri: cinque anni fa, prima dell' inizio della guerra, i cristiani ad Aleppo erano 150mila, oggi centomila se ne sono andati. 
Ecco il dramma di una Siria sfregiata da una guerra senza fine: 400mila morti, 7 milioni di profughi interni, 4 milioni fuggiti dal Paese. Ci aspettiamo un invito all' Europa all' accoglienza. E, invece, il vescovo caldeo di Aleppo ci sorprende con un messaggio inatteso a quel mondo che decide. «Non è l' accoglienza la vera priorità. La sfida è fermare questa folle guerra che in cinque anni ha messo in ginocchio la Siria». Una pausa leggera accompagnata da un sorriso amaro e da parole forti. Anche contro l' ultimo no di Londra che chiude le porte a tremila piccoli siriani. «Mi addolorano i muri che si alzano in Europa, l' egoismo, le meschine convenienze della politica. Ma questo drammatico esodo, che va avanti in un surreale e atroce silenzio di troppi media, è ancora più terribile. L' obiettivo vero non è accogliere; è fermare l' esodo, è aiutare i siriani a restare nelle loro case». Sfidiamo il vescovo con una domanda netta, diretta: ci crede? Un' altra smorfia. Anche questa volta amara. «Serve una volontà internazionale fortissima, serve un grande patto tra le grandi potenze a cominciare da Stati Uniti e Israele. Serve mettere da parte bassi interessi economici e serve dire no al traffico di armi e al dio denaro. Una sfida complicata, ma non più rinviabile». La testa tra le mani e una nuova riflessione: «C' è un mondo sordo, ma c' è un grande Papa che non si rassegna a tanti orribili silenzi. Francesco ha visione e ha la forza di chi è libero». Siamo a Trastevere nella sede italiana di Aiuto alla Chiesa che soffre. Si parla di Siria. Di immigrazione. Di guerra. Di Daesh. Il vescovo ha lasciato Aleppo tre giorni fa con il ricordo delle bombe cadute nell' ultimo fine settimana. Domani sera racconterà il suo dramma davanti a una Fontana di Trevi illuminata di rosso. Il rosso del sangue di tanti morti innocenti. Di tanti cristiani perseguitati. Venerdì rinnoverà un appello che ora ci ripete sottovoce: «Il mondo aiuti i cristiani a restare in Siria. Fermi la guerra. Fermi le bombe. Lo faccia in fretta perché un Medio Oriente senza cristiani sarà una perdita per l' intera umanità. Ma anche un dramma per l' islam. Saranno da soli nella violenza. Rischieranno solo di uccidersi l' uno con l' altro». Come è cambiata Aleppo in questi cinque anni? Aleppo era una città ricca: c' era lavoro, benessere, c' erano industrie che funzionavano. Oggi c' è solo povertà. Ovunque. A tutti i livelli. Una povertà materiale e anche una povertà morale. Mi piace raccontare quello che successo usando una parola: deteriorata. Sì, Aleppo in cinque anni di guerra si è deteriorata. Giorno dopo giorno. Non c' è sanità. Non c' è sicurezza, Ci sono le bombe, la fame, la morte. Prima della guerra un dollaro americano valeva 50 lire siriane, oggi ne vale 500. Dieci volte di meno. Oggi tutto costa troppo. Non si può andare dal medico. Non esiste elettricità. Non si può fare la spesa. Un chilo di carne costa 5mila lire siriane e lo stipendio mensile di un operaio è appena 5 volte tanto. Capite? Un uomo lavora un mese per comprare cinque chili di carne. Lei è vescovo, gesuita e presidente della Caritas siriana. Cosa prova a vedere la Siria piegarsi travolta dalla miseria? Dolore e, parallelamente, il dovere di senza luce, le bombe che cadevano, i frigoriferi vuoti. In quelle due notti la mia preghiera poteva essere solo una: pace, pace, pace. Un obbligo perché l' esodo pare inarrestabile. Vi racconto un episodio con la speranza che vi aiuti a capire. A Natale una famiglia di amici è venuta a farmi visita. Ricordo la loro emozione. «Vescovo abbiamo il visto per andare in Svezia. Partiamo presto». Loro erano felici, io no. Restai in silenzio a riflettere. Ogni mattina c' è qualcuno che viene a trovarmi per chiedermi il certificato di matrimonio o di battesimo. Documenti per lasciare la Siria. Per integrarsi in un Paese nuovo e per cominciare una nuova vita. Loro vogliono andare via, ma così la Siria muore. Tanti fuggono, lei però resta. Perché non prova a frenarli? Qualcuno capisce la mia sofferenza, il mio disagio. Che però restano miei, soltanto miei. Sì, io resto, ma non posso chiedere alla mia gente una stessa scelta. Resto fino alla fine perché voglio servire nella terra dove mi ha messo Dio. Sono nato qui, sono vescovo qui, metto tutto nella mani della Provvidenza. E poi l' Occidente tempio della modernità nasconde insidie. Essere moderno spesso rischia di voler dire essere senza fede, senza valori, senza punti di riferimento. Non mi piace l' idea di vivere in Occidente: conosco le opportunità, ma conosco anche l' egoismo, l' aridità. Non mi dice nulla la vita di New York o di Parigi, la Siria ha tutto. È solo la guerra ad aver trasformato un sogno in incubo. Com' è il rapporto con l' islam? Ho amici musulmani. Ho storie di solidarietà che legano cristiani a musulmani. Storie di incontro, di amicizia, di perdono. C' è un islam che prova a far leva sul fanatismo e che fa notizia. Ma c' è anche un altro islam che ha imparato a conoscere la forza della carità. Un giorno uscivo dalla mia Chiesa e un vecchio povero musulmano era seduto a terra. Mi vide e si alzò in piedi di scatto: «Adesso sappiamo chi sono i cristiani. Sono figli di un dio vero. Non sono falsi». Sentivo quel vecchio gridare e pensavo allo Spirito Santo e alla forza di quelle parole quasi profetiche. In Siria non c' è solo fanatismo, solo odio, solo violenza. C' è anche quello, forse c' è soprattutto quello; ma la sfida è quella del dialogo e dell' incontro. Però il fanatismo spesso ha la meglio? È vero. Fanno una facile equazione cristiani-Occidente-modernità. E cercano di ostacolare con la violenza proprio una modernità che da una parte attira e dall' altra fa paura. La modernità è vista come un insidia, una minaccia; qualcosa da non accettare e da respingere. Una modernità e un Occidente a cui Daesh ha dichiarato guerra Daesh si sta ritirando, sta perdendo forza, non ha avvenire. È solo un mezzo per distruggere nelle mani di forze fondamentaliste. È solo uno strumento al servizio di un' agenda politica di distruzione. Sono solo burattini. Le faccio una previsione: quando il business delle armi sarà finito finirà anche Daesh. Il male più grande è quel fondamentalismo "largo" che si innerva nella società. Che vuole distruggere e dividere. Che, scientificamente, punta a spazzare via i cristiani dalla Siria. Che lavora a una folle vittoria dell' islam sulla cristianità. Che vuole indebolire la Chiesa, che è mosso solo da una logica di dominio, che non accetta il concetto di libertà. Io però resto qui. Con la forza della carità e della misericordia. Resto e aspetto che Aleppo torni a respirare.
http://ilsismografo.blogspot.it/2016/04/siria-basta-egoismi-la-siria-muore.html

Aleppo, Su Pediatri e ostetrici di Médecins Sans Frontières

Aleppo, Su Pediatri e ostetrici di Médecins Sans Frontières


L’altra volta gli avrebbero distrutto un
reparto di ginecologia, ora gli avrebbero ucciso un pediatra. Certo che Médecins Sans Frontières ce la mette tutta per “dimostrare” che i suoi “ospedali” in Siria non sono centri di medicazione per i ribelli siriani.
Ma anche se così fosse, basterebbe comunicare la loro localizzazione alle parti belligeranti per essere protetti almeno dalla Convenzione di Ginevra. Ma Médecins Sans Frontières – a differenza di TUTTE le altre organizzazioni genuinamente umanitarie che operano in teatri di guerra -
 non lo fa; e ne intende farlo per il futuro. Tenete a mente questo (e pure questo, e questo) la prossima volta che leggerete qualche altra denuncia di questa “organizzazione umanitaria”. Francesco Santoianni

http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=15422

Aleppo: tutte le menzogne di una campagna

(mediatica) bellica



di Pedro Garcia Hernandez 
da “Prensa Latina” - Traduzione di Marx21.it
Le menzogne su ciò che sta accadendo ad Aleppo, in Siria, hanno il chiaro obiettivo di preparare un'altra ingerenza in Siria e cercare di creare un'immagine di colpevolezza del Governo di Bashar al Assad.
Dopo l'entrata in vigore dell'accordo per il cessate il fuoco in tutto il territorio siriano, gli Stati Uniti hanno ripreso a utilizzare il doppio standard per valutare ciò che succede nella vasta provincia siriana alla frontiera con la Turchia e per ridare fiato alle scelte del cosiddetto Esercito Libero Siriano.
Siamo di fronte a una evidente manifestazione del cosiddetto Piano B statunitense: mentre si auspica la “moderazione” si ricorre a elementi di questo gruppo, alleato sul terreno e subordinato – con ogni evidenza – ai chiaramente terroristi di Al Nusra.
Le Forze Armate siriane controllano due terzi della stessa città di Aleppo e mantengono le loro posizioni nei quattro punti cardinali che circondano la località e non sono avanzate né hanno dato inizio ad alcuna offensiva nel rispetto della tregua decretata, violata invece dai terroristi, certamente più di 400 volte a partire dallo scorso 27 febbraio.
Con il consueto bagaglio di menzogne e speculazioni si è fatto riferimento al concentramento di circa 10.000 terroristi che avrebbero affrontato l“offensiva” dell'esercito siriano e dei suoi alleati, compresi i bombardamenti dell'aviazione russa.
Non una sola volta si è alluso ai colpi di mortaio contro la popolazione civile di Aleppo che hanno causato fino ad ora più di 30 morti e decine di feriti e, naturalmente, si sono sovradimensionate le azioni di risposta da parte delle truppe governative e dei loro alleati sul terreno.
“L'arte” manipolatoria dell'informazione, criticata anche da fonti non ufficiali del Governo, è parte del menzionato Piano B, smentito pubblicamente da Washington e inaccettabile per la Russia, ma reso noto anche da giornali come The Wall Street Journal.
Il ricorso al solito “trucco” coinvolge nuovamente l'Agenzia Centrale di Intelligence (CIA), la quale ha annunciato che gli Stati Uniti potrebbero fornire ai terroristi “alcune decine di sistemi di difesa aerea portatile, missili infrarossi Stinger e sistemi anticarro TOW”.
Naturalmente, il Governo degli Stati Uniti non offre, come sempre, spiegazioni chiare sul tema nello stesso momento in cui, di fatto, favorisce il cosiddetto Esercito Libero Siriano, e come per “carambola” nel gioco del biliardo, anche il Fronte Al Nusra, che pure gli USA hanno definito terrorista.
Le menzogne su Aleppo non contribuiscono a distendere il clima né al rispetto della tregua pattuita, ma al contrario sono un incentivo a promuovere un corridoio aereo, a frammentare la Siria e a facilitare l' “apporto” dei promotori regionali del conflitto come Turchia e Arabia Saudita.


1 commento:

  1. Pochissimi hanno il coraggio , o la volontà di dire "pane al pane, vino al vino" come fa l'Antidiplomatico, nonostante sia una sito di "sinistra"e non certo cattolico ! Eppure bisogna andare a perlustrare siti di questo genere, che ancora dicono la verità sulla criminalità Usa, per capire qualcosa ancora delle tragedie in atto nel mondo. Ma questi siti mene che meno hanno percepito che questi massacri di cristiani operati da islamici, sono frutto di una strategia ben pianificata da menti perverse che controllano bene l'economia di tanti stati e si sono prefissati di controllare il mondo.

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