ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 22 aprile 2016

Non ci si faceva illusioni

Ogni pronunciamento di Benedetto è sempre stato a sostegno Francesco. L’intervista rilasciata poco più di un mese fa al teologo gesuita Jacques Servais è solo l’ultimo esempio in ordine di tempo… l’enunciazione ratzingeriana del concetto di “ermeneutica della riforma nella continuità”, formalmente, non rappresenta un rigetto delle cause della dissoluzione che pur afferma di combattere, anzi ne è la certificazione e l’assunzione a valore… 


Venerdì 22 aprile 2016
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zrbrpsCari amici,
se al termine di un’epoca tutto si fa più urgente e precipitoso, è difficile immaginare che il collasso dei nostri tempi sia troppo lontano. Se il motus in fine velocior caro ai latini ha un fondo di sapienza, l’inaudito che alcuni temono e altri sperano potrebbe palesarsi dietro la prossima svolta di una strada sempre più faticosa e oscura. Non si tratta necessariamente della fine di tutto, invocata da un numero sempre più grande di anime doloranti per lo strazio di Cristo esibito al plaudire del mondo. “Ma non può durare ancora a lungo così”… dicono molte vostre lettere. E poi si confida lo stesso pensiero per telefono, lo si argomenta nelle conversazioni e anche in certi colloqui spirituali, mentre aleggia, sempre più percepibile, un’inedita nostalgia di catacomba e, insieme, di battaglia di Vienna.
Ma se il rapido diffondersi di questo sentire è sorprendente, lo è ancora di più il fatto che affiori anche in tanti cattolici che poco o nulla sanno della “Tradizione” pronunciata con la “T” maiuscola e messa tra opportune quanto altere virgolette. Stupisce, e allo stesso tempo conforta, che compaia in belle anime cresciute misteriosamente in parrocchie, movimenti, istituti religiosi e ordini devastati dal disprezzo per la fede in Cristo. Probabilmente, tale irrevocabile e radicale opposizione al disfacimento si palesa in questi cristiani perché si sono inselvatichiti al punto giusto, come certi fratelli che vivono da tempo di tradizione ai margini di un mondo e di una Chiesa votati allo scempio del divenire e alla tirannia del consenso. Sono forse proprio loro, per grazia di Dio refrattari al logorio di una Chiesa nichilista, nell’assetato affrettarsi alle fonti, a testimoniare con forza che motus in fine velocior. E, come i fratelli di autentica e selvatica tradizione, svolgono tutti lucidamente lo stesso ragionamento, che passa attraverso le stesse considerazioni, poste nello stesso ordine come stazioni di un nuovo Calvario: il dolore per la diabolica autodemolizione della Chiesa, la costernazione per l’assenza di pastori che osino parlare e difendere il gregge con chiarezza e senza timore, la trepidazione per l’interrogativo sul che fare in un panorama così desolato.
Dopo l’analisi del processo di autodemolizione della Chiesa pubblicata la scorsa settimana, è giunto il momento di prendere in considerazione la tragica assenza di pastori disposti a guidare un gregge sempre più attonito e smarrito. Bisognerà dunque cominciare dalla questione Benedetto XVI, così dolorosa per chi ancora antepone le argomentazioni alla realtà. Le prossime tappe prenderanno in esame i balbettii timidi e inoperanti di vescovi e cardinali che si erano proposti come baluardi alla deriva bergogliana, i contatti ammiccanti tra Bergoglio e la Fraternità Sacerdotale San Pio X e, per finire, le prospettive sul “che fare”.
zzzzrtznglscChi continua a pensare che l’inedita figura del Papa emerito vegli come una sentinella silente e orante sulle sorti della Chiesa ridotta in macerie, prima o poi, dovrà scontrarsi con i fatti. Primo fra tutti, l’oscuro abbandono del soglio di Pietro, quella “fuga davanti ai lupi” che lo stesso Ratzinger aveva paventato subito dopo l’elezione e che inevitabilmente diventa la chiave di lettura del suo pontificato, della sua biografia e del suo pensiero.
Cari amici, non può sfuggire, se non a chi non vuole vedere, che mai, e bisogna sottolineare “mai”, Benedetto XVI ha opposto un atto, anche passivo, alle scorribande devastatrici del suo successore fra le membra Corpo Mistico di Cristo. Anzi, nei momenti cruciali è sempre stato al suo fianco contribuendo a formare nel pensiero collettivo l’icona dei “due Papi”, un’immagine che turba nel profondo l’anima di tanti fedeli poiché figura simbolicamente una famiglia contronatura con due genitori dello stesso sesso.
Ogni pronunciamento di Benedetto è sempre stato a sostegno Francesco. L’intervista rilasciata poco più di un mese fa al teologo gesuita Jacques Servais è solo l’ultimo esempio in ordine di tempo. Passi come i seguenti sono inequivocabili:
“Per me è un ‘segno dei tempi’ il fatto che l’idea della misericordia di Dio diventi sempre più centrale e dominante – a partire da suor Faustina, le cui visioni in vario modo riflettono in profondità l’immagine di Dio propria dell’uomo di oggi e il suo desiderio della bontà divina. Papa Giovanni Paolo II era profondamente impregnato da tale impulso, anche se ciò non sempre emergeva in modo esplicito. (…) Solo là dove c’è misericordia finisce la crudeltà, finiscono il male e la violenza. Papa Francesco si trova del tutto in accordo con questa linea. La sua pratica pastorale si esprime proprio nel fatto che egli ci parla continuamente della misericordia di Dio. È la misericordia quello che ci muove verso Dio, mentre la giustizia ci spaventa al suo cospetto. A mio parere ciò mette in risalto che sotto la patina della sicurezza di sé e della propria giustizia l’uomo di oggi nasconde una profonda conoscenza delle sue ferite e della sua indegnità di fronte a Dio. Egli è in attesa della misericordia”. 
D: (…) San Francesco Saverio ha vissuto la propria attività pastorale, convinto di dover tentare di salvare dal terribile destino della perdizione eterna quanti più “infedeli” possibile. Si può dire che su questo punto, negli ultimi decenni, c’è stato una sorta di “sviluppo del dogma” di cui il Catechismo deve assolutamente tenere conto?
“Non c’è dubbio che in questo punto siamo di fronte a una profonda evoluzione del dogma. Mentre i Padri e i teologi del medioevo potevano ancora essere del parere che nella sostanza tutto il genere umano era diventato cattolico e che il paganesimo esistesse ormai soltanto ai margini, la scoperta del nuovo mondo all’inizio dell’era moderna ha cambiato in maniera radicale le prospettive”.
zzzzfulmineEppure, durante il suo pontificato, le pur timide frenate lungo la via della dissoluzione avevano alimentato qualche fremito restauratore. Si era fatta strada l’idea che, opportunamente elaborate e trasformate secondo categorie tradizionali, quelle iniziative potessero diventare postazioni, pur povere e indifese, di una resistenza cattolica in una Chiesa nichilista. Ma chi ha combattuto in quella trincea, lasciatevelo dire da uno che c’era, si è trovato tra le mani e nella penna un Benedetto XVI silenzioso e inoperante, una sorta di cavaliere inesistente sempre più lontano da quello vero, che intanto tesseva una ragnatela ambiguamente chiamata “ermeneutica della riforma nella continuità”.
Non ci si faceva illusioni sul pensiero di Ratzinger, figlio della modernità hegeliana. Non c’è mai stato spazio per i dubbi sulla sua predilezione per il concetto di “ermeneutica”, rispetto al quale quello di “continuità” faceva da vassallo minore, assoggettato anche al concetto di “riforma”. Ma continuo a pensare che il tentativo di sottrarre la “continuità” al signoraggio dell’ “ermeneutica” per indicare a tanti buoni cattolici smarriti la via della tradizione fosse legittimo. Non è stato sterile, anche se perdente fin dal principio. Anzi, proprio come le belle azioni consapevolmente destinate alla sconfitta, è stato fecondo almeno nel contagio di qualche compagno di battaglia, nonostante fosse palese il tentativo ratzingeriano di attuare il Concilio Vaticano II, se si concede l’ossimoro, per via tradizionale.
Ma quello avviato da Benedetto XVI era un percorso lungo e macchinoso e i tempi in cui il moto si fa sempre più veloce hanno colto l’autore impantanato in mezzo al guado, forse anche a causa degli imprevisti tentativi di resistenza cattolica aggrappati come zavorre alle sue povere e ambigue concessioni. Nei disegni del neomodernismo nichilista, urgeva un cambio di passo ed è arrivato Bergoglio, che ha preso subito ad attuare il Vaticano II, senza ossimori, per via rivoluzionaria.
Un semplice mutamento di strategia di una Chiesa che con il Vaticano II, è divenuta per decreto essenzialmente ermeneutica, perenne interprete di se stessa secondo categorie perennemente mutevoli. E Joseph Ratzinger, una volta divenuto Benedetto XVI, fino a quando gli è stato concesso, ne ha interpretato intimamente l’anima. Timido e a volte persino incerto a uno sguardo superficiale, è stato invece il ferreo timoniere di questo interminabile mutare per principio. Ha governato con grande padronanza una Chiesa la cui carta fondativa elaborata nell’aula conciliare è costituita da un insieme di termini, concetti, proposizioni, documenti che non si reggono da soli poiché sono elementi aperti, bisognosi di un continuo rimando ad altro che li spieghi.
L’ermeneutica, causa formale dei testi conciliari che senza interpretazione non esistono, è divenuta di conseguenza la causa formale della Chiesa che ne è sortita. Dunque, l’enunciazione ratzingeriana del concetto di “ermeneutica della riforma nella continuità”, formalmente, non rappresenta un rigetto delle cause della dissoluzione che pur afferma di combattere, anzi ne è la certificazione e l’assunzione a valore. Invece che sancire la fine della crisi, ne formalizza l’esistenza rubricando come normalità il continuo mutare di senso di una medesima idea. Poiché l’ermeneutica non è un criterio veritativo, ma interpretativo, non può impegnare l’autorità a tutelare la permanenza di un significato, ma presuppone soltanto un interprete che si ponga sullo stesso piano degli altri. Enunciare un qualsiasi genere di interpretazione significa evocarne potenzialmente un numero infinito di altre. Scrive a questo proposito il cardinale Giuseppe Siri in Getsemani che l’alterazione delle fondamentali basi ontologiche della parola umana:
si compie in seno all’ermeneutica, alterando radicalmente ogni norma di logica eterna dell’Interpretazione. In tutte le direzioni e in tutte le attività intellettuali, si nota facilmente un’effervescenza nella ricerca di un nuovo linguaggio, ricerca patetica di una nuova lettura dei testi, e non soltanto di quelli della Sacra Scrittura, ricerca di una nuova concezione del fatto da “comprendere”; nuove norme, sempre labili, per l’interpretazione dei testi, dei segni e anche dei fatti. (…)
E in tal modo ha preso forma una tendenza a reinterpretare i testi scritturali, i testi teologici dei Padri, i testi dogmatici della Chiesa; tendenza che ha finito con il “reinterpretare” ogni scritto, ogni fatto e ogni insegnamento giunto fino a noi tramite la Tradizione; “reinterpretare” interamente l’avvento e il messaggio di Cristo. È evidente che tutto questo vasto evento della nuova critica ha fondamentalmente influenzato in molti la nozione della fede della Chiesa, e di conseguenza l’orientamento della teologia, cosiddetta biblica, e della teologia in genere, essendo stato rimesso in causa da successive “reinterpretazioni” il fondamento dogmatico della Chiesa.
Un esempio tipico di questa deriva sta nell’assurdo statuto di Nota praevia conferito alla postilla che tenta timidamente di arginare la deriva antiromana della Lumen Gentium, la Costituzione conciliare sulla Chiesa cattolica. Se il testo si presentava come problematico ancora prima della sua promulgazione, sarebbe stato più corretto e più semplice rettificarlo prima pubblicarlo. Invece, in ossequio alla natura accidiosa del linguaggio conciliare, se ne è fornita una precisazione che ha un valore minore rispetto al documento vero e proprio. Si è così prodotto un testo con annessa ermeneutica dando vita formalmente a un documento aperto e si è di fatto dichiarato interpretabile qualsiasi atto oscurando il concetto classico di verità.
Quindi, anche ipotizzando il tentativo di imporre una “interpretazione autentica” che molti hanno illusoriamente letto nel pontificato di Benedetto XVI, se ne vede subito l’impossibilità. Normalmente tocca al soggetto che pone l’atto indicare quale sia la voluntas legislatoris. Ma il linguaggio impiegato dal Vaticano II in poi mostra che non vi è una chiara voluntas, se non quella di non essere chiari. Dunque, anche l’autorità suprema che ha emanato quegli stessi documenti è costretta a scendere sul piano dell’ermeneutica, nell’ennesima prova di quella che Romano Amerio chiamava desistenza.
Il testo dottrinale del Concilio sulla Chiesa non è un trattato teologico, né una presentazione completa sulla Chiesa, ma un cartello indicatore” diceva nel 2012 Ratzinger in Mon Concile Vatican II, mostrando di essere un eccellente interprete dei tempi. Ma, indulgendo nel teologare e nel filosofare, poco adatto a trasformare la teoria in rendite di posizione e di potere, è stato invitato sbrigativamente a cedere il posto al caudillo sudamericano. Bergoglio è indiscutibilmente l’uomo giusto al posto giusto, se si tiene conto che quando l’autorità non può più reggersi sulla verità può farlo solo ricorrendo all’arroganza, alla prepotenza, alla brutalità e alla volgarità. Un piccolo saggio di questo cambio di passo sta nella risposta data al giornalista Francis Rocca, del The Wall Street Journal, che gli ha chiesto un chiarimento sull’esortazione Amoris laetitia durante il viaggio di ritorno dall’isola di Lesbo del 16 aprile.
D: “Alcuni sostengono che niente sia cambiato rispetto alla disciplina che governa l’accesso ai sacramenti per i divorziati e i risposati, e che la legge e la prassi pastorale e ovviamente la dottrina rimangono così. Altri sostengono invece che molto sia cambiato e che vi sono tante nuove aperture e possibilità. La domanda è per una persona, per un cattolico che vuole sapere: Ci sono nuove possibilità concrete, che non esistevano prima della pubblicazione dell’esortazione, o no?
R: Io posso dire: “Sì”. Punto. Ma sarebbe una risposta troppo piccola. Raccomando a tutti voi di leggere la presentazione che ha fatto il cardinale Schönborn, che è un grande teologo. Lui è membro della congregazione per la dottrina della fede e conosce bene la dottrina della Chiesa. In quella presentazione la sua domanda avrà la risposta.
“Io posso dire: ‘Sì’. Punto”. Ma, cari amici, questa non è l’uscita dall’eterno ritorno ermeneutico, anche se per una via sbagliata: è solo la sua violenta e inappellabile riaffermazione. Il che permette di dire, rifacendosi a von Clausewitz, che Bergoglio è la continuazione di Ratzinger con altri mezzi. Lo si vede anche in frangenti e in ambiti diversi come i rapporti con la Fraternità San Pio X, in cui Francesco I sembra proseguire sulla strada tracciata da Benedetto XVI, e la questione liturgica, in cui pare invertire la rotta.
zzzzsmmrmE così siamo giunti all’altra grande questione che ha alimentato tante illusione sul pontificato di Ratzinger, il motu proprio Summorum Pontificum con cui veniva data una libertà di fatto condizionata alla celebrazione della liturgia tradizionale. Un documento incompiuto sul piano giuridico che abbandona il rito millenario della Chiesa cattolica al dispotismo di vescovi e sacerdoti che lo odiano teologicamente. Ma, soprattutto, problematico sul piano teologico, poiché, fin dalla terminologia, costringe ad assumere il Vetus Ordo secondo le categorie del Novus.
Art. 1. Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della “lex orandi” (“legge della preghiera”) della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi” e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della “lex orandi” della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella “lex credendi” (“legge della fede”) della Chiesa; sono infatti due usi dell’unico rito romano.
Pur meritoriamente affermando subito dopo che il Messale tradizionale romano non è mai stato abrogato, risulta evidente la sottomissione dell’antico al nuovo: è il Novus Ordo che istituisce le categorie di una nuova comprensione del Vetus Ordo secondo l’ermeneutica corrente. Non a caso, nella contestuale Lettera in cui il Pontefice spiegava ai vescovi di tutto il mondo il significato del motu proprio diceva:
In primo luogo, c’è il timore che qui venga intaccata l’Autorità del Concilio Vaticano II e che una delle sue decisioni essenziali – la riforma liturgica – venga messa in dubbio. Tale timore è infondato. Al riguardo bisogna innanzitutto dire che il Messale, pubblicato in duplice edizione da Paolo VI e poi riedito una terza volta con l’approvazione di Giovanni Paolo II, ovviamente è e rimane la forma normale – la forma ordinaria – della Liturgia Eucaristica. L’ultima stesura del Missale Romanum, anteriore al Concilio, che è stata pubblicata con l’autorità di Papa Giovanni XXIII nel 1962 e utilizzata durante il Concilio, potrà, invece, essere usata come forma extraordinaria della Celebrazione liturgica. Non è appropriato parlare di queste due stesure del Messale Romano come se fossero “due Riti”. Si tratta, piuttosto, di un uso duplice dell’unico e medesimo Rito.  (…)
In secondo luogo, nelle discussioni sull’atteso Motu Proprio, venne espresso il timore che una più ampia possibilità dell’uso del Messale del 1962 avrebbe portato a disordini o addirittura a spaccature nelle comunità parrocchiali. Anche questo timore non mi sembra realmente fondato. L’uso del Messale antico presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l’una che l’altra non si trovano tanto di frequente. Già da questi presupposti concreti si vede chiaramente che il nuovo Messale rimarrà, certamente, la forma ordinaria del Rito Romano, non soltanto a causa della normativa giuridica, ma anche della reale situazione in cui si trovano le comunità di fedeli.
E’ vero che non mancano esagerazioni e qualche volta aspetti sociali indebitamente vincolati all’attitudine di fedeli legati all’antica tradizione liturgica latina. La vostra carità e prudenza pastorale sarà stimolo e guida per un perfezionamento. Del resto le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico  potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La Commissione “Ecclesia Dei” in contatto con i diversi enti dedicati all’ “usus antiquior” studierà le possibilità pratiche. Nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso. La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica di questo Messale.
Nessuno nega che questo atto abbia dato anche qualche buon frutto, ma si tratta di effetti preterintenzionali. Nessun elemento induce a sgombrare il campo dall’idea che, in chiave prettamente hegeliana, si volesse giungere a una sintesi tratta dalla lotta tra Vetus Ordo e Novus Ordo da gettare a sua volta nella mischia in una sorta di darwinismo liturgico.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
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(2 – continua)

“FUORI MODA” – la posta di Alessandro Gnocchi

Prosegue la risposta, iniziata mercoledì 13 u.s. (clicca qui), alle molte lettere pervenute dopo la pubblicazione dell’Amoris Laetitia.
PD

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