Più volte Gesù Cristo ha annunciato che come è venuto dal Padre così vi sarebbe tornato. Ed ecco finalmente, dopo quaranta giorni dalla sua Risurrezione, finalmente ascende glorioso al Cielo, si asside «alla destra del Padre». Egli vuole che noi siamo dove Egli è: è la Sua gloria «che prepara e precede quella dei suoi membri».
La gloriosa Ascensione completa l’architettonica dei misteri cristologici. Per essa infatti, l’Uomo-Dio, compiuta la sua missione nel mondo, ritorna al suo principio, descrivendo un circolo. Gesù stesso lo sintetizza: «Io sono uscito dal Padre e venni nel mondo; ora lascio il mondo e vado al Padre» (Gv 18,28).
Il Verbo eterno discende dall’alto dei Cieli, dal seno del Padre, s’incarna nel Grembo della Vergine Immacolata, nasce a Betlemme, vive nascosto a Nazareth, esce a predicare il Vangelo del Regno (cf. Mt 4,23), è crocifisso e muore sulla croce, risuscita all’alba del terzo giorno e ascende al Cielo dalla cima del monte degli Olivi, che conobbe la sua dolorosa agonia e il suo «fiat» sanguinante.
Realmente mirabile, gloriosa, l’Ascensione del Signore: quella sua Umanità, debole come la nostra, soggetta all’infermità, alla sofferenza e alla morte, entra vittoriosa nei Cieli, ed è trapiantata, ormai impassibile, nella esistenza eterna di Dio. Gesù di Nazareth, che era apparso come «il figlio del fabbro» (Mt 13,55), entra nella sua Gloria (cf. Lc 24,26), in anima e corpo, e vive eterno nella pienezza divina.Il Verbo eterno discende dall’alto dei Cieli, dal seno del Padre, s’incarna nel Grembo della Vergine Immacolata, nasce a Betlemme, vive nascosto a Nazareth, esce a predicare il Vangelo del Regno (cf. Mt 4,23), è crocifisso e muore sulla croce, risuscita all’alba del terzo giorno e ascende al Cielo dalla cima del monte degli Olivi, che conobbe la sua dolorosa agonia e il suo «fiat» sanguinante.
Gesù dopo la sua Risurrezione appare agli Apostoli, ai Discepoli, alle pie donne; dà gli ultimi ammaestramenti; compare e scompare, quasi volesse abituare i suoi, per gradi, alla sua partenza definitiva. Poi li lascia. Lascia la terra, gli uomini; o meglio, li priva della sua presenza visibile, e si nasconde in Dio. Li ha preparati con tre anni d’insegnamento – ma non ha detto tutto: molte cose «non le avrebbero potute sostenere» (Gv 16,12) prima della sua morte e della venuta dello Spirito Santo –; li ha confortati dando loro le prove della sua vittoria sulla morte; poi si sottrae, e manda loro il Paraclito.
È come se li considerasse maturi per la prova, capaci di vivere di fede, senza nemmeno più la Sua presenza visibile – che pure esigeva la fede per credere alla sua Divinità –, come figli ormai usciti di tutela, che affrontano la vita con la loro piena responsabilità. Si inizia la vita della Chiesa, in cui il Cristo opera, ma in modo misterioso mediante il suo Spirito. Si inizia la «prova» per l’umanità, la grande storia dei secoli cristiani, l’espansione della Buona Novella, le persecuzioni e le lotte, le vicende dolorose e gloriose che avranno termine solo quando il Figlio dell’uomo verrà per la seconda volta in tutta la sua maestà, sulle nubi (cf. Mt 26,64), per giudicare tutti gli uomini.
Per questo i Cristiani delle prime generazioni, che avevano visto Gesù scomparire dietro le nubi del cielo, ne sentivano prossima la seconda venuta – «Il momento è vicino» – e l’invocavano: «Vieni, Signore Gesù» (Ap 1,3; 22,20). Non avevano torto: in realtà la storia dei secoli e dei millenni è un soffio di fronte all’eternità; un soffio questa vicenda umana in cui siamo ingolfati e che ci pare non aver fine: Cristo ieri è asceso al Cielo e domani ritornerà. Un soffio la vicenda dell’umanità che si conta a millenni; un lievissimo soffio la vicenda di ogni uomo che nasce e muore. La prova dell’umanità e la prova di ogni uomo è conchiusa entro brevissimi confini: e al termine dell’una e dell’altra sta il Cristo che, asceso al Cielo, ritorna; e si presenta Giudice a ogni uomo al termine della sua vita; e si presenterà giudice all’umanità intera alla fine dei tempi.
La vita come prova e come attesa: ecco l’insegnamento del mistero dell’Ascensione.
«Alla destra del Padre»
«Il Signore ha detto al mio Signore: “Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici come sgabello sotto i tuoi piedi”» (Sal 109,1). Il Salmo parla del Messia e ne predice la gloria con un’espressione figurata («sedere alla destra di Dio») di significato chiarissimo. Gesù stesso l’ha ripresa, richiamandosi espressamente al Salmo, e l’ha applicata a Sé (cf. Mt 22,41-44; Mc 12,35-37; Lc 20,41-44), gli Evangelisti (cf. Mc 26,19), san Paolo (cf. Rm 8,34; Col 3,1; Ef 1,20-22), il Simbolo della nostra Fede, la ripetono fedelmente (1).
Gesù dunque ha presentato agli uomini la fine della sua esistenza mortale come un ritorno al Padre e un ingresso nella gloria, a occupare, accanto a Lui, il posto d’onore. «Vado al Padre» ripete nel discorso dopo l’Ultima Cena; e più chiaramente: «Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio il mondo e vado al Padre» (Gv 16,28). Sembra quasi che la Passione imminente non conti, per Lui, o sia solo una brevissima parentesi: Gesù guarda al di là, sente prossimo il suo ritorno al Padre, la sua glorificazione; chiede, anzi, questa glorificazione, a cui è stato predestinato «prima che il mondo fosse» (Gv 17,5). Di questa gloria parlerà apertamente anche davanti al sommo Pontefice, suscitandone lo sdegno: «Tu l’hai detto (che io sono il Figlio di Dio); e io vi dico: tra poco vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza (di Dio) venire sulle nubi del cielo» (Mt 26,64; Mc 14,62; Lc 22,69).
Stefano, il primo Martire, confermerà: «Ecco che io vedo i cieli aperti, e il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio» (At 7,55-56). E san Paolo: «...l’ha risuscitato dai morti e l’ha fatto sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni Principato, Potenza, Virtù, Dominazione... E ha messo tutto sotto i suoi piedi» (Ef 1,20-22).
Ma soprattutto nell’Epistola agli Ebrei, destinata proprio a coloro che erano depositari delle Scritture e delle Profezie, quell’espressione, «siede alla destra di Dio», che indica la suprema glorificazione di Cristo da parte del Padre, ritorna più volte, con un evidente richiamo al Salmo da cui deriva (cf. Eb 1,3.13; 8,1; 10,-12-13; 12,2) (2).
Ma che portata ha in realtà questa espressione? Essa è quasi sempre messa in relazione con la Risurrezione e l’Ascensione di Cristo: indica la gloria che Egli ha stabilmente presso il Padre, dal momento in cui ne è entrato in possesso, e per tutta l’eternità. È un modo figurato, quasi plastico, per indicare il suo primato universale e l’onore che il Padre rende a Lui, proprio in quanto uomo. Egli stesso infatti rivendica questo onore a Sé come «Figlio dell’uomo», e san Paolo lo presenta come una ricompensa (cf. Eb 22,2). Riferita al Verbo l’espressione sarebbe impropria e inesatta: il Verbo è sempre col Padre, non può «uscire da Lui e ritornare a Lui», non ha bisogno di alcun riconoscimento di una supremazia sulle creature «messe come sgabello sotto i suoi piedi», perché esse sono soggette al Verbo come al Padre e come allo Spirito Santo.
Gesù dunque ascende al Cielo con la sua Umanità per sedere alla destra del Padre: per dare inizio al «regno che non avrà mai fine», profetizzato dall’Angelo alla Madre sua al momento del suo verginale concepimento (Lc 1,33). Ascende “per andare a preparare anche a noi un posto” (cf. Gv 14,2), per rimanere accanto al Padre con la sua Umanità gloriosa, e presentargli eternamente, nella beatitudine e nella gloria, l’omaggio di adorazione, di lode, di ringraziamento, di propiziazione che gli aveva offerto nel dolore, immolandosi sulla croce; per mostrargli le sue ferite gloriose, documento del suo amore a Dio e agli uomini, e «intercedere per noi», suoi fratelli, ripetendo la preghiera più sublime della sua carità misericordiosa: «Padre, perdona loro, poiché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34), e la preghiera sacerdotale, che gli Apostoli udirono alla vigilia della sua morte, e che sembra già pronunciata al di là della morte, nella gloria dei Cieli: «Padre Santo, conserva nel Tuo nome quelli che mi hai dato; affinché siano una cosa sola, come noi... Non chiedo che Tu li tolga dal mondo, ma che Tu li preservi dal male... Santificali nella verità... Padre, quelli che mi hai dato, voglio che siano con me dove sono io, affinché vedano la gloria che Tu mi hai data...» (Gv 17).
Finché, alla fine dei tempi, Egli verrà ancora «nella gloria a giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine» (Simbolo niceno). È la Gerusalemme celeste vista dal Profeta di Patmos; la Città di Dio, che non ha bisogno «del sole né della luna, perché lo splendore di Dio la illumina, e l’Agnello ne è la lampada. E le genti cammineranno nella sua luce...». «E regneranno nei secoli dei secoli». «Ed essi saranno il suo popolo... e Dio astergerà ogni lacrima dai loro occhi, né vi sarà più la morte, né lutto, né grida, né dolore», ma «nuovi cieli e nuova terra». «Chi vincerà, possiederà ciò, e io gli sarò Dio, ed Egli mi sarà figlio».
Il primo, il più grande vincitore, è Lui, l’Agnello che è stato immolato, «Re dei re, e Signore dei dominanti» (Ap 19,16) (3); e dietro a Lui la moltitudine innumerevole dei redenti dal suo Sangue.
Il significato profondo di questo mistero sta dunque nel trionfo di Cristo, che come Uomo prende possesso della sua gloria.
È la glorificazione dell’Umanità di Lui, anche come Capo del Corpo Mistico; una glorificazione che precede e prepara quella dei suoi membri, come un annuncio gioioso, che allarga il cuore alla speranza. È una glorificazione e un onore per Lui, ma lo è anche per noi; perché noi sappiamo che alla destra del Padre siede Uno di noi, il nostro Fratello maggiore, il migliore della nostra stirpe, il nostro Re.
Il mistero dell’Ascensione offre dunque alla nostra meditazione:
- il compimento del disegno divino con la glorificazione di Cristo;
- la beatitudine eterna a cui noi tutti siamo chiamati;
- la nostra conformità a Cristo che ne è la condizione;
- la vita concepita come attesa, nella speranza della gloria di Lassù, dove saremo eternamente con Cristo in Dio.
Note
1) Cf. il discorso di san Pietro in At 2,33-35, e in 1Pt 3,22.
2) Cf L. Cerfaus, Le Christ dans la theologie de saint Paul, Paris 1951, p. 44.
3) Sul mistero della glorificazione e dei Novissimi, cf. M. J. Scheeben, I misteri del Cristianesimo, cap. IX, pp. 645ss.
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