Credo che sia giunta l’ora di porci seriamente la domanda fondamentale dei nostri giorni:
come mai la Russia, ma ancor più la Polonia, l’Ungheria, ora anche l’Austria, tra poco la Croazia, pensano e agiscono in un modo (anti-immigrazionismo, difesa della nazionalità, del popolo, delle tradizioni, rifiuto dell’omosessualismo, e ora, almeno in Polonia, perfino della vita) che contrasta pienamente con tutto il resto dell’Europa e dell’Occidente, mentre Francia, Spagna, Inghilterra, Germania e, ovviamente (prima nella fila degli idioti), Italia, agiscono esattamente in maniera opposta?
Ovvero: come mai gli europei orientali e mitteleuropei hanno ancora princìpi tendenzialmente sani e possiamo dire legati ai principi cristiani naturali, mentre gli europei occidentali sono morti nell’anima e quindi votati al suicidio?come mai la Russia, ma ancor più la Polonia, l’Ungheria, ora anche l’Austria, tra poco la Croazia, pensano e agiscono in un modo (anti-immigrazionismo, difesa della nazionalità, del popolo, delle tradizioni, rifiuto dell’omosessualismo, e ora, almeno in Polonia, perfino della vita) che contrasta pienamente con tutto il resto dell’Europa e dell’Occidente, mentre Francia, Spagna, Inghilterra, Germania e, ovviamente (prima nella fila degli idioti), Italia, agiscono esattamente in maniera opposta?
Ma la vera domanda è un’altra: in riferimento all’immigrazionismo in particolare, come mai il mondo cattolico di questi Paesi si schiera massiccio in difesa delle scelte politiche dei loro governi mentre il mondo cattolico dei Paesi dell’Europa occidentale si schiera massiccio in difesa delle scelte dei loro governi? Ovvero: come mai il mondo cattolico si schiera sempre con chi comanda e mai con chi ha ragione? E solo se chi comanda ha ragione allora casualmente si schiera con chi ha ragione. Come mai?
Ma v’è ancora un’ultima domanda: ora la Polonia fa un passo ulteriore, che dovrebbe vedere tutti i cattolici, clero in primis, felici e contenti: difende la vita contro l’abortismo. L’aborto è condannato da tutta la Chiesa (o quasi) e soprattutto dal suo Magistero infallibile come omicidio. Tutto il pontificato di Giovanni Paolo II è stato impostato sulla condanna dell’aborto. Benedetto XVI ha fatto altrettanto, anche se con minor vigore. Perfino l’attuale non osa porre in dubbio questo tema.
Eppure… non ho sentito nessuno, ma proprio nessuno, elogiare, difendere, appoggiare, la Polonia, né nelle gerarchie, né nei media cattolici (sempre attentissimi agli eventi di rottura…), né nel cosiddetto “laicato impegnato”.
Dove siete finiti tutti quanti, ora che c’è un governo che difende la vita contro tutto e contro tutti?
Non riesco a capire…
Una cosa la capisco, però: noi siamo morti, loro sono ancora vivi. Hanno certo i loro difetti (alcolismo, tracce non ancora scomparse di comunismo, brutalità, ecc.), ma la verità è che la speranza ormai viene da est, e questo è un vero e proprio ribaltamento di tutta la storia europea e occidentale. Mi riferisco all’aborto, ma anche alla difesa degli europei, delle loro terre, donne, culture, radici, libertà, etnie, civiltà. Così come alla difesa della famiglia e della sessualità naturale.
Tante volte noi europei occidentali abbiamo difeso gli europei orientali dai mali che venivano da oriente. Ora tocca a loro difenderci dai mali che vengono dall’intestino dell’Occidente (e pure dall’Oriente…).
Prendiamone atto: per quanto si voglia criticare il mondo ex comunista, per quanto si voglia vedere di quel mondo solo i lati negativi, la verità è che la nostra società è radicalmente peggiore. Soprattutto, senza speranza umana.
Oggi, siamo tutti polacchi. Je suis polonais.
Austria, la Chiesa rifiuta di concedere il proprio terreno per il muro anti-migranti
Al confine tra Austria ed Ungheria un vescovo ha negato al governo l'utilizzo del terreno (di proprietà della diocesi) per costruire il muro anti-migranti: "anche la Sacra Famiglia era una famiglia di profughi"
Al confine tra Austria ed Ungheria un vescovo ha negato al governo l'utilizzo del terreno (di proprietà della diocesi) per costruire il muro anti-migranti: "anche la Sacra Famiglia era una famiglia di profughi"
C'è un ostacolo alla costruzione del muro di confine anti-profughi voluto dall'Austria.
Il vescovo Ägidius Zsifkovics con la polizia austriaca
Un ostacolo imponente e in parte inatteso: quello rappresentato dalla Chiesa cattolica.
Che nella regione del Burgenland, alla frontiera tra Austria e Ungheria, ha opposto un secco "no" alla decisione del governo di innalzare l'ennesimo tratto di recinzione di confine per contenere la pressione dei migranti che arrivano dalla rotta balcanica.
Il vescovo locale, monsignor Ägidius Zsifkovics, ha negato il permesso della diocesi alla costruzione del muro su alcuni tratti di terreno di proprietà della curia. Il tratto di confine interessato è quello tra i comuni di Heiligenbrunn e Moschendorf, nel distretto di Gussing, dove molti degli appezzamenti necessari all'installazione di pali e filo spinato appartengono a privati.
Il titolare della Diocesi, però, non ha voluto sentire ragioni e nonostante il progetto di costruzione proceda spedito, resta fermo sulle proprie posizioni: nel XXI secolo è impossibile, sostiene, avallare la costruzione di una barriere che umilia chi è costretto ad attraversarla di nascosto.
Monsignor Zsifkovics, tra l'altro, ha ricordato la propria infanzia a ridosso della Cortina di ferro che divideva il blocco sovietico da quello occidentale - immagine ancora molto viva nella sua memoria.
"Anche la Famiglia di Gesù è stata famiglia di profughi - ha dichiarato alla stampa locale - Chi non riesce a comprenderlo non è cristiano."
Una posizione perfettamente allineata a quella espressa da Papa Francesco, che in più occasioni ha ribadito che "chi vuole alzare i muri si situa al di fuori del Cristianesimo".
PADRE SAMIR KHALIL SAMIR: «ACCOGLIENZA VIGILE. L’INTEGRAZIONE RICHIEDE REGOLE DI FERRO»
«L’Italia potrebbe riuscire là dove Francia e Belgio hanno fallito». Gli attentati di novembre a Parigi e di marzo a Bruxelles hanno spazzato via in un attimo tante belle parole e teorie su islam e integrazione. Nelle periferiche banlieue parigine, così come nel centrale quartiere di Molenbeek, ci si chiede ormai dove si è sbagliato e come permettere allo Stato di recuperare situazioni sfuggite al suo controllo. «Questo non è il caso dell’Italia», dichiara a Tempi Samir Khalil Samir, gesuita nato in Egitto, vissuto in Libano, grande islamologo e docente all’Université Saint Joseph di Beirut e al Pontificio istituto orientale di Roma.
Il nostro paese, infatti, non si trova nella situazione di chi deve tappare il buco con una pezza, ma di chi si può ancora permettere di evitare che si apra il buco. E le premesse ambientali per riuscirci, spiega Samir, sono buone: «Intanto l’Italia non ha avuto una colonia islamica. C’è stata la Libia, ma è durata poco. Quindi non è un paese visto con inimicizia. In più, i musulmani italiani non provengono in modo prevalente dallo stesso paese, come gli algerini francesi o i marocchini belgi, e questo aiuta a impedire che si chiudano in gruppi e movimenti separati dal resto della società». Gli italiani, poi, «sono accoglienti di carattere, più umani, e questo facilita l’integrazione. La cultura mediterranea è più vicina per alcuni aspetti a molti paesi musulmani. E per quanto ci possano essere moschee e imam radicalizzati anche qui, sono in numero di gran lunga inferiore rispetto agli altri paesi».
Il terreno, dunque, è fertile per impedire la ghettizzazione e la radicalizzazione di centinaia di giovani che finiscono per ingrossare le fila dello Stato islamico. Ma buona volontà e predisposizioni naturali e culturali non bastano. Per un’integrazione reale servono innanzitutto regole chiare: «Mi ricordo che in viale Jenner a Milano il venerdì i musulmani bloccavano la circolazione per pregare, come si fa in tanti paesi musulmani», continua il padre gesuita. «Questo può avvenire una o due volte all’anno, in casi eccezionali, chiedendo il permesso alla polizia. Ma non ci si può impossessare della strada tutti i venerdì, per di più senza chiedere il permesso. Chi arriva in Italia da un altro paese deve rispettare le regole». È quindi necessario che «chi arriva qui impari la lingua, anche le donne. Nella tradizione musulmana tendono a stare in casa e a parlare solo la lingua di origine, ma bisogna aiutarle. Negli Stati Uniti ad esempio non ti accettano come immigrato se non hai imparato prima l’inglese».
Il comportamento sociale
Queste regole, che possono sembrare un ostacolo all’accoglienza, sono in verità «un modo per aiutare l’immigrato, non per andare contro di lui. Un musulmano deve sapere che in Italia non può trattare sua moglie come farebbe in Arabia Saudita. Non può tenere le figlie rinchiuse e i figli mandarli liberamente in giro. Se non assume questi aspetti della nuova cultura, un immigrato non potrà integrarsi e di conseguenza non sarà mai felice. Le regole servono soprattutto a lui».
Queste regole, che possono sembrare un ostacolo all’accoglienza, sono in verità «un modo per aiutare l’immigrato, non per andare contro di lui. Un musulmano deve sapere che in Italia non può trattare sua moglie come farebbe in Arabia Saudita. Non può tenere le figlie rinchiuse e i figli mandarli liberamente in giro. Se non assume questi aspetti della nuova cultura, un immigrato non potrà integrarsi e di conseguenza non sarà mai felice. Le regole servono soprattutto a lui».
Poche settimane fa una scuola svizzera del cantone Basilea Campagna ha autorizzato due musulmani, contro la tradizione locale, a non stringere la mano all’insegnante donna, perché la religione lo proibirebbe. «Questo è esattamente l’esempio che non dobbiamo seguire», continua l’islamologo. «La stretta di mano a scuola è un’usanza in quel cantone svizzero e per viverci tutti devono adeguarsi a quella cultura, nella misura in cui non vìola la persona umana, ovviamente. Se questo non succede, né i musulmani né gli svizzeri potranno essere felici. E allora è meglio che tornino a vivere nel loro paese di origine. Anche perché fino a vent’anni fa la mano alle donne i musulmani la potevano dare, prima che arrivasse l’islam desertico radicale dall’Arabia Saudita».
La distinzione tra religione e comportamento sociale è fondamentale: «È vero che a livello di fede non si può imporre niente, ma a livello socio-culturale invece si possono fare imposizioni. L’Europa non ha preso coscienza di quanti conflitti nascono quando si rifiuta l’integrazione socio-culturale. Certe cose vanno insegnate fin dall’infanzia».
L’Italia è ancora in tempo per seguire questa strada virtuosa. Ma ci sono accorgimenti che deve prendere: «La libertà di culto va garantita a tutti, nessuno escluso», mette subito in chiaro padre Samir. «Ma questo non significa ad esempio che sia lo Stato a dover costruire le moschee. Tocca ai musulmani del posto farlo e senza farsi finanziare dall’estero: perché chi paga comanda. Come in Norvegia e Austria, sono i fedeli locali a dover raccogliere i fondi dentro il paese per costruirla e loro ne sono responsabili».
Altre precauzioni sono dettate dalla realtà dell’islam, che «include tutto: non c’è distinzione tra religione, politica, società e cultura. E le moschee sono il luogo naturale attraverso cui l’islam radicale, per mezzo dei discorsi degli imam, penetra nel mondo musulmano. Non è una teoria, è un fatto, è successo ovunque nel mondo. Bisogna controllare le moschee». Come? «La preghiera ovviamente deve essere fatta in arabo, perché è obbligatorio. Ma un conto è il rito, un conto è il discorso dell’imam, che ha una parte spirituale e una socio-politica. Il discorso dell’imam deve per forza essere fatto in italiano, così che possa esserci un controllo. Anche questo va nell’interesse dei musulmani stessi, che così sono aiutati a capire la lingua che si parla nel paese in cui vivono».
Controllare prediche e biblioteche
C’è una terza cosa a cui prestare attenzione. «Da trent’anni quasi tutte le moschee hanno anche una libreria con testi arabi e islamici. Chi conosce l’arabo ed è andato a controllare, ha scoperto che molti testi sono di autori radicali, pieni di contenuti aggressivi. Bisogna avere la possibilità di entrare nelle librerie e verificare». Così però non si alimenta la cultura di sospetto verso tutti i musulmani? No, insiste il docente, «è il contrario: così lo Stato viene in aiuto dei musulmani, evitando che gente estranea, con scopi diversi, si infiltri nelle comunità e le radicalizzi. L’aiuto del resto è necessario: tutti i musulmani condannano l’Isis, eppure migliaia di giovani lo raggiungono. Perché? Perché attraverso molte moschee si fa propaganda per convincere i cuori che quello dell’Isis sarebbe il vero islam».
C’è una terza cosa a cui prestare attenzione. «Da trent’anni quasi tutte le moschee hanno anche una libreria con testi arabi e islamici. Chi conosce l’arabo ed è andato a controllare, ha scoperto che molti testi sono di autori radicali, pieni di contenuti aggressivi. Bisogna avere la possibilità di entrare nelle librerie e verificare». Così però non si alimenta la cultura di sospetto verso tutti i musulmani? No, insiste il docente, «è il contrario: così lo Stato viene in aiuto dei musulmani, evitando che gente estranea, con scopi diversi, si infiltri nelle comunità e le radicalizzi. L’aiuto del resto è necessario: tutti i musulmani condannano l’Isis, eppure migliaia di giovani lo raggiungono. Perché? Perché attraverso molte moschee si fa propaganda per convincere i cuori che quello dell’Isis sarebbe il vero islam».
È solo seguendo regole precise che l’integrazione potrà avere successo. Ma cosa significa questa parola che viene così spesso abusata nel discorso pubblico? Il docente gesuita ha un’idea molto chiara: «Chi arriva in Italia deve vivere da italiano. Quando un immigrato impara e assimila la cultura italiana, avrà una marcia in più perché disporrà anche della propria cultura di origine. Ne avrà due e questo è un vantaggio rispetto agli abitanti indigeni».
L’integrazione allora non è una diminuzione: «Chi arriva in Italia deve comportarsi da italiano, ma potrà accrescere la nuova cultura con elementi della sua, sempre che non siano in opposizione ovviamente. Questa è l’integrazione vera: un arricchimento».
http://www.iltimone.org/34623,News.html
Distruzione di un vero ospedale in Siria. A qualcuno interessa vedere un video?
Continuano a dilagare su Tv e giornali le accuse a senso unico contro l’aviazione siriana e russa che avrebbero distrutto l’ospedale Al Quds ad Aleppo con molti morti fra i quali “l’ultimo pediatra rimasto”. Come al solito non si dà spazio a ipotesi diverse e alle smentite secche da parte dei “colpevoli”. Né si sa ancora se l’ospedale fosse nascosto e non segnalato (come nel caso di febbraio).
Riportiamo a tal riguardo una testimonianza proveniente da Aleppo; è di Nabil Antaki, medico, dei Fratelli Maristi, intervistato telefonicamente, il 1 maggio 2016, dalla giornalista Silvia Cattori.
“Da tre giorni i media accusano il «regime di Assad» di aver bombardato e distrutto un ospedale sostenuto da Medici senza frontiere. Non c’è mai stato un ospedale di MSF ad Aleppo, nell’Est di Aleppo, dove avrebbe operato “l’ultimo pediatra rimasto in città”. Eppure abbiamo ancora molti pediatri qui in città. L’ospedale Al Quds menzionato non è sulla lista degli ospedali siriani realizzata prima della guerra dal ministero della Salute. Dunque, se esiste, è venuto dopo.
Questo mostra bene che, per i media, conta solo questa sacca occupata dai ribelli, e che i tre quarti della città amministrati dallo Stato siriano, dove ci sono ancora diversi pediatri, non contano. Per quanto riguarda gli ultimi avvenimenti, constato che i media main stream continuano a mentire per omissione. Fin dall’inizio della guerra ad Aleppo, 4 anni fa, non riferiscono i fatti nel loro insieme.
“Qui ad Aleppo siamo disgustati dalla loro mancanza di imparzialità e oggettività. Parlano solo delle sofferenze e delle perdite di vite umane nella zona Est della città, controllata da Al Nusra, un gruppo terrorista affiliato ad Al Qaeda, che si continua a definire «ribelle», un modo per rendersi rispettabile. E restano muti sulle perdite e le sofferenze sopportate quotidianamente nei nostri quartieri occidentali, a causa dei tiri di mortaio da parte dei terroristi. E non parlano dell’embargo e delle interruzioni totali di acqua ed elettricità che i terroristici ci infliggono.
“Non hanno detto nulla dei bombardamenti continui e delle carneficine che si verificano da una settimana nella parte Ovest della città dove nessun quartiere è stato risparmiato e dove ogni giorno ci sono decine di morti. Queste omissioni sono tanto più rivoltanti se si considera che questi quartieri rappresentano il 75% della superficie di Aleppo e contano 1,5 milioni di abitanti, contro i 300.000 nella parte occupata dai terroristi.
“Quest’informazione monca fa credere che i gruppi terroristi che ci attaccano siano le vittime. Peggio ancora, i media hanno sviato il nostro appello «Salvare Aleppo» lasciando credere che esso esigesse la fine delle ostilità da parte delle «forze di Assad». E’ falso. Del resto, non ci sono «forze di Assad»: ci sono le forze dell’esercito regolare siriano che difendono le Stato siriano.
“I media tradizionali avrebbero potuto almeno avere la decenza di parlare delle stragi provocate dai terroristi. E’ successo anche ieri, venerdì 29, quando uno dei loro tiri ha colpito una moschea all’ora della preghiera.”
Troverà spazio questa testimonianza sui media main stream? Crediamo di no. Come nessuno spazio ha trovato la distruzione dell’ospedale di Aleppo “Al Kindi”, il più grande Centro oncologico del Medio Oriente, fatto saltare in aria dai “ribelli” con due camion bomba. Nessuna notizia, nonostante questo video prodotto proprio dai “ribelli” che riprende l’attentato.
Redazione di Sibialiria
(questo articolo viene pubblicato contemporaneamente su “L’Antiplomatico”)
Fra Ibrahim al-Sabbagh, parroco di Aleppo: "Durante la messa di ieri sono piovuti tanti missili. Perché nessuno lo scrive?".
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Esproprio ci vuole, nel supremo interesse della nazione austriaca, di cui quei preti non fanno parte, evidentemente. Speriamo che gli austriaci non si facciano intimidire d questi preti traditori delle radici cristiane d'europa, oltre che di NSGC !
RispondiEliminaIl suo commento mi fa pensare che l'esproprio bisognerebbe farlo direttamente in Vaticano!
EliminaGrazie di aver inserito la foto dell'episcopo che ha una splendida faccia LGBT e forse proprio per questo si oppone al muro. Non v'è dubbio che sia uno dei tanti "consacrati" (si fa per dire...) alla moda montinian-bugnina, ovvero forse neanche consacrato validamente..
RispondiEliminaPer quanto riguarda i ratti inviati da Usraele in Siria,barbuti decapitatori e torturatori, c'è da augurarsi che vengano definitivamente eliminati con ogni mezzo come si conviene con i ratti che infestano il mondo. Peccato sia più difficile eliminare i foraggiatori. Ma chissà, Il Signore che non paga mai di sabato ma quando decide Lui,forse ha in serbo per il popolo siriano e tutti noi che amiamo la verità, delle punizioni esemplari ed indimenticabili per quegli asserviti a Satana ! Basta solo avere lo stesso sangue freddo e pazienza di Putin e della Russia che giustamente lo segue ed approva.