Ex oriente lux
Ho seguito con grande interesse il viaggio del Presidente
Putin in Grecia e sull’Athos. Una scelta di certo non usuale per un capo di
stato, specialmente in quest’epoca nella quale si fa a gara nell’esibire il
proprio ateismo o la propria indifferenza religiosa. Putin ha inteso celebrare
ufficialmente i 1000 anni di monachesimo russo, ma questa è la seconda volta in
cui visita l’isola della Vergine. Putin ha fatto richiesta ufficiale, come ogni
altro pellegrino, alla Chiesa Ellenica e al Patriarcato di Costantinopoli. E’
arrivato a Karyés accompagnato dal suono delle campane, un onore mai tributato
ad un capo di stato.
Qui è stato accolto dagli igoumeni dei monasteri
dell’Athos nel Protàton, il primo complesso dell’Athos che ospita la chiesa
dedicata alla dormizione della Vergine. I monaci hanno riservato a Putin il
“trono” ossia il baldacchino sotto il quale si accomodano – sempre in piedi – i
vescovi e un tempo gli imperatori, in un tripudio di inni (dal Xristòs Anésti
all’Ipermàxo stratigò) e quando il presidente russo è sceso dal trono per
pronunciare il suo messaggio di saluto, i monaci gli hanno prontamente indicato
di tornare sui suoi passi e pronunciarlo dal trono (Putin si è fermato sul
primo gradino, evidentemente imbarazzato da tanto onore). Di nuovo scampanii,
auguri di salute e protezione divina, omaggi… L’omaggio ufficiale degli
athoniti è consistito in una icona del “Cristo in trono”, anche questo un onore
riservato solo ai vescovi. Il presidente greco Paulopoulos ha rimarcato nel suo
messaggio, con un atteggiamento di fraterno paternalismo, che “uno statista
prima di prendere decisioni gravi per il suo popolo e la sua nazione ha bisogno
di trovare conforto spirituale in questi luoghi”, mostrando di comprendere la
straordinarietà dell’evento.
Insomma, sappiamo bene che per molti russi ortodossi, e non
solo russi, Putin è l’incarnazione del katechon di paolina memoria. Tant’è che
c’è persino un think tank ortodosso chiamato non a caso “katehon“. C’è tuttavia un significato accessorio
in questo viaggio. Molti monaci dell’Athos hanno ufficialmente chiesto al
Patriarca Kirill di non partecipare al sinodo panortodosso fissato per il mese
prossimo a Creta. Questo sinodo, il primo dopo lo scisma del 1054, indetto dal
Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, si preannuncia infuocato: dietro
suggerimento del teologo uniate Zizioulas, spesso presente in Vaticano, si sono
poste infatti almeno due questioni che stanno suscitando indignazione e grandi
contrasti nell’Ortodossia. Da un lato la proposta di riconoscere come “chiesa”
la Chiesa Cattolica avviando un processo di unione col cattolicesimo.
Dall’altro quella di riformare l’autocefalia delle chiese ortodosse in chiave
sinodale. Alcuni teologi ortodossi fanno notare che i due punti sono
strettamente collegati: è come se Bartolomeo volesse imitare la sinodalità
bergogliana (democrazia ecclesiale a parole, autoritarismo autoreferenziale nei
fatti) per sdoganare non solo l’unione con la chiesa cattolica (il cui declino
morale e la cui deriva teologica è ormai del tutto evidente) ma anche
successive riforme e “aggiornamenti” che bollono in pentola da anni. Bartolomeo
prepara, in poche parole, il Vaticano II dell’Ortodossia. E già ci sono i primi
Lefebvre ortodossi, quattro metropoliti greci che hanno annunciato in serie le
loro “dimissioni” dalla delegazione sinodale. E il sinodo funziona esattamente
come il Concilio: le dichiarazioni sono state già scritte. In particolare
quella più problematica: “Relazioni fra la Chiesa Ortodossa e il resto del
mondo cristiano”. Commenta, infatti, il metropolita di Naupatto, Ierotheos in un suo recente articolo:
“sia riguardo alla decisione di indire il Santo e Grande sinodo, presa nel
marzo 2014, sia riguardo ai testi sottoscritti a gennaio 2016 non è stato
chiesto il parere della gerarchia della Chiesa Greca, ed entrambe le
scelte non sono state discusse dalla nostra gerarchia. Stessa cosa dicasi per
le dichiarazioni che saranno rese note al termine del Sinodo. Quindi
quello che si terrà a breve non potrà essere chiamato Santo e Grande Sinodo.” L’assenza
di una autorità suprema nelle chiese ortodosse se infatti da un lato è vista
come un vulnus decisionale, dall’alto è invece garanzia di preservazione
dell’ortodossia stessa. Il sinodo panortodosso, aggirando l’autentica
sinodalità delle chiese autocefale, esprimerà al massimo i pareri di un circolo
ristretto di rappresentanti delle stesse, sotto la guida di Bartolomeo di
Costantinopoli. Possiamo dire che il “metodo” usato durante il Vaticano II ha
fatto scuola!
In tutto questo v’è la sensazione che la storia della Chiesa
e quella delle Nazioni procedano su binari paralleli. La decadenza morale
(concetto sul quale spesso hanno indugiato i monaci athoniti nei loro discorsi
rivolti a Putin) delle Nazioni va di pari passo con la disgregazione di ordine e
certezze, di rigore e obiettivi spirituali all’interno della Chiesa. Di quella
Cattolica così come di quella Ortodossa. Anni fa, quando mi occupai dei
dialoghi dell’imperatore Manuele Paleologo ebbi modo di evidenziare come le
dinamiche della teologia della storia fossero tipiche del pensiero bizantino:
la duplice natura dell’imperatore, quella dello statista e quella del garante
del regno di Cristo sulla terra, permane nello spirito dell’ortodossia;
nonostante le molteplici obiezioni razionaliste che possono essere elevate
contro questa visione, dovremmo a mio avviso leggerci semplicemente un
messaggio di saggezza cristiana: i governanti delle Nazioni agiscono –
indipendentemente dal loro credo e dalle loro responsabilità etiche – in una
storia che è sì “civile” ma è anche “cristiana”, ossia indirizzata verso un
futuro di cui noi cristiani conosciamo alcuni punti fermi. Una storia non
ciclica, ma con un inizio ed una fine. Pertanto se volessimo interpretare la
visita di Putin sull’Athos dovremmo partire dalla convergenza di due
simbolismi: da un lato il simbolismo del presidente russo che cerca rifugio
spirituale sull’Athos, ponendosi letteralmente sotto il manto della Vergine,
dall’altro quello dei monaci contemplativi che lo colmano di onori quasi a porlo
nella condizione di assumere un ruolo codificato nella storia sacra (e al
momento implicito) dinanzi ad eventi futuri. In entrambi (Putin e monaci)
traspare la percezione di grandi e tragiche sfide future. Ed è oltremodo
disarmante che questo istante di eternità nell’orologio della storia
coincida con la retorica farsesca dell’incontro giapponese dei “potenti della
terra” la cui immagine più memorabile è quella in cui usano maldestramente una
vanga (braccia sottratte alla vanga…) o con i soliti deliri pro-immigrati del
vescovo di Roma che mostra a dei bambini un giubbotto di salvataggio di un
“migrante” morto in mare. Per tornare alla famosa lettura dei tempi ultimi
fatta da Cacciari, da un lato abbiamo lo spirito catecontico che è prometeico
ossia consapevole del proprio ruolo, di quel che sta accadendo e di quel che
potrà accadere; uno spirito che pone argini contro il caos. Dall’altro lo
spirito dell’accelerazione finale che è epimeteico, ossia manca di
consapevolezza ed è guidato esclusivamente da una forma estrema di entropia
morale e logica.
Sta a noi comprendere chi incarna oggi la dimensione
spirituale dell’argine, e pregare intensamente per la conversione di chi
agevola il fiume in piena del disordine finale.
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