ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 14 giugno 2016

Correggere Dio stesso..

Mons. Fernandez a tutto campo: Amoris laetitia, la decentralizzazione, la curia e il papato

fernandezAmoris laetitia, la sinodalità, la curia, questi sono alcuni degli argomenti affrontati in una intervista concessa da Mons. Victor Manuel Fernandez al giornalista Andrea Tornielli. Fernandez è rettore della Università Cattolica di Buenos Aires e, secondo molti, gosthwriter di Papa Francesco.
Evidenziamo alcune parole del teologo argentino perchè possono aiutare a comprendere quali sono le principali linee di riforma della Chiesa che il Papa potrebbe mettere in campo.
LA DECENTRALIZZAZIONE DELLA CHIESA
“…sulle questioni pastorali [di Amoris laetitia] si delega ampiamente la riflessione alle Chiese locali a ai vescovi. Così continua ad andare avanti una certa decentralizzazione. Non si dice da Roma: “questa dev’essere la pastorale familiare”. Si dice: “Ogni diocesi troverà i suoi cammini pastorali”
IL DISCERNIMENTO PER APRIRE NUOVE PORTE ALLA TEOLOGIA MORALE
“È molto importante per aprire nuove porte sia alla teologia morale che alla pastorale, che diventano più misericordiose, più trasformate dal primato della carità e più vicine alla realtà concreta delle persone. Poi, il Papa non ha voluto sviluppare di più la questione della comunione ai divorziati risposati perché voleva che fosse soltanto un piccolo accenno che aprisse una porta pastorale”
IL TEMPO E’ SUPERIORE ALLO SPAZIO: PASSO AVANTI RISPETTO A FAMILIARIS CONSORTIO
«Certo che c’è un passo in avanti molto importante dopo Familiaris Consortio. Ma è meglio permettere che i vescovi, in dialogo col Papa, riflettano su questo tema. Per la Chiesa intera i temi principali sono altri. Il tempo metterà le cose al suo posto, e cosi lo capisce il Papa: “il tempo è superiore allo spazio”. Alcuni cambiamenti fanno troppo rumore ma poi tutto si sistema»
NUOVE COMPETENZE, ANCHE DOTTRINALI, ALLE CONFERENZE EPISCOPALI
«Presto verrà pubblicato un lavoro contenente vari contributi. Partendo da un profondo spirito di comunione con il Papa, i teologi hanno tentato di accogliere la sua proposta di riforma della Chiesa, il suo invito a pensare in uno stile più sinodale, e pure quello che ci ha chiesto nella Evangelii Gaudium – che non sembra essere stato ascoltato – di dare più competenze alle Conferenze episcopali, tra cui qualche autorità dottrinale. I progressi sono molto lenti, non perché il Papa non li abbia incoraggiati ma perché come teologi e pastori non osiamo reagire con generosa creatività».
IL PAPA E LA DIOCESI DI ROMA
«…nessuno può essere supremo pastore di tutta la Chiesa, se non è di fatto il pastore di una Chiesa locale. Questa considerazione è fondamentale, e viene teologicamente prima del fatto che la Chiesa locale sia quella di Roma, anche se le due cose non si possono separare. La realtà è che, fin dall’inizio, la Chiesa locale del Papa è l’ultima diocesi retta da san Pietro, cioè quella di Roma. Quale sia la qualificazione teologica della necessità che la diocesi del Papa debba essere quella di Roma, non saprei dirlo. (…) Quello che intendo porre in evidenza è il nucleo del problema: il Papa dev’essere vescovo, padre e pastore, di una Chiesa locale e, come tale, riceve la missione di pastore supremo della Chiesa intera.»
LE STRUTTURE DELLA CURIA POSSONO ESSERE “MINIMALI” E COLLOCATE FUORI ROMA
«Le strutture della Curia non sono una parte essenziale della sua missione. Sono solamente un aiuto “per l’esercizio” del suo ministero, che può essere strutturato in modi molto diversi nel corso della storia. E nulla toglie che queste strutture possano essere minimali. Un’altra cosa è il collegio dei cardinali, che in un senso molto speciale appartengono alla diocesi di Roma. (…)
È possibile che alcuni uffici della Curia possano essere collocati fuori Roma?   «Credo che sia possibile sostenerlo, ma posso sbagliare. Ad esempio, il Pontificio Consiglio per la Cultura, oppure la Pontificia Accademia della vita, o la Congregazione per le cause dei Santi, potrebbero essere altrove nel mondo. Con il crescente progresso delle comunicazioni ciò non ostacolerebbe l’attività del Papa. Di fatto, ci sono cardinali della Curia romana che viaggiano frequentemente in varie parti del mondo, ed è anche un fatto che ci siano cardinali che assistono il Papa da lontano, senza che sia necessario che abitino nella città di Roma. Questa possibilità potrebbe essere discussa senza difficoltà e forse, in alcuni casi, aiuterebbe a vivere quella sana decentralizzazione che chiede Evangelii gaudium». 
Recentemente il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Gherard L. Muller, in una intervista concessa all’ “Herder Korrespondenz” ha rilasciato questa dichiarazione:
“L’insegnamento sul papato come istituzione divina non può essere relativizzato da nessuno, perché questo vorrebbe dire voler correggere Dio stesso. […] Qualche tempo fa c’è stato chi è presentato da certi media di parte come uno dei più stretti consiglieri del papa, secondo il quale si può benissimo spostare la sede del papa a Medellin o sparpagliare gli uffici di curia in differenti Chiese locali. Ciò è fondamentalmente sbagliato e anche eretico [sogar häretisch]. In questa materia, basta leggere la costituzione dogmatica ‘Lumen gentium’ del Concilio Vaticano II per riconoscere l’assurdità ecclesiologica di questi giochi mentali. La sede del papa è la Chiesa di san Pietro in Roma”.
Riportando la notizia il vaticanista Sandro Magister aveva annotato che «non è difficile indovinare chi è colui che Müller prende di mira. È l’arcivescovo Víctor Manuel Fernández, rettore della Universidad Católica Argentina di Buenos Aires e confidente di lunga data di Jorge Mario Bergoglio, nonché, effettivamente, suo teologo di fiducia e principale estensore dei suoi maggiori documenti, dalla “Evangelii gaudium” alla “Amoris laetitia”»
Pubblicato il  in sinodo2015.
http://sinodo2015.lanuovabq.it/mons-fernandez-a-tutto-campo-amoris-laetitia-la-decentralizzazione-la-curia-e-il-papato/

I PASTORI SMARRITI (di Maria Antonietta Novara Biagini)

Le pecore erano sconcertate. Da un po’ di tempo i pastori si comportavano in maniera strana. C’era stato un pastore che aveva aperto l’ovile ai lupi e la cosa era finita in una strage di agnelli e pecore. C’era quello che aveva detto alle pecore: fate quello che volete, autogestitevi, e le pecore, non più accudite, avevano ridotto l’ovile a un porcile. In un ovile si proiettavano immagini di animali feroci come le tigri, e alle pecore andava a male il latte. Pastori particolarmente progressisti avevano aperto ovili riservati a sole pecore o a soli montoni e gli armenti omosex non avevano potuto procreare, così che quegli armenti si erano estinti.
Ma le notizie correvano di ovile in ovile, e quando giungeva notizia di un pastore rimasto pastore, piccoli gruppi di pecore ardimentose fuggivano dai loro ovili, e affrontavano da sole lunghe e rischiose transumanze per tornare a unirsi finalmente ad un buon pastore, uno dei pochissimi rimasti che amavano davvero le pecore e non si dilettavano di esperimenti sulla pelle degli armenti loro affidati.


Maria Antonietta Novara Biagini

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