Adoro Te devote
…eundem Deum praesentem in eo adesse credimus…
Non rimane alcun motivo di dubitare – afferma il Concilio di Trento nel Decreto sulla Santissima Eucaristia (11 ottobre 1551) – che tutti i fedeli riservino a questo Sacramento il culto di latria, che è dovuto a Dio, secondo l’uso sempre accolto nella Chiesa Cattolica. Il fatto che sia stato istituito da Cristo per essere assunto non è una ragione per cui non debba essere adorato, come erroneamente sostenuto dai protestanti, che a torto ne condannavano il culto come una forma di idolatria.
In esso, infatti, noi crediamo presente quello stesso Dio che il Padre volle adorato dagli angeli e davanti al quale si prostrarono i Magi a Betlemme e gli Apostoli in Galilea (cf. Eb 1,6; Mt 2,11; 28,17). In esso è altresì resa presente la vittoria della Sua morte redentrice, per la quale è giustissimo mostrare pubblicamente, nel modo più solenne possibile, la profonda gratitudine di tutti i Cristiani mediante le processioni e benedizioni eucaristiche. Di fronte a così grande letizia e splendore, gli avversari di questa verità, vittoriosa sull’eresia e sulla menzogna, non potranno che rodersi abbattuti o rinsavire per la vergogna e la confusione. Chiunque si opponesse al pubblico culto di latria nei confronti del Santissimo Sacramento è peraltro scomunicato (cf. DS 1643-1644; 1656).
Vien da chiedersi se quei chierici (di ogni ordine e grado) che si rifiutano di inginocchiarsi dinanzi al Sacramento o impediscono ai fedeli di adorarlo e di riceverlo in ginocchio non ricadano nella fattispecie così severamente sanzionata dal Concilio tridentino, i cui decreti sono sempre in vigore. Tale domanda, almeno per ora, è destinata a rimanere senza risposta, anche perché sembra piuttosto improbabile, nell’attuale temperie ecclesiale, che l’autorità competente intervenga in questo genere di problemi. Da quando Paolo VI lanciò il nuovo umanesimo dichiarando che «anche noi, anzi noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo» (Discorso di chiusura del concilio Vaticano II, 7 dicembre 1965), il culto dovuto a Dio è paurosamente arretrato a favore di un’attenzione ossessiva all’essere umano, al quale non si rammentano più peccati, difetti e debolezze, ma si concede sistematicamente l’oggetto di qualsiasi pretesa o capriccio. È noto che un procedimento del genere, in ambito educativo, è la via più rapida per crescere bambini viziati, dispotici e incontrollabili. Con gli adulti, in teoria, si dovrebbe poter ragionare, ma un povero prete che, per rispetto verso il Signore, si rifiuti di porgere la Comunione sulla mano o di amministrarla a persone in stato di peccato mortale pubblico e conclamato rischia di essere subito denunciato al vescovo e di venire da lui redarguito…
Come afferma un altro Paolo, l’Apostolo, i fatti e le vicende dell’Antico Testamento mantengono un’intatta valenza didattica in quanto esempi per noi (cf. 1 Cor 10, 6). Nel Primo Libro di Samuele si legge che il sacerdote Eli, addetto al santuario di Silo, nel quale si custodiva l’Arca dell’Alleanza, aveva più riguardo dei propri figli che dell’eccelsa santità di Dio; per questo, anziché correggerli efficacemente, lasciava che essi profanassero sistematicamente i sacrifici e angariassero i fedeli, finché non si avverarono le ripetute predizioni divine di sventura (cf. 1 Sam 2, 12-17.22-36; 3, 11-14; 4, 1-22). È un racconto molto istruttivo e dal significato inequivocabile, che vale la pena leggere per esteso e meditare con calma: con le cose sante non si scherza. Dio perdona qualsiasi peccato al peccatore sinceramente pentito e fermamente deciso a smettere, ma non tollera che si abusi della Sua misericordia, specie se si tratta dell’onore a Lui dovuto. È pur vero che tutta l’opera di salvezza, compresa l’economia sacramentale, è stata realizzata propter nos homines et propter nostram salutem, come recita il Credo niceno-costantinopolitano; ma questa non è una ragione che autorizzi profanazioni e sacrilegi.
Tutto è per noi, ma noi siamo fatti per Dio. «Tutto è vostro; ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 3, 22-23). Se perdiamo di vista il primato divino e la nostra destinazione celeste, la religione si riduce ad assistenza sociale, la santa Messa a intrattenimento, la vocazione cristiana a mera ricerca di benessere psico-fisico. Dare a Dio tutto l’onore che Gli è dovuto è quindi non solo giusto e doveroso, ma anche necessario alla nostra salvezza eterna. Al sacramento che racchiude l’intero mistero della nostra salvezza, in particolare, la Chiesa Cattolica ha sempre cercato di rendere tutto l’onore possibile, non solo nei suoi riti, ma anche nelle suppellettili e nell’arte liturgica. Il Poverello d’Assisi raccomandava ai suoi frati, che secondo la Regola vivevano senza nulla di proprio, di usare i vasi sacri e i paramenti più belli e preziosi per la celebrazione della santa Messa. Pochi decenni più tardi, il miracolo eucaristico di Bolsena (1263) spingerà il papa Urbano IV, l’anno seguente, ad estendere alla Chiesa universale la festa del Corpus Domini, per la quale san Tommaso d’Aquino comporrà testi sublimi per afflato poetico e profondità teologica, che grandi compositori dei secoli successivi si incaricheranno di mettere in musica. L’arte orafa realizzerà capolavori insuperabili in pissidi e calici, ora per lo più sottratti, purtroppo, al loro utilizzo proprio e rinchiusi nei musei diocesani.
Proprio i miracoli eucaristici caratterizzano anche la nostra epoca così povera di fede: basti citare i prodigi ripetutisi a Buenos Aires a partire dal 1992, quello avvenuto a Ostina (Firenze) nel 2003 e quelli verificatisi in Polonia nel 2008 (a Sokolka) e nel 2013 (a Legnica): ostie consacrate che si trasformano in sangue o in muscolo cardiaco. Un tessuto miocardico vivente ma in stato di agonia, ossia il Cuore stesso di Gesù nell’atto della Sua immolazione redentrice… Come potrebbe il Cielo essere più esplicito nel ricordarci quello che crediamo, sollevando il velo delle apparenze sensibili per metterci sotto gli occhi la realtà che nascondono? E che cosa ci sta chiedendo in modo così insistente, se non che smettiamo di offendere il nostro Salvatore nel sacramento che Lo rende presente e ne perpetua il Sacrificio?… Se non che ci buttiamo in ginocchio davanti al mistero della Sua maestà sublime e della Sua carità infinita?… Se non che ci decidiamo a vivere, sostenuti dai torrenti di grazia che scaturiscono dall’Eucaristia, secondo il Suo insegnamento, per la nostra stessa salvezza e per la Sua maggior gloria? Che cosa aspettiamo a riconoscere tutti, dai primi agli ultimi, come dobbiamo rispondere a questo impensabile amore e tributargli, anche pubblicamente, l’onore che merita? Chi potrà mai riparare le innumerevoli comunioni sacrileghe, se non schiere di martiri e confessori della fede? Sarà un caso che non ce ne siano mai stati tanti?
http://www.civiltacristiana.com/adoro-te-devote/
Non rimane alcun motivo di dubitare – afferma il Concilio di Trento nel Decreto sulla Santissima Eucaristia (11 ottobre 1551) – che tutti i fedeli riservino a questo Sacramento il culto di latria, che è dovuto a Dio, secondo l’uso sempre accolto nella Chiesa Cattolica. Il fatto che sia stato istituito da Cristo per essere assunto non è una ragione per cui non debba essere adorato, come erroneamente sostenuto dai protestanti, che a torto ne condannavano il culto come una forma di idolatria.
In esso, infatti, noi crediamo presente quello stesso Dio che il Padre volle adorato dagli angeli e davanti al quale si prostrarono i Magi a Betlemme e gli Apostoli in Galilea (cf. Eb 1,6; Mt 2,11; 28,17). In esso è altresì resa presente la vittoria della Sua morte redentrice, per la quale è giustissimo mostrare pubblicamente, nel modo più solenne possibile, la profonda gratitudine di tutti i Cristiani mediante le processioni e benedizioni eucaristiche. Di fronte a così grande letizia e splendore, gli avversari di questa verità, vittoriosa sull’eresia e sulla menzogna, non potranno che rodersi abbattuti o rinsavire per la vergogna e la confusione. Chiunque si opponesse al pubblico culto di latria nei confronti del Santissimo Sacramento è peraltro scomunicato (cf. DS 1643-1644; 1656).
Vien da chiedersi se quei chierici (di ogni ordine e grado) che si rifiutano di inginocchiarsi dinanzi al Sacramento o impediscono ai fedeli di adorarlo e di riceverlo in ginocchio non ricadano nella fattispecie così severamente sanzionata dal Concilio tridentino, i cui decreti sono sempre in vigore. Tale domanda, almeno per ora, è destinata a rimanere senza risposta, anche perché sembra piuttosto improbabile, nell’attuale temperie ecclesiale, che l’autorità competente intervenga in questo genere di problemi. Da quando Paolo VI lanciò il nuovo umanesimo dichiarando che «anche noi, anzi noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo» (Discorso di chiusura del concilio Vaticano II, 7 dicembre 1965), il culto dovuto a Dio è paurosamente arretrato a favore di un’attenzione ossessiva all’essere umano, al quale non si rammentano più peccati, difetti e debolezze, ma si concede sistematicamente l’oggetto di qualsiasi pretesa o capriccio. È noto che un procedimento del genere, in ambito educativo, è la via più rapida per crescere bambini viziati, dispotici e incontrollabili. Con gli adulti, in teoria, si dovrebbe poter ragionare, ma un povero prete che, per rispetto verso il Signore, si rifiuti di porgere la Comunione sulla mano o di amministrarla a persone in stato di peccato mortale pubblico e conclamato rischia di essere subito denunciato al vescovo e di venire da lui redarguito…
Come afferma un altro Paolo, l’Apostolo, i fatti e le vicende dell’Antico Testamento mantengono un’intatta valenza didattica in quanto esempi per noi (cf. 1 Cor 10, 6). Nel Primo Libro di Samuele si legge che il sacerdote Eli, addetto al santuario di Silo, nel quale si custodiva l’Arca dell’Alleanza, aveva più riguardo dei propri figli che dell’eccelsa santità di Dio; per questo, anziché correggerli efficacemente, lasciava che essi profanassero sistematicamente i sacrifici e angariassero i fedeli, finché non si avverarono le ripetute predizioni divine di sventura (cf. 1 Sam 2, 12-17.22-36; 3, 11-14; 4, 1-22). È un racconto molto istruttivo e dal significato inequivocabile, che vale la pena leggere per esteso e meditare con calma: con le cose sante non si scherza. Dio perdona qualsiasi peccato al peccatore sinceramente pentito e fermamente deciso a smettere, ma non tollera che si abusi della Sua misericordia, specie se si tratta dell’onore a Lui dovuto. È pur vero che tutta l’opera di salvezza, compresa l’economia sacramentale, è stata realizzata propter nos homines et propter nostram salutem, come recita il Credo niceno-costantinopolitano; ma questa non è una ragione che autorizzi profanazioni e sacrilegi.
Tutto è per noi, ma noi siamo fatti per Dio. «Tutto è vostro; ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1 Cor 3, 22-23). Se perdiamo di vista il primato divino e la nostra destinazione celeste, la religione si riduce ad assistenza sociale, la santa Messa a intrattenimento, la vocazione cristiana a mera ricerca di benessere psico-fisico. Dare a Dio tutto l’onore che Gli è dovuto è quindi non solo giusto e doveroso, ma anche necessario alla nostra salvezza eterna. Al sacramento che racchiude l’intero mistero della nostra salvezza, in particolare, la Chiesa Cattolica ha sempre cercato di rendere tutto l’onore possibile, non solo nei suoi riti, ma anche nelle suppellettili e nell’arte liturgica. Il Poverello d’Assisi raccomandava ai suoi frati, che secondo la Regola vivevano senza nulla di proprio, di usare i vasi sacri e i paramenti più belli e preziosi per la celebrazione della santa Messa. Pochi decenni più tardi, il miracolo eucaristico di Bolsena (1263) spingerà il papa Urbano IV, l’anno seguente, ad estendere alla Chiesa universale la festa del Corpus Domini, per la quale san Tommaso d’Aquino comporrà testi sublimi per afflato poetico e profondità teologica, che grandi compositori dei secoli successivi si incaricheranno di mettere in musica. L’arte orafa realizzerà capolavori insuperabili in pissidi e calici, ora per lo più sottratti, purtroppo, al loro utilizzo proprio e rinchiusi nei musei diocesani.
Proprio i miracoli eucaristici caratterizzano anche la nostra epoca così povera di fede: basti citare i prodigi ripetutisi a Buenos Aires a partire dal 1992, quello avvenuto a Ostina (Firenze) nel 2003 e quelli verificatisi in Polonia nel 2008 (a Sokolka) e nel 2013 (a Legnica): ostie consacrate che si trasformano in sangue o in muscolo cardiaco. Un tessuto miocardico vivente ma in stato di agonia, ossia il Cuore stesso di Gesù nell’atto della Sua immolazione redentrice… Come potrebbe il Cielo essere più esplicito nel ricordarci quello che crediamo, sollevando il velo delle apparenze sensibili per metterci sotto gli occhi la realtà che nascondono? E che cosa ci sta chiedendo in modo così insistente, se non che smettiamo di offendere il nostro Salvatore nel sacramento che Lo rende presente e ne perpetua il Sacrificio?… Se non che ci buttiamo in ginocchio davanti al mistero della Sua maestà sublime e della Sua carità infinita?… Se non che ci decidiamo a vivere, sostenuti dai torrenti di grazia che scaturiscono dall’Eucaristia, secondo il Suo insegnamento, per la nostra stessa salvezza e per la Sua maggior gloria? Che cosa aspettiamo a riconoscere tutti, dai primi agli ultimi, come dobbiamo rispondere a questo impensabile amore e tributargli, anche pubblicamente, l’onore che merita? Chi potrà mai riparare le innumerevoli comunioni sacrileghe, se non schiere di martiri e confessori della fede? Sarà un caso che non ce ne siano mai stati tanti?
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