ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 20 giugno 2016

Gli manca proprio qualcosa*

Il vescovo di Erbil: “E’ un genocidio, non si aspettino vent’anni per dirlo”

Matteo Matzuzzi, su Il Foglio
Dopo Mosul, potrebbe toccare a Erbil, da più di un anno ancora di salvezza per le minoranze cacciate dalla piana di Ninive dalle milizie del Califatto islamico di Abu Bakr al Baghdadi. L’allarme l’ha dato il vescovo della città curda, Bashar Warda, in viaggio negli Stati Uniti per testimoniare quanto sta accadendo sul terreno, in Iraq. “E’ possibile” che la prossima preda dei jihadisti sia Erbil, ha osservato il presule, “anche se la coalizione, guidata dagli americani, ha fermato l’avanzata del Daesh”. Questo, ha aggiunto parlando a Indianapolis, “ha trasmesso qualche senso di sicurezza alla popolazione, ma Daesh è solo a quaranta chilometri da Erbil. Non è lontano. Tutto può succedere”. Warda, che lo scorso inverno aveva invocato un’azione militare (“non c’è altra scelta, ora”), ha raccontato le storie dei profughi, gente che “terrorizzata che ha camminato otto o dieci ore durante la notte” per cercare di scampare dalla persecuzione.
“Alla fine, ringraziano Dio per averli fatti sopravvivere”, ha chiosato il vescovo caldeo di Erbil, che ha ammesso di domandarsi (a volte) “cosa stia facendo Dio quando guardo ciò che accade nella nostra regione. Litigo con lui ogni giorno, ma con l’aiuto della grazia, resisto a sfide alla mia fede che mai avrei immaginato”.
“Daesh è il male. Il modo in cui massacrano, il modo in cui stuprano, il modo in cui trattano gli altri è brutale. La loro teologia è quella di massacrare la gente”. E, come aveva fatto padre Douglas al Bazi, parroco iracheno intervenuto domenica scorsa al Meeting di Rimini, mons. Warda ha invitato a usare la terminologia corretta, che è quella di genocidio: “E’ un genocidio. Ci sono tutti gli elementi, gli eventi, le storie e le esperienze che soddisfano la definizione di genocidio”. Solo usando la giusta definizione “queste esperienze non saranno dimenticate, i sacrifici di questa gente non saranno dimenticati. Non si aspettino altri vent’anni per guardarsi indietro e dire ‘mi dispiace se non abbiamo fatto qualcosa di veramente decisivo”.
Matteo Carletti19 giugno 2016

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“Non mi piace quando si parla di genocidio di cristiani”

Papa Francesco in visita a Villa Nazareth a Roma: usare questa espressione è «riduzionismo», invece si tratta di «persecuzione, di martirio». «Tante volte mi trovo in crisi con la fede, a volte ho avuto» l'audacia di «rimproverare Gesù e anche di dubitare», ma a «un cristiano che non ha sentito questo alcune volte manca qualcosa»
ROMA


Per papa Francesco è un'espressione riduttiva, che focalizza la questione da un punto di vista solo sociologico e sminuisce una realtà articolata, complessa e drammatica. A Villa Nazareth, oggi pomeriggio, il Pontefice afferma che a lui non piace l'uso della definizione «genocidio» applicata alla situazione dei cristiani in Medio Oriente. In realtà, lì è in atto una persecuzione, un martirio, e dunque si deve parlare di sacrificio della vita per ragioni di fede.

Villa Nazareth, nella zona della Pineta Sacchetti, Roma, è stata creata nel 1946 dall’allora monsignor Domenico Tardini, poi cardinale, per accogliere orfani e figli di famiglie numerose e povere al fine di valorizzare la loro formazione al servizio della società. Presidente della Fondazione è il cardinale Achille Silvestrini, da giovane prete già collaboratore di Tardini. Ad accompagnare il Papa nella visita odierna il vicepresidente l'arcivescovo monsignor Claudio Maria Celli.

Dopo i saluti iniziali, nella cappella si riuniscono gli studenti del collegio universitario di Villa Nazareth di oggi, laici, preti: si ascolta il brano del Vangelo del Buon Samaritano. Il Vescovo di Roma mette poi in evidenza la figura dell’albergatore che accoglie il samaritano: «Avrà pensato che è un pazzo, che usa i suoi soldi, che cura le ferite». Invece è un «peccatore che ha compassione». «Ecco cosa fa la testimonianza - sottolinea Francesco - Ha seminato inquietudine il samaritano nel cuore dell’albergatore. E questo fa la testimonianza». «Sicuramente l'albergatore è in Cielo. Quel seme ha germogliato»: papa Francesco conclude con questa affermazione questa sua analisi della parabola evangelica. Nell'incontro con i giovani, il Papa ha ricostruito la parabola in un'ottica del tutto particolare, quella dell'albergatore, «un anonimo, perché di lui il Vangelo non ci dice neppure il nome». Eppure proprio quest'uomo «ha visto una cosa che mai avrebbe creduto di vedere: un samaritano che aiuta un ebreo. Lo raccoglie e con le proprie mani cura le sue ferite. Lo porta in albergo e promette al locandiere: “Io ti pagherò”. “Deve essere un pazzo. Mai visto questo”, avrà detto l'albergatore. Ma da quel “pazzo” ha ricevuto la Parola di Dio. E quando il samaritano è tornato a pagare il conto forse gli avrà detto: “lascia stare, ci penso io”». «Quelle parole dell'albergatore, “lascia, questo va per conto mio” sono state la prima risposta alla testimonianza del Samaritano, la testimonianza di un peccatore perché il Samaritano non era fedele al popolo di Dio, ma ha avuto compassione. Era un peccatore che ha compassione e ha sentito questo. Ma sulle prime l'albergatore non ci capiva niente. È rimasto col dubbio, la curiosità l'inquietudine dentro. La testimonianza ha seminato inquietudine nel cuore del locandiere. Non sappiamo cosa è successo dopo, ma sicuro lo Spirito Santo lo ha fatto crescere. E lui, l'albergatore anonimo ha lasciato crescere quel messaggio. La testimonianza passa e se ne va. La lasci lì e vai. E il Signore la fa crescere: è come la pianta che cresce anche mentre il padrone dorme».

«Che Dio ci liberi dai preti che vanno di fretta»
«Mi auguro questo - scandisce il Papa - anche per noi. E che il Signore ci liberi dai briganti (come quello che aveva derubato e ferito il passante, ndr). Ce ne sono tanti eh. Ma ci liberi anche dai sacerdoti che vanno sempre in fretta, come quello che non ebbe il tempo di fermarsi a soccorrere il ferito, magari doveva andare a chiudere la chiesa, c'è un orario da rispettare, non hanno tempo di ascoltare e vedere: devono fare le loro cose. E dai dottori della legge, come quello che non poté fermarsi, magari era un avvocato e non poteva rischiare di perdere un giorno di lavoro e forse di un giorno per andare a testimoniare in tribunale... Uno di quelli che vogliono presentare la fede di Gesù con rigidità matematica. Ci insegni a fermarci e ci insegni la saggezza del Vangelo. A sporcarci cioè le mani: il Signore ci dia questa grazia».

Dopo il Padre Nostro e la benedizione il Pontefice saluta il personale di servizio e si trasferisce nel campo sportivo, dove circa 1300 persone lo aspettano. Parlando senza leggere testi scritti, risponde a una serie di domande di studenti ed ex studenti della residenza universitaria su vari temi.

In Medio Oriente c'è persecuzione, non «genocidio»
Non gli piace, l'utilizzo dell'espressione «genocidio» per la situazione dei cristiani in Medio Oriente. Secondo il Papa si tratta di una definizione riduttiva, che focalizza la questione da un ottica sociologica e ciò riduce una realtà articolata e complessa a categorie di pura dinamica sociale. In realtà in Medio Oriente si tratta di persecuzione, «che porta i cristiani alla pienezza della loro fede», di martirio, e dunque di sacrificio della propria vita per ragioni di fede. «A me non piace - dichiara con tono severo - e voglio dirlo chiaramente, quando si parla di un genocidio dei cristiani in Medio Oriente. Questo è un riduzionismo». «Non facciamo riduzionismo sociologico di quello che è un mistero della fede, un martirio - avverte - Quei cristiani copti, sgozzati sulle spiagge della Libia. Tutti sono morti dicendo “Gesù, aiutami”. Io sono sicuro che la maggioranza di loro non sapeva neppure leggere ma erano dottori di coerenza cristiana, cioè erano testimoni di fede e la fede ci fa testimoniare tante cose difficili nella vita». «Non inganniamoci - ammonisce ancora Papa Bergoglio - il martirio cruento non è l'unico modo di testimoniare Gesù Cristo. Oggi ci sono più martiri che nei secoli passati, ma c'è il martirio di tutti i giorni: il martirio della pazienza, nell'educazione dei figli, nella fedeltà all'amore».

Il martirio quotidiano e dell'onestà
Francesco spazia la sua riflessione a diverse situazioni della vita quotidiana dove in modi diversi i cristiani vivono situazioni di martirio, di testimonianza della propria fede. Oltre al martirio massimo, quello del sangue, esiste pure quello di tutti i giorni, il «martirio dell'onestà in questo mondo che si può chiamare paradiso delle tangenti». Troppo spesso «manca il coraggio di buttare in faccia i soldi sporchi. È un mondo dove tanti genitori danno da mangiare ai figli il pane sporcato delle tangenti».

«Tante volte mi trovo in crisi con la fede»
A chi gli domanda se ha mai avuto una crisi di fede, Francesco dice - dopo avere definito ironicamente la domanda coraggiosa - «Tante volte mi trovo in crisi con la fede, a volte ho avuto» l'audacia di «rimproverare Gesù e anche di dubitare. Questo sarà la verità? Ma sarà un sogno?». Gli è successo «da ragazzo, da seminarista, da religioso, da prete, da vescovo e anche da Papa». Poi evidenzia: a «un cristiano che non ha sentito questo alcune volte», un cristiano a cui «la fede non è entrata in crisi, manca qualcosa». A tale proposito il Papa aggiunge: «Non conosco il cinese, con la lingua ho tanta difficoltà. Mi hanno detto che la parola crisi si fa con due ideogrammi: rischio e opportunità».

Ai giovani: no alle «mummie di museo» e alle vite «parcheggiate»
Ecco poi un appello ai ragazzi: «Rischia, altrimenti la tua vita lentamente sarà una vita paralitica, felice, contenta ma lì, parcheggiata». Per il Papa è «molto triste vedere vite parcheggiate. È molto triste vedere persone che sembrano più mummie di museo che essere viventi. Rischia! - esclama - Vai avanti!». «Sbaglierai di più se rimani fermo - insiste - Quello è lo sbaglio brutto. La chiusura. Rischia su ideali nobili, sporcandoti le mani. Come ha rischiato quel samaritano della parabola. La testimonianza credibile di Gesù Cristo che è vivo. Ci ha accompagnato nel dolore ma è vivo. Detto così sembra molto clericale. Io capisco quale testimonianza cercano i giovani: quella dello schiaffo». Spiega Francesco «Uno schiaffo ti sveglia dalle illusioni che ti fai con idee e promesse, illusioni del successo, avrò successo per quella strada. Lo specchio è di moda. Guardarsi. Quel narcisismo che ci offre la cultura di oggi. Quando non abbiamo testimonianza ma abbiamo bel lavoro, una famiglia e siamo uomini e donne parcheggiati nella vita. Che non camminano. Siamo i conformisti, seguaci di un'abitudine che ci lascia tranquilli, abbiamo il necessario non manca niente. Ma quando siamo tranquilli c'è sempre la tentazione della paralisi».

Meglio non sposarsi senza la consapevolezza del sacramento
«Meglio non sposarsi se non si sa cosa sia il sacramento», dice. Giovedì pomeriggio al Laterano, il Papa ha osservato, per la stessa ragione, che «oggi la maggior parte dei matrimoni non sono validi». Ma la versione ufficiale del discorso, rivista in Vaticano, riporta: «Una parte dei matrimoni», Francesco c'è tornato sopra: «Oggi - ha spiegato - molti non siamo liberi in questa cultura edonistica. Il sacramento del matrimonio si può celebrare soltanto nella libertà, se no non lo ricevi». «Una parte delle persone che si sposano non sa cosa fa - prosegue - C'è una cultura del provvisorio che penetra in noi, nei nostri valori e giudizi. E questo significa che il matrimonio dura finché l'amore dura, e poi finisce. La Chiesa deve lavorare molto su questo punto nella preparazione al matrimonio».

Poi Francesco confida la sua gioia quando alla messa di Santa Marta viene festeggiato il 50esimo o 60esimo di matrimonio di qualche coppia. «Sono felice di parlare con loro», dice rivelando di avere chiesto spesso agli sposi: «In tutti questi anni anni chi ha avuto più pazienza?». E di avere avuto frequentemente come risposta: «Tutti e due, abbiamo litigato quasi tutti i giorni. Ma pazienza, Padre noi siamo innamorati». «Dopo 60 anni - rileva Jorge Mario Bergoglio - questo è grande. Uno dei frutti del sacramento. Lo fa la grazia, magari possiamo capire questo». «Si litiga - riconosce - tutti lo sappiamo. Volano i piatti: è cosa di tutti i giorni. Ma non finire la giornata senza fare la pace. Ho paura della “guerra fredda” di tutti i giorni. Basta un gesto per chiedere scusa o perdonare. Non dimenticate di carezzarvi voi sposi. La carezza è uno dei linguaggi dell'amore, per dire: “Ti voglio tanto, ti amo. Anche col corpo. Sempre”. Le carezze: credo che con queste si potrà mantenere quella forza del sacramento. Anche il Signore carezza la Chiesa, la sua sposa».

L’economia uccide, l’industria delle armi è l’affare migliore
«La guerra è l'affare che in questo momento rende più soldi. Spesso la Croce Rossa non riesce a fare arrivare gli aiuti umanitari. Ma le armi arrivano sempre. Non c'è dogana che le fermi». Papa Francesco lo ripete nel dialogo con i giovani di Villa Nazareth. «Oggi - denuncia - c'e un'economia che uccide. Al centro non c'è l'uomo o la donna ma il Dio denaro e questo ci uccide. Una mattina puoi trovare un senzatetto morto di freddo in piazza Risorgimento e non è notizia. Ma se la Borsa di Tokio o New York calano di 2 o 3 punti è una grande tragedia internazionale. Siamo schiavi di un sistema che uccide».

Chiesa chiusa significa cuore chiuso, bisogna ritrovare il senso di accoglienza
«Se una chiesa ha la porta chiusa, vuol dire che quella comunità cristiana ha il cuore chiuso. Dobbiamo riprendere il senso dell’accoglienza». Di più: «L’accoglienza è una croce, ma una croce bella, perché ci ricorda quell'accoglienza che ha il buon Dio nei nostri confronti ogni volta che andiamo da lui».

Cristiani perfetti? «Guardate un pavone da dietro…»
«C'è chi si pavoneggia» credendo «di essere un cristiano perfetto. Il pavone è bello ma giratelo e guardatelo da dietro, anche quella è la verità del pavone». Lo suggerisce parlando dell'«ipocrisia della fede». «Tanti sono truccati da cristiani ma non sono cristiani». Poi il Papa racconta un esempio di ciò che può avvenire nelle chiese: «Tu non sei sposato in chiesa e non puoi fare il padrino. Tu invece sei un truffatore, uno sfruttatore, trafficante di bambini. “Ma è un bravo cattolico, dà l'elemosina alla Chiesa”. Sì, tu puoi essere padrino. Ma così noi abbiamo capovolto i valori».

«Ci salviamo tutti o nessuno»
Francesco termina citando le parole di San Paolo «O ci salviamo tutti o nessuno», che l'Apostolo pronuncia quando naufragando trova riparo a Malta.

Infine il Papa si scusa con i presenti per la lunghezza delle sue risposte di oggi: «Erano 7 domande e io ho fatto il sermone delle 7 parole che in Argentina durava 3 ore. Pregate per me. Questo lavoro non è facile».

«Sono siriana anch’io»

«Sono siriana anch’io»

Abbiamo intervistata una siriana di Aleppo. L’abbiamo ascoltata non in un momento qualunque.


Intervista a cura della redazione dell’Antidiplomatico
Abbiamo ascoltato Xxxxx, siriana di Aleppo (VEDI NOTA). L’abbiamo ascoltata non in un momento qualunque.
In questi giorni infatti oltre 50 diplomatici del Dipartimento di Stato Usa hanno deciso di preparare la strada alla guerresca Clinton-moglie, chiedendo urgentemente bombardamenti sull’esercito siriano così da proteggere i fantomatici ribelli moderati.
E in questi giorni varie organizzazioni siriane e inglesi hanno chiesto alla Mogherini che l’Europa aumenti le sanzioni “al regime siriano e ai suoi alleati e deferisca la Siria alla Corte penale internazionale, ripetendo che l’esercito siriano assedia città e quartieri e bombarda deliberatamente ospedali e scuole per uccidere indiscriminatamente i civili.
Sempre in questi giorni, la ministra italiana Pinotti stringe una lucrosa commessa di forniture belliche  con il suo omologo del Qatar. Lo stesso fanno tanti governi  con questa e altre petromonarchie; non c’è poi da stupirsi se trattiamo emiri sceicchi re e sultani con tanto rispetto e se, per sete dei loro petrodollari, l’Onu si piega ai ricatti, come ha ammesso Ban Ki Moon pochi giorni fa rispetto all’Arabia saudita.
Com’era Aleppo prima e dopo?
Era una città normale e il centro economico del paese. Adesso è devastata, la vita è molto difficile. Il popolo resiste ma in condizioni tremende. Perfino l’acqua spesso non c’è: i ribelli quando possono  tagliano acqua, elettricità e vie di approvvigionamento. Allora tocca usare i pozzi che si trovano in alcune chiese, mosche o case. Certe persone sono arrivate a prendere l’acqua dal fiume. Ora con l’estate sarà peggio…
I bambini siriani: una generazione perduta?
I bambini hanno una grande forza. Però alcuni di loro giocano alla guerra, altri invece hanno attacchi di panico. Per quanto si provi a proteggerli, qualcosa passa. In ogni famiglia c’è un morto, anche tre o quattro. I martiri, i morti dell’esercito, sono ragazzi di un esercito di leva. Tanti altri si arruolati nei gruppi di autodifesa, dove ci sono anche donne.
Cosa fanno i gruppi di autodifesa, ad esempio ad Aleppo?
Cercano di difendere i quartieri più popolosi…ovviamente è impossibile proteggerlidai razzi…che colpiscono scuole, chiese, ospedali, università. Missili e  autobombe dei terroristi che uccidono tanta gente. Aleppo subisce più di altri perché è vicina alla Turchia, da dove arrivano i mercenari, e d’altra parte quando i gruppi armati chiudono la strada di accesso, non può passare niente. Poi le sanzioni peggiorano tutto…Gli ospedali erano gratis ma adesso mancano anche di molte medicine salvavita. La Siria aveva varie case farmaceutiche, per il mercato interno e per l’esportazione, e i farmaci costavano poco. Ma aziende e industrie sono state colpite per prime. Per questo dico che sono cose programmate. Ora è molto più difficile produrre i farmaci, e del resto la Siria a causa della guerra e delle sanzioni non ha più soldi per pagare le importazioni… 
Chi sono i paesi nemici della Siria?

Allora: Arabia saudita, Qatar, Turchia; poi gli Stati uniti da sempre, e Israele, non c’è nemmeno bisogno di dirlo. Turchia e Qatar erano paesi amici, ma con la vicenda del gasdotto che doveva passare per la Siria e che era sgradito appunto ai petromonarchi e al sultano, all’improvviso Bashar al Assad che era il presidente moderato è diventato criminale, un mostro. E chi paga un prezzo altissimo è il popolo.
Chi sono i paesi amici della Siria?
Russia, Cina, Iran, i paesi dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli dell’America Latina e i Caraibi (Alba)…anche per il conforto morale e l’appoggio politico.
E i media?
Quello che si dice nei media occidentali non è vero. La Siria era sì a rischio guerra con Israele, ma cercava la pace. Però, non esiste che contro attacchi così gravi non ci si difenda: l’esercito deve difendere il paese per forza. Quando tutto è iniziato sembrava una rivoluzione, ma non è stato così. Hanno manipolato i ragazzi usando internet, facebook  per organizzarli. C’erano cellule dormienti che hanno preso ordini da fuori. Gente che si spacciava per rivoluzionaria, per la Siria libera (con la bandiera del colonialismo francese!). Hanno iniziato come ribelli siriani, per avere credibilità, poi si sono affermati al Nusra e Daesh. Del resto, è un gioco delle parti. Magari qualcuno è più estremista, altri invece dicono che la religione non c’entra. Comunque quelli di Daesh sono estremisti e mercenari, hanno subito lavaggio del cervello dai wahabiti dell’Arabia saudita, ma poi si vede che sono ben addestrati.
E i ribelli moderati?
Non esistono. Chi va contro il suo paese, lo vuole distruggere, chiede aiuto ai nemici, fa alleanza con Israele, Usa, Francia, non è moderato. Già all’inizio erano violenti, facevano cose tremende, ancora quando si chiamavano Esercito siriano libero.
Sai di persone che dai ribelli moderati sono passati agli estremisti?
Hanno anche usato dei cristiani. Fin dall’inizio c’è stata una grande confusione anche fra le  divise militari…erano le stesse quelle dell’esercito e dei ribelli. Hanno creato il caos, facevano i blocchi, e non si sapeva chi era da una parte e dall’altra. Quando hanno iniziato a scendere in strada, certi ragazzi si credevano i Che Guevara del XXI secolo, ma gli infiltrati hanno cominciato a colpire esercito e polizia, i quali avevano l’ordine di non usare armi, d anche i manifestanti. Il caos.
Come finirà? E perché finisca bene che cosa bisogna fare e che cosa non bisogna fare?
Le sanzioni, è importante che finiscano per riprendersi in forza dal punto di vista economico. E basta con l’export di armi e gli aiuti di vario tipo alle forze dell’opposizione. Occorre bloccare i finanziamenti e gli aiuti esterni ai terroristi. Perché nessuno fa sanzioni contro Arabia saudita, Qatar e Turchia finché continuano ad aiutare questi terroristi? Perché si sa benissimo, le prove ci sono, i finanziamenti passano dalle banche. Allora bloccare i finanziamenti. Una volta bloccati questi, e le armi, finirà. Ci sono dei gruppi che si pentono, si riesce a negoziare con loro perché abbandonino le armi; però poi se vengono pagati bene, tornano ad armarsi.   
Hai fiducia?
Ho speranza. L’esercito è fedele al suo paese. Assad è una figura forte, un leader, è l’unico capace di gestire la Siria. È un leader nel quale hanno fiducia. Io sono fra i tanti che pensano così: se Assad si dimettesse, sarebbe un traditore che ha lasciato la sua patria in difficoltà. Non lo può fare. Poi vediamo cos’è successo in Libia e in Iraq. Paesi nel caos e in mano al terrorismo. Perché non si impara la lezione?
Un fatto recente a cui hai assistito che ti conferma in questa speranza?
Anche le elezioni: la gente in fila dalla mattina presto. Anche ad Aleppo. Voglio ricordare che in Siria convivevano 24 gruppi religiosi. All’improvviso arriva la guerra santa, la contrapposizione sunniti alauiti…Nel primo anno di crisi, ad Aleppo non c’erano problemi, eppure la maggioranza è sunnita. Poi, è  stato facile attaccare Aleppo, dalla Turchia.
NOTA. Non indichiamo il nome dell’intervistata per una sua richiesta di sicurezza personale e della propria famiglia. Pensate che questo tolga legittimità alle sue parole? Eppure, tutti i rapporti dell’Onu e di varie Ong sulla Siria omettono i nomi delle fonti.

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