HANNO IL DIAVOLO PER PATRONO
di Francesco Lamendola
Più
ancora che il fatto in sé, colpisce il silenzio intorno al fatto: il
silenzio assordante della stampa ufficiale e delle televisioni ufficiali
sulla cerimonia d’inaugurazione tenutasi il 1° giugno 2016, in
Svizzera, presenti i maggiori capi di Stato europei, dalla cancelliera
tedesca Angela Merkel, al presidente francese François Hollande, a
premier italiano Matteo Renzi, per festeggiare l’apertura del tunnel di
base del San Gottardo.
Si
tratta di un’opera colossale, avveniristica, costata 17 anni di lavori e
una spesa di 11 miliardi di euro: 57 km. di galleria per portare la
linea ferroviaria dal versante sud al versante nord delle Alpi,
agevolando enormemente le comunicazioni fra l’Europa meridionale e
quella settentrionale: il tunnel più lungo del mondo, costruito secondo
le concezioni più moderne e con le tecniche più avanzate in questo
particolare ramo dell’ingegneria.
Naturalmente,
non c’era l’ombra di un prete, o di un vescovo, a benedire l’opera e a
recitare una preghiera per l’edificazione dei presenti; in omaggio al
laicismo dello Stato moderno, la religione deve strasene fuori da
qualsiasi evento pubblico, a maggior ragione se si tratta di un evento
di carattere non solo tecnologico, ma anche politico. Si sa, però, che,
se Dio viene cacciato dalla porta, qualcun altro si affretta a
introdursi dalla finestra: il vuoto spirituale non esiste, e, di regola,
i più accaniti nemici del cristianesimo sono i primi a sentire il
richiamo del sacro, magari d’un sacro rovesciato. Ed è appunto quel che
si è visto allo sbocco nord del tunnel del San Gottardo. Alla presenza
stupefatta e imbarazzata (speriamo) dei capi di stato e di governo, si è
svolto uno spettacolo grandioso, curato dal regista tedesco Volker
Hesse e costato la bellezza di 8 milioni di euro, con la partecipazione
di 600 “artisti” o figuranti, che dir si voglia, e contornato da
coreografie gigantesche, in uno stile kolossal di gusto estremamente
dubbio. Ma forse si è trattato di qualcosa di più, e di peggio, che di
una semplice manifestazione di cattivo gusto.
La
prima parte dello spettacolo si è svolta all’interno del tunnel, in un
enorme salone sotterraneo, e ha immediatamente trasportato il pubblico
in una atmosfera strana, ambigua, quasi surreale. Sul ritmo di un
incessante, ossessivo rullar di tamburi, dapprima è sfrecciata una
carrozza nera lanciata al galoppo, poi si è fatta avanti una legione di
lavoratori in tuta arancione, lo sguardo spento, la postura rigida, il
passo cadenzato e pesante, lentissimo, simile a quello di un esercito di
zombie. Finché, di colpo, gli “operai”, in gran parte donne,
hanno cominciato ad agitarsi, e, sempre continuando a camminare, si sono
prodotti in una serie di contorsioni e di scatti improvvisi,
decisamente inquietanti; ogni tanto acceleravano il passo, si mettevano a
correre, come inseguiti da qualcosa o qualcuno, sempre sotto l’incalzar
dei tamburi. A questo punto è arrivato il treno, con i vagoni scoperti:
a bordo, in piedi, alcune decine di giovani di ambo i sessi, i quali
indossavano solo la biancheria intima, tutta di colore bianco. Mano a
mano che il treno si avvicinava, quei giovani cominciavamo ad
abbrancarsi, a palpeggiarsi, ad afferrarsi (non ci vengono in mente
parole più dolci o verbi più rassicuranti), anche fra persone del
medesimo sesso: non sembravano, però, dei veri amplessi sessuali, o, se
lo erano, tutto trasmettevano, tranne che un senso di gioia e di
piacere; era, piuttosto, un brancicare smanioso, cieco, rabbioso, con le
carni dell’altro, come se questi fosse una bambola di plastica o una
creatura inanimata.
Poi,
di colpo, scende dall’alto una creatura orripilante, disgustosa: una
sorta di uccello umanoide, con due enormi ali setose e con un volto da
bambino idiota in un corpo di donna giunonica, forse incinta, con le
tette al vento; la bestiaccia, dall’espressione inespressiva, si dimena
per un poco, agita gambe e braccia, semina il disordine fra le persone
che si trovano sotto di lei; poi dilegua. Ma è solo l’inizio. Adesso si
fa avanti un altro personaggio, se possibile ancor più sinistro, un
uomo-caprone, con due enormi corna, tali e quali quelle del dio Pan o,
piuttosto, del Diavolo cristiano, così come lo si vede raffigurato nei
codici medievali. E così, di bruttura in bruttura, nella luce cupa del
sotterraneo, con i tamburi che rullano all’impazzata, lo spettacolo
continua, senza offrire mai alla vista dei presenti un volto amico, o
anche solo sorridente; mai un gesto aggraziato o armonioso, mai una luce
gioiosa, mai una nota serena.
Quando
lo spettacolo si trasferisce all’esterno (in tutto crediamo che sia
durato un bel po’: certo non meno di un’ora, un’ora e mezza), la luce
del cielo e il magnifico spettacolo dei monti ancora innevati non
valgono ad attenuare il senso di tetraggine, di angoscia, quasi di
paura, che domina la scena. Di nuovo la marcia degli “operai”, più che
mai ritmata: paiono uno squadrone di SS (e, stavolta, i tamburi sono
quelli di una banda militare “ordinaria”), battono le scarpe al suolo
con violenza; poi, di colpo, prendono lo slancio e salgono una specie di
rampa alla base di un immenso maxi-schermo, alto qualche decina di
metri, sul quale si succedono immagini caleidoscopiche, nessuna
rassicurante e serena, anzi, una più incomprensibile e sinistra
dell’altra; infine si spogliano a metà è, rimasti a torso nudo, si
dispongono su due file, indi cominciano a brandire delle aste, con le
quali eseguono dei movimenti guerreschi, le battono a terra con forza,
scandiscono il ritmo. Dopo di che si allontanano e il loro posto è
occupato, di nuovo, dai giovani in biancheria intima, i quali
ricominciano ad agitarsi, si gettano addosso della farina (o qualche
polvere bianca), si agitano, si contorcono come negli spasimi
del’epilessia; quindi, di nuovo, prendono a toccarsi, ad abbrancarsi, ma
stavolta in maniera ancor più sofferta, ancor più dolorosa, come se non
provassero alcun piacere, anzi, come se si dibattessero negli spasimi
dell’agonia. Da ultimo cadono a terra, uno dopo l’altro, come fantocci, e
prendono a rotolare giù per la china, finché si fermano, esausti,
ansimanti, i volti piegati a terra, morti o morenti - non si sa -,
fiaccati da una forza sconosciuta. Alla fine si rialzano, ma solo per
essere nuovamente investiti e dispersi da una forza misteriosa e
maligna, che separa i loro abbracci e divide le loro mani.
Lo
spettacolo prosegue. Di nuovo appare l’uomo caprone, che si mette a
saltare qua e là, e davanti al quale tutti quanti si prostrano,
adoranti; il suo volto mostruoso, ringhiante, compare al centro del maxi
schermo, ingrandito decine di volte: è una maschera di odio e di
rabbia, un ghigno che ben difficilmente si può dimenticare. Compare
anche, sul maxi schermo, il volto di una vecchia: un volto decrepito,
mangiato dalle rughe, che non ha niente di augusto, niente di nobile, ma
è solamente orribile, come quello di un cadavere in putrefazione. Poi
va in scena la coreografia più impressionante: una folla di uomini e
donne velati di bianco, che si agita, ondeggia, emettendo lamenti,
gemiti e urla spaventose: sembrano i dannati dell’Inferno descritti da
Dante Alighieri (diverse lingue, orribili favelle, ecc.),
oppure degli indemoniati, che si contorcono sotto la violenza brutale,
incontenibile, della possessione satanica. Tre spiriti biancovestiti,
dalle tuniche e dalle ali lunghissime, si stagliano sullo sfondo: ma non
paiono angeli, non hanno la bellezza, né la semplicità iconografica
degli angeli; si direbbero, semmai, degli spiriti malvagi, che hanno
indossato abiti bianchi per una beffa sacrilega o per qualche altra
ragione blasfema.
Si
va verso la conclusione: un immenso orologio appare sul maxi schermo,
dopo che una serie di altre immagini circolari si sono succedute,
componendo figure fantastiche e di non semplice decifrazione; e tutti
gli attori si genuflettono e si mettono ad adorarlo. Il tempo
simboleggia forse Saturno, ma potrebbe anche alludere a Satana, il
signore del mondo e di ciò che lo caratterizza, come, appunto, lo
scorrere del tempo. Certo è che nessuno dei figuranti ha mai dato
l’impressione di possedere una libera volontà, di poter fare delle
scelte autonome, o riflettere un sentimento di pace e armonia con se
stesso e col mondo; e l’adorazione finale dell’orologio/Satana completa e
ribadisce tale impressione, come se l’intera umanità fosse schiava di
forze potenti, alle quali si è votata e alla cui signoria non può ormai
sottrarsi. Sembravano tutti dei manichini telecomandati, spenti, privi
di vita e volontà proprie. Ora, la domanda è: chi o che cosa voleva
celebrare, lo spettacolo offerto alle massime autorità europee, il 1°
giugno scorso?
Il
Dio cristiano, no di certo. Forse le antiche divinità pagane, selvagge,
sfrenate, sessualmente incontrollabili, e gli impulsi umani da esse
ispirati? O forse l’oscuro Pantheon gnostico-massonico, venato di
occultismo e di simbologia esoterica, e finalizzato alla resurrezione di
divinità obliate da secoli e millenni, e tuttavia segretamente adorate
da tenebrose élites di sedicenti illuminati? Oppure, ancora,
veniva adorato Satana, il signore dell’abisso, e il tunnel del San
Gottardo veniva a lui dedicato, e lui veniva ringraziato per la
conclusione dell’immane lavoro? Una ulteriore possibilità è che quello
spettacolo blasfemo, angosciante, sinistro, fosse un inno all’uomo: un
manifesto della volontà dell’uomo di auto-divinizzarsi, di celebrare la
propria audacia e la propria intelligenza, la propria capacità di
esercitare il dominio sulla natura. Ma ciascuna di queste quattro
possibilità potrebbe anche incrociarsi con le altre, completandosi a
vicenda l’una con l’altra. Forse si è voluto celebrare il dio Pan con le
altre divinità del mondo antico; forse, il Grande Architetto
dell’universo; forse, il Demonio; e forse l’Uomo, con la “u” maiuscola:
l’Uomo prometeico che ruba il fuoco ai celesti, o l’Uomo faustiano che
stringe un patto col Diavolo per ottenere potenza, conoscenza e
ricchezza: e forse tutto questo insieme.
Certo
è che spettacoli simili non sono del tutto nuovi, in questi ultimi
anni. Alla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Londra, nel 2012
(una cerimonia intitolata, si badi, Pandemonio, cioè con il nome che John Milton, nel Paradiso perduto, attribuisce alla città del demonio), si era già visto qualcosa del genere. E anche l’iniziativa denominata Fiat Lux,
che ha avuto per sfondo la facciata della Basilica di San Pietro, a
Roma, la notte dell’8 dicembre 2015, in coincidenza con il Giubileo
straordinario indetto da papa Francesco, si era visto qualcosa di
anomalo: pantere, leoni, scimmie, coccodrilli, cannibali con l’osso al
naso, si erano succeduti sulle pietre del più augusto edificio cristiano
del mondo. È come se qualcuno volesse mettere la propria firma sui
grandi eventi del terzo millennio; qualcuno che, forse, agiva da tempo,
ma nell’ombra, e che ora sta venendo allo scoperto, e vuol farci sapere
che esiste e che si prepara a nuove manifestazioni. Qualcuno che ha in
mente un Nuovo Ordine Mondiale e che pensa di avere il diritto/dovere di
prendere in mano le redini dell’umanità, per guidarla nel periglioso
cammino di questi difficili tempi. Fra parentesi, nello spettacolo del
San Gottardo, a un certo punto, si è vista una ragazza mostrare un
agnello morto: e l’agnello, come tutti sanno, è il simbolo di Gesù
Cristo. Il messaggio cifrato era forse che il tempo di Gesù è finito, e
incomincia il tempo di Pan/Satana?
È
difficile parlare di queste cose, perché farlo significa esporsi al
ridicolo: significa passare per una vittima della paranoia di un Grande
Complotto. La cultura ufficiale non ne parla, o, al massimo, ci scherza
sopra; ma nessuno degli intellettuali di prestigio si sporca la
reputazione per lanciare l’allarme. Ci tengono troppo alle poltrone,
tutti quanti. E nessun giornalista, che noi sappiamo, ha posto a Renzi, o
a Hollande, o alla Merkel, le scomode domande: Ma lei, cosa ne
pensa dello spettacolo del 1° giugno? Le è piaciuto? Lei condivide
l’impostazione e i contenuti? Oppure non se l’’aspettava? Se non se
l’aspettava non pensa che qualcuno possa aver sfruttato la sua presenza
come una sorta di avallo ufficiale a una politica occulta, parallela
alla politica “ufficiale”, portata avanti da poteri di cui non si quasi
nulla? E le sembra normale che la stampa e le televisioni non parlino
mai delle riunioni annuali del Gruppo Bilderberg? Se quei signori non
hanno niente da nascondere, perché si ritrovano in segreto? Perché non
rilasciano comunicati stampa, per spiegare all’opinione pubblica di che
cosa si sono occupati?
Domande;
domande senza risposta; domande che non verranno mai fatte a chi di
dovere. Perché? Non si torva più un solo giornalista, un solo
proprietario di giornale, una sola rete televisiva ancora liberi? Son
tutti a libro paga di quei tali poteri occulti? O, se non lo sono, sono
tutti, però, intimiditi quanto basta per starsene buoni e zitti, e
occuparsi solo di quelle cose delle quali hanno il permesso di occuparsi
e di riferire? Tornando allo spettacolo del San Gottardo: chi ha deciso
di pagare 8 milioni di euro per una cosa simile? Chi ha concordato col
regista Volker Hesse i temi e i modi dello spettacolo stesso? Chi ne ha
visionato e approvato l’anteprima? Il governo svizzero lo sapeva? Lo
sapevano i governi tedesco, francese, italiano, che hanno finanziato
l’imponente lavoro? E il signor Hesse, che cosa ha voluto fare? A chi ha
voluto rendere omaggio? Chi era l’uomo-caprone?
Hanno scelto il Diavolo per patrono e vogliono imporlo anche a noi
di Francesco Lamendola
http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=8899:hanno-il-diavolo-per-patrono&catid=131:mistero-a-trascendenza&Itemid=162
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