Una vita per l’Europa (e l’alta finanza), un libro di Coudenhove-Kalergi
In concomitanza alla recente esplosione di flussi migratori, è stato spesso citato dalla pubblicistica non ufficiale il cosiddetto “piano Kalergi”, l’inondazione programmata del Vecchio Continente da parte di popolazioni allogene. Il piano deve il suo nome al conte Richard Coudenhove-Kalergi che nel libro del 1925 “Praktischer Idealismus” ragiona sul futuro dell’umanità e sulla scomparsa delle razze. Le idee di questo padre nobile dell’Unione Europea, più che il frutto di riflessioni personali, germinano dall’humus dell’alta finanza anglofona di cui Coudenhove-Kalergi è un semplice alfiere: dalla sua biografia emergono il machiavellismo e la tenacia con cui i banchieri internazionali inseguono nei secoli gli Stati Uniti d’Europa.
Richard Coudenhove-Kalergi, un Mario Draghi ante litteram
Si riversano incessantemente flussi di immigrati in Europa, prima introdotti solo attraverso la “tratta mediterranea” che li ammassava essenzialmente in Italia e Grecia e ora anche lungo la “via balcanica” che li conduce fino in Germania, sinora protetta dai rilievi alpini dalle destabilizzazioni angloamericane in Medio Oriente. È un flusso apparentemente senza sosta, di cui nessuno giornalista, intellettuale o politico (tranne Vladimir Putin, ma siamo già fuori dal regime UE/NATO) indaga sulle lapalissiane cause, ovvero la scientifica somalizzazione di Libia, Siria, Iraq e Nigeria. Si preferisce piuttosto venderlo come ineluttabile, come l’alternarsi del dì e della notte, dell’inverno e dell’estate.
Si direbbe che i nostri politici recitino addirittura un copione, perché il vocabolario è piuttosto monotono e ricorrono spesso le stesse parole per commentare le migrazioni in atto, tra cui la più gettonata è senza dubbio “epocale”: la UE deve “decidere come affrontare questa emergenza che probabilmente tale non la si può chiamare perché in realtà rappresenta qualcosa di epocale”, esorta il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nell’estate del 20141; “la crisi delle migrazioni rappresenta un’urgenza epocale per le dimensioni del fenomeno e per la sua drammaticità su cui l’Europa sta solo adesso iniziando a sviluppare una politica comune” ammonisce nella primavera del 2015 il neo presidente Sergio Mattarella2, ospite della London School of Economics (e la sede è tutto fuorché casuale, essendo il LSE uno dei santuari della finanza anglofona che dai tempi del conte Coudenhove-Kalergi sovraintende all’unificazione europea).
Nel pieno dell’emergenza non solo poi i governi europei evitano di risolvere alla radice il problema, contribuendo alla pacificazione di quei paesi dove gli angloamericani e gli israeliani seminano tempesta, ma addirittura esecutivi più o meno legittimati, tipico è l’esempio italiano, si industriano per incentivare l’immigrazione, prima recependo le sentenze della Corte UE che aboliscono il reato di clandestinità e poi sostituendo lo ius sanguinis(retaggio dell’Europa delle nazioni che si vuole cancellare) con lo ius soli(tradizione delle costituzioni di matrice massonica come quella americana e francese).
A dare manforte alla politica è ancora la finanza internazionale che, in stretta coordinazione con i media, accompagna le recenti ondate di profughi e clandestini profondendosi in elogi per le politiche di accoglienza.
L’eurozona galleggia a stento sui marosi dell’economia internazionale? La crisi economica ha causato un crollo delle nascite che in Italia non si registrava dalla Prima Guerra Mondiale3? La disoccupazione si attesta a livelli record e le fasce più giovani e dinamiche del Sud Europa lasciano a frotte i loro Paesi? Non ha nessuna importanza: secondo un rapporto di Bloomberg dei primi di settembre, cui i media danno grande eco, servono 40 milioni di “nuovi europei” entro il 2020 e 250 milioni entro il 2060 per garantire l’attuale benessere europeo4. Se i lavoratori europei sono costretti a tagliare persino sul concepimento dei figli a causa dell’eurocrisi e, da vere anticaglie dell’Ottocento, pretendono ancora salari decenti per mantenere la famiglia, è molto più economico sostituirli con una giovane forza lavoro abituata a standard di vita africani (qualcuno ha forse promesso che l’universalismo massonico si realizzi secondo stili di vita occidentali?).
Di fronte alle palesi responsabilità dell’establishment euro-atlantico nell’innescare i flussi migratori, alla passività dei governi europei di fronte al fenomeno ed al palese appoggio di certi ambienti finanziari, in questi ultimi mesi è stato più volte citato il piano Kalergi, ovvero il progetto di sostituire le attuali nazionalità europee con un meticciato di più razze.
Il nome deriva dal conte Richard Coudenhove-Kalergi (1894-1972) che nella sua opera filosofica “Praktischer Idealismus” del 1925 (consultabile in tedesco5 ed in una più abbordabile versione francese6) discetta sul futuro dell’Europa e del mondo.Da questa opera è tratto il passo addotto da chi vuole dimostrare come l’attuale immigrazione in massa verso l’Europa corrisponda allo scopo ben preciso di cancellare le nazionalità:
L’humain du lointain futur sera un métis. Les races et les castes d’aujourd’hui seront victimes du dépassement toujours plus grand de l’espace, du temps et des préjugés. La race du futur, négroïdo-eurasienne, d’apparence semblable à celle de l’Egypte ancienne, remplacera la multiplicité des peuples par une multiplicité des personnalités. (…) L’humain noble du futur ne sera ni féodal ni juif, ni bourgeois ni prolétaire : il sera synthétique. Les races et les classes, dans le sens d’aujourd’hui, disparaîtront, les personnalités demeureront (le personalità sopravviveranno – NDR).
Niente razze, niente classi sociali, niente confessioni, una lingua comune, un governo universale, una moneta mondiale ed in cambio la personalità dell’uomo “neutro” declinata in tutte le sfaccettature possibili (dalle enne sessualità agli stili di vita più disparati): il classico universalismo massonico di cui Coudenhove-Kalergi si fa interprete.
Il fatto che l’autore sia stato uno dei più infaticabili ed energici sostenitori dell’unificazione dell’Europa e degli Stati Uniti d’Europa, nel primo e nel secondo dopoguerra, non deve trarre in inganno: ad essere implementati oggi non sono i disegni del conte Coudenhove-Kalergi, quanto piuttosto i disegni massonici di cui il nobiluomo è venuto a conoscenza e, dopo averli assimilati, ne è diventato un fervente alfiere.
Coudenhove-Kalergi scrive nel 1923 il celebre libro Paneuropa, assorto rapidamente a fulcro della sua attività politica-lobbistica, tanto che tutti i libelli e le opere divulgative del conte e dal suo entourage sono prodotte dalla casa editrice Paneuropa Verlag; con lo stesso nome di Paneuropa è chiamato anche il movimento dove confluiscono i primi sostenitori e fondi per l’Europa unita.
Di Paneuropa e della propria rutilante vita, Coudenhove-Kalergi discetta nell’autobiografia “Una vita per l’Europa” (Ferro Edizioni 1965, edizione originale Verlag Kurt Desch 1958), facilmente consultabile presso qualche biblioteca civica o nazionale (noi l’abbiamo letta con grande interesse). L’opera è fonte di curiose informazioni sia per quanto concerne la sfarzosa, cosmopolita e mondana esistenza del conte, sia per quanto riguarda gli interessi che guidano l’unificazione europea, culminata nel 2002 coll’introduzione della moneta unica e la seguente, prevedibile, crisi dell’euro, che avrebbe dovuto sfociare negli Stati Uniti d’Europa: è di questi giorni l’ennesimo appello del venerabile governatore della BCE Mario Draghi per la creazione di “un centro politico”, di un “Tesoro europeo”7, indispensabile per uscire dai marosi dell’eurocrisi.
Leggendo la biografia si può affermare che Coudenhove-Kalergi, lungi dall’essere l’uomo mefistofelico che progetta di sommergere l’Europa con orde di africani e asiatici, è piuttosto un Mario Draghi ante-litteram: un ambizioso uomo di mondo, con una naturale predisposizione agli intrighi, massone di alto grado, dotato di ottime entrature nella finanza anglofona, con una certa familiarità con l’esoterismo e felicemente appagato dai suoi servigi al Potere.
Perché il vero potere non è certo in mano ai vari Coudenhove-Kalergi, Mario Monti o Mario Draghi, semplici esecutori di direttive: la forma di potere più pura e concentrata, per quanto ci è dato di sapere, è emanata dal cosiddettoRound Table, l’organizzazione che, racchiudendo i papaveri della City e di Wall Street fautori di un governo sinarchico, controlla a catena il Council on Foreign Relations, il Royal Institute of International Affairs, ilGruppo Bilderberg, la Commissione Trilaterale, l’Istituto Affari Internazionali, il Club di Roma, il London School of Economics,l’European Council on Foreign Relations etc. etc.: scopo di questa organizzazione è la creazione della cosiddetta Terza Europa (dopo l’impero romano ed il Sacro romano impero) sotto l’egemonia della finanza anglofona.
Nell’autunno del 1940, ospite in America del Council on Foreign Relations(lo stesso dinnanzi cui il premier Matteo Renzi ha sfoggiato8 il suo inglese da “Totò, Peppino e la malafemmena”), il conte Coudenhove-Kalergi espone le sue idee sulla guerra in corso:
Se vincerà Hitler, ci sarà un’Europa fascista sotto un regime tedesco; se vincerà Stalin, l’Europa sarà bolscevica sotto un regime sovietico; se vincerà Churchill, ci sarà un’Europa democratica sotto un regime anglosassone.
Hitler è sconfitto nel 1945, l’URSS si dissolve nel 1991 e con la firma del Trattato di di Maastricht nel 1992 inizia ufficialmente l’Europa unita sotto il regime anglosassone. Leggere Una vita per l’Europa di Coudenhove-Kalergi consente quindi di capire gli interessi dietro l’attuale processo di unificazione del continente, i meccanismi impiegati per raggiungere l’obbiettivo e le difficoltà che rendono tuttora problematica la nascita degli Stati Uniti d’Europa, nonostante gli sforzi dei vari Draghi e Mattarella.
Una vita per l’Europa (a spese dei Rothschild)
I primi capitoli di “Una vita per l’Europa” sono quelli meno interessanti dal punto di vista politico ma permettono di inquadrare bene Coudenhove-Kalergi sotto il profilo sociale e culturale.
Sua madre è figlia di un mercante d’arte giapponese in affari con gli occidentali, il padre, Heinrich Coudenhove-Kalergi, è incaricato d’affari presso l’ambasciata dell’Austria-Ungheria: così portato per le lingue da conoscerne diciotto, Heinrich è l’ultimo discente di un nobile casato dalle mille ramificazioni, austro-olandesi per quanto concerne i Coudenhove e bizantino-veneziane per quanto riguarda i Kalergi.
Secondo di sette figli, Richard Coudenhove-Kalergi nasce nel 1894 a Tokyo, ma i suoi legami con il Sol Levante sono piuttosto labili, tanto che non imparerà mai la lingua materna: trasferitosi con la famiglia in Europa all’età di due anni, il giovane è Richard è educato secondo l’etichetta della nobiltà austriaca. Il padre rinuncia alla carriera diplomatica per dedicarsi alla famiglia ed alla gestione della tenuta di Ronsperg (ora in Repubblica Ceca), oltre che agli amati studi storico-filosofici: al figlio trasmette in particolare la grande passione per l’ebraismo che, absit iniuria verbis, faciliterà non poco l’emergere di Richard nell’ambiente della finanza anglofona.
Morto il padre nel 1906, Richard si trasferisce per qualche tempo a Bressanone per frequentare il ginnasio degli Agostiniani: ospite col fratello presso amici di famiglia, il giovane conte inizia il suo personale percorsonell’occultismo (“In quegli anni appresi molto delle cose tra cielo e terra delle quali non si parla a scuola: di oroscopi e sedute spiritiche, di chiaroveggenza e apparizioni di spiriti, di chiromanzia e grafologia. Un mondo nuovo si schiudeva davanti a noi”) che culmina nel 1921 con l’iniziazione alle loggia massonica Humanitas di Vienna.
Entrato nel 1908 all’Accademia Teresiana, Richard cresce tra i futuri dirigenti dell’Austria-Ungheria, impero, peraltro, verso cui l’autore del libro non nutre particolare affezione (ma forse hanno inciso ex-post le sue amicizie massoniche) nonostante i Coudenhove-Kalergi abbiano accumulato le proprie fortune servendo per secoli gli Asburgo: mentre i proletari di Vienna e Budapest muoiono per difendere la corona imperiale, Richard, esonerato dal servizio militare grazie ad una provvidenziale (e sospetta) malattia polmonare, trascorre amenamente la guerra tra villeggiature sulle Alpi e gli spettacoli teatrali della moglie, la famosa attrice Ida Roland.
Il suo interesse per l’andamento del conflitto è ravviato solo dalla comparsa sulla scena del presidente Woodrow Wilson e del suo misterioso braccio destro, il colonnello Edward M. House, che attraverso i famosi 14 punti e la fondazione della Società delle Nazioni, guidano il primo tentativo di riassetto globale secondo i principi della sinarchia.
Tra il 1919 ed il 1923 (in concomitanza alla sua iniziazione alla loggia Humanitas), Richard partorisce l’idea di una federazione dell’Europa, idea peraltro che i frammassoni coltivano dagli anni delle guerre napoleoniche: ispirato dall’opera Pan-Amerika del Nobel per la pace Alfred Hermann Fried, Coudenhove-Kalergi dà alla propria iniziativa il nome di Paneuropa, temendo che la dicitura Stati Uniti d’Europa impaurisca le cancellerie, evocando un governo centrale troppo prematuro.
Non c’è però alcun dubbio che l’obbiettivo ultimo sia quello di ottenere nel minore tempo possibile un governo federale simile a quello statunitense: moneta unica, abbattimento delle dogane, esercito federale per fronteggiare la Russa sovietica (“Il minaccioso pericolo russo era il terzo argomento a favore di Paneruropa. (…) Soltanto l’unione dei trecento milioni di europei in un comune sistema di difesa poteva salvare la pace di fronte ai centocinquanta milioni di sovietici).
Nell’estate del 1922 Coudenhove-Kalergi scrive il primo articolo sulla questione europea e nei primi anni del 1923, ritiratosi in un castello dell’alta Austria, concepisce il libro Paneuropa che appare al pubblico nell’ottobre seguente: sulla copertina della prima edizione troneggia il simbolo del movimento, la “croce solare”. La pubblicazione del libro coincide con l’avvio dell’attività di proselitismo per la costituzione degli Stati Uniti d’Europa: la diffusione dei libri, l’attività di lobby, i frequenti viaggi e l’organizzazione di manifestazioni, però, costano, e tanto.
Chi finanzia il neonato movimento Unione Paneuropa? Risponde lo stesso Coudenhove-Kalergi:
“Nel 1924 ricevemmo un appello telefonico del barone Louis Rothschild: un suo amico, Max Warburg di Amburgo, aveva letto il mio libro e voleva conoscerci. Con mia grande meraviglia Warburg mi offrì spontaneamente sessantamila marchi oro per dare avvio al movimento nei primi tre anni”.
Il 40enne Coudenhove-Kalergi, l’aristocratico che frequenta i salotti buoni di Vienna e si diletta in opere filosofiche, parrebbe inserito (la biografia glissa sul come) ai massimi livelli della finanza anglofona, in diretto contatto con le più prestigiose famiglie che siedono nel Round Table, vero motore dell’unificazione europea sin dalle origini: un membro austriaco della famiglia Rothschild, Louis Nathaniel (1882-1955), introduce Richard al banchiere Max Moritz (1867-1946) della celebre famiglia Warburg, che ha costruito una fortuna tra la Germania e gli Stati Uniti. Quando l’anno successivo, nell’autunno del 1925, Coudenhove-Kalergi si reca negli USA per sensibilizzare l’establishment statunitense sulla necessità di fondare gli Stati Uniti d’Europa, è sempre Max Warburg a finanziare ed organizzare la trasferta:
“Max Warburg, servizievole come sempre, s’incaricò egli stesso dei preparativi del viaggio. Due dei suoi fratelli erano diventati influenti cittadini americani e godevano di molta stima: Felix, il filantropo ben noto, e Paolo, il creatore del “Federal Reserve System” della banca nazionale americana. Entrambi facevano parte del comitato di presidenza della“Foreign Policy Association” (organizzazione nata per sostenere l’attuazione dei 14 punti di Woodrow Wilson – NDR).
L’interesse dell’alta finanza angloamericana per la nascita degli Stati Uniti d’Europa è quindi molto datato e la frammassoneria è solo un mezzo per raggiungere lo scopo: non si può che ammirare la perseveranza e la dedizione con cui le grandi famiglie della City e di Wall Street inseguono nei secoli i loro obbiettivi di potere.
Sintomatiche sono anche le personalità che Coudenhove-Kalergi incontra in Regno Unito, il cui beneplacito è fondamentale per la costituzione degli USE:
“Mi rivolsi in primo luogo all’ex-capo redattore del Times (giornale controllato dal Round Table – NDR), Wickham Steed. (…) Mi mise subito in contatto con gli uomini più in vista della Gran Bretagna, Ramsay Macdonald, Sir Robert Cecil, Lord Balfour, Lord Reading, Sir Robert Horne, Philip Kerr, Gilbert Murray, Lionel Curtis, Bernard Shaw, H.G. Wells, Sir Walter Layton.”
Tra questi altisonanti nomi, meritano in particolare di essere evidenziati il professore Lionel Curtis (1872–1955), sostenitore di un governo mondialee tra i padri fondatori del Royal Institute of International Affairs, e lo scrittore Bernard Shaw, cofondatore della London School of Economicssopra citata nonché accesso ammiratore della Russia staliniana: la classe dirigente inglese non è infatti aprioristicamente ostile ad un’Europa federale, purché essa sia compressa tra il gigante sovietico da una parte ed il blocco anglofono (l’impero britannico e gli USA) dall’altro.
Se gli USE saranno una costruzione continentale, allora il loro nocciolo non potranno che essere Parigi e Berlino, il famoso “motore franco-tedesco” oggi in panne. Sconfitta la Germania nel 1918, è la Francia a guidare l’iniziativa e Coudenhove-Kalergi trova l’uomo adatto per implementare i progetti di Paneuropa: è il premier francese Aristide Briand (1862-1932) che, giocando di sponda col ministro degli esteri tedesco Gustav Stresemann (1878-1929), si fa promotore dell’unificazione europea, assumendo la carica di presidente onorario dell’Unione Paneuropea.
Tra il settembre del 1929 ed il maggio del 1930 si tengono i primi due congressi paneuropei presieduti da Briand: grazie all’incredibile eco dei media, l’opinione pubblica famigliarizza con gli Stati Uniti d’Europa la cui costituzione, per un breve lasso di tempo, sembra imminente.
Tre però sono i fattori, strettamente collegati tra di loro, che causano l’improvviso arenarsi del progetto: il crollo di Wall Street, l’improvvisaostilità inglese all’iniziativa di Briand ed alla costituzione di un’Europa federale (“Quel governo non voleva che l’Inghilterra fosse esclusa dall’Europa né che vi fosse inclusa. Voleva impedire una federazione di Stati Europei”) e la netta affermazione del partito nazionalsocialista di Adolf Hitler alle elezioni tedesche del settembre 1930.
In un’Europa prostrata dalla crisi economica, piegata, in Regno Unito come in Germania, dalla deflazione che è incentivata anziché combattuta dalla banche centrali, l’establishment anglofono cambia idea: anziché sostenere il progetto di Coudenhove-Kalergi come ha fatto sino a quel momento, scommette su una svolta autoritaria in Germania, sulla falsariga della marcia di Roma del 1922 che ha aperto le porte al regime fascista, e sull’espansionismo tedesco per contenere la minaccia sovietica.
Le medesime figure che fino a quel momento avevano parteggiato per Paneuropa, ora sostengono la scalata al potere di Adolf Hitler: tipico in questo senso è l’atteggiamento del presidente della Reichsbank, nonché massone, Hjalmar Schacht (1877-1970), che da sostenitore di Paneuropa dal lontano 1924 (“Fra i democratici che parteggiavano per Paneuropa c’era anche Hjalmar Schacht. Costui era estremamente popolare a quel tempo perché, quale presidente della Reichsbank, aveva fermato l’inflazione e stabilizzato il marco”) si trasforma all’inizio del 1933 in un convinto partigiano di Hitler, a sua detta il solo capace di realizzare Paneuropa (“Hjalmar Schacht fece un altro pronostico. Gli era riuscito il tour de force di restare seguace di Paneuropa nonostante la sua ammirazione per Hitler. Con la sua abituale vivacità mi disse:-In tre mesi Hitler è cancelliere del Reich. Ma non si preoccupi, Hitler è l’unico capace di riappacificare la Germania con le potenze occidentali. Hitler creerà Paneuropa!- (…) -Soltanto Hitler può creare Paneuropa- mi ripeté con profonda convinzione- perché lui non ha da temere un’opposizione delle destre. Stresemann e Bruning hanno fallito perché gli ambienti di destra mettevano loro i bastoni tra le ruote. Hitler non ha bisogno di tener conto di quest’opposizione; pertanto sarà lui, e solo lui, che potrà assicurare definitivamente la pace e la collaborazione dell’Europa-).
Scrive asciutto Coudenhove-Kalergi:
“La prima parte della profezia di Schacht doveva avverarsi rapidamente. Alcuni giorni dopo il nostro colloquio, giunse da Colonia la notizia che Hitler e von Papen, che erano nemici, si erano incontrati a casa del banchiere Schroeder e si erano alleati contro il governo del Reich”
Chi è il banchiere che ospita l’incontro? È Kurt von Schroeder, (1889-1966), membro della potente famiglia di banchieri di origine anseatica che, partendo da Amburgo, ha costruito un impero finanziario tra la Germania, l’Inghilterra ed gli Stati Uniti: mentre il ramo tedesco lavora per la salita al potere di Hitler, negli uffici newyorchesi della banca Schroeder lavorano i fratelli John Foster e Allen Welsh, Dulles, rispettivamente futuro segretario di Stato e direttore della CIA, nonché tra i principali sponsor americani dell’Europa unita dopo la guerra.
La strategia dell’establishment anglofono è quindi mutata: non più gli Stati Uniti d’Europa di Coudenhove-Kalergi ma un’Europa sotto l’egemonia tedesca che arresti l’avanzata dell’URSS e consenta agli USA ed all’impero britannico di concentrarsi sugli oceani.
Che i regimi fascisti abbiamo familiarità con l’ambiente che ha partorito Paneuropa, è testimoniato dal fatto che Coudenhove-Kalergi continua la sua opera di proselitismo anche sotto le dittature fasciste: a due riprese, nel 1933 e nel 1936, il conte è ospite a Palazzo Venezia di Benito Mussolini.
Se durante il primo colloquio il duce si dice disponibile a Paneuropa (“Questo ci portò finalmente a parlare di politica e di Paneuropa. Era favorevole all’idea di un’unione latina con la Francia, quale baluardo contro il Terzo Reich, era pure favorevole all’idea paneuropea. Durante la conversazione, Mussolini divenne più amabile, più cordiale e naturale. Il dittatore era scomparso, restava l’intellettuale”), durante la seconda audizione, che segue le sanzioni per la guerra in Etiopia e la vittoria di Léon Blum in Francia, Mussolini sostiene rammaricato che Paneuropa, benché apprezzabile, è ormai inattuabile (“Inoltre- aggiunse- l’Inghilterra non permetterà mai un’unione tra la Francia e l’Italia”).
Anche i nazisti non sono ostili a Paneuropa, purché a fungere da polo aggregante sia ovviamente il Terzo Reich (“Nel 1932 Goering fu intervistato da un giornale svedese che gli chiese che cosa pensava di Paneuropa: – Io sono per Paneuropa- fu la sua sorprendente risposta- ma non per la Paneuropa di Coudenhove-Kalergi-).
L’invasione della Polonia nel settembre del 1939 ed il mancato raggiungimento di un compromesso con le potenze occidentali nei mesi della “strana guerra”, inducono Hitler a invadere la Francia nel maggio del 1940: Coudenhove-Kalergi fugge velocemente a Lisbona dove, ospite dell’ambasciatore inglese, riesce ad ottenere velocemente visti e biglietti per gli Stati Uniti grazie ad una corsia preferenziale. Il gigantesco aereo sui cui si imbarcano, dopo uno scalo alle Azzorre e 26 ore di viaggio, atterra all’aeroporto di La Guardia mentre in Europa infuriano i combattimenti.
I ricordi di quei giorni di Coudenhove-Kalergi confermano la comune matrice di Paneuropa e dei regimi fascisti:
“Vivevo nel continuo timore che Hitler, consigliato da Schacht, adottasse ad un tratto l’idea paneuropea; che potesse formare, assieme a Mussolini, Pétain e Franco, una dittatura europea per l’unione ed il rinnovamento del continente, per l’abolizione delle frontiere doganali e per l’attuazione di grandiose riforme sociali. Se avesse seguito questa via, accompagnata da una politica pacifista nei confronti della Russia e dell’America, l’Inghilterra sarebbe stata costretta, presto o tardi, a concludere la pace e a riconoscere il dominio di Hitler sull’Europa”.
Anche se momentaneamente esiliato negli USA, Coudenhove-Kalergi non rinuncia all’attività politica, sfruttando tutte le sue conoscenze per rientrare nei giochi: attraverso il potente uomo d’affari Henry Morgenthau (1856-1946) che ha contribuito all’elezione di Franklin D. Roosvelt, Coudenhove-Kalergi sollecita al presidente l’occupazione dell’Islanda per rendere sicuri i rifornimenti tra USA e Regno Unito, poi effettivamente realizzata dagli americani nel luglio del 1941.
Divenuto insegnate alla New York University grazie ad una borsa di studio del Carnegie Endowment for International Peace, Coudenhove-Kalergi può riprendere la sua attività di propaganda per gli Stati Uniti d’Europa, sicuro com’è che la vittoria finale arriderà agli angloamericani: è proprio nelle sale dell’università di New York che si svolge nel marzo del 1943 il grande congresso paneuropeo dove è rilanciata l’idea di un’Europa federale, da realizzare nell’immediato dopoguerra. Come esperti finanziari intervengono il banchiere francese André Istel, consigliere economico di De Gaulle, e l’austriaco Ludwig von Mises (1881-1973), padre nobile del neoliberismo che imperversa attualmente in Europa.
Il congresso paneuropeo riceve enorme pubblicità grazie al giornalistaWalter Lippmann (1889-1974), uomo di fiducia del Round Table nonché partecipante con il sullodato Ludwig von Mises alla conferenza “Colloque Lippmann” del 1938 dove sono gettati i semi del neoliberismo, ed alle testate controllate dall’establishment finanziario: il New York Times, Herlad Tribune, Washington Post, Life, Time, Fortune, etc etc.
Con il profilarsi della sconfitta di Hitler, la politica europea è ormai scritta negli USA, obbligati a scendere a compromessi soltanto con l’URSS, sospettosa dei disegni angloamericani in Europa (“Dopo la disfatta di Hitler, Stalin era diventato il nemico numero uno dell’idea paneuropea. Gli era riuscito di guadagnare Roosevelt alle proprio idee. Agenti dell’Unione Sovietica si erano infiltrati alla Casa Bianca e nel dipartimento di Stato”).
Nell’estate del 1946 Coudenhove-Kalergi rientra in Europa sul piroscafo francese Oregon.
Le stelle sembrano essere allineate correttamente per la nascita degli USE: il pieno supporto americano (John Foster Dulles tiene nel 1947 una perorazione all’hotel Waldorf Astoria di New York per l’unificazione dell’Europa), la disponibilità inglese ad un’Europa unita ed un continente prostrato da cinque anni di guerra e desideroso solo di pace.
Il 7 maggio del 1948 si tiene il congresso europeo all’Aja che mette al centro del tavolo l’unità del continente: ironicamente il conte Coudenhove-Kalergi, che da vent’anni si spende per quest’obbiettivo, non è invitato (“Mi stupì che prima del congresso né l’Unione dei parlamentari europei, né io avessi ricevuto inviti per il congresso dell’Aja. Soltanto dopo che io ebbi scritto a Churchill, ricevemmo inviti al congresso con una cordiale lettera di accompagnamento di Sandys”) probabilmente perché la sua immagine è ritenuta compromessa a causa delle vecchie frequentazioni fasciste.
Perché gli Stati Uniti d’Europa non nascono nell’immediato dopoguerra, quando le condizioni sono più propizie? Cosa impedisce il coronamento dei sogni di Coudenhove-Kalergi?
Subito emerge lo scontro che paralizza tutt’ora l’Unione Europea e ne impedisce la trasformazione in USE, cioè l’opposizione tra federalisti (cui ascrivono oggi i vari Matteo Renzi, Mario Draghi e Laura Boldrini che chiedono la fondazione degli Stati Uniti d’Europa) e unionisti, che preferiscono un consiglio di governi ad un esecutivo centralizzato.
I primi a schierarsi su posizioni unioniste sono Wiston Churchill ed il genero Duncan Sandys (“La Gran Bretagna si ribellava al pensiero di essere legata al continente mediante una costituzione scritta e di dover obbedire a leggi che vengono approvate da una maggioranza continentale contro i voti britannici. Pertanto desiderava un’unione europea di Stati indipendenti, non uno Stato federale”) seguito a distanza di un decennio dal generale Charles De Gaulle (“La sua meta era anzitutto una lega di Stati sovrani, la cui politica coordini in tutti in campi gli interessi comuni: un’Europa delle patrie. (…) Molti dei migliori europei vedevano in questo programma una regressione in confronto agli sforzi di integrazione europea di Robert Schuman, Paul Henri Spaak, Jean Monnet e Konrad Adenauer (…) Desiderano anzitutto la caduta di De Gaulle. La loro propaganda tendeva ad accelerare questa caduta, come premessa per l’unione dell’Europa”).
Charles De Gaulle cade ed è sostituito dall’ex-direttore della banca Rothschild, George Pompidou: trascorrono però altri 20 anni prima che il collasso dell’URSS nel 1991 offra l’occasione idonea a rinvigorire il processo di unificazione.
L’anno successivo, con il trattato di Maastricht, sono poste le basi dell’euro, moneta che, presto o tardi, avrebbe prodotto la crisi che stiamo vivendo, indispensabile per svuotare i parlamenti nazionali e creare gli Stati Uniti d’Europa: qualcosa però, tra il 2011 ed il 2012, va storto ed a prevalere sono ancora gli unionisti (i governi e le burocrazie francesi e tedesche) che rifiutano di cedere potere a organi federali. Benché Mario Draghi invochi ancora un Tesoro comune, anche questa volta il sogno dell’establishment anglofono per la costituzione degli USE sembra sfumato e la “missione storica” di Paneuropa arenatasi nelle sabbie dell’eurocrisi.
Sono passati 90 anni dalla fondazione del movimento Paneuropa e di Coudenhove-Kalergi si è persa quasi memoria: eppure gli interessi che finanziano Paneuropa nel 1923 e la scalata al potere di Hitler nel 1933, sono quelli che sopraintendono all’attuale processo di unificazione europea. Che si tratti di politiche economiche o flussi migratori, l’Europa dipende oggi da questa questa ristretta cerchia di banchieri internazionali suddivisi tra la City e Wall Street: i loro obbiettivi sono chiari (la cancellazione degli Stati nazionali e l’accentramento del potere in strutture sovranazionali via via più estese così da ampliare la sinarchia) ed a stupire è piuttosto l’incredibile machiavellismo che li caratterizza. Un Coudenhove-Kalergi od un Adolf Hitler, un Mario Draghi od un Beppe Grillo, sono pedine interscambiabili secondo le esigenze del momento.
Italici dilemmi: è normale che un “ospite” sia fuori controllo?
di Enrico Galoppini
Accade un bel giorno che una delle “risorse” del Papa, di Mattarella e della Boldrini, fatta arrivare dall’Africa senza chiedersi cosa possa farci quaggiù ed intenta a ciondolare dalla mattina alla sera per la città, tutto d’un tratto afferra un bastone e si mette a percuotere il primo che passa.
Nel caso specifico, una bambina di otto anni, sotto lo sguardo atterrito dei familiari.
Situazioni inaudite come questa ne sono accadute ormai parecchie, da quando è stato deciso che bisogna solo e sempre “accogliere” il mondo intero.
Quello del pluriomicida e sanguinario Kabobo è il caso più famoso, ma da qualche anno a questa parte se ne son viste di tutti i colori. E non stiamo ironizzando sulla pelle nera di questi “ospiti” imposti alla cittadinanza dall’alleanza del peggior cattocomunismo con la finanza sfruttatrice.
Il problema non è se questo è nero, quello è giallo e quell’altro ancora è bianco. Il problema è che non si può andare avanti così, facendo entrare stranieri alla chetichella in spregio delle più elementari leggi, mentre il suddetto trio, in rappresentanza del “trono” e dell’”altare”, non passa giorno che non intoni la solita filastrocca rassicurante dell’assoluta necessità di “nuovi italiani”, con tono saccente e moraleggiante. Mentre la mitica “ripresa” è puramente chimerica e a chi è italiano da generazioni si suona la messa da requiem ogni santo giorno.
Stavolta all’aggressore è andata di lusso perché c’era una zia, che certo non poteva rivaleggiare con un giovane ed aitante “migrante” (da un marciapiede ad una panchina?), ma nel caso in cui un individuo così ‘pacifico’, preso da chissà quale raptus, commettesse il fatale errore di scatenarsi sui figli d’un padre fumino e manesco, non è garantito che dell’aggressore possa restare qualche cosa d’integro e riconoscibile.
D’altra parte, a provvedere al “riconoscimento” di queste mine vaganti urbane – che svariate volte ho individuato nella zona teatro dell’increscioso e preoccupante episodio – non ci ha pensato mai nessuno degli organi preposti a farlo, perciò sarebbe anche l’ora che la cittadinanza cominciasse a pretendere qualche spiegazione e ad esigere presso chi di dovere il risarcimento dei danni derivanti dalle intemperanze di questi “poveretti”, che poi tanto messi male non sono se si pensa a come vive una massa d’Italiani anziani e non, completamente dimenticati da queste cosiddette “istituzioni”.
L’unica volta che, a Firenze, un tale più esasperato della media ammazzò a pistolettate degli africani, scoppiò un putiferio, ma di fattacci come quello che stiamo commentando – relegati al massimo nella cronaca locale – nessun politico alla moda si cura, né è fermamente impegnato a creare le premesse affinché non si verifichino mai più. Gli uni, infatti, guadagnano fior di quattrini col “business dell’accoglienza”, gli altri speculano senza alcun costrutto sulla (comprensibile e giustificata) paura di molte persone,specialmente quelle che vivono nelle aree urbane più degradate, dove non manca mai il capannello di “migranti” esotici intenti allo spaccio, al consumo di droga e bevande alcoliche (presso i cosiddetti “market”), o semplicemente al “dolce far niente” (con “paghetta” assicurata). Per non parlare del terrore di quelli che, come questa bambina di otto anni ed i suoi familiari, hanno avuto il ‘piacere’ dell’incontro ravvicinato con uno di questi “ospiti” che qualcuno, più potente di loro e senza interpellarli, ha fatto accomodare in casa nostra per poi fregarsene se non ha nulla da fare e rappresenta una bomba ad orologeria.
Ma per certi “benpensanti” (che un tempo erano “di destra” ed ora sono “di sinistra”, con tutto il loro armamentario di uteri in affitto, nozze gay ecc.) questi non sono fatti gravi. Sono quisquilie, pinzillacchere, fattarelli senza alcuna rilevanza esagerati da chi vedrebbe – per piccolo cabotaggio elettorale – solo quelli, e gonfiati persino dai diretti interessati (cioè la zia ed i nipotini), che per i più fanatici tra queste “anime belle” avranno avuto pure avuto il torto di trovarsi nel momento sbagliato al posto sbagliato.
Ed in un certo senso è vero, perché nei “quartieri chic” dei suddetti detentori della Morale Universale queste scene non si verificano, per il semplice fatto che tutta l’“accoglienza” è a carico dell’odiato e disprezzato “popolino”, che se a un certo punto s’incazza viene pure bollato come “intollerante” e “razzista”.
Parafrasando un detto assai celebre e scurrile, son tutti “tolleranti” ed “accoglienti” con la pazienza degli altri. Che come tutte le cose ha un limite, anche se nemmeno questa volta, data l’attitudine degli italiani a sopportare e ad accontentarsi, verrà verosimilmente superato.
http://www.ildiscrimine.com/italici-dilemmi-e-normale-che-un-ospite-sia-fuori-controllo/
Il “parroco anti migranti” di Taranto torna all’attacco
27 giugno 2016
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