ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 9 giugno 2016

N.O.M(assone)*

NUOVO MESSALE PERCHE'?

Il Nuovo Messale Romano è stato il risultato di un colpo di mano della fazione modernista? Per 400 anni dal Concilio di Trento al Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica ha avuto un solo Messale poi messo in soffitta: cos’era successo?
di F.Lamendola  



  
Per circa 400 anni, dal Concilio di Trento al Concilio Vaticano II, e, più precisamene, dal 1570 al 1969, la Chiesa cattolica ha avuto un solo Messale: quello di Pio V, il Missale Romanum tridentinum. Poi, quasi dalla notte alla mattina, questo Messale è diventato (con una punta, se non di disprezzo, certo di compatimento) il Vetus Ordo, ed è stato messo in soffitta, nonostante le fortissime perplessità di una parte non piccola dei cardinali, dei vescovi, dei sacerdoti e dei fedeli. Ma che cos’era successo? Come’era potuta accadere una cosa del genere?

Il 4 dicembre del 1963, in pieno Concilio Vaticano II, Paolo VI aveva promulgato la Costituzione apostolica Sacrosantum concilium, ponendosi, formalmente - ma solo formalmente – nella scia dell’enciclica di Pio XII Mediator Dei, pubblicata il 20 novembre 1947 e tutta dedicata alle questioni liturgiche. In effetti, come è noto, all’interno del Vaticano II si sviluppò un vero e proprio movimento di riforma liturgica, che prese appunto l’avvio con la Costituzione Sacrosanctum concilium, nella quale si formulavano una serie di auspici e proposte, ma non veniva presa alcuna decisione. Le proposte erano quelle di una semplificazione dei riti, eliminando le duplicazioni; che fosse aumentato il numero dei testi scritturali da leggersi durante la Messa; che fossero introdotte delle “preghiere dei fedeli”; e che si conservasse la lingua latina, pur concedendo un qualche spazio alle lingue nazionali, nelle letture e nelle omelie; inoltre, si raccomandava il canto gregoriano quale tipica espressione della musica sacra. Come si vede, si trattava di una conferma e di una rinnovata affermazione di principi antichi, legati alla tradizione della Messa di Pio V. Resta, quindi, più che mai impellente, la domanda:ma allora, come mai si è giunti ad un cambiamento radicale della liturgia nella Santa Messa? Cerchiamo di capire.
La circostanza che la Costituzione Sacrosanctum concilium fosse approvata con 2.000 voti, contro soli quattro contrari, la dice lunga sul fatto che si trattava di un documento interlocutorio, che ciascuno dei “partiti” in lotta – perché di questo, parliamoci chiaro, si è trattato – pensava e sperava di tirare dalla propria parte: sia i “tradizionalisti”, raggruppati intorno al Coetus Internationalis Patrum, sia i “modernisti” che ritenevano di avere dalla loro l’autorità e il “peso” determinante del papa: Giovanni XXIII prima, e Paolo VI poi. Sta di fatto che il 25 gennaio 1964, quest’ultimo emanò il “motu proprio” Sacram Liturgiam, con il quale prendeva ancora tempo, stabilendo che le eventuali riforme sarebbero entrate in vigore solo dopo che fossero stati preparati i nuovi libri liturgici. L’applicazione pratica dei principi riformatori al Novus ordo Missae venne demandata a un apposito Consilium ad exsequendam Consitutionem de Sacra litugia, la cui presidenza fu affidata al capofila dei “novatori”, il cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, uomo dell’area politico-culturale di Giuseppe Dossetti, che sarà costretto a dimettersi al principio del 1968, dopo aver pronunciato una omelia (scritta proprio da Dossetti, suo stretto collaboratore e consigliere) nella quale condannava i bombardamenti americani nel Vietnam, e al quale succedette il cardinale svizzero Benno Walter Gut.
Dal Consilum sarebbe sorta quindi la Congregazione per il culto divino, l’8 maggio del 1969, mediante la Costituzione apostolica Sacra rituum congregatio, della quale fu nominato segretario l’arcivescovo Annibale Bugnini. Ma già il 3 aprile 1969, Paolo VI, senza attendere i lavori della Congregazione, anzi, addirittura prima che questa si costituisse, introduceva nella liturgia il Nuovo Messale Romano, mediante la Costituzione apostolica Missale Romanum. E questa è la prima, o, per dir meglio, la più evidente di tutta una serie di stranezze, forzature, coincidenze, le quali  hanno caratterizzato quella fase della riforma liturgica. Che senso poteva avere, infatti, nominare una apposita Commissione, se i giochi erano già fatti e il Papa, d’autorità, calava dall’alto il nuovo Messale, presentandolo come una sua decisione irrevocabile, nonché come un punto di non ritorno, da accettare in toto, senza ulteriore dibattito?
C’è anche un giallo, che poi si tinge addirittura di nero, in margine a queste vicende. Si è detto che l’arcivescovo Bugnini fu il vero artefice della riforma; sta di fatto che proprio lui fu protagonista, suo malgrado, di una vicenda che presenta degli aspetti misteriosi e perfino inquietanti. Già durante i lavori della Congregazione del Culto divino egli fu fatto oggetto di attacchi violentissimi da parte di alcuni organi di stampa, i quali lo accusavano esplicitamente di essere un massone, infiltrato nella Chiesa per favorire, appunto, i piani della Massoneria. Lo scandalo fu enorme. In un primo tempo il Papa lo difese, e così pure L’Osservatore Romano; ma, dopo che il suo nome comparve nella lista di personalità affiliate alla Massoneria, pubblicata dal giornalista Mino Pecorelli (che in seguito morirà assassinato), con la data della presunta iniziazione risalente al 1963, Paolo VI decise di rimuoverlo e di mandarlo come pronunzio apostolico in Iran, negandogli ripetutamente ogni possibilità di colloquio per un chiarimento della sua posizione. Bugnini si disse sempre estraneo alla Massoneria, e vittima di un complotto; rientrato a Roma nel 1982, morì in circostanze a dir poco strane, il giorno in cui avrebbe dovuto essere dimesso dall’ospedale, ove era stato sottoposto a un intervento di poco conto (precisamente, per un’ernia). Era il 3 luglio del 1982 e ben presto cominciò a circolare, la voce, insistente ma priva di conferme, che la sua morte non fosse stata affatto “naturale” e che non fu dovuta a uno scompenso cardiaco, come allora sostenne la versione ufficiale, anche perché una crisi cardiaca come quella in questione (infarto del miocardio) avrebbe dovuto essere preceduta da segnali d’allarme, che i medici non avrebbero potuto non notare.
E adesso torniamo alla riforma liturgica. Con la data del 3 aprile del 1969, il dado è tratto e il Novus Ordo è entrato in vigore: anche se, giova dirlo e ripeterlo, in esso non si parlava affatto di eliminare la lingua latina, né di liquidare il canto gregoriano, tutte cose che sono subentrate quasi automaticamente, ma che sono state attuate arbitrariamente, de facto, andando molto al di là sia della lettera, sia dello spirito della riforma liturgica conciliare (con buona pace del sempre decantato “spirito del Concilio”), così come appare dai documenti conciliari e non dalle pie intenzioni dei Padri, le quali, chissà perché, a sentire i modernizzatori sarebbero rimaste inespresse. I cambiamenti rispetto al Vetus Ordo, comunque, c’erano, ed erano notevoli, tanto è vero che alla redazione del nuovo Messale avevano collaborato anche sei pastori protestanti, fra i quali Max Thurian, della Comunità monastica “ecumenica” di Taizé, fondata dal protestante Roger Louis Schutz. I vescovi “tradizionalisti” (che allora venivano bollati, semplicemente, come “conservatori”, e questo nel clima degli anni Sessanta del’900 si può bene immaginare cosa volesse dire: una delegittimazione preventiva) non presero bene il Nuovo Messale del 1969 e decisero di fare qualcosa per convincere il Papa a ritornare, almeno parzialmente, sulle sue decisioni.
In particolare, il vescovo Michel Guérard des Lauriers, dell’ordine dei Domenicani, collaboratore dell’arcivescovo Marcel Lefebvre e docente presso la Pontificia università del Laterano, scrisse – insieme a una decina di altri teologi della stessa “area” - un Breve esame critico del Nouvs Ordo Missae, terminandolo il 5 giugno. Il documento venne tradotto in italiano da una grande, ma tuttora poco conosciuta, scrittrice e poetessa italiana, Cristina Campo, cattolica “tradizionalista” intelligente e coraggiosa, la quale invitò il cardinale Alfredo Ottaviani e il cardinale Antonio Bacci, due fra i più noti esponenti del fronte “conservatore”, a presentare lo scritto al Papa, cosa che essi fecero, dopo aver tentato di ottenere l’adesione di un altro pezzo grosso del fronte “tradizionalista”, Giuseppe Siri, il quale, però, preferì defilarsi. Le obiezioni contenute nel Breve esame critico riguardavano, sì, la nuova liturgia della Santa Messa, ma investivano senz’altro l’ambito teologico e dogmatico. Al fondo di esse vi era la preoccupazione che il sacrificio eucaristico si riducesse al valore di una semplice commemorazione, un po’ (anche se in maniera meno esplicita) come per i protestanti; inoltre, venivano espresse riserve anche sulla modifica degli altari, rivolti verso i fedeli, e sulla riduzione del ruolo del sacerdote a quella di un semplice “presidente dell’assemblea”; infine, si lamentava l’abbandono, di fatto, della lingua latina, benché la riforma liturgica non l’avesse per nulla abolita, ma, semmai, aveva concesso che, ove le circostanze lo avessero reso opportuno, le si potessero affiancare le diverse lingue nazionali.
Come si vede, si trattava di questioni centrali, non solo a livello liturgico, ma dottrinale: des Lauriers, Ottaviani e Bacci erano andati al nocciolo della questione. Alla domanda: Che cos’è la Santa Messa?, essi temevano – e i loro timori, la storia degli ultimi decenni ce lo ha mostrato, erano tutt’altro che peregrini – che, da momento fondamentale della liturgia cattolica, incentrato sulla soprannaturalità dell’Eucarestia, come libero dono di Cristo all’umanità, che sempre si rinnova, perché gli uomini sono sempre peccatori e bisognosi di redenzione, si potesse trasformare in una sorta di auto-celebrazione dell’assemblea dei fedeli, ponendo l’accento non sulla liberalità e munificenza del dono divino, consistente nel rinnovarsi del Sacrificio di Cristo, ma sui presunti “meriti” dell’uomo, in un clima di compiacimento molto, troppo umano, quasi che l’uomo, da semplice cooperatore, se pur necessario, della propria redenzione, ne divenisse il protagonista, o quasi. Perché, ad esempio, Paolo VI aveva voluto spostare l’esclamazione liturgica: Mysterium Fidei, “mistero della Fede”, che il sacerdote pronuncia dopo la transustanziazione, rivolto all’assemblea, e alla quale i fedeli rispondono con una acclamazione? Ottaviani e Bacci, inoltre, facevano notare che il Novus Ordo si discostava dal precedente in aspetti essenziali. Infatti, con la Costituzione apostolica Quo primum tempore, del 1570, Pio V aveva stabilito che la Messa tridentina era l’unica da osservare nella Chiesa latina e che chiunque avesse ardito introdurvi delle modifiche, sarebbe dato considerato reo di anatema: e ciò per proteggere la Chiesa cattolica da qualunque possibile infiltrazione di teorie o pratiche ereticali. Come conciliare, dunque, il carattere definitivo, “perfetto” e immodificabile del Vetus Ordo con il Nuovo Messale e con la nuova liturgia, ad esso sottesa? In ballo c’era, sì, la questione fondamentale della reale natura del Sacrificio eucaristico, ma anche, se possibile, qualcosa di più: tutta la concezione teologica che stava alla base dei rapporti fra Chiesa e “mondo”.
Ora, il cardinale Ottaviani non era un prelato qualsiasi, per quanto stimato ed eminente; era stato, per dieci anni, segretario della Congregazione del Sant’Uffizio, poi Congregazione per la dottrina della fede: vale a dire, il massimo responsabile della vigilanza sulla ortodossia della fede nella Chiesa cattolica. Il suo parere, quindi, in merito al Missale romanum, avrebbe dovuto essere, ed era, in effetti, di per sé significativo, se non proprio vincolante, e tale da consigliare al Pontefice un serio ripensamento del Novus Ordo, alla luce degli argomenti esposti nel documento sottopostogli. Invece Paolo VI, che pure, fino a quel momento, non aveva esitato ad assumersi la responsabilità delle decisioni relative alla riforma liturgica, preferì sottrarsi a una decisione diretta, e preferì “girare” il Breve esame critico al nuovo prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, il successore di Ottaviani, che era – dall’8 gennaio 1968 – il cardinale Franjo Šeper, arcivescovo di Zagabria e primate di Croazia. Costui esaminò il documento e lo liquidò rapidamente (fin dal 12 novembre), qualificandolo “erroneo” e (addirittura) “superficiale”. Adesso Paolo VI aveva le spalle “coperte” a sufficienza, e poteva procedere senza altri impacci o ritardi verso la meta del radicale cambiamento liturgico. Nel 1970, pertanto, rimosso l’ultimo ostacolo, egli pubblicò il Nuovo Messale, facendolo tuttavia precedere (excusatio non petita?) da una Prefazione, nella quale spiegava, o piuttosto giustificava, la “sua” riforma, assicurando i fedeli che essa era pienamente in linea con il Magistero e con la Tradizione della Chiesa; e ciò nonostante che – lo abbiamo visto – essa andasse a modificare in maniera notevole quel Vetus Ordo che Pio V aveva proclamato definitivo, bollando di anatema chiunque avesse voluto cambiarlo. Pochi anni dopo, nel 1975, la riforma della Messa poteva dirsi definitivamente compiuta.
La storia successiva è nota, e ciascuno è libero di fare le proprie deduzioni. Giovanni Paolo II, nel 1988, con il “motu proprio” Ecclesia Dei afflicta, e soprattutto Benedetto XVI, nel 2007, con il “motu proprio” Summorum Pontificum, hanno concesso un cauto e limitato ripristino della Messa tridentina, il secondo osservando che essa non era mai stata ufficialmente abolita. Ma sappiamo quel che è successo dopo e quel che continua a succedere; così come possiamo tuttora osservare lo scempio architettonico di migliaia di chiese, nelle quali, ad esempio, i banchi del clero sono stati installati proprio davanti all’altar maggiore, sempre in nome della tanto celebrata “collegialità”…

Il Nuovo Messale Romano è stato il risultato di un colpo di mano della fazione modernista?

di Francesco Lamendola


Infiltrazioni massoniche nella Chiesa

1 commento:

  1. La tomba a Concesio BS di Giuditta Alghisi la madre di Paolo VI ha dei simboli massonici evidentissimi. E questo monumento é stato guarda caso commissionato da suo figlio il futuro papa. 1+1=2......

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