8/1000 non fa la felicità : ridateci le chiese che sanno di chiesa!
Ben volentieri pubblichiamo un intervento di nostro affezionato Lettore il quale « trovato un articolo molto interessante.
Ci ho rimesso mano per adattarlo meglio alle mie “convizioni ».
Ci ho rimesso mano per adattarlo meglio alle mie “convizioni ».
L’8 PER MILLE NON FA LA FELICITÀ.
Dopo aver fatto una visita alla chiesa “a damigiana” di Porto San Giorgio, la chiesa di S. Tommaso di Lido Tre Archi, la chiesa di
San Gabriele dell'Addolorata a Campiglione di Fermo, la chiesa in vetro cemento di Sant'Antonio a Fermo (che è in fase di rifacimento perché cade a pezzi).
San Gabriele dell'Addolorata a Campiglione di Fermo, la chiesa in vetro cemento di Sant'Antonio a Fermo (che è in fase di rifacimento perché cade a pezzi).
La nuova chiesa della parrocchia San Pio X a Porto Sant’Elpidio nord, la nuova chiesa di San Marone a Civitanova Marche, mi viene spontaneo dire: LE CHIESE MODERNE SONO BRUTTE.
Che le chiese moderne siano brutte non è un luogo comune qualunquista.
Il giudizio unisce per una volta semplici fedeli, critici d'arte, intellettuali laici fino ad arrivare a monsignor Gianfranco Ravasi (Cardinale N.d.R.), in pratica il ministro della cultura e dei beni culturali del Vaticano, che su questo argomento ha voluto citare padre Turoldo, «oggi le chiese sono come un garage dove Dio viene parcheggiato e i fedeli sono tutti allineati davanti a lui».
Eppure parecchie delle chiese nuove sono affidate agli architetti contemporanei più quotati, e il problema non può neanche risiedere nella convinzione religiosa o meno dei progettisti.
Ci troviamo di fronte a manufatti che in nessun modo rivelano qualche parentela con la lunga tradizione delle chiese cristiane. Enormi ammassi di mattoni, cemento, legno e ferro contrari alle vere architetture che “cantano”, come diceva Enzo Paci.
E a un Dio ignoto sembrano di fatto appartenere le chiese moderne.
Architetture algide, fredde e spoglie quelle proposte dagli architetti, che interrompono il legame storico con il popolo che sta dietro alla costruzione di ogni chiesa.
Gli ambienti nudi, la mancanza di inginocchiatoi, la scarsa varietà dei materiali impiegati, l'intervento minimo dell'iconografia e, come conseguenza, l'assenza quasi totale di artisti e artigiani qualificati, ci ricordano come, al contrario, il legame del popolo nell'edificazione della Casa di Dio per secoli si fosse manifestato in modo molto concreto.
Nel lavoro di artigiani, muratori, scalpellini, decoratori, stuccatori che si davano il cambio, generazione dopo generazione in quei cantieri infiniti che erano le cattedrali e nelle quali si racchiudeva il meglio della capacità di "fare" tipica dell'uomo.
Tra gli architetti “laureati” di oggi è imperante il “desiderio di produrre qualcosa di diverso” da ciò che è già stato fatto da altri, di vedere, stupire, colpire.
Essi hanno il terrore di poter andare a finire casualmente su una strada già percorsa da qualche altro.
Oggi nessuno entra in una chiesa moderna per ammirare un affresco, un altare, un bassorilievo, per vivere la bellezza dello spazio interno e della luce che filtra attraverso le vetrate, eppure l'esperienza del bello è una di quelle che con più forza avvicina l'uomo a Dio, come la Chiesa ha sempre saputo.
Viene il dubbio che forse le colpe non siano da addebitare solo agli architetti per i loro progetti, ma anche alla committenza religiosa che li approva.
È difficile dagli elaborati predisposti capire che si tratta di edifici per il culto, scordiamoci navate, transetti, absidi, cappelle laterali, cripte, prevale la pianta centrale, modificata e deformata in tutte le possibili accezioni: ellissi, prismi, triangoli, cerchi, quadrati.
E quando il modello è la pianta rettangolare, non è assimilabile a nient'altro altro che a un'aula (di scuola, di mensa aziendale, per conferenze, per rappresentazioni teatrali).
Quasi assenti i campanili, la verticalità è modesta o nulla e se proprio la si vuole sottolineare spesso non si trova altra soluzione che la forma stilizzata di una rampa missilistica, con falde inclinate fino a terra, alla maniera di un'ipotetica baita che non esiste neppure in montagna.
Anche le recenti pubblicazioni degli esiti dei concorsi promossi dalla Cei per le nuove chiese italiane non propongono esempi incoraggianti.
Eppure ogni progettista era supportato da un sacerdote liturgista, proprio per evitare ridicole invenzioni soggettive da parte dell'architetto.
E a leggere le relazioni di presentazione dei progetti vincitori, o comunque dei secondi e terzi classificati, prima ancora di esaminare le tavole ed i rendering, spesso non si può che essere d'accordo con le intenzioni.
Ma è come se poi alle parole non corrispondessero le azioni e si producesse uno scollamento insanabile tra i due termini.
Per cui ci ritroviamo di nuovo con chiese che sembrano crematori (La nuova chiesa di San Marone, a Civitanova Marche, ne è un esempio), chiese dove l'esposizione del crocifisso è l'unica concessione all'iconografia cristiana.
Visitando la nuova chiesa di PSE, come per le altre, si nota la scomparsa di ogni traccia di racconto biblico, vuoi pittorico, vuoi scultoreo, rimangono spazi minimalisti e mortiferi, oppure forme "organiche", che siccome siamo vicini al mare si ispirano alle onde.
In compenso, però, le nuove chiese sono attente a ridurre al minimo il fabbisogno energetico in modo da poter classificare l'edificio in Classe energetica A (!).
Insomma, anche con il liturgista che fiata sul collo, sembra che non si sappia dove sbattere la testa.
In sintesi viene quasi da dire: LO STATO BLOCCHI L’OTTO PER MILLE.
Lo Stato non dia il contributo fin quando “speciali commissioni” fatte da studiosi dell’arte non diano l’assenso ad un progetto.
Difendiamo la storia e l’architettura che hanno reso famosa l’Italia nel modo.
Tutti sognano di venire in Italia per vedere la basilica di San Marco a Venezia, o San Pietro a Roma, o Santa Croce a Firenze. Credete che qualcuno verrà, dall’estero, per ammirare la nuova basilica di San Giovanni Rotondo?
O peggio, le nuove chiese di Porto Sant’Elpidio o di Civitanova Marche?
Pubblicato da Andrea Carradori
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