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lunedì 11 luglio 2016

“Aprirsi al diverso”

Padre Ernesto Balducci, teologo dell’ecumenica confusione 

“Dato per scontato che la presenza dei gruppi etnici diversi dal nostro si farà più massiccia, si aprono due vie: quella della lenta assimilazione di modo che in una o due generazioni gli immigrati diventino in tutto come noi, o quella della convivenza tra gruppi etnicamente e culturalmente diversi. Io credo che la via giusta sia quella della convivenza. Ma se questo è vero dobbiamo affrettarci a predisporre gli strumenti necessari – a cominciare dalla scuola – perché questo futuro si avveri senza traumi. Quel che occorre è una rapida instaurazione della cultura della diversità. Le culture che si chiudono in se stesse sono destinate a morire. La nostra  non fa eccezione.”   (Ernesto Balducci).
di Piero Vassallo      
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z.Ernesto BalducciInsieme con Giorgio La Pira e don Lorenzo Milani, padre Ernesto Balducci (1922-1992) ha rappresentato la rumorosa avanguardia teologica intesa alla maturazione ecumenica/sincretista – “aprirsi al diverso” – della teologia cattolica.
Occasione o pretesto della riforma auspicata dai nuovi teologi e in special modo dal padre scolopio Balducci era la vastità del fenomeno migratorio: “esso viene verso di noi scatenando contraddizioni che mettono a dura prova i nostri strumenti di analisi e di progettazione e chiedono perciò un più alto livello di razionalità e di lungimiranza politica” (testo citato da Andrea Cecconi nella presentazione all’antologia di scritti di padre Balducci, intitolata Dobbiamo vivere insieme, e riedita nel gennaio del corrente 2016 da Marco Pagliai, editore in Firenze).
Padre Balducci fu un fervente e disinvolto ecumenistaardito al punto di affermare che “i musulmani hanno normalmente dimostrato grande tolleranza per quanto riguarda i credenti di altre religioni (purché non politeistiche).
A sostegno della sua tesi, p. Balducci cita Erasmo da Rotterdam (“lo spirito aggressivo della chiesa era dovuto alla subordinazione del vangelo all’aristotelismo) e Pierre Bayle, “che fece di Maometto un modello di tolleranza”.

Nonostante il dichiarato apprezzamento delle religioni monoteistiche, padre Balducci, nel saggio del 1983, sferra un attacco alla fede di Israele, “combinazione fra sionismo e imperialismo … un tragico segno di contraddizione, la cui portata va ben al di là di una pur grave questione tra due popoli”.
Di qui un giudizio di stampo quasi sovietico sullo stato di Israele: “Gli Askhenaziti che hanno in mano lo Stato israeliano sono in realtà gli emissari sacrificali dell’Occidente nel cuore del Terzo Mondo”.
Associata alla condanna dello Stato d’Israele è la disapprovazione della inevitabile collocazione  della Cristianità a Occidente: “oggi il cristianesimo, in quanto religione dell’Occidente, non solo è costretto a riconoscere la propria relatività, che lo rende inabile a proporsi come sintesi delle contraddizioni altrui, ma è costretto a ricostruire una memoria del suo passato in cui ritrovino il proprio posto i tradimenti e le deviazioni. Sulla linea di questa memoria c’è anche l’origine e il trionfo dell’islam”.
Al seguito di tale temerario giudizio p. Balducci si spinge fino al punto di affermare l’esemplarità dell’islam: “La comunità islamica, col suo fervore religioso e con la sua schietta fraternità, riproponeva la novità delle comunità cristiane di sei secoli prima, espropriate e finalmente annullate dalle escrescenze istituzionali”.
Infine p. Balducci non esita ad affermare la superiorità della teologia di Maometto: “Il contenuto della fede islamica è, nella sua essenza, quello del ceppo monoteistico ebraico e cristiano, ma ha in proprio una semplicità estrema, sgombro com’è di dogmi e di contaminazioni concettuali”.
Nell’apologia cattolica della falsa e grottesca religione dell’epilettico Maometto si contempla il naufragio della teologia progressista nelle acque di uno stato d’animo avvelenato dal modernismo e intossicato dalle suggestioni pseudo ecumeniche.
La teologia post conciliare era ed è tuttora avvelenata dal buonismo e dal masochismo e perciò incapace di vedere l’intolleranza navigante sulle patetiche imbarcazioni degli immigrati islamici.
All’orizzonte si annuncia la sostituzione del popolo cristiano da parte di un popolo che nasconde l’aggressività e l’imperiosità sotto la patetica figura del naufrago.
Confusa dallo spettacolo messo in scena dai migranti islamici, la teologia della diserzione cattolica si è capovolta, senza ritegno, nella “missione” di ridurre gli italiani allo stato di un popolo neo coloniale.
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Islam: un altro scandalo 

(di Christian Peluffo)

Se il cristiano deve necessariamente considerare ogni persona come una creatura dotata di assoluta dignità, infatti creata ad Immagine e Somiglianza di Dio, è comunque doveroso non edulcorare e ancor meno censurare la realtà dei fatti, per quanto spiacevoli possano essere.
Riferendomi specificatamente alla religione islamica, non voglio soffermarmi a valutare le banali considerazioni di buonisti, progressisti, laicisti e diversamente cattolici, drammaticamente estranei alla storia ed incapaci di sospettare come, assai comprensibilmente e legittimamente, un normale musulmano consideri, a fronte del Corano, carta straccia le costituzioni occidentali, valuti, a fronte dell'operato e dei comandi di Maometto, ridicole se non sataniche le bonarie disquisizioni di politici, giornalisti, intellettuali e purtroppo vari chierici, persino impotenti nel comprendere la pregnanza del fatto religioso per un uomo non drogato dai mali di questa società.

Dal nichilismo all'edonismo, dal relativismo al materialismo, di solito è proprio chi rifugge o almeno avverte la nefasta portata di tali dinamiche a sottolineare l'invincibile frattura esistente fra la civiltà occidentale e quella islamica, insultati, a loro immemore onore, dai citati multiculturalisti, solitamente ben attestati nei loro monoculturali quartieri.
L'innegabile denigrazione della donna - assai meno drammatica in Paesi come la Siria, subente l'attacco degli Stati Uniti – nonché l'altrettanto innegabile e addirittura fondante vocazione ad inquadrare ogni uomo, volente o dolente, fra le sottomesse fila di Allah, costituiscono gli aspetti più utilizzati dai così detti populisti e xenofobi per descrivere la religione musulmana, tuttavia quasi nessuno, almeno nei media più diffusi, evidenzia una dinamica determinante per la società, la storia e la dottrina islamica; quella dello schiavismo.
Dai trasporti all'agricoltura, dall'esercito all'artigianato, dall'edilizia alle bonifiche, pressoché ogni società musulmana, nel corso della storia, ha fatto della schiavitù un fattore portante e dunque quasi onnipresente, prezioso per il proprio espansionismo militare, irrinunciabile per il sostegno della sua economia, tanto che la prima apparizione della tratta schiavista in Africa si ebbe proprio a pochi decenni dalla comparsa della religione di Allah.
“O profeta! Noi ti abbiamo reso lecite: le tue mogli alle quali hai pagato le loro spettanze, le donne venute in tuo possesso come parte del bottino concessoti da Dio” (Corano, sura XXXIII, 50). Esplicitamente legittimata e persino promossa dal Corano, la schiavitù, praticata dallo stesso Maometto, ha rappresentato infatti una pressoché costante ricompensa delle vittorie militari islamiche, nonché la prima causa d'innesco al razzismo verso i neri, in quanto - come successe successivamente per la tratta occidentale, posta in essere contro il Cristianesimo e infine vinta soprattutto grazie al Cristianesimo – risultò assai comodo e forse spontaneo non riconoscere una piena dignità umana a chi si stava sottomettendo, tanto che, quando i soggiogati erano musulmani, non di rado le comunità faticavano a celare un certo imbarazzo, consce dei versetti coranici invitanti ad una loro numericamente parziale liberazione.
Gli adepti del sincretismo s'irritano innanzi a queste realtà, recentemente sottolineate da un autore non certo filo-cattolico come Olivier Pétré-Grenouilleau e dall'assai più sagace Rodney Stark, ma anche loro non possono negare gli harem di concubine, gli eunuchi posti a loro guardia, i bambini europei consegnati all'Impero Ottomano, evidenze storiche infatti più o meno conosciute da tutti.
Purtroppo assai meno conosciuto, e ancor meno divulgato, è il fatto che mai nell'Islam si è aperto un autentico dibattito sulla liceità della schiavitù, tanto che nella seconda metà del XIX secolo il Mediterraneo era ancora solcato dai pirati musulmani, tanto che fu solo grazie alle vincenti pressioni militari e politiche degli europei coloniali del XIX e XX secolo, fascisti italiani compresi, che lo schiavismo venne abolito negli Stati islamici soprattutto africani, sino ad arenarsi, in Arabia Saudita, nel 1962.
Qui però non si vuole giudicare nessuno, tanto meno quei numerosi musulmani che conducono una vita degna, onesta e a volte edificante, non di rado a confusione di milioni di occidentali autoprivatisi del senso stesso dell'esistenza, il quale, se autentico, non può che vincere ogni morte e la morte, essendo pervaso ed animato dal Risorto e dal suo Vangelo.
Il giudizio, alquanto severo, è invece doveroso applicarlo alle tesi occidentali dei 'maestri del nulla' che, essendo tali, sono anche 'guide cieche', desiderosi di tracciare il futuro senza conoscere il passato, d'organizzare il presente senza aver coscienza di altri significativi presenti, come quelli della Mauritania, delSudan e di vari territori africani, nei quali, Isis a parte, ancora oggi la schiavitù viene praticata, non da missionari cattolici, validi conoscitori del Vangelo, ma da altri attivisti, altrettanto validi conoscitori della loro religione.

Christian Peluffo

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