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sabato 9 luglio 2016

“Quelli che dicono sempre no”?


Amoris laetitia resta il dibattito. Il card. Schönborn e altri vescovi si confrontano


schonborn_thisone(di Lorenzo Bertocchi) «Possono i divorziati risposati civilmente ricevere i sacramenti?», con questa domanda si apre un passaggio chiave delle linee guida che l’Arcivescovo di Philadelphia, Mons. Charles Chaput, ha diffuso nella propria diocesi per recepire l’esortazione Amoris laetitia. Su questa domanda, ormai a tre mesi di distanza dalla pubblicazione del documento, continuano a verificarsi risposte varie nell’orbe cattolico. Non ultime le autorevoli interpretazioni del cardinale Schonborn contenute in un’intervista che il porporato austriaco ha concesso al direttore della Civiltà Cattolica.
Mons. Charles Chaput: per ricevere la comunione i divorziati risposati devono vivere castamente
«In linea generale, prosegue il testo della diocesi di Philadelphia, i membri battezzati della Chiesa sono sempre in linea di principio invitati ai sacramenti. Le porte dei confessionali sono sempre aperte al pentito e contrito di cuore. E per quanto riguarda la Comunione? Ogni cattolico, non solo i divorziati risposati civilmente, deve sacramentalmente confessare tutti i peccati gravi di cui lui o lei è a conoscenza, con un fermo proposito di cambiare la propria condotta, prima di ricevere l’Eucaristia. In alcuni casi, la responsabilità personale della persona per un’azione passata può essere diminuita. Ma la persona deve ancora pentirsi e rinunciare al peccato, con un proposito fermo di rettifica.
Per le persone divorziate e civilmente-risposate, l’insegnamento della Chiesa impone loro di astenersi dall’ intimità sessuale. Ciò vale anche se essi devono (per la cura dei loro figli) continuano a vivere sotto lo stesso tetto. L’impegno a vivere come fratello e sorella è necessario per i divorziati risposati civilmente per ricevere la riconciliazione nel sacramento della Penitenza, che potrebbe poi aprire la strada per l’Eucaristia. Tali individui sono incoraggiati ad avvicinarsi al sacramento della Penitenza regolarmente, ricorrendo alla grande misericordia di Dio nel sacramento che se falliscono nella castità.»
Card. Antonelli: il confessore esorti ad impegnarsi per arrivare alla continenza sessuale
La risposta fornita dall’arcivescovo di Philadelphia è del tutto simile a quella che si evince leggendo alcune note del cardinale Ennio Antonelli, presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Famiglia. E similmente si era espresso qualche tempo fa Mons. Aguer, vescovo argentino di La Plata (vedi QUI).
Il cardinale Antonelli, esprimendo alcuni consigli ai confessori, ha scritto che «il confessore lo accoglie [un divoriziato risposato, Nda] con cordialità e rispetto; lo ascolta con benevola attenzione, cercando di considerare i molteplici aspetti della sua personalità. Inoltre lo aiuta a rendere migliori le sue disposizioni, in modo che possa ricevere il perdono: rispetta la sua coscienza, ma gli ricorda la sua responsabilità davanti a Dio, il solo che vede il cuore delle persone; lo ammonisce che la sua relazione sessuale è in contrasto con il vangelo e la dottrina della Chiesa; lo esorta a pregare e ad impegnarsi per arrivare gradualmente, con la grazia dello Spirito Santo, alla continenza sessuale. Infine, se il penitente, pur prevedendo nuove cadute, mostra una certa disponibilità a fare dei passi nella giusta direzione, gli dà l’assoluzione e lo autorizza ad accedere alla comunione eucaristica in modo da non dare scandalo (ordinariamente in un luogo dove non è conosciuto, come già fanno i divorziati risposati che si impegnano a praticare la continenza)».
Card. Shonborn: in certi casi, anche se vi è condizione oggettiva di peccato, sì ai sacramenti
Il cardinale Schonborn alla Civiltà Cattolica, ribadendo che Amoris laetitia rappresenta uno sviluppo, afferma che il Papa Francesco «ci conduce in modo vitale a ripensare ciò a cui noi miravamo quando parlavamo delle situazioni oggettive di peccato. E ciò implicitamente comporta un’omogenea evoluzione nella comprensione e nell’espressione della dottrina. Francesco ha fatto un passo importante obbligandoci a chiarire qualcosa che era rimasto implicito nella Familiaris consortio, sul legame tra l’oggettività di una situazione di peccato e la vita di grazia di fronte a Dio e alla sua Chiesa e, come logica conseguenza, l’imputabilità concreta del peccato».
In particolare, dice Schonborn, «quando il Santo Padre parla delle “situazioni oggettive di peccato”, non si accontenta dei casi di specie distinte nella Familiaris consortio, n. 84, ma si riferisce in modo più esteso a coloro “che non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio” e la cui “coscienza dev’essere meglio coinvolta” “a partire dal riconoscimento del peso dei condizionamenti concreti” (AL 303).
Quindi, par di capire, anche qualora i due divorziati risposati, nel caso in cui non possano separarsi,  non soddisfino alla indicazione di vivere come “fratello e sorella”, emerge una possibile via ai sacramenti in cui vi è un ruolo primario della coscienza. «Certo – risponde Schonborn a una domanda di Spadaro – “questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo”, ma “può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo” (AL 303)».
Una questione ancora dibattuta
Bisogna riconoscere che tra la lettura del cardinale Schonborn, che pare essere quella “ufficiale”, quella che meglio esprime lamens del pontefice, e quelle del vescovo Chaput, o del card. Antonelli, o di mons. Auguer, ma si potrebbe citare anche il cardinale Caffarra (vedi QUI), non pare esservi una completa consonanza. Sono forse questi ultimi “quelli che dicono sempre no”? Oppure perdura una molteplicità di interpretazioni su questioni che non sono affatto chiare, nonostante tre anni di dibattito e una esortazione?

Pubblicato il
  in sinodo2015.

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