ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 18 luglio 2016

Versus Dominum

                                Verso il Signore

altare

La proposta del cardinal Sarah si celebrare ad orientem, altro non è che la riproposizione di quanto Benedetto XVI ha scritto e proposto in molte occasioni.
Il riferimento di Benedetto era mons. Klaus Gamber, di cui riportiamo un bel testo.
di mons. Klaus Gamber

Nella Chiesa primitiva e durante il Medioevo, fu norma rivolgersi a oriente durante la preghiera. Dice sant’Agostino: “Quando ci alziamo in piedi per la preghiera, ci volgiamo a oriente, da dove s’innalza il cielo, non come se ivi soltanto fosse Dio, e avesse abbandonato le altre parti del mondo …, ma perché lo spirito si innalzi a una natura superiore, ossia a Dio“.
Queste parole del Padre africano mostrano che i cristiani, dopo l’omelia, si alzavano per la preghiera successiva e si volgevano a oriente. A quest’atto allude sempre Agostino concludendo le sue omelie con la formula fissa conversi ad Dominum (“rivolti al Signore”).
Il Dölger, nel suo fondamentale Sol salutis, ritiene che anche la risposta del popolo Habemus ad Dominum, all’invito del celebrante Sursum corda, implichi l’essere rivolti a oriente, tanto più che alcune liturgie orientali esigono che ciò effettivamente sia, dopo l’invito del diacono.
Ciò vale per la Liturgia copta di Basilio, dove all’inizio dell’anafora si dice: “Venite, uomini, state in adorazione e guardate a oriente”, e per la Liturgia egiziana di Marco, dove un analogo invito – “Guardate a oriente” – viene dato nel corso della Preghiera eucaristica, ossia prima del Sanctus.
Nella breve esposizione del rituale liturgico contenuta nel libro II delle Costituzioni apostoliche (fine del secolo IV), è prescritto di alzarsi in piedi per la preghiera e di volgersi a oriente. Nel libro VIII viene riportato un equivalente invito del diacono: “State in piedi rivolti al Signore”. Nella Chiesa primitiva, pertanto, volgersi al Signore e guardare a oriente erano la stessa cosa.
L’usanza di pregare rivolti al punto in cui sorge il sole è antichissima, come il Dölger ha dimostrato, e comune a ebrei e gentili. I cristiani l’adottarono ben presto. Già nel 197, la preghiera verso oriente è per Tertulliano una cosa normale. Nel suo Apologeticum (cap. XVI), egli riferisce che i cristiani “pregano nella direzione in cui sorge il sole”.
Allora nelle case si indicava la direzione della preghiera a mezzo di una croce incisa nel muro. Una croce del genere è stata ritrovata a Ercolano in una camera al primo piano di una casa sepolta dall’eruzione del Vesuvio nell’anno 79.
Ora esaminiamo l’orientamento del celebrante e dei fedeli durante la messa. In fondo si tratta del problema se è mai esistita, agli albori del cristianesimo, una celebrazione versus populum (verso il popolo) come oggi si pretende di sostenere.
O. Nußbaum, dopo un lungo esame dedicato alla questione in Il posto del liturgo all’altare cristiano (1965) espone così il problema: “Coll’erezione di edifici specialmente riservati al culto, non si è adottata alcuna regola severa per stabilire da quale parte dell’altare doveva trovarsi il posto del liturgo. Succedeva che l’occupava spesso davanti all’altare e anche spesso dietro” (p. 408).
Nußbaum nutre tuttavia la convinzione che si preferiva la celebrazione verso il popolo fino al VI secolo. Ma questa sua opinione è talmente errata che non è possibile sostenerla né accettarla.
Egli infatti non distingue la differenza che esiste fra le chiese dall’abside verso l’est e altre che hanno l’abside diretta verso ponente e, quindi, l’ingresso dalla parte orientale. Quest’ultimo orientamento si trova per di più soltanto in basiliche del IV secolo e anche qui in primo luogo in quelle edificate da Costantino o da sua madre Elena.
Già all’inizio del V secolo san Paolino da Nola chiama usuale (usitatior) le abside dalla parte orientale (ep. 32,15).
Troviamo basiliche con ingresso verso oriente soprattutto a Roma (il Laterano e S. Pietro) e nell’Africa del nord, mentre esse scarseggiano in Oriente. Trattandosi di edifici con la porta di ingresso rivolta verso oriente, si può dire che essi seguivano l’esempio del Tempio di Gerusalemme e dei maggiori templi antichi.
Nelle basiliche dall’ingresso verso oriente il celebrante era costretto a tenersi regolarmente dalla parte di dietro dell’altare per garantire l’orientamento verso est durante l’offerta del santo sacrificio; al contrario nelle chiese dall’abside verso l’est, il sacerdote doveva necessariamente tenersi davanti l’altare (ante altare) volgendo le spalle ai fedeli. Ora la nostra domanda deve porsi così: dov’era il posto dei fedeli nelle basiliche (costantiniane) con l’abside rivolto verso ponente?
Durante il Canone della messa, non solo il sacerdote ma anche i fedeli stavano rivolti verso oriente. Vale a dire che i fedeli stavano anch’essi rivolti verso oriente, guardando in direzione delle porte della chiesa, tenute aperte, attraverso le quali filtrava la luce del sole simbolo di Cristo risorto.
Durante la celebrazione della eucaristia, nemmeno nelle basiliche menzionate il popolo e il sacerdote non stavano mai di faccia. I fedeli – separati gli uomini dalle donne – prendevano posto nelle navate laterali. Le grandi basiliche ne possedevano fino a sei (il Laterano e S. Pietro ne hanno quattro). Questa disposizione corrisponde ai posti a sedere che si trovano nelle piccole chiese paleocristiane, un uso che continua a esistere ancora nelle chiese dell’Oriente. Anche qui la navata centrale rimane libera, i fedeli anziani siedono sui sedili lungo le pareti laterali e nelle navate mentre la maggior parte dei fedeli rimane in piedi.
Nelle basiliche costantiniane, e qualche volta anche nelle chiese africane, tutta quanta la navata centrale serviva allo svolgimento delle funzioni ed era a disposizione del sacerdote e della schola cantorum, come dimostrano gli scavi e anche un mosaico a Thabarca (Africa del nord). che data al IV secolo. L’altare ornato di un baldacchino, si erigeva all’incirca al centro della chiesa ed era circondato da balaustre. Lo stesso ordine viene ritrovato nell’Italia settentrionale nelle basiliche più antiche ad esempio ad Aquileia e Ravenna, sebbene l’abside si trovi in direzione dell’oriente.
Nella basilica costantiniana di S. Pietro l’altare non era collocato sopra la tomba dell’Apostolo ma bensì nel centro della navata. Nella nuova attuale basilica, l’altare papale si trova invece sulla tomba dell’Apostolo, ma, come nell’antichità, è ancora circondato da un’isola che gli conserva l’ubicazione centrale di una volta.
I fedeli, perciò, nelle basiliche in cui l’ingresso e non l’abside era situato a oriente, se non guardavano l’altare nemmeno voltano a esso le spalle: cosa inammissibile, data la santità dell’altare stesso. Poiché erano nelle navate laterali, avevano l’altare rispettivamente alla loro destra o alla loro sinistra, e formavano un semicerchio aperto a oriente col celebrante e gli assistenti all’incrocio del transetto con l’asse longitudinale della chiesa.
Nelle chiese con l’abside a oriente, tutto dipendeva da come si disponevano i fedeli. Se formavano un ampio semicerchio davanti all’altare situato nella parte absidale della chiesa o presbiterio, anche in questo caso il semicerchio era aperto a oriente; il celebrante non era più all’incrocio dei bracci, bensì nel punto focale, più lontano dai fedeli.
Nel Medioevo, invece, quasi ovunque i fedeli prendono posto nella navata centrale, mentre le navate laterali servono per la processione d’ingresso. In tal modo, dietro al celebrante si snoda il viaggio del popolo di Dio verso la Terra promessa. Meta del viaggio è l’oriente: là è il paradiso, perduto, a cui l’uomo agogna di tornare (cfr. Gen 2,8). Testa di questa teoria sono il celebrante e i suoi assistenti.
In contrasto con la dinamica del viaggio, il semicerchio aperto attua un principio statico durante la preghiera: l’attesa del Signore che, asceso in cielo a oriente (cfr. Ps 67,34), da oriente ritornerà (cfr. At 1,11). Qui, la disposizione a semicerchio aperto è dunque, per così dire, naturale. Quando si aspetta un’alta personalità, si apre un varco e si forma un semicerchio per ricevere nel mezzo la persona attesa.
Analogo pensiero esprime san Giovanni Damasceno (De fide orthod. IV 2): “Nella sua ascensione al cielo, Egli si levò verso oriente. Così Lo adorano gli Apostoli, e ritornerà come essi Lo videro andare verso il cielo. Dice infatti il Signore: Come il lampo parte da oriente e illumina fino a occidente, tale sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Poiché l’aspettiamo, adoriamo rivolti a oriente. Degli Apostoli, questa è una tradizione non scritta“.
Partendo da questa veduta, a cominciare pressappoco dal VI secolo, si cominciò a rappresentare l’ascesa del Signore sullo sfondo dell’abside ricordando in tal modo anche la sua gloria nel cielo e la sua seconda parusia (At 1,11). Più tardi il Cristo in trono nella mandorla venne staccato da quella composizione per divenire quale maiestas Domini, circondato dai quattro animali, il quadro absidiale romanico.
Erano presenti nella prima composizione anche gli Apostoli e nel loro mezzo Maria che alzava le mani al cielo in posizione orante. Ancora più tardi si dipingeva sotto la cupola principale il Pantocrator, oppure l’ascesa del Signore, sopra l’altare, senza però unirvi la Madre di Dio che continuava a ornare l’abside.
Può darsi che un passo dell’Apocalisse ne abbia dato l’ispirazione, là dove si legge: “E si aprì il tempio di Dio nel cielo e apparve l’arca del testamento nel tempio (come sappiamo l’arca sta sull’altare nelle chiese d’oriente) … e un segno grande apparve nel cielo: una donna vestita di sole con la luna ai piedi e sul capo dodici stelle” (Ap 11,19-12,1). È degno di nota il fatto dell’avvicinamento nell’Apocalisse di Maria-Ecclesia con l’arca del testamento, ma colpisce anche che la tenda del tempio, che copre il luogo più sacro, non si apre che in determinate occasioni. Il mistero, il tremendum esige che lo si nasconda, solo in tal modo si risveglia la nostalgia di poterlo contemplare.
“Adesso vediamo come in uno specchio, nell’enigma, ma poi faccia a faccia” (1Cor 13,12).
Lo sguardo levato verso l’oriente non cerca soltanto la gloria di Cristo in cielo e il suo ritorno, ma esprime anche il desiderio della visione che si svelerà alla fine dei giorni, nella gloria avvenire. È quello il significato della prece che si innalza nella Didaché (X 6) Maranatha! che ripete il Veni, Domine Iesu! dell’Apocalisse.
In questo breve studio si è soltanto tenuto conto di alcuni punti importanti che riguardano l’orientamento verso l’est durante la preghiera e il posto del celebrante nella Chiesa dei primi secoli. Altri dati importanti archeologici sono esposti nel mio libro Liturgie und Kirchenbau (“Liturgia e architettura religiosa”) che fornisce anche le prove necessarie.È vero che l’uomo moderno non sa più capire bene il significato dell’orientamento della preghiera verso l’est. Per lui il sole che sorge non ha più la forza simbolica che aveva per l’uomo antico. Però, al di sopra dei tempi storici, sta l’importanza della preghiera ad Dominum, verso il Signore da parte del celebrante e dei fedeli, che esprime l’orientamento verso la croce dell’altare e verso l’immagine di Cristo nell’abside, da parte di tutti i presenti, sacerdote e fedeli.
da “notizie”.
Periodico dell’associazione italiana Una Voce edito dalla Sezione di Torino n° 116, 1987, pp. 1-4
per approfondire:
http://www.internetica.it/Gamber-AltareCattolico.htm

http://www.libertaepersona.org/wordpress/2016/07/verso-il-signore/

Verso un'autentica messa in opera di Sacrosanctum concilium



Riportiamo, per gentile concessione del curatore di 
Romualdica, un ampio stralcio della conferenza di S. Em. il card. Robert Sarah, Prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, «Towards an Authentic Implementation of Sacrosanctum Concilium» (versione ufficiale in lingua francese della conferenzaqui), svolta il 5 luglio 2016 nel corso del Convegno Sacra Liturgia 2016 (Londra, UK, 5-8 luglio 2016), trad. it. di fr. Romualdo O.S.B.



[…] Alla luce degli auspici fondamentali dei Padri del Concilio [Vaticano II] e delle varie situazioni che abbiamo visto affiorare dopo il Concilio, vorrei presentare alcune considerazioni pratiche quanto al modo di mettere in opera più fedelmente Sacrosanctum Concilium nel contesto attuale. Sebbene io mi trovi alla guida della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, lo faccio in tutta umiltà, come sacerdote e come vescovo, nella speranza che esse susciteranno studi e riflessioni mature, come pure buone pratiche liturgiche, ovunque nella Chiesa.
Non vi sorprenderete se raccomando che possiamo anzitutto esaminare la qualità e la profondità della nostra formazione liturgica, la maniera con cui abbiamo aiutato il clero, i religiosi e i laici a impregnarsi dello spirito e della forza della liturgia. […] La formazione liturgica è anzitutto ed essenzialmente un’immersione nella liturgia, nel mistero profondo di Dio, nostro Padre beneamato. Si tratta di vivere la liturgia in tutta la sua ricchezza, d’inebriarsene bevendo a una fonte che non estingue mai la nostra sete per le sue delizie, le sue leggi e la sua bellezza, il suo silenzio contemplativo, la sua esultanza e adorazione, il suo potere di legarci intimamente a Colui che è all’opera nei e per i sacri riti della Chiesa.
Ecco perché coloro che sono in “formazione” per il ministero pastorale dovrebbero vivere la liturgia quanto più pienamente possibile nei seminari e nelle case di formazione. I candidati al diaconato permanente dovrebbero essere immersi in un’intensa vita di preghiera liturgica per un tempo prolungato. Aggiungo che la celebrazione piena e ricca della forma antica del rito romano, l’usus antiquior, dovrebbe costituire una parte importante della formazione liturgica del clero. Senza di ciò, come iniziare a comprendere e a celebrare i riti riformati nell’ermeneutica della continuità, se non si è mai fatta l’esperienza della bellezza della tradizione liturgica che conobbero gli stessi Padri del Concilio e che ha forgiato così tanti santi durante i secoli? Una saggia apertura al mistero della Chiesa e alla sua ricca tradizione plurisecolare, e un’umile docilità a ciò che lo Spirito Santo dice oggi alle Chiese, sono un vero segno che noi apparteniamo a Gesù Cristo: “Ed egli disse loro: ‘Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche’” (Mt 13,52). […]
Secondariamente, ritengo si debba essere chiari a proposito della partecipazione alla liturgia, la participatio actuosa come l’ha chiamata il Concilio. Ciò ha generato molta confusione nel corso degli ultimi decenni. L’articolo 48 della costituzione sulla sacra liturgia dice che “la Chiesa si preoccupa […] che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente”. Per il Concilio, la partecipazione è anzitutto interiore, ottenuta “comprendendolo bene [il mistero dell’Eucaristia] nei suoi riti e nelle sue preghiere”. La vita interiore, la vita sprofondata in Dio e intimamente abitata da Dio, è la condizione indispensabile a una partecipazione fruttuosa e feconda ai santi misteri, che celebriamo nella liturgia. La celebrazione eucaristica dev’essere essenzialmente vissuta dall’interno. È all’interno di noi che Dio desidera incontrarci. […]
Se comprendiamo la priorità d’interiorizzare la nostra partecipazione liturgica, eviteremo il rumoroso e pericoloso attivismo liturgico che s’incontra troppo spesso negli ultimi decenni. Non andiamo alla Messa per dare spettacolo, ma per unirci all’azione di Cristo attraverso un’interiorizzazione dei riti, preghiere, segni e simboli che fanno parte dei riti esteriori. Noi sacerdoti, potremmo ricordarcene più spesso degli altri, visto che la nostra vocazione è il servizio liturgico! Noi dobbiamo altresì formare gli altri, in particolare i bambini e i giovani, all’autentico significato della partecipazione, al modo di pregare la liturgia. […]
In terzo luogo […], io non ritengo che si possa squalificare la possibilità o l’opportunità di una riforma ufficiale della riforma liturgica. I suoi promotori avanzano delle considerazioni giudiziose nel loro tentativo di essere fedeli all’auspicio del Concilio espresso nell’articolo 23 della costituzione, in cui si propone di “conservare la sana tradizione e aprire nondimeno la via ad un legittimo progresso”. Occorrerà sempre iniziare con un accurato studio teologico, storico, pastorale, affinché “non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l’avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle già esistenti”.
Onde supportare quanto detto, desidero aggiungere che quando sono stato ricevuto in udienza dal Santo Padre lo scorso aprile, Papa Francesco mi ha chiesto di studiare la questione di una riforma della riforma e il modo in cui le due forme del rito romano si possono arricchire reciprocamente. Sarà un lavoro lungo e delicato e vi chiedo la pazienza e l’assistenza delle vostre preghiere. Se vogliamo mettere in opera più fedelmenteSacrosanctum Concilium, se vogliamo realizzare ciò che il Concilio auspicava, è una questione che dev’essere studiata con attenzione ed esaminata con la chiarezza e la prudenza richieste, nella preghiera e nella sottomissione a Dio. […]
Voglio lanciare un appello a tutti i sacerdoti. Forse avete letto il mio articolo su L’Osservatore Romano di un anno fa (12 giugno 2015) o la mia intervista al giornale Famille Chrétienne nel mese di maggio di quest’anno. In ogni occasione, ho detto che è di primaria importanza ritornare il più presto possibile a un orientamento comune dei sacerdoti e dei fedeli, rivolti insieme nella medesima direzione – verso Est, o perlomeno verso l’abside –, verso il Signore che viene, in tutte le parti del rito in cui ci si rivolge al Signore. Questa pratica è permessa dalle regole liturgiche attuali. Ciò è perfettamente legittimo nel nuovo rito. In effetti, penso che una tappa cruciale è di fare in modo che il Signore sia al centro delle celebrazioni.
Pertanto, cari fratelli nel sacerdozio, vi chiedo umilmente e fraternamente di mettere in opera questa pratica ovunque sia possibile, con la prudenza e la pedagogia necessarie, ma anche con la certezza, in quanto preti, che è una buona cosa per la Chiesa e per i fedeli. La vostra valutazione pastorale determinerà come e quando ciò sarà possibile, ma perché eventualmente non cominciare la prima domenica di Avvento di quest’anno, quando noi attendiamo il “Signore [che] viene senza tardare” (cfr. l’introito del mercoledì della prima settimana di Avvento)? Cari fratelli nel sacerdozio, prestiamo orecchio alle lamentazioni di Dio proclamate dal profeta Geremia: “A me rivolgono le spalle, non la faccia” (Ger 2,27). Rivolgiamoci di nuovo verso il Signore! Dal giorno del suo battesimo, il cristiano non conosce che una direzione: l’Oriente. Ci ricorda sant’Ambrogio: “Tu sei dunque entrato per guardare il tuo avversario, al quale hai deciso di rinunciare faccia a faccia, e ora ti volgi verso l’Oriente (ad Orientem); poiché colui che rinuncia al diavolo si volge verso il Cristo, lo guarda dritto negli occhi” (Sant’Ambrogio, De Mysteriis). […]


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