MA QUALE INTEGRAZIONE
La verità è che"integrazione"è una parola senza senso perché i migranti/invasori non hanno la benché minima intenzione d’integrarsi. Presto getteranno la maschera della moderazione e mostreranno il loro vero volto ma sarà tardi
di Francesco Lamendola
Quando Laura se l’è trovata davanti, deve aver pensato di essere capitata sul pianeta Marte, oppure d’avere sbagliato epoca; questa, almeno, è l’impressione che ha dato, restando letteralmente a bocca aperta, mentre l’altra gridava e si agitava, nel calor bianco dell’incontro.
È successo alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, nell’incontro fra la squadra tedesca e quella egiziana di beach volley, una specialità solo da pochi anni entrata a far parte ufficialmente delle categorie olimpioniche, ma che subito è balzata ai primi posti nell’attirare l’interesse del pubblico. A misurarsi erano le due squadre femminili, e non si sarebbe potuto visualizzare meglio il contrasto oggi esistente fra la cultura islamica e quella occidentale.
La bionda Laura Ludwig, una ragazzona che pare uscita da un film di Leni Riefenstahl, come pure la sua compagna Kira Walkenhorst, oggi sono due eroine nel loro Paese, anche se i loro nomi non diranno molto al di fuori della Germania, tranne che agli appassionati di sport olimpionici: hanno vinto, infatti, la medaglia d’oro, sbaragliando, una dopo l’atra, tutte le formazioni avversarie, compresa la più attesa e quotata di tutte, quella delle padrone di casa brasiliane.
Laura, dunque, fasciata solo della sua possente ma armoniosa muscolatura, e di un ridotto due pezzi, si trova faccia a faccia con una avversaria che indossa una tuta integrale, che le copre interamente braccia, gambe e pure i capelli, grazie al hijab, il velo prescritto alle donne musulmane; e così pure la sua compagna di squadra. Non è una partita fra due tecniche o fra due diverse concezioni dello sport; è proprio una partita fra due concezioni del mondo – e, naturalmente, anche fra due idee della donna. Pareva che due lontane epoche della storia si fossero incontrate d’improvviso e si stessero sfidando sulla sabbia, sui due lati di una rete da pallavolo.
Non è un’esagerazione, e non si tratta della solita frase a effetto; del resto, in molti, in troppi, si sono sbizzarriti a chiosare e cesellare quell’incredibile match, e la nota dominare era quella trionfalistica: quattro ragazze così diverse per provenienza, lingua, religione cultura, che si sono trovate affratellate dallo sport, dal comune impegno olimpionico, dalla voglia di giovinezza, di gareggiare e, naturalmente, di vincere. Tutte balle. Non c’è stato alcun affratellamento, perché, a parte le rituali strette di mano, non sarebbe stato possibile, neppure volendolo: e nessuno, crediamo, si sognava di volerlo, e neanche di ritenerlo possibile. È stata l’immagine visiva di due mondi che si sfiorano, ma non comunicano, perché non possiedono alcuna lingua comune, e perché non sono minimamente intenzionati neppure a cercarla. Non si dica che quella lingua è lo sport: perché anche lo sport, come qualsiasi altra cosa, può diventare un ponte fra culture diverse a patto che ci sia un minimo denominatore comune fra esse: ma lo sport, di per sé, non può essere quel ponte, meno ancora in una competizione agonistica ai massimi livelli. Alle Olimpiadi, si va per vincere e non per gettare ponti; per stabilire primati, se possibile, e non per fare della poesia, o, peggio, della (cattiva) filosofia, sulla bellezza dell’integrazione.
Ma quale integrazione, poi? Quando adoperano questa parola – che, in verità, adoperano continuamente – i tuttologi buonisti, i politologi progressisti, gli antropologi di sinistra e i filosofi da strapazzo che infestano i salotti televisivi a un tanto l’ora, non sanno letteralmente di che cosa stanno parlando. Il loro conformismo politico e culturale è pari soltanto alla loro ignoranza e alla loro pigrizia intellettuale. Ignoranza: perché non è mai esistita una cosa che si chiama integrazione, se non a livello di singoli individui, e perfino in quel caso, solo entro certi limiti e con parecchi punti di domanda; per quel che riguarda i popoli, si può cominciare a parlar d’integrazione dopo qualche millennio, ma non è detto: si veda l’India, dove i Dravida, gli abitanti originari, sono andati a formare la casta dei paria, pur dopo secoli e millenni dall’inizio della dominazione ariana.
Oppure si pensi agli Stati Uniti d’America: qualcuno se la sente di affermare che, pur dopo tre secoli, si è compiuta l’integrazione degli afroamericani nel contesto di quella società? Ma se basta che la polizia uccida un ragazzo nero, perché scoppi una mezza insurrezione da un capo all’altro degli States! Del resto, la cosa è palese: bianchi e neri non vogliono integrarsi. Si prenda Milwaukee, una città del Wisconsin che è stata fra i principali teatri degli ultimi disordini razziali: esistono di fatto due città, una bianca al nord, dove vive il 60% della popolazione, e una nera al sud, dove vive il 40%; le due comunità sono separate da una linea invisibile, ma estremamente reale. Lo stesso accade coi Cinesi e i Giapponesi in California, o coi latinos in Arizona e New Mexico; degli ultimi Pellerossa, meglio non parlare neppure. Altro che integrazione.
Della Repubblica Sudafricana, dopo lo smantellamento dell’apartheid e la divinizzazione di Nelson Mandela, entrato a furor di popolo nel’Olimpo degli Immortali, i media di tutto il mondo hanno smesso di occuparsi: il bene ha trionfato, i buoni hanno vinto e i cattivi hanno perso. Dunque, i riflettori si sono spenti: il resto della storia non interessa più a nessuno. Tanto più che potrebbe disturbare i sonni dei nostri bravi buonisti, progressisti e multiculturalisti. Già: perché, se qualcuno si prendesse la briga di riaccendere i riflettori, quel che vedremmo non farebbe molto piacere né ai cattoprogressisti, né ai seguaci della nuova religione di Mandela. La verità dei fatti, nuda e cruda, è che i neri stanno conducendo una lenta, capillare, devastante opera di estromissione dei bianchi, migliaia dei quali fanno la valigia e se ne vano via per sempre, ad esempio in Australia e Nuova Zekanda, nel massimo silenzio e con la più grande compostezza. Se restano a casa, rischiano la pelle o sono costretti ad andare a dormire con la pistola carica sotto il cuscino. Bande di rapinatori e di assassini neri fanno irruzione nelle case dei bianchi, specialmente nelle fattorie isolate, e non lasciano vivo nessuno. Nelle città le cose vanno un po’ meglio, ma anche lì i bianchi si sentono ormai braccati, con il fiato sul collo. Hanno perso la speranza: sanno che, prima o poi, per loro finirà nel peggiore dei modi. Complice il silenzio ipocrita dei giornalisti che, per decenni, hanno strepitato – e con ragione, s’intende - contro la violenza dei bianchi a danno dei neri. Ma ora che le parti si sono rovesciate, quegli stessi giornalisti non hanno più nulla da dire e, di colpo, hanno perso ogni interesse per le cose sudafricane.
Peraltro, non c’è bisogno di andare negli Stati Uniti o in Sudafrica per toccare con mano il fallimento di qualsiasi politica d’integrazione fra etnie diverse: basta restare anche dentro i confini italiani. Basta andare a Bolzano, per esempio, dove la cultura italiana e quella tedesca s’incontrano: meglio, dove s’incontrano la cultura dell’Italia settentrionale e quella dell’Austria e della Germania meridionale. Stiamo parlando di due stirpi che, pur parlando due lingue diverse, hanno moltissime cose in comune: la comune appartenenza alla civiltà europea; la comune eredità di Roma; la stessa religione cristiana, nella stessa confessione cattolica; e quel minimo di rispetto reciproco che deriva dal fatto di vivere l’una a ridosso dell’altra, e di non avere, nei rispettivi armadi, scheletri così tremendi come la schiavitù, o come l’apartheid; per giunta, stiamo parlando di poche centinaia di migliaia di persone, che ormai da un secolo – dal 1918 – vivono entro i confini dello stesso Stato, e dove una – la tedesca – è tutelata, anche mediante trattati internazionali, da un regime di autonomia così largo, da far sorgere il sospetto che l’altra etnia, l’italiana, si trovi, di fatto, in una posizione subalterna in casa propria, in seno al proprio stato nazionale.
Ebbene: non c’è stata alcuna integrazione. I matrimoni misti sono più unici che rari; i quartieri misti non esistono; né la scuola, né la pubblica amministrazione, né il lavoro, né lo sport, sono riuscirti a creare neppure un accenno d’integrazione. E questo per una ragione semplicissima: che le due comunità, pur non odiandosi – c’è stata, purtroppo, anche la fase del terrorismo sudtirolese, ma, grazie a Dio, è passata pure quella – non hanno la benché minima voglia di fondersi. Dopo quattro generazioni da che il Sud Tirolo è divenuto una provincia (ora autonoma) italiana, né gli uni, né gli altri, hanno mai dato segno di voler fare un passo decisivo verso la reciproca integrazione, e creare una società mista. Tutto al contrario.
Questi sono i fatti, per chi abbia la voglia di vederli. Ora ci piacerebbe che i politici progressisti e gli intellettuali buonisti ci spiegassero che cosa intendono, quando affermano che milioni di stranieri immigrati in Italia, che non si sa neppure quanti siano (perché i dati sui clandestini non esistono, ma è verosimile che siano il doppio o il triplo rispetto ai dati stimati), e provenienti da decine di Paesi diversi, dalla Romania all’Albania, dal Marocco alla Cina, dall’Ucraina alle Filippine, ciascuno con la sua lingua, cultura, religione e le sue tradizioni, si dovrebbero “integrare” nella società italiana. Una società italiana, oltretutto, sempre più vecchia, demograficamente parlando, mentre la popolazione straniera è sempre più giovane e sempre più numerosa. Se le parole hanno un senso, e se alle parole devono corrispondere dei concetti chiari e comprensibili, allora bisogna dire che essi parlano letteralmente a vanvera, che danno semplicemente aria al palato. La cosa di cui si riempiono la bocca, senza sosta, non esiste, non è mai esistita e mai esisterà; e non potrebbe esistere neppure se le condizioni effettive fossero infinitamente più semplici e più favorevoli di come sono in realtà.
Quindi, oltre all’ignoranza, quanti ci ripetono, incessantemente, che l’immigrazione straniera nel nostro Paese è cosa buona e giusta, perché ci aiuta a salvare i conti pubblici, a pagare le pensioni e a mandare avanti la produzione, sono afflitti anche da una cronica pigrizia intellettuale: ripetono slogan e formule preconfezionate, ma non si prendono il disturbo di andare a verificare se vi sia una minima possibilità di convergenza fra ciò che dicono, e di cui vorrebbero persuaderci, e la realtà dei fatti. Si tratta di giornalisti e di opinionisti che hanno il posto sicuro e la poltrona assicurata, purché continuino a ragliare come somari le stesse stupidaggini; e il conservare la posizione eretta della spina dorsale non è precisamente l’esercizio in cui eccellano. Quanto ai politici, se ne infischiano: per loro va bene così, gli immigrati portano un nuovo serbatoio di voti cui attingere, ma, soprattutto, infinite possibilità di affari con ilbusiness dell’accoglienza, tramite le cooperative, gli albergatori, i centri di assistenza, eccetera, eccetera (senza nulla voler togliere, con questo, alle persone che lavorano onestamente in un tale ginepraio, e che rischiano perfino la vita, a cominciare dagli uomini della Guardia costiera e delle Forze dell’ordine, che vanno a rischio di prendersi una coltellata nella schiena tutti i santi giorni, nell’esercizio del loro dovere, per una paga miserevole e, come se non bastasse, con lo spettro di doversi difendere dalle denunce degli spacciatori e dei rapinatori che arrestano e che, prontamente rimessi in libertà da qualche giudice buonista e di sinistra, non esitano a mobilitare gli avvocati per rivalesi dei “maltrattamenti” subiti. Chiedendo risarcimenti di decine di migliaia di euro.
E non parliamo di terrorismo islamico, perché il papa Francesco si potrebbe arrabbiare e perché non bisogna suscitare inutili allarmismi, anche se perfino i servizi segreti di quel colabrodo che è la Libia ci hanno avvertiti che, fra i migranti in partenza dalle loro coste, sicuramente ci saranno non pochi militanti della jiahd islamica, pronti a far saltare in aria qualche palazzo o monumento, a massacrare gli avventori di qualche locale o di qualche supermercato, a sgozzare qualche prete sui gradini dell’altare, in piena Messa. Per carità, non parliamo di questo, perché immediatamente verremmo accusati di “sciacallaggio” e di ignobile speculazione sulla pelle di quei “disperati” che – come recita la formula canonica – essendo in fuga da guerra e fame, hanno ogni diritto di sbarcare sulle nostre spiagge e di essere accolti, assistiti, forniti di documenti e aiutati a soddisfare ogni loro desiderio, che si quello di rimanere in Italia, oppure di proseguire nel Paese di loro maggior gradimento. Anche se, grattando appena un poco sotto la vernice, verrebbe fuori che i Paesi da cui costoro provengono, al novanta per cento o più, non sono travagliati da guerre, né da afflitti da carestie o da “emergenze umanitarie”. Per cui i cosiddetti “disperati” hanno semplicemente deciso di fare un salto di qualità e insediarsi in un Paese, o in un continente (ma Austria, Svizzera, Francia, Spagna, si regolano ben diversamente da noi, e chiudono le frontiere) dove il buonismo arriva al punto di annullare giuridicamente e penalmente i confini e da offrire assistenza gratuita e illimitata per chiunque arrivi, anche senza carta d’identità, anche con i polpastrelli abrasi per non farsi riconoscere. La verità è che l’integrazione è una parola senza senso, perché i migranti/invasori - chiamiamoli con il loro nome, per piacere - non hanno la benché minima intenzione d’integrarsi. Finché sono minoranza, invocano le nostre leggi e i nostri principi di “laicità” per conservare tutte le loro abitudini, che non sono solo quella del burkini (magari fosse tutto lì), ma, ad esempio, la condanna a morte d’un islamico che si voglia fare cristiano. Quando saranno assai più numerosi, getteranno la maschera della moderazione, e mostreranno il loro vero volto; ma allora sarà tardi…
Francesco Lamendola
Si fa presto a dire integrazione
di Francesco Lamendola
Europa, la guerra etnica si avvicina
Nelle ultime settimane in Europa, in particolare in Francia ed in Germania, un attacco terrorista, una uccisione in massa, una esplosione, un terrorista suicida, uno scambio di colpi ed una presa di ostaggi, sono stati avvenimenti che si sono susseguiti uno con l’altro.
Il 14 di Luglio, un terrorista apparentemente solo, ha ucciso con un camion più di 80 persone a Nizza, il 18 di Luglio un afgano armato con un’ascia ha attaccato i passeggeri di un treno in Baviera.
Il 14 di Luglio, un terrorista apparentemente solo, ha ucciso con un camion più di 80 persone a Nizza, il 18 di Luglio un afgano armato con un’ascia ha attaccato i passeggeri di un treno in Baviera.
Qualche settimana fa, a Monaco, un giovane cecchino di 18 anni ha aperto il fuoco in un McDonalds ed in un Centro Commerciale, uccidendo 9 persone e ferendone 35, in maggioranza adolescenti di origine turca o albanese. Un altro giovane in Germania stava programmando un attacco a Stoccarda, Il 24 di Luglio, un rifugiato siriano ha pugnalato a morte con un macete una cameriera incinta in un Kebab in Polonia. Nello stesso tempo si è prodotta una esplosione nel centro di una città bavarese, Ansbach, ferendo 12 persone. Il 2 Luglio, terroristi di origine araba che facevano pate dell’ISIS hanno attaccato una Chiesa a Saint-Étienne-du-Rouvray , nel nord della Francia, prendendo ostaggi e sgozzando brutalmente poi il prete.
Altra sparatoria il 27 Luglio in un Centro Commerciale in Svezia, per opera di una persona sconosciuta. In Svizzera, il 13 Agosto, un uomo aggredisce i passeggeri di un treno con un coltello e liquido infiammabile. Due i morti e cinque feriti tra cui un bambino di 6 anni. L’aggressore, colpito a morte dal fuoco della polizia . Si scoprirà poi che si trattava di un islamico naturalizzato svizzero.( I media tendono a occultare la matrice terroristica dei singoli attacchi).
Cosa sta accadendo in Europa? Tutto questo era di fatto abbastanza prevedibile. L’Europa si sta avvicinando inesorabilmente sull’orlo di una guerra civile. Quale è l’essenza di questa guerra?
Per comprendere questo, dobbiamo prestare attenzione alle due forze principali che stanno scatenando questa guerra e costituendosi nei due principali poli. Da una parte ci sono le orde di migranti che provengono dal Medio Oriente e dal Nord Africa. Dall’altra parte ci sono i nazionalisti europei, la cui influenza e determinazione sta crescendo in stretta proporzione con il numero dei migranti. Quì c’è l’equazione: a più migranti, più nazionalisti, e quanto più i migranti ricorreranno alla violenza, più dura e isterica sarà la risposta dei nazionalisti.
In questo vi è il punto più importante: con il fine di salvare l’Europa, o per lo meno di riequilibrare la situazione, tutti i governi europei mentalmente competenti dovrebbero fermare immediatamente l’immigrazione. Dopo tutto, la situazione è critica. Tuttavia qullo che vediamo è che i leaders europei vanno ripetendo per l’ennesima volta: “la maggior parte dei migranti sono buoni e diversi” ed ancora “bisogna integrarli ed avere maggiore tolleranza”.
In questo vi è il punto più importante: con il fine di salvare l’Europa, o per lo meno di riequilibrare la situazione, tutti i governi europei mentalmente competenti dovrebbero fermare immediatamente l’immigrazione. Dopo tutto, la situazione è critica. Tuttavia qullo che vediamo è che i leaders europei vanno ripetendo per l’ennesima volta: “la maggior parte dei migranti sono buoni e diversi” ed ancora “bisogna integrarli ed avere maggiore tolleranza”.
Il 28 Luglio la cancelliera tedesca Angela Merkel ha affermato che non ci saranno cambiamenti nella politica di immigrazione. George Soros ed i politici statunitensi stanno operando come ideologi della crescita dell’immigrazione e sospingendo (con le loro organizzazioni) ondate di migranti con la massima libertà. Loro stanno facendo pressioni sull’Europa perchè diventi più tollerante ed aperta. Nella misura che l’Europa seguirà le politiche di Washington e i personaggi come Soros, le esplosioni ed i massacri sanguinosi diventeranno la normalità di tutti i giorni degli europei moderni. Poco a poco, questo condurrà ad una “Primavera Europea”, cioè a dire, una guerra civile in piena regola.
Quali obiettivi hanno coloro che stanno aumentando tenacemente le possibiltà di pericolo terrorista e la violenza in Europa? Soltanto uno: avvicinare l’Europa al loro obiettivo, quello di distruggere e disarticolare i paesi europei per costruire un Continente europeo della stessa massa sanguinolenta che abbiamo visto in Medio Oriente. Una volta di più possiamo vedere gli strumenti favoriti della geopolitica nord americana, quelli che gli USA hanno utilizzato per far esplodere il mondo arabo e che hanno distrutto vari paesi: l’ Irak, la Libia, lo Yemen e la Siria. Questi strumenti non sono altri che il fondamentalismo islamico radicale, il salafismo ed il wahabismo, il cui pensiero e marca delle relazioni pubbliche è quella di uno Stato Islamico, il Daesh, che è proibito in Russia. Quelli costituiscono il nucleo di tutte le azioni estremiste commesse dai migranti, o semplicemente attribuiti ad essi stessi, che soltanto rafforzano la loro immagine.
Tuttavia le stesse forze sono anche dietro i nazionalisti europei, in specie nelle loro versioni estremiste, neonazisti e xenofobi. Che si ricordino di Brevk, uno dei cui seguaci ha cercato di recente di ripeter egli atti criminali a Monaco. Tali neonazisti estremisti sono orientati dagli USA e da Israele e sono frequentati dai loro servizi di intelligence.
Pertanto l’Europa viene colpita da due fronti, tuttavia il giocatore è sempre lo stesso. Washington e Soros stanno stimolando l’immigrazione e supervisando gli estremisti dell’ISIS con una mano, mentre con l’altra stanno appoggiando l’estrema destra per farla scontrare contro i migranti e contro altri nemici del Nord America, i russi. Questo modello già è stato messo in scena nell’esempio dei neo nazisti ucraini del Settore Destro, una organizzazione proibita in Russia ugualmente a Daesh.
Pertanto l’Europa viene colpita da due fronti, tuttavia il giocatore è sempre lo stesso. Washington e Soros stanno stimolando l’immigrazione e supervisando gli estremisti dell’ISIS con una mano, mentre con l’altra stanno appoggiando l’estrema destra per farla scontrare contro i migranti e contro altri nemici del Nord America, i russi. Questo modello già è stato messo in scena nell’esempio dei neo nazisti ucraini del Settore Destro, una organizzazione proibita in Russia ugualmente a Daesh.
Prestiamo attenzione alla geografia degli ultimi attacchi terorristi: Francia, Germania, Germania, Francia, Germania e punto. Perchè in questi paesi? Perchè dopo il Brexit l’Europa ha l’opportunità di defilarsi un poco dal controllo asfissiante degli USA e come sempre, i due pilastri dell’Europa continentale, dell’Europa reale, continuano ad essere la Francia e la Germania, che sono molto meno controllati dal dominio anglosassone. Così adesso questi si stanno trasformando in un punto nero per Washington.
Come gli piace dire a John Kerry, “il meccanismo si è messo in marcia”. Questa volta potrebbe essere il meccanismo della Guerra civile in Europa che , in una situazione come l’atuale è quasi inevitabile. A più migranti, più attacchi terorristici. Entrambi stanno solamente aumentando in questo periodo.
Si può fermare tutto questo? Forse sarà troppo tardi. Tuttavia in ogni caso, l’unica possibilità di salvezza è quella di abbandonare immediatamente gli USA e la NATO ad una velocità vertiginosa. Se questo non accadrà, un domani voi vi trasformerete in una nuova Libia.
Si può fermare tutto questo? Forse sarà troppo tardi. Tuttavia in ogni caso, l’unica possibilità di salvezza è quella di abbandonare immediatamente gli USA e la NATO ad una velocità vertiginosa. Se questo non accadrà, un domani voi vi trasformerete in una nuova Libia.
Niente di personale
Alexander Dugin
Fonte: Katehon
Traduzione: Manuel De Silva
N.B. L’opinione dell’autore può non coincidere con la posizione della redazione.
http://www.controinformazione.info/europa-la-guerra-etnica-si-avvicina/#
Il piccolo Omran e quella verità nascosta, che dovrebbe indignarvi
Vi siete commossi per il piccolo Omran salvato dalle macerie di Aleppo? Certo che sì, ci siamo commossi tutti. Però la storia andrebbe contestualizzata, cosa che quasi nessuno ha fatto.
Non mi riferisco tanto alla possibilità che l’immagine sia stata costruita ovvero che si sia trattata di una “photo opportunity”, ovvero di una sequenza in apparenza spontanea in realtà costruita ad arte, evocata da alcuni blogger. Che sia autentica o ritoccata è stata usata per una campagna di propaganda tipica dello spin, con la speranza di suscitare un’altra ondata emotiva e in seconda battuta politica, analoga a quella provocata da un’altra fotografia celebre, quella del piccolo Aylan sulle spiagge turca. Quegli scatti indussero la Germania ad aprire le frontiere, rendendo moralmente accettabile il flusso di migranti verso l’Europa, flusso che oggi è diventato incontrollabile, dimostrando quanto improvvida fu la decisione di Frau Merkel.
Ecco perché anche oggi bisognerebbe evitare di non limitarsi all’emotività e di capire bene quale sia la vera posta in gioco.
In estrema sintesi l’equazione che viene proposta dai media e dai politici mainstream è la seguente i russi e Assad hanno bombardato Aleppo, colpendo dei bimbi innocenti come Omran. L’Occidente non può rimanere insensibile e deve intervenire in difesa della popolazione civile e in difesa dei ribelli islamici che combattono contro Assad e che – badate bene – non sono dell’Isis ma sono moderati e nostri amici.
Non è un caso che negli Stati Uniti voci autorevoli invochino proprio in queste ore un intervento della Nato in Siria.
Moderati? Amici?
Siamo sicuri?
Il sito Information Clearing House ha ricostruito chi è davvero l’eroico fotografo che ha scattato l’immagine di Omran nell’ambulanza. Si chiama Mahmoud Raslan e non è propriamente un novello Gandhi. Sulla sua pagina Facebook ha postato più volte commenti inneggianti al martirio dei kamikaze islamici e alla Guerra e appare più volte con la banana tipica del jihadista. Ma soprattutto appare in un selfie con due membri di un commando del gruppo militanti “Zenkie” e protagonista di un episodio orribile.
Il fotografo di Omran con i guerriglieri del commando che hanno sgozzato un bimbo di 12 anni[/caption]Trattasi dell’arresto, sempre ad Aleppo, di un bambino palestinese di 12 anni. Guardatelo nella foto: ha smagrito, ha l’aria smarrita, è figlio di una famiglia di profughi. Gli operatori umanitari e persino gli altri gruppi presenti ad Aleppo hanno negato che si trattasse di un terrorista, di un baby, molto baby terrorista. Verosimilmente ha avuto solo la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ma i militanti di Zenkie non hanno voluto sentir ragioni. Lo hanno preso, caricato su un pick-up attorniato da un un gruppo di militari esaltati, giubilanti per aver catturato un “nemico”. Di dodici anni. Tra di loro due persone. Sono le stesse due persone che appaiono anche in un selfie con un raggiante Raslan.
Potrei mostrarvi il video di quel che accade dopo, ma non ne ho il coraggio. Quelle immagini hanno anche shoccato anche me.
I guerriglieri hanno fermato il pick up in una strada, hanno legato le mani del povero bambino dietro la schiena, lo hanno sdraiato a pancia in giù. Un giovane si è avvicinato con un coltello, gli ha alzato la testa, sgozzandolo e poi decapitandolo.
Ecco, questi sono i ribelli moderati per cui la Nato dovrebbe mobilitarsi.
Ecco, questi sono gli episodi che dovrebbero indignare l’Occidente, ben più della commovente foto di Omran ma scommetto che pochi di voi ne erano al corrente. Eppure l’esecuzione è avvenuta il 25 luglio, nemmeno un mese fa.
http://blog.ilgiornale.it/foa/2016/08/21/il-piccolo-omran-e-una-verita-nascosta-quanta-ipocrisia/
Il piccolo Omran e quella verità nascosta, che dovrebbe indignarvi
Non mi riferisco tanto alla possibilità che l’immagine sia stata costruita ovvero che si sia trattata di una “photo opportunity”, ovvero di una sequenza in apparenza spontanea in realtà costruita ad arte, evocata da alcuni blogger. Che sia autentica o ritoccata è stata usata per una campagna di propaganda tipica dello spin, con la speranza di suscitare un’altra ondata emotiva e in seconda battuta politica, analoga a quella provocata da un’altra fotografia celebre, quella del piccolo Aylan sulle spiagge turca. Quegli scatti indussero la Germania ad aprire le frontiere, rendendo moralmente accettabile il flusso di migranti verso l’Europa, flusso che oggi è diventato incontrollabile, dimostrando quanto improvvida fu la decisione di Frau Merkel.
Ecco perché anche oggi bisognerebbe evitare di non limitarsi all’emotività e di capire bene quale sia la vera posta in gioco.
In estrema sintesi l’equazione che viene proposta dai media e dai politici mainstream è la seguente i russi e Assad hanno bombardato Aleppo, colpendo dei bimbi innocenti come Omran. L’Occidente non può rimanere insensibile e deve intervenire in difesa della popolazione civile e in difesa dei ribelli islamici che combattono contro Assad e che – badate bene – non sono dell’Isis ma sono moderati e nostri amici.
Non è un caso che negli Stati Uniti voci autorevoli invochino proprio in queste ore un intervento della Nato in Siria.
Moderati? Amici?
Siamo sicuri?
Il sito Information Clearing House ha ricostruito chi è davvero l’eroico fotografo che ha scattato l’immagine di Omran nell’ambulanza. Si chiama Mahmoud Raslan e non è propriamente un novello Gandhi. Sulla sua pagina Facebook ha postato più volte commenti inneggianti al martirio dei kamikaze islamici e alla Guerra e appare più volte con la banana tipica del jihadista. Ma soprattutto appare in un selfie con due membri di un commando del gruppo militanti “Zenkie” e protagonista di un episodio orribile.
Il fotografo di Omran con i guerriglieri del commando che hanno sgozzato un bimbo di 12 anni[/caption]Trattasi dell’arresto, sempre ad Aleppo, di un bambino palestinese di 12 anni. Guardatelo nella foto: ha smagrito, ha l’aria smarrita, è figlio di una famiglia di profughi. Gli operatori umanitari e persino gli altri gruppi presenti ad Aleppo hanno negato che si trattasse di un terrorista, di un baby, molto baby terrorista. Verosimilmente ha avuto solo la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Ma i militanti di Zenkie non hanno voluto sentir ragioni. Lo hanno preso, caricato su un pick-up attorniato da un un gruppo di militari esaltati, giubilanti per aver catturato un “nemico”. Di dodici anni. Tra di loro due persone. Sono le stesse due persone che appaiono anche in un selfie con un raggiante Raslan.
Potrei mostrarvi il video di quel che accade dopo, ma non ne ho il coraggio. Quelle immagini hanno anche shoccato anche me.
I guerriglieri hanno fermato il pick up in una strada, hanno legato le mani del povero bambino dietro la schiena, lo hanno sdraiato a pancia in giù. Un giovane si è avvicinato con un coltello, gli ha alzato la testa, sgozzandolo e poi decapitandolo.
Ecco, questi sono i ribelli moderati per cui la Nato dovrebbe mobilitarsi.
Ecco, questi sono gli episodi che dovrebbero indignare l’Occidente, ben più della commovente foto di Omran ma scommetto che pochi di voi ne erano al corrente. Eppure l’esecuzione è avvenuta il 25 luglio, nemmeno un mese fa.
http://blog.ilgiornale.it/foa/2016/08/21/il-piccolo-omran-e-una-verita-nascosta-quanta-ipocrisia/
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