«Io voglio capire che cosa deve ancora accadere in questa Chiesa perché i cattolici si alzino, una buona volta, in piedi. Si alzino in piedi e si mettano a gridare dai tetti tutta la loro indignazione. Attenzione: io mi rivolgo ai singoli cattolici. Non alle associazioni, alle conventicole, ai movimenti, alle sette che da anni stanno cercando di amministrare per conto terzi i cervelli dei fedeli, dettando la linea agli adepti. Che mi sembrano messi tutti sotto tutela come dei minus habens, eterodiretti da figure più o meno carismatiche e più o meno affidabili. No, no: qui io faccio appello alle coscienze dei singoli, al loro cuore, alla loro fede, alla loro virilità. Prima che sia troppo tardi».
Sono parole di Mario Palmaro, poche settimane prima delle sua morte. A suo onore e memoria - bistrattato com'era in vita dai cattolici adulti e dai cattolici delle associazioni, delle conventicole, dei movimenti e delle sette, che lo disprezzarono anche quando per primo disse parole chiare su Francesco I - ho scritto l'articolo“I tempi della conta finale”, pubblicato da chiesaepostconcilio.blogspot.it, radiospada.org, imolaoggi.it, amicidellatradizionecattolica e da altri siti.
Sono molte le considerazioni che suscita la lettura della Critica teologica dei 45 Studiosi sull’Esortazione post-sinodale Amoris Laetitia.
Ne esprimo alcune, con una premessa. Non sono uno studioso né un teologo. Qualcuno, quindi, potrebbe dirmi: a quale titolo scrivi? È una giusta domanda. Il titolo deriva dalla mia qualità di umile peccatore, di persona che ricorda ogni giorno a se stesso che per quarant’anni della sua vita ha vissuto fuori dalla Chiesa. Oltretutto, la mia è una condizione di privilegio: non devo difendere posizioni acquisite, perché non ne ho. Non temo, quindi, ritorsioni. Le ho già subite e non mi spaventano i disagi che producono.Il mio vivere per tanto tempo fuori dalla Chiesa, mi fa forse vedere, con gli occhi di chi è stato al servizio del male, che nulla è più bello di servire la Verità e di seguire un solo insegnamento: Quello che io vi dico nelle tenebre voi ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio voi annunciatelo dalle terrazze. Le conseguenze del caso – già preannunciate da Gesù – si mettono nel conto e si affrontano. Altra via non c’è. Parlo come un semplice fedele, che soffre a vedere la propria fede – quella sicura, indicata dai dogmi della Chiesa e dal Catechismo – vilipesa e corrotta da chi dovrebbe invece difenderla, cioè il Papa.
Non è tempo di silenzi e di omissioni. È tempo di Verità. È tempo di ricapitolare in Cristo tutte le cose, come diceva San Paolo. Con prudenza, ma senza nessuna cautela umana, perché siamo nel tempo in cui si esprime la massima forma di odio nei confronti di Dio, come mai era accaduto nella storia dell’umanità.
Non voglio ergermi a censore. Mi chiedo, semplicemente: se qualcuno si fosse permesso di chiedere ad Adolf Hitler di trattare bene gli ebrei, che fine avrebbe fatto quel qualcuno e che cosa avrebbe risposto il dittatore?
Sarà Dio a decidere chi è Francesco I. Intanto, si conosce molto bene quello che ha fatto in questi tre anni e mezzo. Ogni giorno. Con meticolosità e perseveranza. Con dedizione particolare, palesemente volta a creare confusione e ambiguità. Utilizzando la cornice dottrinale – il diavolo, nel Vangelo, non tenta forse Gesù utilizzando parole della Bibbia? – e adattandola ad un disegno ideologico. Il retto giudizio – quello che ci chiede di dare Gesù – dev’essere dato. Non sulla sua persona, ma sulla sua ideologia, alla quale non rinuncerà. I vari Kasper, Schönborn, il signor Enzo Bianchi o coloro che lo aiutano a scrivere i testi, da padre Antonio Spadaro a mons. Víctor Manuel Fernández, sono servitori di questo disegno e non si possono attribuire a loro eccessive responsabilità. Non sono loro che inducono Francesco I ad errare, perché egli non è uomo da farsi influenzare da alcuno e non solo condivide quello che dicono, ma li incensa e, nel caso dei ghostwriter, firma i loro testi.Anche il provvedimento nei confronti dei Francescani dell’Immacolata fu, certamente, scritto da altri, ma poi si scoprì, dalla viva voce di Francesco I, che non solo lo condivideva – e non poteva essere diversamente, perché l’aveva firmato – ma che si poteva considerare una persecuzione diabolica.
Non sono i ghostwriter, ma è Francesco I a dire a Santa Marta – e quello che dice viene stampato sull’Osservatore Romano, diffuso su internet e letto nelle Chiese – che la Madonna, mentre stava ai piedi della Croce, se la prendeva con Dio perché gli diceva, sentendosiingannata, perché era umana, che le aveva promesso che sarebbe diventato Re o, per attaccare i dottori della legge, a definire Giuda il povero uomo pentito. Desacralizzare il sacramento del matrimonio, è scandaloso, così come sono scandalose le affermazioni che ogni giorno vengono dette, che costituiscono vere e proprie empietà. Viene corrotta la stessa nozione di Magistero, perché viene utilizzata la forma del Magistero ordinario per alterare la dottrina, come se nei duemila anni precedenti non fosse stato detto nulla di cattolico.L’ideologia di Francesco I si situa nel solco di un’opera concreta di dissoluzione del Cattolicesimo che si sta venendo a compiere, di cui Amoris Laetitia rappresenta solo una tappa. Se la critica a quel testo viene fatta omettendo il contesto, diviene debole ab initio e pressocché inutile.Gli studiosi e i teologi di tutto il mondo sanno che la sua ideologia ha le sue radici nel pensiero di Karl Rhaner e nell’uso che di questo pensiero ha fatto la Chiesa post-conciliare. Siamo immersi nell’ umanesimo ateo – come, con una felice espressione, l’ha definito mons. Antonio Livi – che corrompe la coscienza: puro letame se intesa, attraverso il soggettivismo, come indipendente dal suo Creatore e dalla Sua Legge.
I tempi della conta finale – altro che quelli della resistenza – dovrebbero imporre ai teologi, ai filosofi, agli storici e ai pastori cattolici che intendano seguire la sequela di Gesù, di rivolgersi al popolo cristiano perché non si faccia corrompere nella fede cattolica dai falsi maestri e dai cattivi pastori. Si tratta di concorrere alla salvezza delle anime, altrimenti destinate alla pena perenne dell’Inferno.In qualche monastero – ancora non adibito ad ospitare le orde islamiche – vivono certamente nuove Santa Caterina da Siena o nuovi San Bernardo da Chiaravalle. Per ora, sono silenti. Non si manifestano ancora all’esterno, ma la loro preghiera sta già tuonando, perchè Se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati, ma soltanto una terribile attesa del giudizio e la vampa di un fuoco che dovrà divorare i ribelli (San Paolo, Lettera agli Ebrei).
Danilo Quinto - 25 agosto 2016 - Roma (Italia) - [Fonte: ChiesaEpostConcilio]
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