Nel Libro di Giuditta, Dio ci parla del senso del male, della lotta, di quello stato di inferiorità e debolezza che Israele prima, e la Chiesa poi, vedono aumentare sempre di più, arrivando persino a costatare una disparità di forze tali da non avere più risorse umane da mettere in campo. Nel racconto biblico si parla dell’assalto di Nabucodonosor, presentato come re degli Assiri (mentre sappiamo che fu re dei babilonesi), per mezzo del suo generale Oloferne, che pone l’assedio alla città di Betulia in un periodo collocato dopo il ritorno dall’esilio babilonese (e non invece prima, come dovrebbe essere).
Queste incongruenze non sono degli errori dell’autore sacro, ma fanno parte del profondo senso teologico del libro: tutto il male che Israele ha sperimentato nella sua storia (l’invasione assira prima, l’invasione e la deportazione babilonese poi, e, infine, il grande attacco dei seleucidi con Antioco IV) si sono dati appuntamento per colpire il piccolo regno di Giuda, nella città di Seleucide e per far venir meno in quel piccolo popolo rimasto la fiducia in Dio.
Così scriveva quel grande mistico che è stato don Divo Barsotti: «appare nel Libro di Giuditta che l’unica arma per il combattimento del popolo di Dio è la preghiera e la penitenza. Già sapeva il giudaismo, prima ancora del cristianesimo, che l’unico atto cui Dio ha promesso efficacia è la preghiera, che ha potere sul suo cuore [di Dio, n.d.a.]. D’altra parte nulla avrebbe potuto fare Israele, se pure aveva un esercito, contro l’esercito di Oloferne, dato che i suoi mezzi umani erano del tutto inadeguati. Dio non aveva dato al giudaismo, né da ora alla Chiesa, mezzi umani per controbattere il potere del mondo, ma ha dato di avere un potere su di Lui stesso con la fede e la preghiera».
Di fronte alla potenza del male che si scaglia sull’uomo – ed il terremoto, lo ricordiamo, come ogni altro evento causato dalla natura o dall’uomo, ha la sua origine nel peccato che cresce nel mondo – occorre certamente mettere in atto tutte le risorse di intelligenza, umanità, prevenzione, che sono possibili, ma occorre anche riconoscere che c’è qualcosa che sorpassa le possibilità umane. Ma la grande notizia è che Dio ha dato alla sua Chiesa non un potere sugli eventi naturali o sulle guerre o su altre calamità, ma le ha dato un potere su Se stesso, sul proprio cuore. La confidenza della vedova Giuditta, figura della purezza e dell’abbandono pieno di speranza della Vergine Maria muovono il cuore di Dio.
E questo non perché Dio sia altrimenti incompassionevole, ma perché non trova nessuno che lo cerchi, che chieda il suo aiuto e la sua protezione, nella piena confidenza, qualcuno su cui riversare quel soccorso e quella protezione che nella sua misericordia non fa mai mancare all’uomo. La cascata della misericordia divina non si è estinta, ma sono sempre di meno coloro che si recano ad attingervi. La Chiesa ha espresso questa sua confidenza in Dio, nel pieno riconoscimento della propria impotenza sulle forze del male, in molti modi. Basti vedere i formulari di preghiere che sono presenti nel Messale (così spesso dimenticati), nella sezione Pro circumstantiis publicis, dove troviamo formulari per il tempo di guerra, di carestia, di siccità o di eccessiva pioggia, di terremoto, e così via.
Un’altra grande preghiera pubblica, così tanto amata nel passato, sono le cosiddetteRogazioni, oggi cadute pressoché in disuso. Si tratta di processioni penitenziali, che si compiono in due periodi dell’anno: il 25 aprile (litania major) e nei tre giorni precedenti l’Ascensione, che prendono il nome di litaniae minores (che per il rito ambrosiano si celebrano nei tre giorni successivi all’Ascensione). Le prime hanno origine in Roma, probabilmente sotto il pontificato di papa Liberio (352-366), e sembra che siano state inserite per sostituire le processioni pagane che chiedevano la protezione delle divinità pagane sui raccolti. Già san Gregorio Magno (590-604) ampliava il senso di questo rito, che diveniva via sempre più penitenziale, come risulta da una sua epistola: «Amati figli, la solennità di quest’annua devozione ci ammonisce di celebrare con animo sollecito e devoto le litanie universalmente denominate “maggiori”, per mezzo delle quali meritiamo di essere purificati in qualche modo dalle nostre colpe, supplicando la sua misericordia. E’ bene anche considerare, carissimi, da quante e quanti tipi di calamità siamo afflitti, a causa delle nostre colpe ed offese e come la medicina della pietà celeste ci soccorra prontamente».
Le litanie minori, invece, hanno un’origine che le lega più direttamente alle calamità pubbliche. Esse furono istituite da san Mamerto, vescovo di Vienna, che a seguito di un terremoto ed altre calamità che colpirono il territorio, intorno al 470, istituì un digiuno pubblico nei tre giorni che precedevano l’Ascensione, accompagnandoli con una processione litanica. Entrambe le Rogazioni si diffusero gradualmente in tutta la Chiesa ed assunsero diverse forme, in base alle varie zone in cui venivano celebrate, registrando un sempre maggior concorso di popolo. Nella memoria dei nostri anziani resta vivo il ricordo della Messa alla prime ore dell’alba, dopo la quale partiva la processione, che stazionava o in alcune chiese delle città (all’interno delle quali si interrompeva il canto delle litanie e si cantava un’antifona o un canto dedicato al santo titolare di quella chiesa) oppure presso alcune croci o piccoli oratori eretti nelle campagne; in questi luoghi avveniva anche la benedizione particolare dei campi del territorio.
Attualmente, le litanie non sono più obbligatorie, ma neppure sono state abolite. L’appello che vogliamo fare a quanti leggeranno questo articolo, è quello di adoperarsi, secondo le proprie possibilità, affinché queste pratiche che esprimono tutta la fiducia che la Chiesa ha nei confronti di Dio, tornino ad essere diffuse. In particolare sarebbe bello che i vescovi e i parroci possano prendere a cuore questo appello, promuoverlo e diffonderlo, magari anche chiedendo alla Conferenza episcopale italiana di prescrivere nuovamente questa meravigliosa preghiera, perché da tutto il popolo italiano salga a Dio la domanda umile e fiduciosa, accompagnata da sincera penitenza.
L’inizio delle litanie, così come si trova ancora nel Rituale romanum antico è davvero commovente e pieno di fiducia, e riecheggia il richiamo di san Pietro a Gesù, che dorme, mentre la tempesta rischia di far affondare la barca: «Exsurge, Domine, adjuva nos, et libera nos propter nomen tuum (Sorgi, Signore, ed aiutaci; liberaci per amore del tuo nome)». «Dio non aveva dato al giudaismo, né dà ora alla Chiesa, mezzi umani per controbattere il potere del mondo, ma ha dato di avere un potere su di Lui stesso con la fede e la preghiera»: occorre crederci con tutta l’anima, e con il cuore colmo di gratitudine, forti dell’intercessione della SS. Vergine, tornare ad invocare il Signore, che non attende altro di udire la voce supplice della Chiesa sua Sposa.
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