"Amoris laetitia" tradotta dal cardinale vicario
di Roma. Anche a lui il papa scriverà una lettera di encomio?
Chissà se anche al suo vicario per la diocesi di Roma papa Francesco scriverà una bella lettera di encomio come ai suoi amici vescovi argentini, per come ha saputo anche lui dare la giusta interpretazione – l'unica, cioè quella dello stesso Francesco, perché "non ce ne sono altre“ – di "Amoris laetitia", sul punto cruciale della comunione ai divorziati risposati.
Il cardinale vicario Agostino Vallini, infatti, il suo compito l'ha svolto. E molto più diligentemente dei suoi sbrigativi colleghi della regione di Buenos Aires, a giudicare dalla dimensione del suo testo, diciassette pagine, dalla bella scrittura e dalla articolata argomentazione.
Il cardinale applica alla diocesi sua e del papa vari passaggi di "Amoris laetitia". Ma è soprattutto sul fatidico capitolo ottavo che si sofferma, quello che riguarda, appunto, i divorziati risposati "legati da un precedente vincolo sacramentale".
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La prima indicazione che Vallini dà è di "mettere a loro disposizione un servizio d’informazione e di consiglio in vista di una verifica della validità del matrimonio", avvalendosi delle nuove e più rapide procedure che il papa ha introdotto nei processi canonici di nullità.
Ma se "la via processuale non è percorribile, perché il matrimonio è stato celebrato validamente ed è naufragato per altre ragioni, dunque la nullità matrimoniale non può essere né dimostrata, né dichiarata", ecco aprirsi i percorsi tratteggiati da "Amoris laetitia".
Il primo passo da compiere – dice il cardinale – è "un lungo 'accompagnamento' nella linea del principio morale del primato della persona sulla legge".
Dopo di che Vallini prosegue così, nei punti quinto e sesto del capitolo quarto della sua relazione:
"Il passo successivo è un 'responsabile discernimento personale e pastorale' (AL, 300). Per esemplificare: accompagnare con colloqui periodici, verificare se matura la coscienza di 'riflessione e di pentimento', l’apertura sincera del cuore nel riconoscere le proprie responsabilità personali, il desiderio di ricerca della volontà di Dio e di maturare in essa.
"Qui ogni sacerdote ha un compito importantissimo e assai delicato da svolgere, evitando il 'rischio di messaggi sbagliati', di rigidità o di lassismo, per concorrere alla formazione di una coscienza di vera conversione e 'senza mai rinunciare a proporre l’ideale pieno del matrimonio' (AL, 307), secondo il criterio del bene possibile.
"Questo discernimento pastorale delle singole persone è un aspetto molto delicato e deve tener conto del 'grado di responsabilità' che non è uguale in tutti i casi, del peso dei 'condizionamenti o dei fattori attenuanti', per cui è possibile che, dentro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o non lo sia in modo pieno – si possa trovare un percorso per crescere nella vita cristiana, 'ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa' (AL, 305).
"Il testo dell’esortazione apostolica non va oltre, ma nella nota 351 si legge: 'In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei sacramenti'. Il papa usa il condizionale, dunque non dice che bisogna ammettere ai sacramenti, sebbene non lo escluda in alcuni casi e ad alcune condizioni [la sottolineatura è nel testo della relazione - ndr]. Papa Francesco sviluppa il magistero precedente nella linea dell’ermeneutica della continuità e dell’approfondimento, e non della discontinuità e della rottura. Egli afferma che dobbiamo percorrere la 'via caritatis' di accogliere i penitenti, ascoltarli attentamente, mostrare loro il volto materno della Chiesa, invitarli a seguire il cammino di Gesù, far maturare la retta intenzione di aprirsi al Vangelo, e ciò dobbiamo fare avendo attenzione alle circostanze delle singole persone, alla loro coscienza, senza compromettere la verità e la prudenza che aiuteranno a trovare la giusta via.
"È importantissimo stabilire con tutte queste persone e coppie una 'buona relazione pastorale'. Vale a dire, dobbiamo accoglierle con calore, invitarle ad aprirsi a partecipare in qualche modo alla vita ecclesiale, ai gruppi di famiglie, a svolgere qualche servizio, es. caritativo o liturgico (coro, preghiera dei fedeli, processione offertoriale). Per sviluppare questi processi è quanto mai preziosa la presenza attiva di coppie di operatori pastorali e gioverà molto anche il clima della comunità. Queste persone – dice il papa – “non devono sentirsi scomunicate, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa” (AL, 299).
"Non si tratta di arrivare necessariamente ai sacramenti, ma di orientarle a vivere forme di integrazione alla vita ecclesiale. Ma quando le circostanze concrete di una coppia lo rendono fattibile, vale a dire quando il loro cammino di fede è stato lungo, sincero e progressivo, si proponga di vivere in continenza; se poi questa scelta è difficile da praticare per la stabilità della coppia, 'Amoris laetitia' non esclude la possibilità di accedere alla penitenza e all’eucarestia. Ciò significa una qualche apertura, come nel caso in cui vi è la certezza morale che il primo matrimonio era nullo ma non ci sono le prove per dimostrarlo in sede giudiziaria; ma non invece nel caso in cui, ad esempio, viene ostentata la propria condizione come se facesse parte dell’ideale cristiano, ecc.
"Come dobbiamo intendere questa apertura? Certamente non nel senso di un accesso indiscriminato ai sacramenti, come talvolta avviene, ma di un discernimento che distingua adeguatamente caso per caso. Chi può decidere? Dal tenore del testo e dalla 'mens' del suo Autore non mi pare che vi sia altra soluzione che quella del foro interno. Infatti il foro interno è la via favorevole per aprire il cuore alle confidenze più intime, e se si è stabilito nel tempo un rapporto di fiducia con un confessore o con una guida spirituale, è possibile iniziare e sviluppare con lui un itinerario di conversione lungo, paziente, fatto di piccoli passi e di verifiche progressive.
"Dunque, non può essere altri che il confessore, ad un certo punto, nella sua coscienza, dopo tanta riflessione e preghiera, a doversi assumere la responsabilità davanti a Dio e al penitente e a chiedere che l’accesso ai sacramenti avvenga in maniera riservata. In questi casi non termina il cammino di discernimento (AL, 303: 'discernimento dinamico') al fine di raggiungere nuove tappe verso l’ideale cristiano pieno".
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Sì a una possibile "apertura", dunque, ai sacramenti per i divorziati risposati, anche quando non praticano la continenza perché "difficile per la stabilità della coppia". È questa la novità che il cardinale Vallini individua in "Amoris laetitia", rispetto al precedente magistero.
Ma nello stesso tempo il cardinale sostiene che la dottrina della Chiesa "rimane quella di sempre", perché – dice – papa Francesco non se ne distacca, ma la "sviluppa nella linea dell’ermeneutica della continuità e dell’approfondimento, e non della discontinuità e della rottura".
Il papa infatti – dice Vallini sottolineando queste sue parole – anche nella famosa nota 351 si esprime con cautela: "usa il condizionale, dunque non dice che bisogna ammettere ai sacramenti, sebbene non lo escluda in alcuni casi e ad alcune condizioni".
Insomma, è un sì condizionato ciò che il cardinale vicario spreme da "Amoris laetitia", nell'istruire i sacerdoti della diocesi sua e del papa. Tanto condizionato da essere quasi impraticabile, se non in casi rarissimi e che forse non si presenteranno mai. Un sì in teoria che è quasi un no nei fatti.
Troppo spinta questa lettura di "Amoris laetitia"? Troppo restrittiva? A papa Francesco la sentenza.
Perché solo lui sa che cosa ha voluto dire, in questa sua esortazione che è la croce di tutti gli interpreti.
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