L'ERRORE
L’errore non è nell’intelletto ma nella volontà e ora la Neochiesa negherà la divinità di Cristo. Questo è il punto centrale della filosofia e teologia. La caratteristica essenziale della Neochiesa è la sovversione della verità
di Francesco Lamendola
L’errore non è nell’intelletto, ma nella volontà: questo è il punto centrale della filosofia, e, quindi, anche della teologia. Non si sbaglia perché si scambia per vera una cosa falsa, ma si sbaglia perché si dichiara vero ciò che è incerto, o perché si nega la verità di ciò che è vero.
L’errore non è possibile fino a quando l’intelletto rimane nell’ambito delle sue competenze, ossia nell’ambito della ragione naturale, e rispetta la sana maniera di ragionare, procedendo da una certezza ad un’altra certezza, da una verità ad un’altra verità, rispettando il principio di non contraddizione; e, a maggior ragione, allorché si rimette alla verità soprannaturale divinamente rivelata. Quando, però, l’intelletto, per motivi d’interesse, o di superbia, o di vanità, pretende di trasgredire alle regole della sana ragione naturale, traendo, ad esempio, da determinate premesse, delle conclusioni assai più ampie sul piano logico, allora cade nell’errore.
Non esistono, pertanto, errori filosofici, che siano, propriamente parlando, degli errori concettuali: gli errori sono tutti della volontà, ossia sono tutti dovuti ad una alterazione del sano ragionamento logico da parte di una volontà presuntuosa, o interessata, o perversa. Quest’ultimo, come ben si capisce, è il caso più grave: vedere la verità e negarla. È il caso più grave anche in teologia e nella morale: equivale al peccato contro lo Spirito, che – sono parole di Gesù stesso – non verrà perdonato.
Ora, la caratteristica essenziale della Neochiesa, proliferata a partire dal Concilio Vaticano II, è appunto la sovversione della verità: o per presunzione intellettuale, o per interesse – voler cambiare la Chiesa –, o per la perversa intenzione di stravolgere e contraddire la Verità. Le cose sono già arrivate molto avanti su questa strada. Vi sono già dei sacerdoti, i quali, nelle loro chiese, hanno fatto togliere i confessionali, affermando che – e qui citano, immancabilmente, papa Francesco – è venuto il tempo della misericordia, e dove c’è la misericordia, non può esservi più la condanna, e tanto meno l’Inferno; dunque, non c’è nemmeno più bisogno del sacramento della confessione. E vi sono già dei sedicenti teologi (nonché porporati), come il cardinale Walter Kasper, che non credono nel sacramento dell’Eucarestia, e che non parlano mai della divinità di Gesù, perché non credono neppure in quella. Certo, così facendo, stanno scardinando i dogmi essenziali della religione cattolica; ma che importa? Vanno sempre più d’accordo con i protestanti; sono sempre più apprezzati dai luterani; e, soprattutto, piacciono sempre di più al partito massonico, dentro e fuori la Chiesa – perché la Massoneria si è da tempo insediata dentro la Chiesa, e chi non ha capito questo, non ha capito nulla – e ai nemici dichiarati e non dichiarati del cristianesimo. C’è solo un piccolo dettaglio: che i dogmi del cattolicesimo non sono teologia, ossia frutto di scienza umana; sono degli assoluti, in quanto divina Rivelazione. Pertanto, chi ardisce scardinare un dogma, sta commettendo precisamente quel peccato contro lo Spirito, di cui parlava Cristo.
E non basta. Vi è un nutrito drappello di pastori e di teologi, da Enzo Bianchi a Gianfranco Ravasi, dal defunto (ma idealmente ancora presente) Carlo Maria Martini a Vincenzo Paglia – di un Vito Mancuso, meglio non dir nulla – che sta portando avanti precisamente queste posizioni, prima fra tutte la revoca in dubbio della divinità di Gesù, e, più in generale, la tesi secondo cui la vera fede cristiana consisterebbe nel dubitare sempre di tutto, il che è uno sproposito logico prima ancora di essere una affermazione eretica ed apostatica. Tutti costoro sono abbastanza furbi da non fare mai delle affermazioni troppo nette, radicali, definitive: dicono e non dicono, affermano e negano, parlano della verità in situazione, ossia della verità in termini relativistici. Sono abili: sgusciano come anguille; difficile beccarli in flagrante. Insinuano, suggeriscono, evocano; scagliano il sasso e poi nascondono la mano. Il loro modo di procedere è stato bene esemplificato dalla quadriennale disputa fra il falso monaco Enzo Bianchi e il filosofo (e prete autentico) Antonio Livi: quando si crede di averli colti in contraddizione, se la cavano dicendo che parlavano di quella data cosa “in un certo senso”, “per un certo aspetto”, e non in senso assoluto.
La divinità di Cristo, appunto. Prima essi dicono che Gesù era un uomo, un pover’uomo, che non sapeva affatto quali fossero i piani di Dio; poi, posti davanti alla precisa domanda: Ma Egli, dunque, non era il Figlio, la seconda persona della Trinità?, rispondono: Ma certo, lo diciamo sempre recitando il “Credo”! Quasi che il Credo fosse una specie di filastrocca buona per quando si va a Messa; ma poi, quando si parla fuori della chiesa, quando si parla teologicamente di Gesù, si ricomincia daccapo a sminuire la sua divinità. Non che la si neghi apertamente, intendiamoci. Vi è una maniera perfida di capovolgere la verità, che consiste nel dire e nel ripetere quella parte di verità che risulta conforme ai nostri interessi, ai nostri obiettivi, alle nostre preferenze; e nel tacere quell’altra parte della verità, o quelle parti, che non collimano con tali scopi e con tali gusti personali. Ora, la divinità di Cristo non è una questione sulla quale siano possibili, in una prospettiva autenticamente cristiana, opinioni diverse: al contrario, è la questione assolutamente centrale. Se Cristo non è il Figlio di Dio, e Dio lui stesso; se, di conseguenza, non è risuscitato dalla morte, allora, come dice san Paolo, la fede dei cristiani poggia sul nulla, e la loro speranza è vana. Sembra di essere tornati ai tempi dell’arianesimo; e, come allora, mentre l’eresia avanza strisciando e ammantandosi di apparente ortodossia, gran parte della gerarchia ecclesiastica tace, e sono quasi più i laici ad insorgere e a protestare per l’enormità dello scandalo.
Non passerà ancora molto tempo, e parecchi di questi falsi pastori e di questi sedicenti teologi finiranno per gettare la maschera e per proclamare apertamente che Gesù è stato solo un uomo, un predicatore, un profeta, un taumaturgo; che è venuto ad insegnare una serie di esortazioni morali, come avrebbe potuto fare qualsiasi altro uomo saggio del suo tempo, o di qualunque tempo; che egli non è la Via, la Verità e la Vita, ma una delle tante vie che conducono alla verità, così come ci sono le vie tracciate dal giudaismo, dall’islamismo, dal buddismo. Si va verso un sincretismo religioso nel quale tutte le religioni risulteranno vere, o parzialmente vere, e nessuna sarà sbagliata del tutto, nessuna sarà falsa; e pare che molti esponenti della gerarchia cattolica, papa compreso, si muovano da tempo in questa direzione. Essi dicono che c’è bisogno di dialogo: strano; noi, modestamente, avevamo sempre creduto che ci sia bisogno della verità. La parola “dialogo”, nel Vangelo, Crediamo non ci sia neppure. Gesù non è venuto a “dialogare”, e non ha mandato i suoi discepoli a “dialogare”: è venuto ad insegnare, e ha mandato i suoi discepoli ad insegnare, in suo nome, quello che aveva detto e fatto lui. Gesù parlava con tutti, ma non “dialogava”: non poneva tutte le verità umane sullo stesso piano indifferenziato; il suo scopo era di riportare le anime a Dio, cioè alla salvezza eterna, combattendo l’errore, il peccato, la commistione di sacro e profano. Gesù non era un relativista, né un maestro di relativismo; e chi tentasse d’insinuarlo, starebbe delirando, o, peggio, starebbe cercando, intenzionalmente, e quindi scelleratamente, di adulterare la verità del Vangelo, per ridurla alla misura delle sue preferenze e dei suoi scopi.
I teologi modernisti e i vescovi e sacerdoti progressisti non parlano più del Giudizio, dell’Inferno e del Paradisio; non parlano più della vita eterna; non parlano più del bene e del male, del peccato e della grazia; e di che cosa parlano dunque? Parlano molto, moltissimo, dell’amicizia di Dio per l’uomo, della sua misericordia, del suo perdono; non specificano di quale Dio si tratti; semmai, come ha fatto papa Francesco, si compiacciano di sottolineare che “Dio non è cattolico”. Pare, da qualche anno a questa parte, che i cattolici si debbano un poco vergognare di essere cattolici: non hanno compreso la bellezza di una fede aperta, senza frontiere, senza barriere ideologiche, senza dogmi, e, soprattutto, senza peccato né peccatori. Se almeno fossero di mente un po’ meno ristretta; se fossero un po’ più simili ai protestanti, che dialogano senza paura anche coi non credenti, oltre che coi seguaci delle altre religioni, tutti insieme appassionatamente e tutti egualmente ispirati dallo Spirito di Dio. Strano: avevamo capito, leggendo il Vangelo, che lo Spirito Santo viene a consolare e a rafforzare la fede in Gesù Cristo, non a benedire in misura imparziale tutte le fedi, tutte le credenze e tutte le divinità, comprese quelle laiche. Forse abbiamo capito male.
Ciò che rende estremamente pericolose le tesi sostenute da questi falsi pastori e da questi sedicenti teologi, è che essi godono, ormai, del sostegno dichiarato di gran parte della stampa cattolica, oltre che di buona parte della gerarchia. Pervasi dal modo di ragionare del mondo, essi pensano, molto democraticamente, che la verità sia una questione di numeri, e precisamente di maggioranza:chi ha la maggioranza, ha la verità. Le cose non stanno così, ma essi fingono di crederlo. Si prenda il caso della già citata disputa fra Enzo Bianchi e Antonio Livi: il quotidiano L’Avvenire prese posizione per Bianchi e condannò Livi, anche se, con tutta evidenza, avrebbe dovuto fare il contrario. Avrebbe dovuto fare il contrario, vogliamo dire, se fosse stato un giornale cattolico; ma esso, da tempo,di cattolico ha soltanto l’apparenza. E quel che abbiamo detto per L’Avvenire, vale per quasi tutti gli altri maggiori periodici cattolici, a cominciare dal settimanale Famiglia Cristiana: con l’aggravante di una continua propensione a impicciarsi di politica attiva, il che rappresenta un’altra grossa infedeltà al Vangelo di Gesù. Quelli come Enzo Bianchi e come Marco Tarquinio hanno sempre la verità in tasca: impossibile cogliere in essi una traccia di autentica umiltà; nel caso di Bianchi, c’è anche la presunzione rancorosa. I cattolici progressisti hanno sempre la misericordia e il perdono sulla bocca, ma, guarda caso, la loro misericordia e il loro perdono si rivolgono sempre e soltanto agli “altri”: ai non credenti, ai peccatori, ai nemici della Chiesa, agli islamici, ai profughi veri e falsi: mai ai loro fratelli cattolici che essi considerano, con il massimo disprezzo, dei “tradizionalisti” e dei “conservatori”.
Un altro fattore di oggettiva debolezza per la Chiesa è la rinuncia, de facto e, spesso, anche in via di principio, alla evangelizzazione. Tutto è partito dagli Ebrei: a un dato momento, qualcuno ha deciso, nella Chiesa cattolica, che la pretesa di convertire i Giudei era un intollerabile residuo del passato e che, fino a quando non fosse stata ritirata, sarebbe stato impossibile avviare un costruttivo dialogo con essi (“dialogo” è la parola passe-partout dei progressisti: adoperandola, in un modo o nell’altro, si riesce a scardinare praticamente qualsiasi dogma cattolico, cioè la Verità stessa). Così, la Chiesa ha ritirato la preghiera solenne per la conversione dei Giudei; ha dichiarato che i nostri “fratelli maggiori” non devono assolutamente essere convertiti: e questo è stato il principio della grande apostasia. Non tutti se ne sono accorti subito; inoltre, le menti erano confuse dalle marce di Assisi, dai raduni di Assisi, dallo spirito (con la minuscola) di Assisi: spirito interreligioso, di dialogo, naturalmente, e di mutuo rispetto. Appunto: il rispetto dovuto al relativismo. Qualcuno s’immagina che Gesù abbia dato ai suoi discepoli l’incarico di predicare il Vangelo sino ai confini del mondo, ma di non predicarlo ai Giudei? Oppure qualcuno s’immagina che San Paolo, nelle sue lettere, esorti i cristiani a non evangelizzare gli ebrei, per rispetto alla loro religione? Sarebbe stato un tradimento nei confronti del Maestro: che, oltretutto, era ebreo (come lo era san Paolo).
Ora, se è proibito evangelizzare i Giudei, per una malintesa forma di rispetto nei loro confronti, allora non si vede perché lo stesso principio non dovrebbe essere applicato anche a tutte le altre fedi religiose, e, naturalmente, anche ai non credenti. Via l’evangelizzazione, dunque. Ma l’evangelizzazione è la ragion d’essere della Chiesa: portare ovunque il Vangelo per la salvezza delle anime. Sono parole precise di Gesù: Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; chi non crederà, sarà condannato (Marco, 16, 16). Ah, già stavano dimenticando: i preti progressisti e i teologi modernisti non parlano più di “salvezza”, perché non parlano più del peccato; di conseguenza, non parlano neppure dei Novissimi. Tutto si tiene, tutto torna. Non esiste una Verità assoluta; Gesù non era Dio; Gesù non è presente nell’Eucarestia; Gesù non condanna alcuno; nessuno si danna e va all’Inferno; gli uomini sono fondamentalmente buoni e, purché non subiscano pressioni o violenze (ma da parte di chi, se sono tutti buoni e se il Diavolo, a quanto pare, non esiste?), troveranno il modo di convivere in pace e fraternità e di trovare, ciascuno, la sua brava fetta di verità.
Chiaro che, a quel punto, il cristianesimo non servirà più a niente e che tanto varrà abolirlo del tutto, cioè anche formalmente. Che farsene di una fede che non salva, che non illumina, che non conduce alla Verità, che non redime, che non dà la Grazia, che non santifica, che non socchiude nemmeno una finestra sull’eternità? A nulla, evidentemente. Tale è il disastro che attende la Chiesa, se lascerà ancora spazio alle eresie neomoderniste e ai deliri progressisti. Eppure Gesù era stato chiaro: Chi non rimane in me e io in lui, costui non servirà a nulla: verrà tagliato e gettato nel fuoco a bruciare...
L’errore non è nell’intelletto, ma nella volontà: e ora la Neochiesa negherà la divinità di Cristo
di Francesco Lamendola
Con questo papato c'è stata un' 'evoluzione' (si fa per dire).
RispondiEliminaPrima i pastori incerti e dubitosi in chiaro-scuro alla Card. Martini erano delle eccezioni - con contorno misto di laici mezzi-falsi-sedicenti-expreti alla Enzo Bianchi, Vito Mancuso eccetera - mentre tutto il grosso della gerarchia teneva come una diga (almeno in apparenza, mi vien da dire ora) con papa Bergoglio lo stile 'anguilla insaponata' è assurto a strategia teologico-pastorale.
Dico-non-dico-smentisco-puntualizzo-ridico-ma-non-dico, in una spirale senza fine.
La parola d'ordine è: STAR SEMPRE IN VELOCE MOVIMENTO VERBALE PER NON FARSI INCASTRARE.
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(..........) Personalmente, proprio perché so che, come tutti, respiro ogni giorno aria impregnata dalla logica del «ma anche», per cercare di stare in guardia uso un semplice espediente: ogni volta che in un’argomentazione trovo sintomi di «ma anche», lascio che un campanello squilli nella testa e nel cuore. Lì, mi dico, c’è qualcosa che non va. Lì il soggettivismo è in agguato. E quando poi il soggettivismo, come il lupo della favola, si traveste e indossa l’abito della coscienza morale e, per giustificarsi, dice con voce suadente «ma io, in coscienza…», il campanello suona ancora più forte. E mi viene in mente il cardinale Newman, per il quale la coscienza non era la scorciatoia verso l’etica della situazione, ma l’originario vicario di Cristo (.......)
Il cammino delle conversioni di Newman è un cammino della coscienza, un cammino non della soggettività che si afferma, ma, proprio al contrario, dell’obbedienza verso la verità che, a passo a passo, si apriva a lui».
Il che spiega perché, nella famosa Lettera al Duca di Norfolk, Newman scrisse che, nel caso avesse dovuto portare la religione in un brindisi, certamente avrebbe brindato per il papa, ma prima per la coscienza e poi per il papa. Ovvero: prima per la ricerca della verità, poi per l’autorità.
Ecco: coscienza è capacità di verità. Quando la coscienza del cristiano abbandona il sentiero stretto e impervio di questa ricerca e si incammina lungo i boulevard del «ma anche» (illuminati dai mass media e gratificanti, ma senza uscita), ho l’impressione che rischi fortemente di perdersi.
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(Aldo Maria Valli - vaticanista)