ATTACCO ALLA FAMIGLIA
La sola vera famiglia che sia mai esistita al mondo la sola umanamente possibile quella formata dall’uomo e dalla donna e aperta alla nascita dei figli è sotto attacco, e si serve di molteplici e astuti strumenti di offesa di Francesco Lamendola
La
famiglia – la sola vera famiglia che sia mai esistita al mondo, la sola
umanamente possibile e pensabile: quella formata dall’uomo e dalla
donna e aperta alla nascita dei figli – è sotto attacco, e l’attacco si
svolge su molteplici direttrici e si serve di molteplici e astuti
strumenti di offesa, materiali e intellettuali.
Su
questo non c’è il minimo dubbio, e anche solo provare a spiegarlo
equivarrebbe a una perdita di tempo, perché se qualcuno non l’avesse
ancora compreso, ciò non potrebbe avere che un unico significato: il
rifiuto pregiudiziale e ideologico di guardare la realtà per quella che
è; o, peggio, la volontà deliberata di fare finta di nulla, affinché
l’attacco, non segnalato e non riconosciuto, si sviluppi e proceda con
accresciute probabilità di successo.
La recente approvazione, da parte dei parlamenti di quasi tutti i Paesi occidentali, di una legislazione che, in pratica e de iure,
equipara le unioni di fatto alla famiglia vera e propria, e che,
addirittura, riconosce come “matrimonio” l’unione di due persone del
medesimo sesso, e garantisce loro la possibilità di procreare mediante
svariati artifici, o di adottare bambini, al pari di qualsiasi altra
coppia regolare, ciò non è altro che l’ultimo episodio di questa
offensiva, che parte da lontano e dura da decenni, se non da secoli -
precisamente, dal libertinismo del XVII secolo -, e le cui precedenti
tappe sono state il riconoscimento legale del divorzio, poi dell’aborto,
della libertà di drogarsi, e ora dell’eutanasia, attuata, sui richiesta
dei genitori, anche nei confronti di bambini e adolescenti ancora
minorenni.
Non
è facile dire se una coppia di omosessuali che si sposano con grande
clamore e spettacolarità, oppure dei genitori che decidono di procedere
all’eutanasia del loro figlio, malato terminale, con pari spettacolarità
mediatica (e pur nella ovvia, profonda differenza delle loro rispettive
situazioni), siano coscienti di stare svolgendo una parte assai più
grande di quella che, forse, immaginano: vale a dire, d’interpretare in
prima persona l’attacco alla famiglia che potenti circoli e lobby
massonico-gnostico-radicali stanno portando avanti, nel quadro di un
disegno globale di destrutturazione della società, in vista di una
ristrutturazione futura secondo i loro obiettivi (anche e soprattutto
economici e finanziari), le loro finalità (anche politiche) e le loro
convinzioni sociali, filosofiche e religiose, nonché secondo gli schemi
di potere e le strategie di dominio da essi tenacemente perseguiti nel
corso del tempo.
Consapevoli
o meno, sta di fatto che costoro servono la campagna in atto per
delegittimare, screditare, indebolire, frantumare la famiglia naturale,
e, a maggior ragione, la famiglia cristiana, o quel che resta di essa; e
che la strategia privilegia di tale offensiva consiste nel premere al
massimo sull’acceleratore della politica dei diritti individuali, eretti
ormai a supremo e indiscutibile Vangelo di una società che sia
“progredita”, “democratica” e “civile”, contrapposta alle società
incivili, antidemocratiche e arretrate, nelle quali vi sono delle
deplorevoli e inaudite perplessità ad accordare sempre nuovi diritti a
ciascun soggetto, senza tener conto della stabilità dell’insieme e senza
accompagnare l’acquisizione di essi con l’assunzione dei corrispettivi
doveri.
Si
vuole distruggere la famiglia per portare la società verso il caos; e
poi dal caos, con ributtante cinismo, i gruppi di potere in questione si
ripropongono di ricostruirla, o meglio, di costruirne una interamente
nuova: che non abbia più nulla che richiami a una identità, a un senso
di appartenenza, a una specifica cultura; e, soprattutto, che non abbia
più nulla di cristiano. Solo così, essi pensano, sarà possibile
costruire il mondo nuovo che è nei loro progetti.
A
sua volta, l’attacco alla famiglia è stato preceduto e preparato
dall’attacco alla donna: alla sua identità, alla sua specificità, vale a
dire alla sua maternità. Siamo arrivati al tasso d’incremento
demografico zero, perché, per decenni, la donna è stata sottoposta a un
bombardamento incessante mirante a convincerla che ella, come madre, non
si realizzerà mai, sarà sempre una schiava e una prigioniera dei suoi
figli e delle sue responsabilità materne, oltre che del marito; ma che
ella può e deve cercare di realizzarsi come femmina, come animale da
seduzione, in modo da avere qualsiasi uomo ai suoi piedi, ma senza mai
farsi mettere il guinzaglio da nessuno: insomma, che non deve aspirare
ad essere madre, ma amante.
A
sua volta, l’uomo è stato bombardato da una analoga campagna
psicologica mirante a persuaderlo che, nella donna, egli non deve
cercare la sua compagna di vita, la madre dei suoi figli, ma uno
strepitoso animale da letto, un giocattolo erotico dalle prestazioni
inesauribili; sicché ha incominciato a guardare con commiserazione le
donne che aspirano “soltanto” a divenire spose e madri, il loro modo di
vestire modesto, il loro modo di muoversi pudico, il loro naturale
riserbo: la loro assenza di trucco, di abbronzatura, di muscoli
modellati dalla palestra, di tatuaggi, tutto questo appare ad essi
qualcosa di povero, di meschino, di provinciale. Si sono creati così due
nuovi tipi umani: la perfetta cretina e il perfetto cretino, degni
l’uno dell’altra; non solo volgari e banali, ma convinti, nella loro
inconsapevolezza, di essere speciali, anzi, unici, e di avere il diritto
all’altrui ammirazione proprio in ciò che di meno originale possiedono.
Se,
poi, ci si chiede come sia stato possibile questo rimbecillimento,
questo imbarbarimento, questo pauroso regresso, la risposta si
presenterà quasi subito a una indagine spassionata: è stato l’effetto di
una esasperata, programmata, scientifica erotizzazione dell’immaginario
collettivo, e, un poco alla volta, della società stessa. Dopo un
lavaggio del cervello pubblicitario, televisivo e cinematografico durato
parecchi anni, i modelli erotizzanti di uomini e donne presentato dal
piccolo e dal grande schermo, e perfino dai giochi elettronici del
computer, hanno fatto la loro felice comparsa nel mondo reale: si sono
incominciati a vedere uomini e donne conciati e truccati esattamente
come i loro “eroi” mediatici, vestiti come loro, atteggiati come loro,
parlanti come loro. Una specie di incubo divenuto realtà, in mezzo alla
soddisfazione generale, e nel tripudio dei giovanissimi e delle
giovanissime, sempre più felici di potersi “emancipare” mediante
l’assunzione di modelli prefabbricati, dei quali, evidentemente, non
percepiscono la natura totalmente posticcia, totalmente fasulla, o, per
meglio dire, totalmente fantasmatica.
Una
volta incuneato l’erotismo esasperato in ogni piega più nascosta
dell’immaginario, sia collettivo, sia, ovviamente, quello individuale, e
una volta resi gli uomini e le donne schiavi della lussuria, anzi,
dell’idea e del bisogno (anche solo virtuale) del piacere sessuale, è
passata, con ciò stesso, nella società, una nuova filosofia di vita:
quella dell’individualismo esasperato, con il suo logico, inevitabile
corollario: la teoria dei “diritti” individuali garantiti a tutti e per
qualsiasi cosa, per qualsiasi bisogno, per qualsiasi capriccio, per
qualsiasi abuso. Un uomo o una donna ossessionati dal sesso non hanno
altro in mente che la soddisfazione dei loro demoni privati: altro che
famiglia, altro che bambini, altro che responsabilità. Ciò che essi
vogliono, e lo vogliono ciecamente, testardamente, a qualunque costo, è
di ottenere il riconoscimento del diritto di inseguire la loro privata
ricerca della felicità, che coincide, per essi, con il piacere (edonismo
radicale): così si è voluto, e così è stato. Oggi questa filosofia è
entrata talmente a fondo nel modo di pensare e di sentire delle persone,
che ben poche si rendono conto della sua arbitrarietà, della sua
artificiosità e, in ultima analisi, della sua pericolosa, distruttiva
assurdità.
Si
tratta di un delirio collettivo ormai dilagante e quasi ovunque
imperante, che poggia su di un vero e proprio errore antropologico:
quello d’immaginare che si dia un “individuo assoluto”,
indipendentemente e anteriormente alla società. È il vecchio, micidiale
errore dei giusnaturalisti, poi di Rousseau e dei cultori del mito del
“buon selvaggio”, il mito di un individuo buono in una società cattiva;
il mito da cui è nata l’ideologia del liberalismo, e, dopo di essa, dei
suoi legittimi eredi, il comunismo, l’anarchismo, la democrazia, il
fascismo; legittimi perché hanno cercato di dare una “risposta” alla
assolutizzazione dell’individuo, risposta che, non di rado, è stata
altrettanto delirante di ciò che si voleva correggere, perché ha creato
uno Stato-Leviatano che riassorbe in sé gl’individui e si riprende
quella libertà disordinata che aveva concesso loro.
Una
società in cui l’individualismo assoluto viene eretto alla dignità di
ideologia ufficiale e politicamente corretta, è una società che corre
verso l’autodistruzione. Nessuna società può permettersi il lusso
d’incoraggiare l’individualismo assoluto, tanto meno riconoscerlo per
legge attraverso il sistema dei “diritti” individuali garantiti in via
di principio, cioè fuori da ogni situazione contingente e fuori da ogni
possibile limite. Perfino il diritto individuale che ci si presenta come
il più naturale, logico ed evidente, il diritto alla vita, non è
veramente tale, se si guardano le cose con mente sgombra da preconcetti
ideologici, ma dipende dal contesto della situazione. Se, ad esempio, la
patria viene ingiustamente aggredita, e lo Stato si vede costretto a
difendersi, mobilitando le forze armate, in base al “diritto alla vita”
astratto e ideologizzato, chiunque potrebbe rifiutarsi di essere
arruolato e di concorrere alla difesa comune. E la stessa cosa
potrebbero fare i membri delle forze di polizia, quando venissero
chiamati ad arrestare un pericoloso delinquente: la possibilità di
restare uccisi, o anche quella di dover uccidere, metterebbe i tutori
dell’ordine in contrasto con la garanzia assoluta del diritto alla vita,
riconosciuta dalla costituzione democratica. Perfino le squadre dei
pompieri potrebbero rifiutarsi di intervenire per placare un incendio, e
potrebbero restare a guardare gli inquilini di un condominio mentre
periscono in mezzo alle fiamme. Abbiamo scelto un solo esempio, quello
del diritto alla vita; ma potremmo andare avanti con un lunghissimo
elenco di diritti assoluti a tutela dell’individuo, la cui rigorosa
applicazione manderebbe in pezzi qualunque compagine statale, anzi,
qualunque società organizzata, fosse pure una società decentrata,
autogestita e perfettamente egualitaria, così come la sognavano,
romanticamente, gli anarchici della passata generazione.
E
come la mettiamo con le minoranze? Se, in via di principio, allo scopo
di evitare odiose “discriminazioni”, si riconosce che, tutti hanno
diritto a tutto, è evidente che, prima o dopo, bisognerà riconoscere il
diritto di un handicappato di guidare un treno o di pilotare un aereo;
il diritto di un cieco di presiedere una giuria per l’assegnazione di un
premio di pittura, di scultura o, magari, di danza; il diritto di un
immigrato clandestino di divenire cittadino a pieno titolo, e di
accedere a tutti i servizi sociali, la sanità, la scuola, i trasporti;
il “diritto” di una persona omosessuale di ricoprire la carica di
assessore per le “politiche familiari”. Sono situazioni che, in parte,
già si sono realizzate, e senza che nessuno, o quasi, se ne
meravigliasse, tanto meno tentasse di opporvisi; altre le vedremo
realizzate nei prossimi anni, e non c’è da dubitare che, prima o poi,
qualche giudice progressista finirà per riconoscere il buon diritto del
signor Rossi di assumere droghe e poi mettersi al volante della propri
automobile, perché, in fin dei conti, la strada è di tutti e lo Stato
non deve essere uno Stato etico, ma deve riconoscere a ciascuno il
massimo della libertà individuale: e quale libertà più evidente di
quelle di assumere droghe o di mettersi al volante per andare in
qualsiasi luogo e in qualsiasi momento?
Non
solo l’esasperazione pornografica dell’erotismo, ma anche
l’esasperazione romantica dell’amore ha contribuito all’instaurarsi di
una vera e propria dittatura dell’individualismo assoluto. Si è gonfiato
al massimo - nella letteratura, nel cinema, nei programmi televisivi,
nella pubblicità - il carattere passionale dell’amore; si è fatto in
modo di convincere le persone che l’amore, per essere davvero tale, deve
essere estremamente passionale; e, in tal modo, si è sottolineata ad
arte la distanza abissale, siderale, fra l’amore-passione e il lento e
grigio tran-tran della vita coniugale e familiare, dove tutto è
scontato, monotono, ripetitivo, e dove non c’è mai tempo per sognare,
per scambiarsi parole appassionate, per fare l’amore, perché ci sono i
figli che intralciano la relazione dei genitori-amanti. E poi il
matrimonio si basa su di una promessa definitiva: ma oggi chi ha voglia
d’impegnarsi a fondo, e, soprattutto, chi non vedrebbe in un impegno di
tal natura, un attentato bello e buono alla libertà individuale di
ciascuno? Abbasso il matrimonio, dunque: prima, quello religioso, il più
esigente, il meno addomesticabile; poi, quello civile, in quanto
comporta pur sempre un impegno pubblico e solenne. E avanti con le
libere unioni. Frattanto, però, l’istituto matrimoniale non è caduto
nell’oblio: ora ci sono le coppie omosessuali che lo vogliono
fermamente. Strano, no?
L’attacco alla famiglia inizia dalla donna e ha come obiettivo l’intera società
di Francesco Lamendola
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.