SAPIENZA UMANA E DIVINA
Gli uomini, da sempre, cercano la sapienza: questa, di per sé, è una cosa buona; è la manifestazione di quel bisogno di verità che contraddistingue la natura umana. Tuttavia, è necessario fare delle distinzioni
di Francesco Lamendola
Gli uomini, da sempre, cercano la sapienza: questa, di per sé, è una cosa buona; è la manifestazione di quel bisogno di verità che contraddistingue la natura umana.
Tuttavia, è necessario fare delle distinzioni: infatti, non sempre questo desiderio si manifesta in modo legittimo; inoltre, bisogna mettersi d’accordo su cosa si intende per “sapienza”.
Non tutti gli uomini la cercano; e non sempre si trova là dove quasi sempre la cercano, ossia nei libri. Coloro che hanno scritto i libri erano solo degli uomini, ad eccezione dei libri sacri, che sono ispirati da Dio; mente la sapienza è di natura tale che ciascuno deve tentare di farne esperienza diretta e non mediata. La sapienza libresca, pertanto, non è mai vera sapienza. Al massimo, i libri possono fornire il trampolino per il balzo ulteriore: sono un aiuto, un sostegno, un incoraggiamento; ma nulla di più.
La vera sapienza è il raggiungimento intuitivo, profondo, totale – cioè intellettuale, affettivo, mistico – della verità; non diciamo il possesso della verità, perché la verità non si lascia possedere da alcun essere umano, può soltanto essere contemplata, più o meno nitidamente, più o meno confusamente. Non è detto che un contadino, che ha sempre lavorato la terra e non ha mai letto un libro in vita sua, non sia un cercatore della sapienza, né che non possa trovarla. Tuttavia, per evitare possibili equivoci fra sapienza in senso tecnico e sapienza in senso globale, adopreremo la parola “saggezza” per indicare il raggiungimento del vero sapere. Il vero sapere non consiste nella conoscenza di questa o quella cosa, ma l’intuizione della verità ultima, che lega insieme tutte le cose. Diremo allora che quel contadino, umanamente ignorante, ma spiritualmente evoluto, perché in costante ricerca della verità, è un saggio.
Essere sapienti, giova precisarlo, non significa sapere tutto o quasi tutto, perché questo è impossibile a qualsiasi uomo, anche al più grande studioso, scienziato o filosofo; bensì avere contemplato la verità, sia pure da lontano, e aver compreso il segreto della vita. La sapienza, infatti, sarebbe una cosa inutile e sterile, se non fosse al servizio della vita. Già da questo si riconoscono i falsi sapienti: tutti quegli intellettuali moderni che hanno giocato con l’intelligenza, senza essere progrediti di un pollice nella contemplazione della verità, e senza aver offerto il benché minimo aiuto agli altri uomini, anzi, avendoli più che mai sprofondati nel dubbio cronico, nell’angoscia e nella disperazione. Tutti costoro appartengono alla spregevole folla dei falsari della sapienza e degli orditori d’inganni e trabocchetti ai danni di chi cerca la verità. Se, infatti, il non riuscire a porsi nella maniera giusta per tale ricerca, è una colpa che si ritorce contro se stessi, l’ostentazione dei propri errori e dei propri sofismi diventa un crimine consapevole nei confronti degli altri. Sarebbe come se, in montagna, una falsa guida si offrisse di accompagnare i viandanti fino al passo desiderato, e invece, dopo averli condotti in un luogo orribile e pericoloso, fra crepacci e burroni mortali, li piantasse in asso, e, con un sorriso di scherno, riconoscesse francamente di non sapere affatto quale sia la via giusta da tenere, anzi, che tale via non esiste. Eppure, simili impostori si son fatti pagare e sono stati ammirati e onorati; sono stati guardati dagli altri con deferenza e con riconoscenza, e additati come esempio da imitare davanti ai giovani.
Il desiderio di sapere è cosa buona, ma non coincide col desiderio della sapienza. La sapienza è più grande del sapere. Il vero sapiente non è colui che sa tutto, ma colui che ha compreso il senso ultimo delle cose, e ciò gli ha conferito la saggezza. Il falso sapiente è colui che, avendo accumulato nozioni, ma senza una prospettiva d’insieme e senza un soffio di spiritualità, applica quelle sue conoscenze in maniera impropria, per procurarsi vantaggi personali, oppure per far progredire una scienza che è tale solo di nome, mentre invece è un sapere disumano, alienante, diabolico, dal quale non derivano effetti di bene, perché non nasce da alcun desiderio di bene, ma solo da un ego ipertrofico e da una cieca e smodata brama di dominio sulle cose. Tale sapienza diabolica è oggi molto diffusa e viene scambiata da molti per il vero sapere, mentre ne è l’orribile contraffazione, la mostruosa caricatura, quanto la scimmia ci appare come la caricatura dell’uomo.
Bisogna introdurre, a questo punto, una ulteriore distinzione: quella fra la sapienza del mondo e la sapienza di Dio. È una distinzione tipicamente cristiana, nel senso che l’ha introdotta il cristianesimo; pure, non si può dire che l’abbia introdotta dal nulla, perché, allo stato latente, esisteva già. La ricerca del sapere, abbiamo detto, è ricerca della verità; ma la verità è Dio: dunque, un sapere che non trovi, non onori e non proclami la grandezza di Dio, non è un vero sapere, ma un sapere illusorio, perverso e pervertitore. Tuttavia, non basta trovare Dio: Dio non si fa trovare da chi lo cerca in maniera sbagliata, per esempio da chi ammira e adora le creature al posto del Creatore. In questo senso, è profondamente sbagliata l’idea – pure, oggi, largamente diffusa, e anche in ambito cristiano – che tutte le maniere di cercare Dio siano buone, e che tutte le fedi in Dio siano ugualmente apprezzabili. Dietro questo relativismo e questo indifferentismo, c’è l’insulsaggine di una teologia allo sbando, promossa da chi non possiede né l’umiltà, né la consapevolezza, né la debita onestà intellettuale, per cercare la verità nella maniera giusta, e che ora sta portando il disordine e la confusione anche fra gli altri, come una malattia che si diffonde.
La sapienza del mondo è falsa e malefica perché nasce dalla superbia: è l’espressione di un atteggiamento di arroganza e di una volontà di dominio, che nasce dal mancato riconoscimento, da parte dell’uomo, della propria condizione creaturale. Il peccato di Adamo ed Eva fu un peccato di questo tipo: rifiutando la loro condizione di creature, e di creature alquanto privilegiate, essi vollero essere come Dio: cercavano la sapienza in vista dell’immortalità, che è una forma di potere. Volevano essere pari a Dio, non accettando il limite da Lui stabilito e strappandogli, con ingratitudine nata dalla diffidenza, i suoi privilegi divini. Non ebbero fiducia in Dio, nella sua bontà e nella sapienza di quanto aveva fatto, intorno a loro e per loro; preferirono ascoltare le parole del serpente, parole d’invidia e di sospetto nei confronti del loro Creatore. Tale è la sapienza del mondo: un guscio vuoto, pieno di vento e di arroganza.
La vera sapienza è la sapienza di Dio, che giunge agli uomini umili, ai piccoli, ai semplici. Nessuna demagogia populista: umili, piccoli e semplici, in senso spirituale. Anche un genio e un uomo coltissimo possono aspirare alla vera sapienza, e la storia dell’arte e del pensiero ce ne offre diversi esempi; ma il cammino, per loro, potrebbe essere ancora più impervio, perché essi, di solito, sono appesantiti da un sapere libresco, che li gonfia di superbia e toglie loro la necessaria umiltà e semplicità di cuore. Ricordiamo un aneddoto della vita di san Tommaso d’Aquino, il sommo filosofo cui per secoli si sono rivolte le menti e le anime in cerca della verità: quando, mentre componeva la Summa Theologiae, non riusciva a penetrare un concetto particolarmente arduo, posava la penna, usciva dallo studio e si recava nella cappella; qui abbracciava il tabernacolo e, piangendo e pregando, invocava l’Altissimo perché gli aprisse la mente e lo aiutasse a trovare quella verità che stava ansiosamente cercando: né se ne andava prima di aver ricevuto la grazia che domandava, magari dopo aver trascorso in quel modo anche una notte intera.
Purtroppo, molti teologi, o sedicenti teologi odierni, hanno smarrito questa grande lezione di umiltà: piccoli come nani in confronto alla gigantesca statura di un san Tommaso d’Aquino, si gonfiano di presunzione a dismisura e pretendono di riscrivere le verità eterne, forti della scienza moderna, come se “moderno” significasse “più veritiero” e come se si potesse giungere alla verità con le sole forze umane, trascurando l’indispensabile aiuto di Dio. È certo, invece, che l’uomo, con le sue sole forze – intelligenza, volontà, sensibilità – non potrà mai attingere ad un livello di verità che non sia puramente umano; pertanto, anche il Dio di cui parlano siffatti teologi, non il vero Dio, ma una loro proiezione mentale, alla quale attribuiscono i loro pensieri e le loro aspirazioni – umane, troppo umane, come direbbe il buon vecchio Nietzsche. Si sono scordati che, per comprendere, prima bisogna credere: si crede per poter comprendere, non si crede perché si è compreso.
Scrive san Paolo nella Prima lettera ai Corinzi (1, 17-31):
Cristo, infatti, non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il Vangelo, non con sapienza di linguaggio, affinché non sia resa vana la croce di Cristo. Il linguaggio della croce è follia per quelli che si perdono, ma per noi che ci salviamo, è potenza di Dio. Sta scritto infatti: “Distruggerò la sapienza dei savi, annienterò l’intelligenza dei dotti” [Isaia, 29, 14]. Dov’è il sapiente? Dov’è lo scriba? Dov’è l’investigatore di questo secolo? Non ha forse Iddio reso stolta la sapienza del mondo? Poiché, infatti, il mondo con la sua sapienza non seppe conoscere Dio nella manifestazioni della sapienza divina, piacque a Dio di salvare i credenti mediante la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e follia per i Gentili; ma per i chiamati, sia Giudei che Greci, è Messia, potenza di Dio e sapienza di Dio. Perché la follia di Dio è più sapiente degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini.
Considerate, o fratelli, la vostra chiamata: tra voi non ci sono né molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che è senza sapienza, per confondere i sapienti; e le cose deboli ha scelto Dio, per confondere le forti; e le cose umili del mondo e le disprezzate ha scelto Dio, e quelle che non sono nulla, per ridurre a nulla quelle che sono; affinché nessuno si possa vantare davanti a Dio. Orbene, è per mezzo di lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale da parte di Dio è diventato per noi sapienza e giustizia e santificazione e redenzione, affinché, come sta scritto, “Chi si gloria, si glori nel Signore” [Geremia, 9, 23].
Dio, dunque, ha dato all’uomo l’intelligenza, perché possa mettersi rettamente alla ricerca della verità; ma l’uomo, con la sua sola intelligenza, e senza l’umiltà dovuta alle cose eterne, è impazzito, e ha scambiato le sue farneticazioni per la verità. Ma siccome vi è nella natura dell’uomo un inestinguibile desiderio di Dio, l’uomo, nella sua follia, ha trasformato in divinità da adorare le cose cui lo ha portato la sua sapienza fuorviata: dapprima gli animali, o gli idoli fatti dalle sue stesse mani, poi – ed è storia dei nostri giorni – gli idoli della scienza stessa, o del progresso, o della ragione, se non quelli, ancora più aberranti, ancora più deformi, del godimento, del dominio, della ricchezza. Per questa umanità orgogliosa e impazzita, le porte della verità si sono chiuse, ed essa ha trovato in se stessa la condanna del proprio traviamento. I flagelli che l’hanno colpita e che continuano a colpirla, senza che essa se ne renda conto e si ravveda, sono precisamente il frutto avvelenato del suo falso sapere e della sua blasfema adorazione di falsi dèi.
Non c’è niente da fare: la vera sapienza non viene agli uomini da loro stessi; essi non possono darsela da soli. La vera sapienza viene solo ed esclusivamente da Dio. E Dio, nel suo eterno e perfetto giudizio, ha scelto dall’eternità le cose umili, le persone semplici, per trasfondere in loro le magnificenze del vero sapere e lo splendore della verità. È forse un caso che Egli abbia scelto, quale madre del Verbo incarnato, la più umile e sconosciuta di tutte le creature umane? Eppure, quella umilissima creatura ha compreso – non per via di sapienza umana, ma per illuminazione divina – il mistero ineffabile dell’Amore di Dio che cerca gli uomini, e che li cerca con paterna sollecitudine, fino al sublime sacrificio del Figlio unigenito. Questa comprensione da parte di Maria del mistero infinito dell’Amore di Dio per le sue creature, specie le più umili e semplici, è meravigliosamente celebrato nel Magnificat, la più alta preghiera di lode mai uscita da labbra umane (Luca, 1, 46-55):
L’anima mia magnifica il Signore / e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, / perché ha guardato l’umiltà della sua serva. / D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. / Grandi cose ha fatto in me l‘Onnipotente / e santo è il suo nome: / di generazione in generazione la sua misericordia / stende su quelli che lo temono. / Ha spiegato la potenza del suo braccio, / ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; / ha rovesciato i potenti dai troni, / ha innalzato gli umili; / ha ricolmato di beni gli affamati, / ha rimandato a mani vuote i ricchi. / Ha soccorso Israele, suo servo, / ricordandosi della sua misericordia, / come aveva promesso ai nostri padri, / ad Abramo e alla sua discendenza, / per sempre.
La sapienza umana è come nulla di fronte alla Sapienza divina
di Francesco Lamendola
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