AMORIS LAETITIA SURVIVAL KIT
AMORIS LAETITIA SURVIVAL KIT
unici esclusi dalla
misericordia,
per sopravvivere alla
tempesta ereticale
scatenatasi dopo Amoris laetitia
Ai fedeli cattolici così confusi circa la dottrina della fede
riguardo al matrimonio dico semplicemente: “leggete e meditate il
Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 1601-1666. E quando sentite
qualche discorso sul matrimonio, anche se fatto da sacerdoti, vescovi,
cardinali, e verificate che non è conforme al Catechismo, non
ascoltateli. Sono ciechi che conducono altri ciechi”
Card. Carlo Caffarra[1]
DICHIARAZIONE
PRELIMINARE
Sottopongo quanto ho scritto al
giudizio della Chiesa Cattolica Romana e intendo fin d'ora per ritrattato tutto
quello che dovesse risultare, per suo insindacabile giudizio, non in perfetta
conformità con la sana dottrina.
INDICE
1 - La morale oggettiva vs la morale caso per caso
2 - Il matrimonio che
persiste vs il cosiddetto matrimonio fallito.
3 - Evitare confessioni
invalide e sacrileghe e
non mangiare e bere “la propria condanna” (1 Cor
11,29)
vs
Comunione libero
tutti.
I - Alcuni principi
fondamentali
ovvero
la morale oggettiva
(la morale che si basa sulla
stessa natura dell’uomo, sulla grazia e sulle leggi universali naturali e rivelate; secondo essa la bontà dell’azione umana dipende dall’oggetto
in cui è impegnata e, oltre che dalle circostanze in cui è compiuta, dall’intenzione
che la muove)
vs
la morale caso per
caso
(la morale delle
condizioni o circostanze reali e concrete nelle quali bisogna agire e secondo
le quali spetta alla coscienza individuale - chiusa gelosamente in sé e resa arbitra assoluta delle sue
determinazioni - giudicare e scegliere).
* * *
1. D.
Esistono degli atti atti intrinsecamente cattivi che sono sempre peccato
mortale, se commessi con piena avvertenza e deliberato consenso, e che quindi
non possono essere giudicati caso per caso?
R. Sì, “ci
sono atti che per se stessi e in se stessi, indipendentemente dalle circostanze
e dalle intenzioni, sono sempre gravemente illeciti a motivo del loro oggetto;
tali la bestemmia e lo spergiuro, l'omicidio e l'adulterio. Non è lecito
compiere il male perché ne
derivi un bene” (CCC 1756).
2. D. Le
circostanze possono rendere buona un’azione intrinsecamente cattiva?
R. No,”le
circostanze, in sé,
non possono modificare la qualità morale degli atti stessi; non possono rendere né buona né giusta un'azione intrinsecamente cattiva”
(CCC 1754).
3. D. È
possibile valutare se un atto sia moralmente buono o meno considerando solo
l’intenzione e le circostanze?
R. No; è
“sbagliato giudicare la moralità degli atti umani considerando soltanto l'intenzione che li ispira,
o le circostanze (ambiente, pressione sociale, costrizione o necessità di agire, ecc) che ne
costituiscono la cornice” (CCC. 1756).
4. D. La
morale dell’oggetto potrebbe non essere opportunamente applicata all’esperienza
pastorale concreta, in particolare nei casi più critici?
R. No;
infatti “il Magistero della Chiesa […] presenta le ragioni del discernimento
pastorale necessario in situazioni pratiche e culturali complesse e talvolta
critiche” (S. Giovanni Paolo II)[2].
5. D. Dio
comanda cose impossibili ad osservarsi?
R. No,
”Nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall'osservanza
dei comandamenti, nessuno deve far propria quell'espressione temeraria e
proibita dai padri sotto pena di scomunica, esser cioè impossibile per l'uomo
giustificato osservare i comandamenti di Dio”
(Concilio di Trento)[3].
6. D. Come
Dio non comanda cose impossibili?
R. Dio non
comanda cose impossibili ordinando di resistere a qualunque tentazione, ma
ordinando “ammonisce di fare ciò che puoi, e di chiedere ciò che non puoi e
aiuta perché tu possa”
(Concilio di Trento)[4].
7. D. Dio
permette che siamo tentati oltre le nostre forze?
R. No:
”Nessuna tentazione, superiore alle forze umane, vi ha sorpresi; Dio infatti è
degno di fede e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze ma, insieme con la
tentazione, vi darà anche
il modo per poterla sostenere” (1 Cor 10,13).
8. D. Come
la Chiesa ha dichiarato vero il giudizio che non bisogna violare i comandamenti
di Dio anche nelle circostanze più gravi?
R. “La
Chiesa propone l'esempio di numerosi santi e sante, che hanno testimoniato e
difeso la verità morale
fino al martirio o hanno preferito la morte ad un solo peccato mortale.
Elevandoli all'onore degli altari, la Chiesa ha canonizzato la loro
testimonianza e dichiarato vero il loro giudizio, secondo cui l'amore di Dio
implica obbligatoriamente il rispetto dei suoi comandamenti, anche nelle
circostanze più gravi, e il rifiuto di tradirli, anche con l'intenzione di
salvare la propria vita” ( San Giovanni Paolo II)[5].
9. D. È
lecito commettere un peccato per favorire, ad esempio, l’educazione dei figli
avuti al di fuori del legittimo matrimonio?
R. No,
“non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male, affinché ne venga il bene, cioè fare
oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente disordine e quindi indegno della persona
umana, anche se nell'intento di salvaguardare o promuovere beni individuali,
familiari o sociali” (Paolo VI)[6].
10. D. Che
cosa è la coscienza?
R. “La
coscienza, all’atto pratico, è il giudizio circa la rettitudine, cioè la
moralità, delle nostre
azioni, sia considerate nel loro abituale svolgimento, sia nei loro singoli
atti”. (Paolo VI)[7].
11. D. Quali
sono le note principali della coscienza?
R. Le note
principali “sono queste: la sua necessità e la sua insufficienza” (Paolo VI)[8].
12. D. Spiegate
perché la coscienza è necessaria.
R. La
coscienza è necessaria perché “la bontà dell’azione umana dipende dall’oggetto in cui è impegnata e, oltre
che dalle circostanze in cui è compiuta, dall’intenzione che la muove (Cfr. S.
TH. I-IIæ, 18, 1-4);
ora questa complessa specificazione dell’azione, se vuol essere umana, implica
un giudizio soggettivo, immediato di coscienza, che poi si sviluppa nella virtù
regolatrice dell’azione stessa, la prudenza”. (Paolo VI)[9].
13. D. Spiegate
perché la coscienza è insufficiente.
R. La
coscienza è insufficiente perché da sola “non basta. Anche se essa porta in se
stessa i precetti fondamentali della legge naturale (Cfr. Rom. 2, 2-16).
Occorre appunto la legge: e quella che la coscienza offre da sé alla guida della vita umana non
basta; dev’essere educata e spiegata; dev’essere integrata con la legge
esterna, sia nell’ordinamento civile - chi non lo sa? - e sia nell’ordinamento
cristiano - anche questo: chi non lo sa? -. La «via» cristiana non ci sarebbe nota, con
verità e con autorità, se non ci fosse annunciata dal
messaggio della Parola esteriore, del Vangelo e della Chiesa” (Paolo VI)[10].
14. D. Perché
la coscienza non è arbitra del valore morale delle azioni ch’essa suggerisce?
R. “Perché
essa è interprete d’una norma interiore e superiore; non la crea da sé. Essa è illuminata dalla intuizione di
certi principi normativi, connaturali nella ragione umana (cfr. S. Th., I, 79,
12 e 13; I-II, 94, 1); la coscienza non è la fonte del bene e del male; è l’avvertenza,
è l’ascoltazione di una voce, che si chiama appunto la voce della coscienza, è
il richiamo alla conformità che
un’azione deve avere ad una esigenza intrinseca all’uomo, affinché l’uomo sia uomo vero e perfetto.
Cioè è l’intimazione soggettiva e immediata di una legge, che dobbiamo chiamare
naturale, nonostante che molti oggi non vogliano più sentir parlare di legge
naturale” (Paolo VI)[11].
15. D. La
ragione umana può creare essa stessa la norma morale?
R. No. “La
giusta autonomia della ragione pratica significa che l'uomo possiede in se
stesso la propria legge, ricevuta dal Creatore. Tuttavia, l'autonomia della
ragione non può significare la creazione, da parte della stessa ragione, dei
valori e delle norme morali. Se questa autonomia implicasse una negazione della
partecipazione della ragione pratica alla sapienza del Creatore e Legislatore
divino, oppure se suggerisse una libertà creatrice delle norme morali, a seconda delle contingenze storiche
o delle diverse società e
culture, una tale pretesa autonomia contraddirebbe l'insegnamento della Chiesa
sulla verità dell’uomo”
(S. Giovanni Paolo II)[12].
16. D. Può un
colloquio con un sacerdote rendere lecita un’azione intrinsecamente cattiva?
R. No; il
sacerdote ha il dovere di spiegare la malizia di un’atto intrinsecamente
cattivo: “nel campo della morale come in quello del dogma, tutti si attengano
al Magistero della Chiesa e parlino uno stesso linguaggio” (Paolo VI)[13].
17. D. I
precetti negativi della legge naturale - quali ad esempio non bestemmiare,
non spergiurare, non commettere omicidio, non commettere adulterio (cf. CCC
1756) - sono universalmente validi?
R. “I
precetti negativi della legge naturale sono universalmente validi: essi
obbligano tutti e ciascuno, sempre e in ogni circostanza. Si tratta infatti di
proibizioni che vietano una determinata azione semper et pro semper,
senza eccezioni, perché la
scelta di un tale comportamento non è in nessun caso compatibile con la bontà della volontà della persona che agisce, con la sua
vocazione alla vita con Dio e alla comunione col prossimo. È proibito ad ognuno
e sempre di infrangere precetti che vincolano, tutti e a qualunque costo, a non
offendere in alcuno e, prima di tutto, in se stessi la dignità personale e comune a tutti” (S.
Giovanni Paolo II)[14].
18. D. Chi
commette un peccato mortale è privo della grazia di Dio?
R. Sì,
infatti “Il peccato mortale è una possibilità radicale della libertà umana, come lo stesso amore. Ha
come conseguenza la perdita della carità e la privazione della grazia santificante, cioè dello stato di
grazia” (CCC 1861).
II - “Chi ripudia la
propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di lei; se la
donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio” (Mc 10,11-12 )
ovvero
Il matrimonio che
persiste
vs
il cosiddetto matrimonio
fallito.
* * *
19. D.
L’unione matrimoniale dell'uomo e della donna è indissolubile in ogni caso?
R. “Nella
sua predicazione Gesù ha insegnato senza equivoci il senso originale
dell'unione dell'uomo e della donna, quale il Creatore l'ha voluta all'origine:
il permesso, dato da Mosè,
di ripudiare la propria moglie, era una concessione motivata dalla durezza del
cuore; [Cf Mt 19,8] l'unione matrimoniale dell'uomo e della donna è
indissolubile: Dio stesso l'ha conclusa. “Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi” (Mt 19,6 )” (CCC 1614).
20. D.
L’indissolubilità del matrimonio è un’esigenza irrealizzabile?
R. “Questa
inequivocabile insistenza sull'indissolubilità del vincolo matrimoniale ha potuto
lasciare perplessi e apparire come un'esigenza irrealizzabile [Cf. Mt 19,10 ].
Tuttavia Gesù non ha caricato gli sposi di un fardello impossibile da portare e
troppo gravoso, [Cf. Mt
11,29-30] più pesante della Legge di Mosè” (CCC 1615).
21. D. Come è
possibile rimanere fedeli al matrimonio indissolubile, in mezzo a tante
difficoltà?
R. “Venendo
a ristabilire l'ordine iniziale della creazione sconvolto dal peccato, [Gesù]
stesso dona la forza e la grazia per vivere il matrimonio nella nuova
dimensione del Regno di Dio” (CCC 1615).
22. D. Come
gli sposi potranno capire il senso originale del matrimonio e viverlo con
l'aiuto di Cristo?
R. “Seguendo
Cristo, rinnegando se stessi, prendendo su di sé la propria croce [Cf. Mc 8,34] gli sposi
potranno “capire” [Cf. Mt 19,11] il senso originale
del matrimonio e viverlo con l'aiuto di Cristo. Questa grazia del Matrimonio
cristiano è un frutto della croce di Cristo, sorgente di ogni vita cristiana”
(CCC 1615).
23. D. Chi
causa il divorzio pecca gravemente?
R. Sì,
perché “il divorzio è una grave offesa alla legge naturale. Esso pretende di
sciogliere il patto liberamente stipulato dagli sposi, di vivere l'uno con
l'altro fino alla morte. Il divorzio offende l'Alleanza della salvezza, di cui
il matrimonio sacramentale è segno” (CCC 2384).
24. D. In
quali condizioni si trova un coniuge che contrae un nuovo matrimonio meramente
civile?
R. “Se
i divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione
che oggettivamente contrasta con la legge di Dio” (CCC 1650). Inoltre “Il
fatto di contrarre un nuovo vincolo nuziale, anche se riconosciuto dalla legge
civile, accresce la gravità della
rottura: il coniuge risposato si trova in tal caso in una condizione di
adulterio pubblico e permanente” (CCC 2384).
25. D. La
Chiesa può riconoscere come valida una nuova unione se era valido il primo
matrimonio?
R. No,
anche se oggi, “in molti paesi, sono numerosi i cattolici che ricorrono al
divorzio secondo le leggi civili e che contraggono civilmente una nuova unione.
La Chiesa sostiene, per fedeltà alla parola di
Gesù Cristo (“Chi
ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio contro di
lei; se la donna ripudia il marito e ne sposa un altro, commette adulterio”: (Mc
10,11-12 ), che non può riconoscere come valida una nuova unione, se era valido
il primo matrimonio” (CCC 1650).
26. D. È
possibile applicare ad una relazione adulterina il principio per cui se mancano
alcune espressioni di intimità,
«non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa
venir compromesso il bene dei figli» (Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium
et spes, 51)?
R. No;
essendo l’adulterio un grave peccato e “il peccato il principio attivo
della divisione - divisione fra l'uomo e il Creatore, divisione nel cuore e
nell'essere dell'uomo, divisione fra gli uomini singoli e fra i gruppi umani,
divisione fra l'uomo e la natura creata da Dio -, soltanto la conversione dal
peccato è capace di operare una profonda e duratura riconciliazione dovunque
sia penetrata la divisione (San Giovanni Paolo II)[15].
27. D. La
rottura di un rapporto adulterino danneggia i figli nati dalla nuova unione e
costituisce una nuova colpa?
R. Non è
scritto da nessuna parte che per provvedere ai figli nati dalla nuova unione
bisogna avere necessariamente dei rapporti sessuali. Se i divorziati risposati
hanno dei figli, possono provvedere loro vivendo in grazia di Dio.
III - Coi Sacramenti
non si scherza
ovvero
Evitare confessioni
invalide e sacrileghe e
non mangiare e bere
“la propria condanna” (1 Cor 11,29)
vs
Comunione libero
tutti.
* * *
28. D. Quali
sono le disposizioni per ricevere la santa Comunione?
R. La
consuetudine della Chiesa afferma […] la necessità che ognuno esamini molto a fondo se
stesso [Cf. 1 Cor 11, 28],
affinché chi sia
conscio di essere in peccato grave non celebri la Messa né comunichi al Corpo del Signore senza
avere premesso la confessione sacramentale” (Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti)[16].
29. D. Qual è
il principale ed indispensabile atto del penitente per ricevere l’assoluzione
sacramentale?
R. “Tra
gli atti del penitente, la contrizione occupa il primo posto. Essa è “il dolore
dell'animo e la riprovazione del peccato commesso, accompagnati dal proposito
di non peccare più in avvenire” [Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1676]” (CCC 1451). Inoltre
“'atto essenziale della penitenza, da parte del penitente, è la contrizione,
ossia un chiaro e deciso ripudio del peccato commesso insieme col proposito di
non tornare a commetterlo, per l'amore che si porta a Dio e che rinasce col
pentimento. Così intesa, la contrizione è, dunque, il principio e l'anima della conversione” (San Giovanni
Paolo II)[17].
30. D. Perché
è evidente di per sé che l’accusa
dei peccati deve includere il proponimento serio di non commetterne più nel
futuro?
R. Perché
“se questa disposizione dell’anima mancasse, in realtà non vi sarebbe pentimento: questo,
infatti, verte sul male morale come tale, e dunque non prendere posizione
contraria rispetto ad un male morale possibile sarebbe non detestare il male,
non avere pentimento” (San Giovanni Paolo II)[18].
31. D. Se uno
è scoraggiato per le frequenti cadute o spaventato dalla difficoltà di non
peccare, su che cosa deve fondare il pur richiesto proposito di non offendere
più Dio?
R. “Il
proposito di non peccare deve fondarsi sulla grazia divina, che il Signore non
lascia mai mancare a chi fa ciò che gli è possibile per agire onestamente” (San
Giovanni Paolo II)[19].
32. D. Se una
persona teme di ricadere in peccato, può ugualmente avere il buon proposito di
non peccare?
R. Sì;
infatti “non pregiudica l'autenticità del proposito, quando a quel timore di ricadere in peccato sia
unita la volontà,
suffragata dalla preghiera, di fare ciò che è possibile per evitare la colpa”
(San Giovanni Paolo II)[20].
33. D. Viste
le premesse suddette, quando è possibile a persone divorziate risposate
ricevere l’assoluzione?
R. L’assoluzione
“può essere data «solo
a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente
disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio” (Congregazione
per la Dottrina della Fede)[21].
34. D. Cosa
significa in concreto l’espressione “forma di vita non più in contraddizione
con l'indissolubilità del
matrimonio”?
R. “Ciò
importa, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad
esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della
separazione, "assumano l'impegno di vivere in piena continenza, cioè di
astenersi dagli atti propri dei coniugi” (S. Giovanni Paolo II, Omelia per la
chiusura del VI Sinodo dei Vescovi, 25-10-1980, § 7). In tal caso essi possono
accedere alla comunione eucaristica, fermo restando tuttavia l'obbligo di
evitare lo scandalo” (Congregazione per la Dottrina della Fede)[22].
35. D. Se
un fedele divorziato risposato fosse convinto della nullità del precedente matrimonio, pur non
potendola dimostrare nel foro esterno, può accedere ai sacramenti?
R. “É certamente vero che il giudizio
sulle proprie disposizioni per l'accesso all'Eucaristia deve essere formulato
dalla coscienza morale adeguatamente formata. Ma è altrettanto vero che il
consenso, col quale è costituito il matrimonio, non è una semplice decisione
privata, poiché crea
per ciascuno dei coniugi e per la coppia una situazione specificamente
ecclesiale e sociale. Pertanto il giudizio della coscienza sulla propria
situazione matrimoniale non riguarda solo un rapporto immediato tra l'uomo e
Dio, come se si potesse fare a meno di quella mediazione ecclesiale, che
include anche le leggi canoniche obbliganti in coscienza” (Congregazione per la
Dottrina della Fede)[23].
32. D. Che
cosa comporta se una persona non riconoscesse la mediazione ecclesiale nel
riconoscere nullo il precedente matrimonio?
R. “Non
riconoscere questo essenziale aspetto significherebbe negare di fatto che il
matrimonio esiste come realtà
della Chiesa, vale a dire, come sacramento” (Congregazione per la
Dottrina della Fede)[24].
36. D. Cosa
deve rispondere un sacerdote a un fedele che ritenesse giusto in coscienza di
poter accedere all’Eucarestia, pur vivendo more uxorio con persona
diversa dal proprio coniuge legittimo?
R. “I
pastori e i confessori, date la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona e
del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di ammonirlo che tale
giudizio di coscienza è in aperto contrasto con la dottrina della Chiesa”
(Congregazione per la Dottrina della fede)[25].
37. D.
Che cosa presuppone l’errata convinzione di poter accedere alla Comunione
eucaristica da parte di un divorziato risposato?
R. “L’errata
convinzione di poter accedere alla Comunione eucaristica da parte di un
divorziato risposato, presuppone normalmente che alla coscienza personale si
attribuisca il potere di decidere in ultima analisi, sulla base della propria
convinzione (Cf. Lett. enc. Veritatis splendor, n. 55: AAS 85 (1993) 1178),
dell'esistenza o meno del precedente matrimonio e del valore della nuova
unione. Ma una tale attribuzione è inammissibile (Cf. Codice di Diritto
Canonico, can. 1085 § 2). Il matrimonio infatti, in quanto immagine dell'unione
sponsale tra Cristo e la sua Chiesa, e nucleo di base e fattore importante
nella vita della società civile,
è essenzialmente una realtà pubblica”
(Congregazione per la Dottrina della fede)[26].
38. D. Come i
sacerdoti possono illuminare la coscienza dei fedeli che non possono accostarsi
all’Eucarestia?
R. “È
necessario illuminare i fedeli interessati affinché non ritengano che la loro partecipazione
alla vita della Chiesa sia esclusivamente ridotta alla questione della
recezione dell'Eucaristia. I fedeli devono essere aiutati ad approfondire la
loro comprensione del valore della partecipazione al sacrificio di Cristo nella
Messa, della comunione spirituale, della preghiera, della meditazione della
Parola di Dio, delle opere di carità e di giustizia” (Congregazione per la Dottrina della fede)[27].
39. D. Che
atteggiamento devono avere i sacerdoti confessori nei confronti di chi non
riesce ancora ad uscire dallo stato di peccato?
R. “Non
sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò deve
sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha dato
l'esempio nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare ma per salvare,
Egli fu certo intransigente con il male, ma misericordioso verso le persone”
(Paolo VI)[28].
40. D. Che
altro aiuto possiamo dare a chi non riesce ancora ad uscire dallo stato di
peccato?
R. Tutti
dobbiamo ribadire che “I divorziati risposati, tuttavia, nonostante la loro
situazione, continuano ad appartenere alla Chiesa, che li segue con speciale
attenzione, nel desiderio che coltivino, per quanto possibile, uno stile
cristiano di vita attraverso la partecipazione alla santa Messa, pur senza
ricevere la Comunione, l'ascolto della Parola di Dio, l'Adorazione eucaristica,
la preghiera, la partecipazione alla vita comunitaria, il dialogo confidente
con un sacerdote o un maestro di vita spirituale, la dedizione alla carità vissuta, le opere di penitenza,
l'impegno educativo verso i figli” (Benedetto XVI)[29].
41. D. Un’assoluzione, data con leggerezza e contraffatta misericordia a chi non ha le dovute
disposizioni, può rendere felice lo stesso penitente?
R. “Nessuna
assoluzione, offerta da compiacenti dottrine anche filosofiche o teologiche,
può rendere l'uomo veramente felice: solo la Croce e la gloria di Cristo
risorto possono donare pace alla sua coscienza e salvezza alla sua vita”. (San
Giovanni Paolo II)[30].
42 D. Perché
i divorziati risposati non possono accedere alla Comunione eucaristica?
R. Se i
divorziati si sono risposati civilmente, essi si trovano in una situazione che
oggettivamente contrasta con la legge di Dio. Perciò essi non possono accedere
alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione. Per
lo stesso motivo non possono esercitare certe responsabilità ecclesiali. La riconciliazione
mediante il sacramento della Penitenza non può essere accordata se non a coloro
che si sono pentiti di aver violato il segno dell'Alleanza e della fedeltà a Cristo, e si sono impegnati a
vivere in una completa continenza. (CCC1650)
43. D. La
norma che preclude la ricezione dell’Eucaristia ai divorziati risposati deve
essere considerata una sorta di punizione?
R. No.
“Questa norma non ha affatto un carattere punitivo o comunque discriminatorio
verso i divorziati risposati, ma esprime piuttosto una situazione oggettiva che
rende di per sé impossibile
l'accesso alla Comunione eucaristica: «Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro
stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione
di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall’Eucaristia”
(Congregazione per la Dottrina della Fede)[31].
44. D. Ci sono
altri motivi per non ammettere i divorziati risposati all’Eucarestia?
R. C’è
inoltre un altro peculiare motivo pastorale; se si ammettessero queste persone
all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la
dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio” (Congregazione per la Dottrina della Fede)[32].
45. D.
Maria, debellatrice di tutte le eresie, debellerà anche gli errori più recenti
sul matrimonio?
R. Sì,
perché Ella “non accetta che l'uomo peccatore venga ingannato da chi
pretenderebbe di amarlo giustificandone il peccato, perché sa che in tal modo sarebbe reso vano il
sacrificio di Cristo, suo Figlio” (San Giovanni Paolo II)[33].
[1] «Santità, la prego risponda
a queste tre domande su Amoris Laetitia», a c. di Maike Hickson, http://tinyurl.com/hhfqe3f.
[2] Lettera enciclica Veritatis
splendor, 6-8-1993, § 115.
[3]
Decreto sulla giustificazione, 13-1-1547, Sessio VI, cap. 11; cit. da: H. Denzinger, Enchiridion
symbolorum definitionum et declarationum de rebus fidei et morum,
edizione bilingue sulla 40ª edizione (2005) a cura di Peter Hünermann, Bologna:
EDB, 2005/5, n. 1536.
[4]
Ibidem.
[5] Lettera enciclica Veritatis
splendor, 6-8-1993, § 91.
[6]
Lettera enciclica Humanae Vitae,
25 luglio 1968, § 14.
[7]
Udienza generale, Mercoledì, 12 febbraio 1969, http://tinyurl.com/jsywohz.
[8]
Udienza generale, Mercoledì, 2 agosto 1972, http://tinyurl.com/jg98cet.
[9] Ibidem.
[10] Ibidem.
[11]
Udienza generale, Mercoledì, 12 febbraio 1969, http://tinyurl.com/jsywohz.
[12] Lettera enciclica Veritatis
splendor, 6-8-1993, § 40.
[13]
Lettera enciclica Humanae Vitae,
25 luglio 1968, § 28.
[14] Lettera enciclica Veritatis
splendor, 6-8-1993, § 51.
[15]
Esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia, 2-12-1984, § 23.
[16] Istruzione Redemptionis sacramentum,
§ 80.
[17]
Esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia, 2-12-1984, § 31,
III.
[18]
Lettera al Card. William W. Baum in occasione del corso sul foro interno
organizzato dalla Penitenzieria Apostolica, 22-3-1996, § 5.
[19] Ibidem.
[20] Ibidem.
[21]
Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione
eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, 14-9-1994, § 4.
[22] Ibidem.
[23] Ibidem, § 8.
[24] Ibidem.
[25] Ibidem, § 6.
[26] Ibidem, § 7.
[27] Ibidem, § 6.
[28]
Lettera enciclica Humanae Vitae,
25 luglio 1968, § 29.
[29] Esortazione apostolica Sacramentum
Caritatis, 22-2-2007, § 29.
[30] Lettera enciclica Veritatis
splendor, 6-8-1993, § 120.
[31]
Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica circa la recezione della comunione
eucaristica da parte di fedeli divorziati risposati, 14-9-1994, § 4.
[32] Ibidem.
[33] Lettera enciclica Veritatis
splendor, 6-8-1993, § 120.
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