UN TESORO IN VASI DI TERRA
La grande tentazione di teologi vescovi e sacerdoti: la lunga consuetudine con lo studio e la pratica delle cose sacre può farli trascendere da ciò che è giusto e dissolvere in loro il senso del limite e il senso del mistero
di Francesco Lamendola
Vivere
nella luce della Verità di Cristo, significa far morire in sé l’uomo
vecchio, schiavo del proprio io, e far nascere l’uomo nuovo, spirituale,
distaccato dai beni del mondo e tutto concentrato nell’amore di Dio.
Nell’uomo nuovo, che nasce a una seconda vita quando si apre all’azione
della Grazia, rifulge un tesoro d’infinito valore, smagliante,
inestimabile: il tesoro del Vangelo, del Lieto Annunzio di Gesù,
dell’amore di Dio per le sue creature e della Redenzione che si è
attuata per mezzo dell’Incarnazione e del sacrificio di Gesù Cristo
D’altra
parte, un simile tesoro è quasi troppo splendente, troppo bruciante,
per le capacità umane: sicché gli uomini lo possono accogliere solo come
dei semplici vasi di terracotta, vasi umili, fragili, suscettibili di
incrinarsi e spezzarsi al primo urto; vasi inadeguati a contenere e
custodire fedelmente un bene così impagabile.
Ciò non avviene per caso,
ma, secondo le parole dell’Apostolo, perché si veda bene che non l’uomo,
ma Dio è l’autore di quel tesoro; sicché si potrebbe dire che esso
traluce non a motivo di coloro che lo annunziano, ma nonostante
l’opacità dei vasi di terra nei quali è stato riposto, e ai quali è
stato affidato.
Ogni
qualvolta gli uomini si scordano, anche solo per un momento, di essere
dei semplici contenitori di quel tesoro divino; ogni volta che si
montano la testa e, ottenebrati dalla superbia, gonfiano il petto e si
atteggiano ad essere qualche cosa di più, come se avessero dei meriti da
far valere, quasi che, magari un poco, il piano della salvezza si
attuasse per merito loro, essi cadono nell’accecamento e nella follia di
credersi altro che delle semplici creature, e parlano e agiscono come
se dipendesse da loro annunciare il Vangelo, e il modo in cui farlo. Questa
è la grande tentazione, che si presenta specialmente ai teologi, ai
vescovi e ai sacerdoti: la lunga consuetudine con lo studio e la pratica
delle cose sacre può farli trascendere da ciò che è giusto, e
dissolvere in loro il senso del limite e il senso del mistero.
Ma il servo che si occupa più da vicino delle cose del padrone, sempre
un servo rimane, e guai se lo dimenticasse: diverrebbe un pessimo
servitore, che, invece di eseguire fedelmente le istruzioni del suo
padrone, a un certo punto si atteggia come se fosse, anche lui, un
piccolo padrone nei confronti degli altri uomini, e come se avesse una
capacità superiore di leggere nella mente del padrone e capire quel che
va fatto.
Gesù,
che era un grandissimo conoscitore dell’animo umano, aveva previsto
questa tentazione, e aveva messo in guardia i suoi discepoli contro di
essa (Luca, 17, 7-10):
Uno
di voi ha un servo, e questo servo si trova nei campi ad arare, oppure a
pascolare il gregge. Come si comporterà quando il servo torna dai
campi? Gli dirà forse: Vieni subito qui e mettiti a tavola con me? No
certamente, ma gli dirà: Cambiati il vestito, preparami la cena e servi a
tavola. Quando io avrò finito di mangiare, allora ti metterai a tavola
anche tu. Quando un servo ha fatto quel che gli è stato comandato, il
padrone non ha obblighi speciali verso di lui. Questo vale anche per
voi! Quando avete fatto tutto quel che vi è stato comandato, dite: Siamo
soltanto servitori. Abbiamo fatto quel che dovevamo fare”.
I teologi e i pastori devono esercitare sempre la virtù dell’umiltà e stare bene attenti a non aggiungere neppure uno iota
al Vangelo: il loro compito è, rispettivamente, quello di chiarire, nei
limiti di ciò che è umanamente possibile, e di porgere al gregge delle
pecorelle, con la dolcezza, la coerenza, la mansuetudine, ma, nello
stesso, anche con la fermezza, la tenacia e l’energia necessarie, la
Rivelazione di Cristo. Una sola parola di troppo, e avrebbero tradito la
loro missione, seminato la confusione nelle anime, e, forse,
allontanato le pecorelle, spingendole verso il pericolo, invece di
avvicinarle e di tenerle tutte unite sotto la loro custodia.
Dice san Paolo nella Seconda lettera ai Corinzi (4, 1-18; 5, 1-10):
È
Dio che ha avuto misericordia di noi e ci ha affidato questo compito:
perciò non ci scoraggiamo. Rifiutiamo ogni azione segreta e disonesta,
non ci comportiamo con malizia e non falsifichiamo la parola di Dio.
Anzi, facciamo chiaramente conoscere la verità, e così presentiamo noi
stessi di fronte al giudizio di tutti gli uomini e dinanzi a Dio.
Se
poi la nostra predicazione appare oscura, essa è oscura per quelli che
sono sulla via della perdizione: Satana, il dio di questo mondo, acceca
le loro menti perché non risplenda per loro la luce gloriosa
dell’annunzio di Cristo, immagine di Dio, e così essi non credono.
Infatti noi non esaltiamo noi stessi: annunziamo che Gesù Cristo è il
Signore. Noi siamo soltanto vostri servi a causa di Gesù. È Dio che ha
detto: “Risplenda la luce nelle tenebre”, ha fatto risplendere in noi la
luce per farci conoscere la gloria di Dio riflessa sul volto di Cristo.
Noi
portiamo in noi stessi questo tesoro come in vasi di terra, perché sia
chiaro che questa straordinaria potenza viene da Dio e on da noi. Siamo
oppressi, ma non schiacciati, sconvolti ma non disperati. Siamo
perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non distrutti. Portiamo
sempre in noi la morte di Gesù, perché si manifesti in noi anche la sua
vita. Siamo vivi, ma continuamente esposti alla morte a causa di Gesù,
perché anche la sua vita si manifesti nella nostra vita mortale. Così,
la morte agisce in noi, perché in voi agisca la vita.
È
scritto nella Bibbia: “Ho creduto perciò ho parlato”. Anche noi abbiamo
questo stesso spirito di fede, anche noi crediamo e per questo
parliamo. Sappiamo infatti che Dio, il quale ha riconosciuto Gesù, il
Signore, risusciterà anche noi insieme con Gesù e ci porterà con voi
davanti a lui. Tutto questo avviene per voi, perché se la grazia si
estende a un maggior numero di persone, aumenteranno anche le preghiere
di ringraziamento a lode di Dio.
Noi
dunque non ci scoraggiamo. Anche se materialmente camminiamo verso la
morte, interiormente, invece, Dio ci dà una vita che si rinnova di
giorno in giorno. La nostra attuale sofferenza è poca cosa e ci prepara
una vita gloriosa che non ha l’uguale. E noi concentriamo la nostra
attenzione non su quel che vediamo ma su ciò che non vediamo: infatti,
quel che vediamo dura soltanto per breve tempo, mentre ciò che non
vediamo dura per sempre.
Noi
sappiamo infatti che la tenda nella quale abitiamo, cioè il nostro
corpo terreno, viene distrutta. Sappiamo però di avere in cielo un’altra
abitazione costruita da Dio, che dura per sempre. Finché siamo in
questa condizione, noi sospiriamo per il desiderio di avere
quell’abitazione che viene dal cielo. Speriamo così di essere rivestiti e
di non essere trovati nudi. Mentre viviamo in questa tenda terrena,
gemiamo oppressi da un peso. Infatti non vogliamo essere privati della
tenda terrena, ma ricevere anche quella celeste. Così, quel che è
destinato alla morte sarà assorbito dalla vita. Dio ci ha preparati per
questo, e come caparra ci ha dato il suo Spirito.
Coraggio
dunque! È certo che finché viviamo in questa vita terrena siamo lontani
da casa, lontani dal Signore: viviamo nella fede e non vediamo ancora
chiaramente. Però abbiamo fiducia, e preferiamo lasciare questa vita pur
di essere vicini al Signore. Soprattutto desideriamo fare quel che
piace al Signore, sia che continuiamo la nostra vita terrena, sia che
dobbiamo lasciarla. Perché, tutti noi, dovremo presentarci davanti al
tribunale di Cristo per essere giudicati da lui. Allora ciascuno
riceverà quel che gli è dovuto, secondo il bene o il male che avrà fatto
nella sua vita.
Un
servo cattivo, un servo inutile e perfino dannoso, è colui che, invece
di eseguire fedelmente i comandi del suo padrone, si mette ad agire e a
parlare di propria iniziativa, usurpando l’autorità del padrone stesso:
ma allora sarebbe un falsario, un ciarlatano, un seminatore di scandalo.
E, di questi tempi, ve ne sono fin troppi, di servi siffatti:
presuntuosi, convinti di essere pari al padrone, e quindi di poter
aggiungere o togliere al Vangelo tutto quel che sembra loro meglio. Come
se l’opera di Dio fosse migliorabile, e lo fosse per mezzo loro; come
se gli uomini avessero bisogno di qualcosa d’altro che la sola
Redenzione di Gesù Cristo, e che, accanto ad essa, e magari perfino più
di essa, fosse necessaria la particolare lettura del Vangelo che questo o
quel teologo, questo o quel vescovo, questo o quel sacerdote si
permettono di fare, seguendo il principio protestante della libera
interpretazione delle sacre Scritture: principio del tutto
inaccettabile, perché conduce dritto al relativismo e perché si fonda
sopra una concezione erronea della libertà. La quale, infatti, non
consiste nello scegliere quel che pare meglio, ma nello scegliere il Bene, che è Dio.
Eppure,
oggi sono sempre più numerosi i servi presuntuosi, che pretendono di
essere da più del padrone e che vorrebbero sostituire al suo Vangelo un
altro vangelo, tutto loro, tutto umano, che non ha niente a che fare con
l’altro, quello vero, l’unico: il Vangelo di Gesù Cristo. Eppure, san
Paolo era stato chiarissimo anche sui questo punto, sempre nella Lettera
ai Galati (1, 11):
Vi
dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunziato non è di origine
umana, perché io stesso non l’ho ricevuto né l’ho imparato da un uomo,
ma l’ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo.
Ora Gesù, a proposito del matrimonio, ha affermato con estrema fermezza: Quello dunque che Dio ha unito, l’uomo non lo separi (Matteo, 19,6); e ancora: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un’altra, commette adulterio (19, 9).
Ma
che cosa si permettono di predicare certi teologi e certi pastori
modernisti e progressisti? Che rompere il matrimonio e prendere un’altra
moglie, o un altro marito, in certe circostanze (oh, ma si badi: solo
in certe circostanze, per carità!) non è una cosa poi tanto terribile;
che bisogna capire, bisogna mettersi nei loro panni, non si deve
giudicare; che, a farla breve, a certe condizioni, quello che ha
ordinato Gesù Cristo non è vero, ma è vero ciò che dicono loro: ossia
che l’uomo ha il diritto di separare ciò che Dio aveva solennemente
congiunto, ovvero che, una volta che la separazione sia avvenuta, la
Chiesa deve prenderne atto e benedire quella nuova unione, anche se essa
si basa sulla rottura del precedente matrimonio.
Prendiamo un altro esempio: i cosiddetti matrimoni omosessuali. Dice ancora San Paolo (nella Lettera ai Romani, 1, 26-27):
Dio
li ha abbandonati lasciandoli travolgere da passioni vergognose: le
loro donne hanno avuto rapporti sessuali contro natura, invece di
seguire quelli naturali. Anche gli uomini, invece di avere rapporti con
le donne, si sono infiammati di passione gli uni per gli altri. Uomini
con uomini commettono azioni turpi, e ricevono così in loro stessi il
giusto castigo per il loro traviamento.
E ancora san Paolo (nellaPrima lettera ai Corinzi, 6, 9-10): Non
illudetevi: nel regno di Dio non entreranno gli immorali, gli adoratori
di idoli, gli adulteri, gli effeminati, i sodomiti, i ladri, gli
invidiosi, gli ubriaconi, i calunniatori, i delinquenti.
Sono parole molto chiare, anche se una recente traduzione della Bibbia interconfessionale, al posto dei due sostantivi effeminati e sodomiti, che indicano con precisione gli omosessuali maschi, passivi e attivi, compare un termine solo, maniaci sessuali,
che falsa completamente il pensiero di san Paolo. Con che diritto è
stata fatta questa falsificazione? Forse per compiacere i “fratelli
separati” protestanti, i cui delicati orecchi non gradiscono ascoltare
questa musica? Si rendono conto, codesti signori, della responsabilità
gravissima che si assumono, cercando di modificar e e di stravolgere le
Scritture? Hanno riflettuto che le Scritture sono ispirate da Dio e non
già il frutto di una mente umana? Eppure, lo fanno. Così come lo fa quel
vescovo di Anversa, monsignor Johan Bonny, il quale ha deciso, di sua
iniziativa, di benedire il cosiddetto matrimonio omosessuale, e di
esortare la Chiesa tutta ad allinearsi sulle sue posizioni. Con quale
diritto? Pensa forse, quel pastore indegno, che la Chiesa sia una
democrazia assembleare, nella quale si decide, di volta in volta, quel
che va detto e quel che va fatto, in base alle opinioni dei suoi membri,
e non seguendo l’unica parola che conta, quella di Gesù Cristo, il
Verbo incarnato? Se costoro non ci credono più, per quale ragione non
trovano quel minimo di onestà intellettuale da levarsi la tonaca e
dichiarare che parlano a titolo personale, da privati cittadini e
nemmeno cattolici (perché nemmeno un laico cattolico può permettersi di
stravolgere e rovesciare impunemente il Vangelo), e che nulla hanno più a
che fare con il sacro Magistero? Perché abusano così sfrontatamente
della veste che indossano?
Ecco:
tutti costoro si sono scordati di essere solo dei vasi di terra e non
già i padroni del tesoro prezioso che nei vasi è stato depositato.
Da vasi di terra, si sono montati la testa e hanno creduto di essere
divenuti qualche cosa di più: dei vasi preziosi, o, addirittura, i
padroni dei vasi e del loro contenuto, del quale ultimo, perciò,
ritengono di poter disporre a piacimento. Sono impazziti a causa della
loro superbia e non hanno capito più niente, e così Dio li ha
abbandonati alle loro passioni vergognose e alle loro azioni perverse
(cfr. Rom 1, 28). Ancora e sempre: beati i semplici...
Un tesoro in vasi di terra
di
Francesco Lamendola
se non si convertono alla svelta...renderanno conto dello scandalo al Signore.. non gli rimarrà che pianto e stridore di denti..
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