I quattro Vangeli sono tre e li hanno scritti Matteo e Marco. Questa è una battuta piuttosto datata, che risale ai tempi del mio liceo. Ma quella che negli anni Settanta - in un’epoca non ancora così scristianizzata - appariva solo come una barzelletta un po’ sciocca, oggi è una sconcertante (e preoccupante) realtà. Quasi metà degli italiani, il 46 per cento, non conosce infatti il numero esatto dei Vangeli (ovviamente parliamo di quelli canonici, non di quelli apocrifi). Per la precisione, il 38,7 per cento proprio non lo sa, mentre il 7,9 per cento tira ad indovinare.
Eppure il librino con le narrazioni di Matteo, Marco, Luca e Giovanni - in vari formati ed edizioni, dalla più semplice alla più ricca - è presente in quasi sette case su dieci; probabilmente non esiste altro testo più diffuso in Italia. Questo significa che sta negli scaffali, come un ornamento, ricordo forse della prima comunione di un figlio o lasciato lì dalla nonna, ma è ben poco conosciuto: non viene letto, sfogliato, utilizzato per pregare e meditare. E in fondo neppure a scuola se ne parla più, nelle lezioni di storia o in ciò che rimane dell’ “insegnamento della religione cattolica”.
Lo ignorano di più gli uomini e chi abita nelle grandi città. La scarsa conoscenza dei Vangeli da parte degli italiani è il risultato più sorprendente di una ricerca condotta dal Censis e curata da Giulio De Rita in occasione della pubblicazione della pregevole opera I Vangeli nella cultura e nell’arte, edita da Utet Grandi Opere nell’ambito del programma “Misericordia 2016”, che ha già visto la pubblicazione del volume Giubilei. Spiritualità, storia, cultura. La ricerca del Censis, intitolata “Il Vangelo secondo gli italiani”, è stato presentata a Roma, presente tra gli altri monsignor Timothy Verdon, direttore dell’Ufficio Diocesano dell’Arte Sacra e dei Beni Culturali Ecclesiastici di Firenze. Tra coloro che possiedono una copia dei Vangeli prevalgono le fasce d’età dei più anziani (ancora legati a una educazione e formazione tradizionale) e dei più giovani (18-24 anni): in questo secondo caso è facile pensare appunto al classico dono della prima comunione, ancora conservato e non finito al macero o sulla bancarella di un mercatino. Dal punto di vista della diffusione geografica, il testo dei Vangeli è più diffuso nelle regioni meridionali. Tornando al dato sulla conoscenza del numero dei Vangeli, tra coloro che non lo sanno prevalgono gli uomini di età compresa tra i 18 e i 34 anni e coloro che vivono nelle grandi aree metropolitane. Malgrado la forte “presenza” dell’opera base della fede e della cultura cristiana nelle nostre abitazioni, la frequentazione dei testi è davvero scarsa. Tra quelli che ne hanno una copia in casa solo l’11 per cento (poco più di uno su dieci) lo legge spesso, il 37,2 per cento lo legge qualche volta, il 51,8 per cento non lo legge mai.
Due italiani su tre non lo leggono mai. Tra i lettori assidui prevalgono le donne sui 50 anni che vivono nelle regioni del Nord e generalmente non sono occupate. Se sommiamo il dato degli italiani che lo possiedono ma non lo leggono mai, che è pari al 35,8 per cento dell’intera popolazione (il 51,8 per cento del 69,1 per cento di chi possiede una copia dei Vangeli), al 30,9 per cento di chi non ne possiede neppure una copia (e si presume perciò che non li legga), arriviamo alla più che ragguardevole percentuale del 66,7 per cento di connazionali (più di due su tre) che apertamente dichiara di non leggere mai il Vangelo. Non c’è da stupirsi, perchè la percentuale di chi invece lo legge (il 33,3 per cento) è di non molto superiore alla percentuale dei cattolici praticanti, cioè che si recano a Messa tutte le domeniche. Ma qui non si tratta di un dato di fede praticata, ma di cultura generale, di radici. Che solo un italiano su tre legga il Vangelo documenta l’inesorabile declino dell’Italia, che non si può più fregiare della definizione di “Paese con una forte tradizione cattolica”. Più appropriato sarebbe dire Paese privo di radici e sempre più ignorante (alla lettera, “che ignora”, privo di un adeguato bagaglio culturale). Conforta appena, si fa per dire, sapere che ben l’86 per cento degli italiani sa almeno il nome di “un” evangelista: Matteo e Luca sono i più consciuti, nominati rispettivamente dal 29,4 per cento (complice il noto film di Pasolini) e dal 27,8 per cento degli intervistati.
L’ultima cena la scena più “gettonata”. Andiamo avanti con i dati della ricerca effettuata dal Censis, che riservano altre sorprese. Se solo un italiano su tre legge il Vangelo, ancor meno, solo uno su cinque (il 20 per cento) sa citare a memoria un passo dei Vangeli, uno qualsiasi. La frase più evocata da questo quinto della popolazione è “beati i poveri in spirito”, seguita dal comandamento dell’amore “ama il prossimo tuo come te stesso”. Un po’ pochino, per la verità. Scarsi, stranamente, coloro che cadono nella domanda-trabocchetto se la preghiera dell’Ave Maria - alla lettera, così come la recitiamo - è contenuta o meno nei Vangeli. Solo il 22 per cento pensa, sbagliando, che sia tratta pari pari dalle Scritture. Passando dai testi alle “immagini evangeliche”, la situazione migliora. A fronte di una assai deludente conoscenza dei testi, vi è infatti una buona memoria per immagini. Il 63 per cento degli italiani dichiara di ricordare almeno un’immagine evangelica che non sia la Crocifissione (chi in Italia può affermare di non conoscere il crocifisso come icona del sacrificio supremo di Cristo, ad espiazione dei nostri peccati?). La scena dell’Ultima cena (qui il merito è di Leonardo) è quella più impressa nella mente (il 35 per cento), seguita a ruota dal presepe, cioè dalla Natività (il 20 per cento).
Le radici? Prima la cultura romana. Ma la parte più interessante della ricerca del Cenisis è quella che riguarda la posizione dei Vangeli all’interno della cultura occidentale. D’accordo, il testo è poco frequentato, non bene conosciuto, ma che cosa ne pensano gli italiani? Come lo considerano? Che cosa rappresentano i Vangeli nella nostra vita, nella nostra storia? Ecco le risposte.
Il 48,1 per cento degli intervistati (la metà scarsa) si sente di poter dire che il Vangelo è una parte essenziale del nostro patrimonio culturale; il 30,9 per cento esprime un rapporto più intimo e personale, rispondendo che si sente toccato nel profondo pensando ai contenuti del Vangelo; il 14,3 per cento (un italiano su sette) si mostra indifferente.Il 6,7 per cento si sente distante dai Vangeli; in pratica,“solo” a poco più di un italiano su cinque (il 21 per cento, sommando “indifferenti” e “distanti”) non gliene può fregà de meno dei Vangeli, gli altri, con gradi di consapevolezza diversa, capiscono che è ancora importante.
Allargando il discorso alle “radici culturali” dell’Europa e dell’Occidente, prevale però a sorpresa il ruolo della cultura romana (lo pensa il 36,2 per cento degli italiani), seguito dalla cultura cristiana (lo pensa il 31,8 per cento degli italiani). Al terzo posto la cultura greca (25,1 delle preferenze). Infine, appena sette italiani su cento ritengono che la cultura illuministica abbia avuto un ruolo determinante nel formare l’Occidente così come lo conosciamo. Comunque, a prescindere dalle questioni di fede, più di sei italiani su dieci ritengono che i valori del Vangelo siano universali e trasversalmente condivisibili: infatti ben il 61,7 per cento degli italiani (in base al campione che ha risposto al questionario del Censis) si dice d’accordo con l’affermazione secondo cui “i valori del Vangelo sono fondamentali per tutti, anche per i non credenti”, il 15,7 per cento si dice in parte d’accordo, mentre il 22,6% degli italiani ritiene che i valori del Vangelo sia una questione che riguarda solamente i credenti.
Aldilà di una generica stima, rimane il dato di una scarsissima conoscenza dei contenuti evangelici. Sono gli stessi curatori della ricerca a commentare: “Viene da pensare che magari anche i pastori dovrebbero chiedersi quanto spesso invitano i fedeli ad aprire il Vangelo o se esiste ancora, dopo secoli, il retaggio cattolico per cui il Vangelo ‘va spiegato’ ai fedeli ”. Come dargli torto?
28-10-2016
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