ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 4 ottobre 2016

Un mistero troppo grande

LA FEDE?
UNA QUESTIONE DI CUORE. . .





Domanda:

[In molte chiese sono spariti i banchi, hanno messo le sedie e quindi alla consacrazione nessuno si inginocchia più. Pensare che l’inginocchiarsi è prescritto dal Messale e, come scrisse Ratzinger da cardinale, “una fede o una liturgìa che non conoscano più l’atto di inginocchiarsi sono ammalate in un punto centrale].

Risposta:

Guarda, io credo che la liturgìa, i gesti del corpo, i paramenti, la musica, servano all’uomo, come mezzo. Sono un aiuto per elevare il cuore a Dio. Non è che a Lui interessi se ci inginocchiamo o no, è a noi che serve farlo. In chiesa stiamo davanti a un mistero troppo grande per il nostro cuore” (Il Giornale, 20 sett. 2016).
 
I due stralci sono tratti dall’intervista rilasciata da Costanza Miriano, l’autrice del noto “Spòsati e sii sottomessa”, al “cattolico perplesso” Camillo Langone che esprime, sotto forma di domanda, i dubbî e le resistenze di un cattolico “vetus ordo” che avverte l’inquietante trapasso dal dogma alla prassi, “turbato dalle contraddittorie novità che diuturnamente giungono da Roma, e perciò assetato di certezze” (Il Giornale 27 sett. 2016).

   
L’intervista si rivela, nel complesso, come eccellente apologìa della Chiesa eterna, immutabile, e con l’intervistata che risponde affermando senza equivoci, ad esempio, la preminenza dell’evangelizzazione sull’ecumenismo, la pratica della confessione sacramentale e una visione d’una Chiesa da amare e per cui pregare.
 
Ma come spesso succede che, su una candida tovaglia di fresco bucato, cada e si distenda una macchia di ragù così, anche in questa ricognizione, in questa “via al cristianesimo” secondo Miriano, fa mostra di sé, a causa della predetta risposta, un’ombra pesante che suona come declassamento del diritto di Dio a vantaggio di quello umano. Non c’è niente da fare, l’antropolatrìa instaurata da Giovanni  XXIII e irrobustita da Paolo VI (cfr. il discorso tenuto all’ONU, 4 ottobre 1965) ha fatto presa anche sulle menti più refrattarie alla sirena del modernismo veicolato e diretto dal cuore che, oggi, amplificato dalla pastorale misericordevole, sciropposa e fraudolenta di Papa Bergoglio, una volta scaricata la ragione nella raccolta differenziata secondo l’indicazione della pseudoenciclica “Laudato si’ ”, è assurto a guida del nuovo cattolicesimo.
La diafora del giansenista Pascal: “Il cuore ha delle ragioni che la ragione non può capire” (Pensieri, S 146) è diventata pilone della nuova pastorale con un benservito a San Paolo il quale sostenne che alla fede fosse dovuto il “rationabile obsequium” - l’ossequio della ragione (Rom. 12, 1), e con la rottamazione di San Tommaso D’Aquino che approfondisce il pensiero paolino osservando come “Fides importat assensum intelllectus ad id quod creditur” (S. Th. II/II, q. 1, a. 4) – la fede introduce l’assenso dell’intelletto verso ciò che si crede.
 
Chi volesse esplorare a fondo la tematica ragione/cuore vada a leggersi le splendide pagine che E. M. Radaelli ha vergato nel suo strepitoso ed imperdibile “La Chiesa Ribaltata, Ed. Gondolin 2014, pag. 94/100) non rinunciando a ripassarsi le altrettanto educative ed istruttive pagine di Romano Amerio.
  
Veniamo, allora, al commento della suesposta opinione – ché di opinione si tratta – così come la Miriano l’ha manifestata, rilevandone tono e significato e, soprattutto, il messaggio di sottile disimpegno cultuale che ne proviene.
  
Ella crede che la liturgìa, cioè l’insieme dei tempi, delle rubriche, delle parole, dei paramenti, dei segni rituali sìa un alcunché di mero interesse “pro homine” in quanto Dio è del tutto alieno da siffatte formalità e per niente attento all’articolazione del culto di latrìa.

Noi diciamo, invece, che l’omaggio latreutico e la sequenza del rito con i suoi annessi, sono formalità che il Signore esige in quanto Signore, in quanto cioè degno di essere adorato. E siccome la formalità è principio dialettico e strumento necessario all’espressione, e poiché ogni simbolo diventa, nell’innervamento al sacro, “segno”, cioè puntuale ed univoco significato, ecco che i paramenti, le rubriche, l’oro, l’argento, l’incenso e l’inginocchiamento assumono importanza primaria.  E non siamo noi ad affermarlo ma è Dio stesso che détta le norme e le procedure in che il rito liturgico si articola.

Leggiamo nel V. T. che il Signore fornisce l’elenco dei materiali – oro, argento, stoffe preziose, gemme – per il santuario (Es. 25, 1/9), indica la forma e le misure dell’Arca (Es. 25, 10/22) e dell’altare dell’olocausto (Es. 27, 1/19) dilungandosi nella descrizione dei paramenti (Es. 28, 1/43) - forma, tessuto, ornamenti, colore, gemme e metalli preziosi – con una serie di ordini perentorî (farai! – 13 volte) che indicano la finalità ultima: la gloria del Signore degli Eserciti.
Il terzo libro del Pentateuco, il Levitico, altro non è che una minuziosa descrizione che Dio, in 27 capitoli, svolge sul complesso rituale e sul culto di adorazione a Lui dovuto. Numeri eDeuteronomio riportano altri ordinamenti che, o ripetono precetti precedenti e ne compiono la più completa ricognizione, o presentano novità rituali e sempre sotto forma di comando.

Ci sembra, pertanto, non esistere materia di discussione sul significato di liturgìa, intesa come corpus di formalità e di segnità organizzate da Dio stesso e finalizzate all’adorazione di Lui.
A smentire, perciò, l’affermazione della Miriano, secondo cui inginocchiarsi è di mero interesse umano stante l’indifferenza di Dio verso siffatto gesto di rispetto, sta, intanto, l’episodio biblico del roveto ardente (Es. 3, 2/6) la cui terra, prefigurazione del Tempio, è dichiarata da Dio stesso come “terra santa”, luogo cioè dove si manifesta la presenza divina, inaccessibile a persona non consacrata e che Giacobbe, per altra esperienza, aveva riconosciuto come “terribilis locus ” (Gen. 28, 17) – luogo degno di venerazione.

Ne consegue che il luogo, dove Dio si manifesta, esige dall’uomo un gesto che ne riconosca la divinità e l’autorità e uno di tali gesti è, appunto, l’inginocchiamento così come bene afferma il profeta “Mihi curvabitur omne genu et jurabit omnis lingua” (Is. 45, 23) – davanti a ME si piegherà ogni ginocchio e giurerà ogni lingua.
E, ricalcando il profeta, è San Paolo che, in modo inequivocabile scrive che “Deus exaltavit illum (Jesum) et donavit illi nomen quod est super omne nomen ut in nomine Jesu omne genu flectatur caelestium, terrestrium et infernorum” (Fil. 2, 9/10) – Dio lo esaltò e gli diede un nome affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio in cielo, in terra e nell’inferno.

Oggi, la cristianità “adulta”, del cui  senso del sacro è fotografìa il pensiero della Miriano, ha depotenziato il comando di Dio perché la fede, secondo costei e secondo la nuova teologìa, non nasce più dal credere, cioè da un atto intellettivo, ma sgorga dal “cuore” con ciò configurandosi come elemento sentimentale che la pastorale vaticansecondista e l’attuale magistero di Bergoglio han fatto assurgere a stile di vita. Ed ecco, allora, che il fedele (?) cattolico, in linea con il protestante, non appena entra in chiesa, si accomoda seduto producendosi, se accanto c’è già qualcun altro, in chiacchiere; non si preoccupa dell’abbigliamento spesso, nella stagione estiva, di scandalosa oscenità; resta in piedi e/o seduto durante il momento della Consacrazione, limitandosi, ma assai raramente, ad un piegar di testa nell’atto di percepire l’Eucaristìa.

Indistintamente, tutti coloro che avviciniamo e che, con serio motivo, richiamiamo al senso del sacro e della decenza, ci fanno osservare che “Dio ce l’ho nel cuore, a Lui non interessa come mi vesta, non guarda ai miei tatuaggi o alla ciabatte”. Una cultura che piega verso il basso e verso l’indifferenza laicistica e che mostra i toni di un tramonto del benefico e santo “timor Domini” una volta definito “initium sapientiae” (Ps.110, 10).


Non dèsta, quindi, sorpresa che in quel capannone, spacciato per “tempio” in quel di Pietrelcina ove riposano (?) le spoglie di San Pio in quella che somiglia più alla tomba di Tutankamon che a un sepolcro cristiano, i banchi sìano privi di inginocchiatoio (Chi volesse saperne di più su quest’ultimo argomento vada a leggersi “Il mistero della chiesa di San Pio – ed. Settecolori 2010”, ottimo lavoro di critica il cui autore, Francesco Colafemmina, rivela gli aspetti occulti ed esoterici di marca massonica ideati  da un architetto gnostico ed approvati dalla Commissione per l’Arte Sacra).


E non dèsta più sorpresa, e men che meno sdegno, quell’andirivieni di laici che, in tenuta “casual” – il paramento della nuova liturgìa -  passeggiano o sostano davanti all’altare, indaffarati a disporre calici, particole, ampolline, ceri, pissidi senza la minima consapevolezza della sacralità e della santità del luogo per la quale Mosè si era tolto i sandali e coperto il viso, e Giacobbe era caduto prosternato in timorosa e tremante adorazione. Così come non ha dèstato la benché minima protesta vaticana l’irruzione che la polizia francese, in tenuta antisommossa, il 3 agosto 2016, ha effettuato nella chiesa di santa Rita, a Parigi, dove ha interrotto la Messa e trascinato fuori a forza il prete, i chierichetti e i fedeli, per la semplice ragione che nel luogo sacro deve sorgere un parcheggio e un complesso abitativo. Possiamo dire a discolpa del Papa che non trattàvasi di gay o transessuali, argomento di forte impatto emotivo, sentimentale e… pastorale.


Ed è per questo sentimentalismo che Papa Bergoglio non si inginocchia davanti al Corpo/Sangue/Anima/Divinità di Cristo ma trova invece sciccoso – ad uso massmediatico - inchinarsi a regine, baciar loro la mano, così come trova altamente ecumenistico affidarsi, per un possibile viaggio in Iraq, “alla volontà di Allah” evidente essendo come, desacralizzato l’altare di Dio, ne consegua il misconoscimento della sua divinità fatta confluire nella brodaglia pagana del sincretismo assisiate.

La deriva della Chiesa postconciliare? Aver tolto di mezzo la ragione, quella elevata da Aristotile e da San Tommaso a primo interlocutore con la fede, per piazzare il melenso giulebbe del cuore, cioè del sentimento.

di L. P.

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