ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 30 novembre 2016

Berrette rosse, anima nera

KASPER: IL CAMBIO DI PARADIGMA

    Quatto quatto lemme lemme come ti cambio il paradigma sotto il naso. Si tratta di cambiare la Chiesa radicalmente irreversibilmente ma senza che se ne accorgano i fedeli ma la Chiesa non era la continuazione dell'opera di Gesù? 
di Francesco Lamendola  


Il cardinale Walter Kasper è uno dei principali autori, per sua stessa ammissione, del "cambio di paradigma" (Paradigmenwechsel) in corso nella Chiesa cattolica, esplicitamente ispirato al Concilio Vaticano II. Di che cosa si tratta? In pratica, si tratta di questo: cambiare profondamente i contenuti della dottrina cattolica, lasciando però intatta, o quasi, la superficie, e perciò inducendo a credere quanti non fossero convinti della bontà di tale operazione, che, dopotutto, non è cambiato niente. In altre parole: si tratta di cambiare la Chiesa, radicalmente, irreversibilmente, ma senza che se ne accorgano i fedeli e quella parte del clero che non approverebbe una simile operazione, se ne avesse la piena consapevolezza e se i “novatori" avessero la franchezza di dichiarare apertamente il loro intento ultimo.
Che non è di "venire incontro" alla umanità sofferente, non è di avvicinarsi alle situazioni concrete delle persone, dismettendo gli abiti di un legalismo ormai sorpassato (?), ma di cambiare la dottrina cattolica, la sua impostazione, la sua prospettiva, e, in ultima analisi, il contenuto stesso del Vangelo. Cioè l'obiettivo della apostasia: portare la Chiesa fuori dalla Verità rivelata e trasformarla in una istituzione puramente umana, fondata sui bisogni degli uomini, materialisticamente intesi: dove anche la morale si "decide" non in base a valori e principi assoluti, ma in base a situazioni de facto, contingenti, volta per volta, empiricamente.
Il Concistoro sulla famiglia dei 2014 è stato preceduto da una relazione introduttiva, firmata dal cardinale Walter Kasper e recante la data del 4 febbraio, che è poi stata stampata in volume (in Italia, dalla casa editrice Queriniana) e che il papa Francesco ha talmente apprezzato, da ringraziarne l'autore con sentite parole, definendola un esempio di "profonda" teologia, di teologia "serena", di teologia "in ginocchio", di quella che "fa bene" leggere.
Vale la pena di riportare uno dei passaggi chiave di questa relazione, perché è un perfetto esempio della strategia adoperata dai "novatori" per raggiungere il loro obiettivo, ossia il "cambio di paradigma": l'apostasia dalla Verità, spacciata, però, come qualcosa di perfettamente legittimo e di perfettamente cattolico: quando del cattolicesimo non resterà praticamente nulla.  

Non basta considerare il problema solo dal punto di vista e dalla prospettiva della Chiesa come istituzione sacramentale. Abbiamo bisogno di un cambiamento del paradigma e dobbiamo – come lo ha fatto il buon Samaritano – considerare la situazione anche dalla prospettiva di chi soffre e chiede aiuto.
Tutti sanno che la questione dei matrimoni di persone divorziate e risposate è un problema complesso e spinoso. […] Che cosa può fare la Chiesa in tali situazioni? Non può proporre una soluzione diversa o contraria alle parole di Gesù. L’indissolubilità di un matrimonio sacramentale e l’impossibilità di nuovo matrimonio durante la vita dell’altro partner fa parte della tradizione di fede vincolante della Chiesa che non può essere abbandonata o sciolta richiamandosi a una comprensione superficiale della misericordia a basso prezzo. […] La domanda è dunque come la Chiesa può corrispondere a questo binomio inscindibile di fedeltà e misericordia di Dio nella sua azione pastorale riguardo i divorziati risposati con rito civile. […]
Oggi ci troviamo in una situazione simile a quella dell’ultimo Concilio. Anche allora esistevano, per esempio sulla questione dell’ecumenismo o della libertà di religione, encicliche e decisioni del Sant’Uffizio che sembravano precludere altre vie. II Concilio senza violare la tradizione dogmatica vincolante ha aperto delle porte. Ci si può chiedere: non è forse possibile un ulteriore sviluppo anche nella presente questione? […]
Mi limito a due situazioni, per le quali in alcuni documenti ufficiali vengono già accennate delle soluzioni. Desidero porre solo delle domande limitandomi ad indicare la direzione delle risposte possibili. Dare però una risposta sarà compito del Sinodo in sintonia con il papa.
PRIMA SITUAZIONE.
"Familiaris consortio" afferma che alcuni divorziati risposati sono in coscienza soggettivamente convinti che il loro precedente matrimonio irrimediabilmente spezzato non è mai stato valido. […]
Secondo il diritto canonico la valutazione è compito dei tribunali ecclesiastici. Poiché essi non sono "iure divino", ma si sono sviluppati storicamente, ci si domanda talvolta se la via giudiziaria debba essere l’unica via per risolvere il problema o se non sarebbero possibili altre procedure più pastorali e spirituali.
In alternativa si potrebbe pensare che il vescovo possa affidare questo compito a un sacerdote con esperienza spirituale e pastorale quale penitenziere o vicario episcopale
 Indipendentemente dalla risposta da dare a tale domanda, vale ricordare il discorso di papa Francesco rivolto il 24 gennaio 2014 agli officiali del tribunale della Rota Romana, nel quale afferma che dimensione giuridica e dimensione pastorale non sono in contrapposizione. […] La pastorale e la misericordia non si contrappongono alla giustizia ma, per così dire, sono la giustizia suprema, poiché dietro ogni causa esse scorgono non solo un caso da esaminare nell’ottica di una regola generale, ma una persona umana che, come tale, non può mai rappresentare un caso e ha sempre una dignità unica. […] Davvero è possibile che si decida del bene e del male delle persone in seconda e terza istanza solo sulla base di atti, vale a dire di carte, ma senza conoscere la persona e la sua situazione?

Cominciamo dalla prima affermazione: 

Non basta considerare il problema solo dal punto di vista e dalla prospettiva della Chiesa come istituzione sacramentale. Abbiamo bisogno di un cambiamento del paradigma e dobbiamo – come lo ha fatto il buon Samaritano – considerare la situazione anche dalla prospettiva di chi soffre e chiede aiuto.

Si tratta di una affermazione sorprendente, sconcertante: senza averne l'aria, è una affermazione che sconfessa e liquida duemila anni di storia della pastorale ecclesiastica. Si dice che i problemi delle persone, in questo caso i problemi e i drammi familiari, non devono essere considerati solo dal punto di vista della Chiesa, ma dal punto di vista di chi soffre e chiede aiuto. Ma allora, in questi duemila anni, la Chiesa non ha ascoltato chi soffre e chiede aiuto? E cosa vuol dire: chiedere aiuto? Significa che la Chiesa deve concedere il perdono, l'assoluzione, a qualunque peccato, in nome della sofferenza del peccatore? Anche senza pentimento? Anche senza il riconoscimento della colpa? Anche senza la volontà e l'azione pratica per rimediare al male fatto? E poi: qui si contrappone il punto di vista della Chiesa a quello delle persone sofferenti. È sbagliato, è sacrilego. La Chiesa non è un palazzo d'avorio che se ne sta sulle nuvole, mentre quaggiù le persone soffrono e invocano aiuto. La Chiesa è calata nel mondo, ma non per approvare quel che fa il mondo, bensì per convertirlo. Gesù è venuto nel mondo non per condannarlo, ma nemmeno per approvarlo così com'è. All'adultera, convinta di adulterio, ha raccomandato: Va', e non peccare più. Non le ha detto: Poverina, devi aver sofferto tanto con un marito che non ti capisce; vai pure e fai quel che ti sembra meglio. Niente affatto, ma le ha detto: Va', e non peccare più.La Chiesa è la continuazione dell'opera di Gesù, della presenza di Gesù, del Vangelo di Gesù, mediante i suoi successori: gli apostoli e i vescovi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, e tutto il popolo dei fedeli. Illuminati dallo Spirito, e fedeli alle Scritture e alla sacra Tradizione. Questa è la Chiesa. Non è un'opera umana: è un'opera divina. Fondata da Gesù, assistita e illuminata dallo Spirito Santo, vivificata dalla presenza dei santi e al sacrificio dei martiri, coadiuvata dalla presenza amorevole di Maria Vergine. E chi è il cardinale Kasper, per permettersi di dire - implicitamente, ma inequivocabilmente - che la Chiesa è stata sorda al grido d'aiuto delle persone che soffrono, che è stata lontana da loro? Quando mai? San Francesco che abbraccia il lebbroso, santa Chiara che accompagna il condannato a morte fino ai piedi del patibolo, san Giovanni Bosco che raccoglie la gioventù abbandonata e traviata, san Pio da Pietrelcina che confessa, consiglia, incoraggia i fedeli per quattordici ore al giorno, incompreso dai suoi superiori, calunniato, ostacolato, perseguitato: tutti costoro sono la Chiesa, e molti altri che esistono anche oggi e che si prodigano in silenzio, con l'aiuto dello Spirito Santo. Il cardinale Kasper ha mai alzato, con un dito, la millesima parte del peso che si assumevano, quotidianamente, san Francesco, santa Chiara, san Giovanni Bosco o san Pio da Pietrelcina?
Ma vediamo un esempio pratico del Paradigmenweschel kasperiano: la questione del divorzio. Lui dice: Gesù ha proibito il divorzio (e sembra dirlo un po' a malincuore); però ci sono persone che soffrono per un matrimonio infelice: come se ne esce? E già qui si vede la cattiva, anzi, la pessima teologia, checché ne pensi papa Francesco: perché la sana teologia si confronta, sì, con le situazioni concrete, ma non per cercare scappatoie ed escamotages, non per aggirare la Legge e arrivare a un compromesso col Vangelo, bensì per illuminare i dubbi di fede alla luce della Verità divina: che parla nel linguaggio del Sì, sì, e No, no. È paradossale (ma il paradosso è solo apparente, a ben guardare): Walter Kasper critica il "legalismo" e l'impostazione "giuridicista" della Legge di Dio, ma cade a capofitto nella cavillosità giuridica più asfittica, più ottusa. In pratica, sta cercando di trovare un punto d'incontro fra le "richieste" del Vangelo e le aspirazioni degli uomini: cosa sbagliatissima e non cristiana, perché sottintende che il Vangelo sia qualcosa di esterno e di sostanzialmente estraneo, uno spauracchio, un Moloch, che pretende da noi, poveri umani, l'impossibile; sottintende che noi, poveretti, che già facciamo fatica a tirare avanti le nostre vite, non possiamo metterci sulle spalle anche quest'altro fardello. Ma ciò significa negare la Croce, il valore salvifico e rigenerante della Croce! Cioè, significa negare il cristianesimo. Tolta la Croce, il cristianesimo non esiste più: resta una facciata vuota, senza sostanza, buona per i credenti alla Kasper, alla Bianchi, alla Mancuso. È sbagliato vedere Dio come la nostra controparte, ed è addirittura sacrilego attribuirgli l'intenzione di caricarci sulle spalle un peso superiore alle nostre forze. 
Ma andiamo avanti. Che Kasper non abbia di mira solo l'abolizione, de facto, della indissolubilità del matrimonio, e quindi l'introduzione, surrettizia e in perfetta mala fede, del divorzio, come norma di vita generale, anche per i cristiani, cioè la desacralizzazione della famiglia cristiana, lo si vede da ciò che egli stesso dice subito dopo, quando afferma che anche alla vigilia del Concilio Vaticano II esistevano documenti del Magistero che sembravano in contrasto con le nuove idee (le loro, in verità) sull'ecumenismo e sul dialogo inter-religioso, ma che il Concilio, pur senza violare la tradizione dogmatica vincolante, seppe aprire delle porte che, in pratica - ma questo non lo dice: la sua franchezza si arresta qui, proprio sulla soglia - in pratica svuotavano e annullavano la tradizione dogmatica (e si noti che egli scrive "tradizione" con la lettera minuscola: evidentemente, per lui la Tradizione non è di origine divina, ma è solo una cosa umana). E poi, con la massima sfrontatezza, domanda: Perché non fare la stessa cosa a proposito dell'aborto? Ecco: qui il lupo, per un momento, lascia cadere la sua veste di pastore del gregge e fa trasparire la sua natura di lupo, i suoi peli di lupo, le sue zanne e i suoi artigli di lupo: il pastore, infatti, difende il gregge ed è pronto a dare la vita per le sue pecore; il lupo travestito da pastore, invece, ha il solo obiettivo di divorarle più facilmente. Da che cosa si riconosce il lupo? Dal fatto che Kasper sta dicendo, chiaro e tondo, che la tradizione dogmatica è vincolante, ma che bisogna trovare il modo di fare che non sia tale: bisogna trovare delle eccezioni al dogma, che consentano di ignorarla, pur lasciandola, formalmente, in piedi. Ma questo significa prendere in giro il dogma, e farsi beffe di Dio. Il dogma c'è, o non c'è: se c'è, non vi sono eccezioni; se vi sono le eccezioni, non c'è il dogma. Gesù non disse: L'uomo non divida ciò che Dio ha unito, tranne nel caso in cui...; ma disse: L'uomo non divida ciò che Dio ha unito. Punto. E il ragionamento di Kasper è tanto più odioso, tanto più ipocrita, in quanto parte facendo leva sulla misericordia: lui dice: Non si può non essere misericordiosi con chi soffre, perché Dio è misericordioso; e chi siamo noi per ostacolare la misericordia di Dio? Odioso sofisma, vero e proprio stravolgimento della lettera e dello spirito del Vangelo: la misericordia di Dio non consiste nell'abolire la Legge, ma nel perdonare il peccatore che si pente del proprio peccato. Questa, e non altra, è la misericordia cristiana. Opinare diversamente, significa giocare con la parola di Dio: ma Dio non può essere preso in giro con quattro sofismi; e nemmeno una persona intelligente ci cascherebbe, così come Renzo, ignorante ma intelligente, non si lasciò prendere in giro da don Abbondio, quando questi cercò di confonderlo con parole latine, a lui incomprensibili, per spiegare che il suo matrimonio con Lucia non era possibile.
E adesso vediamo la situazione concreta con cui il cardinale Kasper vuole esemplificare la sua idea di matrimonio e di separazione. Cita l'esortazione apostolica di Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, del 22 novembre 1981, per farne la base della sua "proposta". In quel documento, si afferma che alcuni credenti, soggettivamente, ma in buona fede, ritengono che il matrimonio, da essi spezzato, non è mai stato valido. Questo è l'astuto grimaldello di cui il lupo travestito da agnello si serve per tentar di scardinare l'istituzione divina del matrimonio cristiano: Bisogna andare incontro, egli dice, a questa percezione soggettiva, ma in buona fede, dei singoli credenti: la Chiesa deve prendere atto che, per essi, il loro matrimonio non era realmente valido, e, quindi, non hanno infranto un sacramento, né lasciando il proprio coniuge, né risposandosi a passando ad altra convivenza. Sì, è vero, egli dice - e lo dice a denti stretti - fino ad ora è stata la Chiesa, mediante appositi istituti e procedure, a stabilire se quel matrimonio fosse da ritenersi realmente nullo; ma che volete, siamo in tempi di democrazia avanzata, la gente fa le sue scelte, prende le sue decisioni; e poi soffre, non vedete come soffre? Soffre e chiede aiuto! Tradotto in parole più semplici: i divorziati risposati chiedono che il loro precedente matrimonio sia considerato nullo dalla Chiesa, perché essi “sentono” che era nullo, e perché soffrono e domandano aiuto: come si fa a negarglielo? Dopotutto, dice Kasper - ed ecco la perfidia, veramente diabolica - non si può ridurre il dramma umano di queste persone a una questione di atti giuridici, di timbri e di carte. Sciagurato! I timbri e le carte non sono che il segno, visibile e materiale, della sacra dottrina: non sono che l'espressione, umana e imperfetta fin che si vuole, ma sorretta e ispirata da Dio, della volontà di essere fedeli al Vangelo. E cosa dice il Vangelo? L'uomo non separi ciò che Dio ha unitoPer rendere il concetto ancora più chiaro, Gesù afferma che chi desidera peccare con un'altra donna, che non sia sua moglie, farebbe meglio a strapparsi l'occhio, o a tagliarsi la mano o il piede, se gli sono occasione di scandalo, cioè di tentazione. È un linguaggio molto severo, senza dubbio: un linguaggio durissimo. Un linguaggio che scandalizza i cuori teneri e le anime sensibili, come quella del cardinale Kasper.
Parliamoci chiaro: la pretesa di codesti teologi modernisti e progressisti di essere più misericordiosi di Dio, è semplicemente blasfema. I loro sforzi per aggirare le leggi di Dio equivalgono a un tentativo di prendere in giro il Signore. E la loro compassione verso i sofferenti è male impostata e mal diretta: non sempre giova al sofferente "accontentare" le sue richieste; per il drogato, che soffre in una crisi di astinenza, non vi sarebbe misericordia peggiore che quella di dargli un'altra dose di eroina. Per il divorziato risposato, che vorrebbe essere riammesso alla santa Comunione, vale lo stesso principio: non lo si "aiuta" approvando e santificando il suo peccato. Questo, almeno, è poco, ma sicuro. Ma queste cose il cardinale Kasper, che è senza dubbio un uomo intelligente, le sa benissimo: non crediamo vi sia alcun bisogno di ricordargliele. E allora? E allora, semplicemente, costui non è in buona fede. Sa quel che sta facendo, e tuttavia non esita, non indietreggia, non arretra. Lui, e quelli come lui, vogliono effettuare - e lo dicono - un "cambio di paradigma", ma diciamolo con parole più chiare e più semplici: vogliono cambiare la Chiesa e stravolgere la dottrina cristiana.
Il trucco incomincia proprio dal linguaggio. Il paradigma, infatti, è una cosa umana, e può, anzi, deve cambiare; ma il Vangelo non è parola umana, è la Parola di Dio: e non cambia, né cadrà mai da esso neppure uno iota, sino alla fine del mondo.
Che almeno le cose siano chiare. Che ciascuno giochi a carte scoperte. E che ciascuno, messe le carte in tavola, si assuma fino in fondo la responsabilità dei suoi atti, delle sue parole, delle sue intenzioni. 

Quatto quatto, lemme lemme, come ti cambio il paradigma sotto il naso

di Francesco Lamendola


http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=10303:il-cambio-di-paradigma&catid=70:chiesa-cattolica&Itemid=96

IL PASTICCIO "MODERNISTA" 


    Impadronitisi del marchio di fabbrica ora stanno cambiando il prodotto. Mai come oggi gli uomini si sono allontanati dalla propria spiritualità rimbambendosi a furia di praticare il culto della propria intelligenza 
di Francesco Lamendola  



Stiamo attraversando tempi difficili, come forse poche altre volte nella storia è capitato.
Il mondo profano ha conosciuto altre crisi, anche nei tempi moderni, e forse peggiori di questa; pure, dopo ogni caduta, è stata possibile la ripresa, la ricostruzione: dalle macerie è emersa una umanità indomita, ansiosa di volare pagina, di ricominciare, e di costruire qualcosa da lasciare ai propri figli, alle generazioni future.
Ora no. Ora il mondo è prostrato, accasciato su se stesso; non ha subito una prova come le due guerre mondiali, ma si direbbe che l’esperienza della modernità, della tecnologia avanzata pervasiva, del benessere consumista e fine a se stesso, ne abbiano prosciugato le energie, ne abbiano spenta la voglia di vivere: e le culle vuote sono l’inequivocabile segnale di una crisi spirituale senza precedenti, di una sfiducia nel futuro, quale non si era mai vista, neppure nei momenti più bui della storia.
Nello stesso tempo, la crisi ha investito in pieno anche la sfera del sacro: mai come oggi gli uomini si sono allontanati dalla religione, mai come oggi hanno perso la loro spiritualità; si sono inariditi, si sono rimpiccioliti, e, quel che è peggio, hanno portato la loro incredulità fin dentro la cittadella della Chiesa, ma senza esserne del tutto consapevoli, o, forse, essendone consapevoli anche troppo: con il risultato che hanno inquinato le sorgenti stesse della fede, hanno alterato la sacra liturgia, la pastorale, il catechismo, perfino i dogmi e la morale cattolica. E tutto questo l’hanno chiamato, con vuota enfasi celebrativa, “aggiornamento”, “dialogo col mondo”, “andare incontro al mondo”; l’hanno chiamato “svolta antropologica”, “teologia negativa”, “teologia del silenzio di Dio” e in cento altre maniere, tutte più o meno barocche, più o meno balorde, compiacendosi di se stessi e applaudendosi e complimentandosi l’un altro, come l’asino del proverbio latino, che si strofina all’altro asino (asinus asinum fricat), per nascondere la semplice verità: e cioè che non l’uomo si è fatto adulto, ma che si è rimbambito a furia di praticare il culto della propria intelligenza. Non è ritornato bambino, come auspicato dal Vangelo, per accogliere la fede con la semplicità e il candore d’un fanciullo; si è rimbamboccito, conservando, cioè, i vizi dell’adulto, a cominciare dalla superbia, dall’irriverenza, dal cinismo, dallo scetticismo radicale, ma innestandoli in un orizzonte mentale sempre più asfittico, sempre più bamboccesco, come un pargoletto cresciuto male e ormai incapace di recuperare il ritardo, di responsabilizzarsi, di maturare come dovrebbe farlo una persona normale.
Il Vangelo è il sale del mondo; ma se coloro che lo annunciano hanno perso il senso del gusto, chi lo annuncerà? Tristissimo spettacolo quello di una Chiesa cattolica, la quale, dopo duemila anni di storia, durante i quali ha tenuto alto il vessillo della fede, è stata maestra di civiltà e di spiritualità ai popoli, ai regni, agli imperatori, e perfino ai nemici che da ogni parte l’assalivano, trasformandoli, a  loro volta, in figli amorevoli e in valorosi combattenti, pronti a difenderla, ora invece sembra ansiosa di svendere il suo patrimonio ideale, disprezza il proprio passato, si autoaccusa di colpe reali e, più spesso, immaginarie, e intanto cerca di compiacere il mondo, di essergli gradita, di farsi quasi perdonare la colpa d’esistere, e si dà un gran daffare per strappare l’applauso del mondo, l’approvazione del mondo, le lodi del mondo. Tristissimo momento storico, quando i Pannella, gli Scalfari, le Bonino, levano alte lodi alla Chiesa cattolica, che essi hanno sempre odiato e detestato, e che vorrebbero vedere distrutta, mentre i santi, come san Pio da Pietrelcina, vengono da essa perseguitati, con astio, con accanimento, con tenacia veramente diabolica (strana coincidenza: la seconda, e più grave, persecuzione di San Pio ha inizio con l’ascesa al soglio pontificio di Giovanni XXIII e coincide con gli anni del Concilio Vaticano II, delle cui novità egli non era affatto persuaso).
In questo momento storico tanto difficile, la Chiesa soltanto, cadute le altre ideologie, possedeva l’esperienza, la saggezza, la cultura e la prudenza per offrire un conforto e un progetto di rinnovamento all’umanità stanca e avvilita; e invece di fare ciò, invece di restare fedele alla propria missione e al mandato di Gesù Cristo, Andate e annunciate il Vangelo, si è persa per strada, si è ingolfata in astruse e velleitarie dottrine moderniste, ha scambiato il dialogo con le altre confessioni cristiane e con le altre religioni per una rinuncia alla propria verità assoluta e trascendente; ha voluto storicizzarsi, proclamarsi soggetta al mutare dei tempi, bisognosa di continui aggiornamenti. E siccome il Progresso corre sempre più in fretta, anche la Chiesa si è messa a correre, sempre più in fretta, sempre più affannosamente. A forza di correre e correre, tutti questi teologi modernisti e questi preti progressisti, tutti questi vescovi storicisti e relativisti, si son lasciati sfuggire per strada la cosa essenziale: l’anima del Vangelo, che è fatta di amore e di timor di Dio.Amore e timore di Dio, ripetiamo: perché l’uno non sta senza l’altro, sono le due facce di una stessa medaglia, e sempre lo sono state; ci volevano le teste d’uovo sbucate fuori dal Concilio Vaticano II per rovesciare la prospettiva, e pretendere che il timore sparisse, che la giustizia sparisse, che il castigo sparisse, e rimanessero solo, trionfalisticamente, la misericordia, il perdono, la beatitudine. Ma una misericordia senza giustizia è una spaventosa deformazione del volto di Dio; un perdono senza giustizia, è un controsenso logico e morale; e la beatitudine senza il castigo per i malvagi, sarebbe una cosa priva di senso.
Quello che si sta formando è un neo-cattolicesimo modernista e storicista: modernista, perché è intimamente compenetrato dei valori della modernità – che sono, giova ricordarlo a chi non lo vuol sapere o non lo vuol vedere, per loro stessa natura, radicalmente anticristiani, come la storia degli ultimi tre secoli dimostra ad abundantiam, e, per chi non sia del tutto cieco, continua a dimostrare, più che mai, anche ai nostri giorni; e storicista perché lo ha storicizzato, lo ha reso dipendente dalla storia, ha preteso di spiegarlo mediante la storia, e, così facendo, ha invertito i termini del rapporto dialettico: non è più il Vangelo che ridisegna la mappa della storia universale, e le dà un senso, una direzione, una meta; no, ma è la storia che ingloba il Vangelo e agisce su di esso, plasmandolo, modellandolo, forzandolo ad adattarsi alle necessità del nostro tempo, le quali vorrebbero essere tutt’altro che spirituali e tutt’altro che religiose. Codesti signori si sono scordati che Gesù Cristo è il Signore della storia, e non viceversa: e così si son fatti fichtiani, hegeliani, crociani, gentiliani, idealisti, marxisti, feuerbachiani, gramsciani, castristi: tutto, tranne che cattolici. E che altro è questo continuo ritornello, ogni volta che accade una disgrazia, una tragedia storica, una calamità naturale: Ma Dio dov’è? Dov’era, dov’è andato? Com’è possibile che sia rimasto a guardare?; e abbiamo udito anche dei vescovi parlare in tal modo se non storicismo di pessima lega, se  non irreligiosità e materialismo camuffati e travestiti da teologia “adulta”, alla Bonhoeffer, da teologia che deve insegnare all’uomo a fare come se Dio non ci fosse, etsi Deus non daretur? Non avevamo già sentito dire, a suo tempo, che, dopo Auschwitz, è diventato quasi impossibile, per non dire irriverente – verso i morti, non verso Dio – continuare a credere in Lui? E che cos’è tutto questo, se non storicismo esasperato? Dio, per quei cristiani, è diventato un personaggio storico: Se ci sei, batti un colpo!, vien da dirgli; ma se tace, se tace proprio quando abbiamo bisogno di Lui, allora vuol dire che sta barando al gioco, che non c’è, o che è impotente, e allora che ce ne facciamo di un Dio impotente, noi che – è inutile negarlo – siamo più che mai adoratori della forza, magari nella versione tecnologica e “pacifica” dei viaggi spaziali, delle centrali di energia nucleare, della manipolazione genetica? In fondo, non è altro che il vecchio ritornello di Voltaire, intonato dopo il terremoto di Lisbona del 1755: se ci sono i terremoti, se muoiono gli innocenti con tanta facilità, allora la giustizia di Dio, la sua misericordia, la sua stessa provvidenza, non sono che altrettante chimere, e noi non viviamo affatto nel migliore dei mondi possibili, ma nel peggiore, o in uno dei peggiori – con buona pace di Leibniz e di tutti coloro i quali si ostinano ad aver fede in Lui.
Del resto, lo stesso papa Francesco ha ammonito, credendo di dire una grande verità, che “Dio non è cattolico”: massima espressione dello storicismo e del relativismo, della babelica confusione ormai imperanti e impazzanti nella Chiesa cattolica. Certo che Dio non è cattolico: Dio è Dio; ma si dà il caso che, per i cattolici, Dio si sia incarnato nel Figlio, un certo Gesù di Nazareth, che sia morto e risorto per amore degli uomini, e che abbia insegnato: Io sono la Via, la Verità e la Vita; e ancora: Chi ha visto  me, ha visto il Padre; e ancora: Io sono la vite, voi i tralci, il Padre mio è l’agricoltore: rimanete uniti alla vite, rimanete nel mio amore. Dunque, se Dio non è “cattolico”, i cattolici adorano il vero Dio, che non è il Dio della altre religioni, ma è il Dio della croce, del Calvario, della morte e della resurrezione di Gesù Cristo. Questo è il Dio che adorano e il Dio dal quale aspettano e attendono la vita eterna. Lo dica chiaro, dunque, papa Francesco, se lo pensa: è questo il problema? Il problema, per lui, è che i cattolici non dovrebbero affermare di credere nel Dio vero, nel Dio rivelato e infallibile, che ha parlato per mezzo dei profeti, di Gesù Cristo, degli apostoli, degli Angeli e dei Santi? È questo il problema che non vuol dire, anche se ci sta girando attorno fin da quando è stato eletto al soglio di san Pietro, e ha gelato milioni di cattolici con quel “buonasera” iniziale, senza una benedizione apostolica, senza un “sia lodato Gesù Cristo”? Non pensa forse che tutte le religioni sono uguali, che sono tutte vere, e che per mezzo di una qualunque di esse si arriva a Dio, visto che “Dio non  è cattolico”? Ebbene, allora lo dica apertamente; e, se no, che dica apertamente quel che la Chiesa ha sempre detto: che la religione di Cristo è la sola via per arrivare a Dio, perché è la sola vera. Dire una cosa del genere sarebbe superbia, per i suoi sensibili orecchi? Strano, perché è semplicemente un ovvio concetto logico-filosofico: la verità è una, non due, non tre, non quattro. Una sola è la verità matematica, quella storica, quella teologica: una, e non bisogna essere timidi ad affermarlo. Non ci possono essere due verità: se ci fossero, allora si tratterebbe di piccole verità parziali, non certo della Verità suprema, che è Dio.
Ma oggi sembra che tutti, anche nella Chiesa cattolica, stiano precipitando nella confusione più completa. Ogni giorno sentiamo alti prelati e sedicenti teologi lanciarsi nelle affermazioni più temerarie, più bislacche, più blasfeme, e spacciarle per la verità cristiana (storicizzata) del terzo millennio. San Pio da Pietrelcina se la rideva dei cattolici modernisti e della loro pretesa di aggiornare il Vangelo: diceva che i santi si sono sempre beffati del mondo e dei mondani e si sono messi sotto i piedi il mondo e le sue massime (cit in: Yves Chiron, Padre Pio, Ed. Paoline, 1997, p. 334). La Chiesa dei nostri giorni, invece, sotto il pontificato di papa Francesco, non sembra pensarla così: al contrario, pare tutta protesa a farsi carico della mentalità del mondo, a spingere il dialogo col mondo fino al punto accettare per buoni i suoi punti di vista, anche nelle materie di fede. Quando il cardinale Kasper, per esempio, sostiene, rifacendosi – ma in maniera capziosa – alla esortazione apostolica di Giovanni Paolo II Familiaris Consortio, per sostenere, come ha fatto nella sua relazione introduttiva al concistoro sulla famiglia del 2014, che l’importante non è quel che dice la Chiesa circa la validità o la nullità di un matrimonio, ma quel che ne pensano i coniugi, soggettivamente e in “buona fede”, è chiaro che siamo di fronte non solo a una storicizzazione ed una relativizzazione del Vangelo, ma alla esplicita pretesa di far valere, sulla Legge di Dio, le opinioni e i desideri degli uomini. E anche se quel documento è piaciuto moltissimo a papa Francesco, che non si è trattenuto dal lodarlo e dal magnificarlo fino alle stelle, è chiaro che esso esprime la folle pretesa dell’uomo di aver ragione contro Dio, con la scusa della misericordia di Dio stesso. All’esplicito comando di Gesù sulla indissolubilità del matrimonio: L’uomo non separi ciò che Dio ha unito, Kasper e i suoi amici sostituisce un’altra dottrina, che ormai è cattolica solo di nome, secondo la quale gli uomini possono unirsi e separarsi a loro discrezione, purché siano in “buona fede” e purché la Chiesa riconosca loro la patente di “sofferenti” che chiedono aiuto. Strano modo di porgere aiuto, quello di confermarli nel loro peccato, e di non chiamarlo tale, ma di legittimare la rottura di un sacramentotanto vale dichiarare apertamente che si vuole instaurare una nuova religione che abbia l’uomo al centro, che sia al servizio dell’uomo e che consista nel dare sempre ragione all’uomo, anche se sbaglia, anche se pecca. Ma che senso ha parlare ancora di peccato, in una religione cosiffatta? Il peccato è l’offesa recata a Dio: ma dov’è Dio, in tutto questo pasticcio modernista, senza capo né coda; in questo sincretismo deista di tipo gnostico-massonico?

1 commento:

  1. Certo che il mondo rappresentato dai Pannella,Bonino Scalfari esaltano la chiesa di "Francesco" perché non è più di rimprovero per la loro condotta malvagia....ma Dio ha altri progetti...povero chi si trova a lottare contro di Lui...

    RispondiElimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.