Don Elia, nell'articolo pubblicato su Chiesa e Postconcilio che ho commentato oggi, accenna anche ad un certo formalismo da parte dei membri della Fraternità San Pio X. Egli scrive:
Non si può vivere nella Chiesa come se l’ultimo concilio non ci fosse stato. Dato che non ha carattere infallibile, ma si presenta con l’inedita qualifica di pastorale, è ben consentito criticarne le affermazioni problematiche, ma non ci si può comportare come non fosse avvenuto, salvo per demolirne i testi anche in ciò che è accettabile. Il Magistero posteriore al 1958, poi, non è un semplice pretesto per la caccia all’errore, quasi fosse un gioco enigmistico su cui testare la propria intelligenza e sfoggiare la propria dottrina; esso richiede certo circospetta vigilanza – e questo è senz’altro paradossale – ma non lo si può rigettare a prescindere. Senza questa esclusione assoluta, l’accordo si sarebbe forse potuto raggiungere molto prima; ma ciò presuppone qualche concessione da ambo le parti. Se una delle due è convinta di detenere infallibilmente la verità perché ripropone la dottrina cattolica in una forma immodificabile, un accordo è impossibile; in effetti non c’è stato, finché il gioco era ancora aperto.
Concordo con Lei, anche per la parte in cui accenna alla gara a chi trova più errori negli atti del magistero postconciliare. A dirla tutta, vi è chi indulge anche a disamine degli atti precedenti a Roncalli, contestando la riforma della Settimana Santa (peraltro a ragione, se la si guarda sub specie modernismi per così dire). Ma è evidente che non si può cadere nell'errore degli avversari, semplicemente capovolgendolo: una sorta dilibero esame applicato agli atti ed alle norme papali, scegliendo quelle che più aggradano per questo o quel motivo. Per inciso, avevo io stesso formulato osservazioni analoghe in un mio articolo, nel Febbraio del 2014.
Vi è poi un'altra osservazione che vorrei aggiungere, e che sono certo Ella condividerà, considerando che entrambi abbiamo una comune esperienza pastorale (una volta la chiamavamo cura d'anime) pluridecennale. Ed è questa: quel che di buono e di condivisibile vi è nel Concilio - e che nessuno dotato di buonafede e di equanimità può negare - si è rivelato ahimè un mero pretesto per render accettabili gli errori che i novatori volevano insinuare in un atto magisteriale di tale rilievo. Certo, nel Concilio ci sono testi edificanti ed alcuni che toccano aspetti della modernità che sino ad allora non erano ancora stati affrontati (e che forse bastava un'enciclica per esaurirli ampiamente). Ma come in una pozione avvelenata vi è sempre un liquido dolce e gradevole che nasconde l'amaro sapore del veleno, senza per questo render meno velenosa l'intera pozione; così negli atti conciliari, nella sua liturgia e nel magistero papale postconciliare le cose buone che vi si incontrano non rendono meno venefici gli errori e le deviazioni. Accettare il Concilio sine glossa è impossibile, ma è quantomeno arduo - specialmente in una situazione di ignoranza generalizzata del Clero e del fedeli - discernere quanto va accettato e quanto va respinto. Ecco perché io mi sento più vicino alla Fraternità San Pio X, che ha il gran merito di aver colto questo veleno, preferendo rifiutarlo prudentemente, almeno finché non vi sia un Papa degno di tal nome che, con l'autorità datagli da Cristo, definisca una volta per tutte le proposizioni da condannare, i riti da abolire, i documenti da proscrivere.
Quanto alla cosiddetta riforma liturgica, va ricordato - ma forse Ella è troppo giovane per averlo vissuto di persona - il movimento liturgico che si sviluppò sin dall'epoca di dom Guéranger, e poi l'apostolato liturgico, che ebbe vasto seguito ben prima del Concilio. Ancora una volta, però, quel che di buono si legge nella Sacrosanctum Concilium è caduto in Lete - come volevano gli stessi estensori del documento - mentre se ne è diffuso lo spirito, che ha portato a quell'orrore che è la liturgia riformata. Una liturgia - come sappiamo - che tutti i Papi da Paolo VI in poi hanno indicato come frutto del Concilio, imponendola a forza e cancellando il venerando rito cattolico romano. Fingere che il Concilio consista in ciò che rimane un merosouvenir degli anni Sessanta non aiuta ad individuare dove si annida la causa prima del male presente. Ecco perché mi sconcerta leggere certi encomiabili interventi di Porporati e Presuli di buona volontà, in cui essi non riescono a non infilare - a mo' di captatio benevolentiae - qualche citazione del Vaticano II.
Ho molto apprezzato che si sia ripresa la discussione su questo tema, che certamente permette di chiarire alcuni punti controversi. Ma non credo di poter condividere le riserve don Elia sul chi è convinto di detenere infallibilmente la verità perché ripropone la dottrina cattolica in una forma immodificabile.
A mio modesto parere, le cose son ben diverse. Anzitutto, il rigorismo, l'integralismo che si rimprovera ai membri della Fraternità San Pio X ed in genere a tutti i tradizionalisti - usiamo questo termine per semplificare - non è altro che la versione speculare del formalismo di quei conservatori che si appellano a quel passo del Concilio, quell'inciso della Costituzione sulla Sacra Liturgia, quella norma del Messale di Paolo VI per sostenere che l'intero corpus conciliare, preso ad litteram, va accettato, mentre ne va respinto lo spirito, così come lo propagandano i novatori.
Aggiungerei per inciso che la convinzione di detenere la verità non deriva al tradizionalista dal fatto di averla forgiata egli stesso, quanto piuttosto dall'aderire ad un insegnamento costante della Chiesa, cosa che non si può certo affermare per la dottrina postconciliare, che si vanta dell'esser essa stessa una nuova religione. La semplice distinzione tra pre e post, ammessa universalmente, indica uno iato che nessun Concilio nella storia della Chiesa ha mai determinato. Quanto ai bizantinismi di Benedetto XVI sulla presunta ermeneutica della continuità - che ricordano le convergenze parallele di Aldo Moro -, essi sono stati miseramente cassati da Bergoglio, che del Vaticano II è paradigma assoluto ed indefesso paladino.
Ma vi è anche una differenza sostanziale: mentre chi prudentemente si ferma al Magistero ed alla Liturgia preconciliari può avere la certezza morale che essi sono integralmente immuni da errore e che tenendoli come riferimento della propria vita non si allontanerà dall'alveo della salvezza di cui la Chiesa è unica custode; dall'altra parte, quanti vanno alla ricerca dell'ortodossia nel magistero postconciliare e nei suoi riti camminano lungo un sentiero irto di pericoli, avanzano lungo un baratro nel quale difficilmente potranno evitare di precipitare. E questo per il semplice motivo che non vi è una unanimità di interpretazione del Concilio, ed allo stesso tempo è acclarato da parte di eminenti teologi che alcune parti di esso, se non sono palesemente eretiche, scendono deliberatamente a compromessi con l'errore ricorrendo a formule quantomeno equivoche. Lo ammette lo stesso don Elia, quando afferma:
Si può dire che bisogna anzitutto isolare le innovazioni dottrinali non accettabili, che (eccetto la collegialità) si trovano in testi privi di autorità dogmatica, come quelli sull'ecumenismo, sulla libertà di coscienza e sulle religioni non cristiane. Poi occorre segnalare i passi ambigui o discutibili, che rappresentano delle falle o degli spiragli per giustificare la successiva sovversione che del Concilio si è fatta scudo.
E qui arriviamo al cuore del problema: la presunta distinzione tra lettera e spirito del Concilio. Questo artificio è chiaramente improponibile per qualsiasi altro Concilio. Dopo il Tridentino, ad esempio, pochi sacerdoti ed ancor meno laici erano a conoscenza dei documenti, dei canoni e delle disposizioni che esso aveva promulgato; nondimeno, tutti ne avevano colto perfettamente lo spirito, che era spirito di riforma, di formazione dottrinale, di predicazione, di slancio spirituale e mistico, ma anche di creatività artistica e letteraria. Prova ne fu la rinascita dell'Europa cattolica, con i suoi Ordini religiosi, gli istituti assistenziali e di carità, le splendide chiese, le pale d'altare, le composizioni musicali; mentre le nazioni infestate dal Protestantesimo si ripiegavano sulla sola Scriptura e distruggevano tutto quanto ricordava loro il nemico papista, proprio col pretesto di ritornare alla purezza della lettera contro le superfetazioni della Chiesa di Roma (argomento, questo, fatto proprio anche dai novatori conciliari).
Non è dunque formalismo - e nella sua forma più grottesca - quello di chi si ostina a cercar col lanternino lacerti di verità in un corpus che è nato e si è sviluppato per essere un monstrum ingovernabile? Non è formalismo quello che cerca di travestire la messa riformata in qualcosa di apparentemente decoroso - appellandosi alla lettera delle norme del Messale - mentre essa nega o tace le verità della Fede che la Messa tridentina afferma integralmente, senza equivoci e senza ammiccamenti alla cena dei Luterani, che essi appunto detestano, mentre hanno collaborato attivamente al parto liturgico di Bugnini?
Se qualcosa di buono vi è nel Vaticano II e nei suoi riti, non è certo su questo che si basano i novatori per scardinare la Chiesa di Cristo ed instaurare la religione universale cui aspira Bergoglio. Il quale ha se non altro la coerenza di non peritarsi nemmeno di citare la Dignitatis humanae o la Nostra aetate per sostenere le sue più ardite innovazioni: gli basta unaboutade, una frase generica, una telefonata alla Bonino, una foto con un transessuale per far presa sulla massa che lo ha scelto come proprio campione. Egli sa bene, da consumato tribuno della plebe qual è, di rappresentare proprio lo spirito, l'anima, l'essenza del Vaticano II.
Lo ripeterò sino all'ultimo: non sta a noi definire ex cathedra cosa del Concilio è ortodosso e cosa non lo è: questo spetta solo ad un Papa degno di tal nome. Ma nel frattempo, l'insegnamento costante della Chiesa, la ragione che Dio ci ha donato e la realtà sconcertante che abbiamo sotto gli occhi ci impongono - per prudenza e per timor di Dio - di astenerci dall'abbeverarci ad una fonte inquinata. E dal metterne in guardia anche il nostro prossimo, senza mescolare quell'acqua resa torbida ed impura - per conformismo, per acquiescenza al potere o per timore di essere emarginati - alle più sante verità che ci troviamo a difendere nel momento presente.
"Egli sa bene, da consumato tribuno della plebe qual è, di rappresentare proprio lo spirito, l'anima, l'essenza del Vaticano II." Il riformista Francesco, rappresenta e crede solo in un'ideologia, quella "comunista", lo spirito del Concilio Vaticano II era solo il "pretesto" per abbattere, dall'interno, la Chiesa fondata da Cristo (il comunismo che propaga i suoi errori...ancora il terzo segreto di Fatima. Quanti hanno realmente creduto al suo sincero e autorevole valore profetico? Nella mia vita, da quando ne ho memoria, ho conosciuto cinque parroci e almeno dieci curati. Quanti tra questi hanno almeno parlato di Fatima? Ne hanno parlato, almeno a maggio, quattro. Quanti hanno insegnato e vissuto, con grande amore, il messaggio? Uno solo, nella mia infanzia).
RispondiEliminaLa differenza tra il Concilio in sè e lo spirito col quale è stato consegnato all'immaginario collettivo non può essere trascurata. Lo "Spirito del Concilio" è diventata una summa autoreferenziale di pretesti (clericali e non) per attuare una deriva non cattolica nella Chiesa. Trascurando la differenza , l'esito per un cattolico "non adulto" sarebbe inevitabilmente la palude sedevacantista. Altro luogo autoreferenziale che finisce sempre a braccetto con i demolitori in una classica eterogenesi dei fini.
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