Quel che voi siete, noi fummo! Quello che noi siamo voi sarete!
Ricordare i fratelli che non sono più tra noi,è sintomo inequivocabile di civiltà
di Massimo Viglione
Quel che voi siete, noi fummo…
Roma - di Massimo Viglione - A chi dà fastidio che su facebook (o altri social network) oggi 2 Novembre, si ricordino i morti piuttosto che mettere cose divertenti o di attualità, vorrei ricordare che in tutti i tempi e tutti i luoghi, ben prima del cristianesimo stesso, gli uomini hanno celebrato la memoria dei loro morti. Ricordare, almeno un giorno all'anno, i fratelli che non sono più tra noi, è sintomo inequivocabile di civiltà e intelligenza. Intelligenza, sì, avete letto bene! E la spiegazione è tutta in questa sentenza che è scritta all'entrata del cimitero dove sono sepolti i morti della famiglia di mio padre, sentenza che mi ha sempre colpito, fin da bambino
''Quello che voi siete noi fummo,
quello che noi siamo voi sarete''.
Ma, sopra la scritta, ve n'è un'altra che dice ''Resurrecturi''. Ovvero, ''a coloro che risorgeranno''. In queste due scritte v'è tutto il senso della vita.
La certezza della morte e la speranza
della vita eterna.
Per questo la Chiesa oggi commemora i morti. E li commemora invitandoci a pregare per loro, in quanto ancora oggi noi possiamo alleviare le loro pene nel Purgatorio. Infatti, non si prega per le anime beate del Paradiso, in quanto non ne hanno bisogno più. E non si prega per le anime dannate, in quanto non v'è più nulla da fare per loro. Tutte queste anime sono ormai nella dimensione dell'eternità. Si prega appunto per le anime ancora immerse nel tempo, ovvero quelle Purgatorio, che si stanno purificando nell'attesa della certezza assoluta di entrare per sempre nel Regno dei Cieli. Ed è per loro che possiamo e dobbiamo pregare, offrire Messe, sacrifici, Comunioni, ecc. E' l'unica cosa che possiamo fare per loro ormai, ma è fondamentale, in quanto
possiamo incidere
sul tempo della loro purificazione.
Il vincolo della Comunione dei Santi
E' la via che Dio ci concede per aiutare ancora i nostri morti, i nostri cari, i nostri amici, e pure tutti i miliardi di sconosciuti ai quali siamo uniti nel vincolo della comunione dei santi. E' lo strumento per poter accarezzare ancora nostro padre, nostra madre, i nonni, il marito o la moglie, o, per chi disgraziatamente fosse capitato ciò, i figli. Prima quindi di provare un moto di noia o fastidio – sul fatto che bisogna commemorare i morti non solo andando al cimitero - pensateci bene! I vostri cari probabilmente questo stanno aspettando da voi. E, soprattutto, ricordatevi che un giorno questo noi probabilmente aspetteremo dai nostri cari ancora sulla terra. Se ci ha detto bene… Il signor Martin Luther ha deciso che il purgatorio è un'invenzione anticristica papistae pertanto
miliardi di protestanti
da 500 anni non credono nel purgatorio
e non pregano per i loro morti,
se non nel privato del loro cuore
cadendo ipso facto in ipocrisia teologica.
Questa è ovviamente una delle minori e ''meno importanti'' differenze tra cattolici e protestanti, ma va ricordata al fine di tenere sempre presente la nostra responsabilità per essere stati preservati nella vera fede e nella salvezza da chi ci ha preceduto e hacombattuto le eresie e le menzogne e ha salvato così la vera unica Chiesa Universale (Cattolica).
Massimo Viglione
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Mercoledì, 2 Novembre/ 2016
- di Massimo Viglione -
Quel che voi siete, noi fummo!
Quello che noi siamo voi sarete!
IL GIORNO DEI MORTI
DI ANDREA CAMILLERI
siciliaospitalitadiffusa.it
Fino al 1943, nella nottata che passava tra il primo e il due di novembre, ogni casa siciliana dove c’era un picciliddro si popolava di morti a lui familiari. Non fantasmi col linzòlo bianco e con lo scrùscio di catene, si badi bene, non quelli che fanno spavento, ma tali e quali si vedevano nelle fotografie esposte in salotto, consunti, il mezzo sorriso d’occasione stampato sulla faccia, il vestito buono stirato a regola d’arte, non facevano nessuna differenza coi vivi. Noi nicareddri, prima di andarci a coricare, mettevamo sotto il letto un cesto di vimini (la grandezza variava a seconda dei soldi che c’erano in famiglia) che nottetempo i cari morti avrebbero riempito di dolci e di regali che avremmo trovato il 2 mattina, al risveglio.
Eccitati, sudatizzi, faticavamo a pigliare sonno: volevamo vederli, i nostri morti, mentre con passo leggero venivano al letto, ci facevano una carezza, si calavano a pigliare il cesto. Dopo un sonno agitato ci svegliavamo all’alba per andare alla cerca. Perché i morti avevano voglia di giocare con noi, di darci spasso, e perciò il cesto non lo rimettevano dove l’avevano trovato, ma andavano a nasconderlo accuratamente, bisognava cercarlo casa casa. Mai più riproverò il batticuore della trovatura quando sopra un armadio o darrè una porta scoprivo il cesto stracolmo. I giocattoli erano trenini di latta, automobiline di legno, bambole di pezza, cubi di legno che formavano paesaggi. Avevo 8 anni quando nonno Giuseppe, lungamente supplicato nelle mie preghiere, mi portò dall’aldilà il mitico Meccano e per la felicità mi scoppiò qualche linea di febbre.
I dolci erano quelli rituali, detti «dei morti»: marzapane modellato e dipinto da sembrare frutta, «rami di meli» fatti di farina e miele, «mustazzola» di vino cotto e altre delizie come viscotti regina, tetù, carcagnette. Non mancava mai il «pupo di zucchero» che in genere raffigurava un bersagliere e con la tromba in bocca o una coloratissima ballerina in un passo di danza. A un certo momento della matinata, pettinati e col vestito in ordine, andavamo con la famiglia al camposanto a salutare e a ringraziare i morti. Per noi picciliddri era una festa, sciamavamo lungo i viottoli per incontrarci con gli amici, i compagni di scuola: «Che ti portarono quest’anno i morti?». Domanda che non facemmo a Tatuzzo Prestìa, che aveva la nostra età precisa, quel 2 novembre quando lo vedemmo ritto e composto davanti alla tomba di suo padre, scomparso l’anno prima, mentre reggeva il manubrio di uno sparluccicante triciclo. Insomma il 2 di novembre ricambiavamo la visita che i morti ci avevano fatto il giorno avanti: non era un rito, ma un’affettuosa consuetudine.
Poi, nel 1943, con i soldati americani arrivò macari l’albero di Natale e lentamente, anno appresso anno, i morti persero la strada che li portava nelle case dove li aspettavano, felici e svegli fino allo spàsimo, i figli o i figli dei figli. Peccato. Avevamo perduto la possibilità di toccare con mano, materialmente, quel filo che lega la nostra storia personale a quella di chi ci aveva preceduto e «stampato», come in questi ultimi anni ci hanno spiegato gli scienziati. Mentre oggi quel filo lo si può indovinare solo attraverso un microscopio fantascientifico. E così diventiamo più poveri: Montaigne ha scritto che la meditazione sulla morte è meditazione sulla libertà, perché chi ha appreso a morire ha disimparato a servire.
(da Racconti quotidiani di Andrea Camilleri)
Fonte: https://siciliaospitalitadiffusa.it
Link: https://siciliaospitalitadiffusa.it/it/il-giorno-dei-morti-raccontata-da-andrea-camilleri
30.10.2016
http://comedonchisciotte.org/il-giorno-dei-morti/
Messico, i morti tornano in vita
In Messico i morti “vivono”. Almeno per un giorno. I volti di uomini, donne e bambini diventano teschi e i loro corpi scheletri. Ai cigli delle strade appaiono gli altari dove vengono depositati ex voto molto particolari: cibo, innanzitutto, poi fiori, lumini e bevande. Simboli che rappresentano i quattro elementi della natura. Le donne indossano i vestiti tradizionali, con le gonne svolazzanti e colorate. Gli uomini molto spesso indossano la giacca e la cravatta. Gli strumenti musicali riempiono le strade dove si canta e si balla. I volti dei messicani vengono divisi a metà da un teschio perché “vita e morte sono due facce della stessa medaglia”. Le celebrazioni iniziano il 30 ottobre e si prolungano anche per tutto il mese di novembre.
Sono i giorni de los muertos. Questa festa, che ha radici precolombiane, ha poco a che vedere con Halloween. Non ci sono né ragnatele né vampiri. Ci sono solo scheletri danzanti che ballano, talvolta in modo frenetico, e che non hanno nulla di macabro. Per i messicani sono un inno alla vita. Non si segue la moda. Il vestito è sempre lo stesso. Compaiono gli antichi copricapi precolombiani, pieni di piume colorate. Le croci sono dappertutto, così come i pizzi e i fiori.
Nelle case dei messicani vengono allestiti gli altari per i cari che non vivono più sulla terra e che si trovano nell’Aldilà. Agli ingressi delle abitazioni vengono lasciati dei cuscini, delle bevande e un po’ di cibo. Tutto ciò che è necessario alle anime per il loro cammino. Già, perché secondo i messicani, i morti tornano sulla terra per accettare le offerte di chi vive, come scrive la tanatologa Maria Angela Gelati su Il Fatto Quotidiano.
Ma non solo, scrive sempre la tanatologa: “Il sacro e il profano tendono a congiungersi, come accade il 30 ottobre, quando si celebra il cosiddetto ‘giorno degli archi’, nel quale, in parecchi paesi, per festeggiare il ritorno a casa dei morti, gli uomini costruiscono archi di fiori di cempasúchitl (tipo di garofano europeo, il cempasúchitl è il fiore tramandato dalle cerimonie azteche, il cui odore indefinibile ad alcuni ricorda quello dei cadaveri), e passano da una abitazione all’altra, appendendo frutti e pani dalla forma umana e pupazzetti, che portano incise le iniziali dei defunti. Al centro dell’arco, con la Vergine e i Santi sullo sfondo, si depongono in abbondanza bottiglie di liquore e sigarette del tipo e marca amati dal defunto. Allo scopo di indicare la ‘strada di casa’, gli spiriti vengono richiamati dal frastuono delle scariche dei mortaretti, appositamente fatti esplodere sulla soglia. Dalle quattro del pomeriggio alle otto di sera i fuochi d’artificio accompagnano i numerosi gruppi musicali, che intonano le canzoni preferite dai defunti quando erano in vita”.
Tra il 30 ottobre e per tutto il mese di novembre i messicani accendono candele e dicono preghiere. Ricordano i morti con amore. Quei morti che “vivono” in Messico. Ogni anno. Almeno per un giorno.
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