1 – Quinto comandamento: “Non uccidere”. Però. . .
Nel leggere la lettera papale “Misericordia et misera” (20 novembre 2016), efflorescenza ultima, per il momento, di un anno giubilare dedicato alla “misericordia” – pleonasmo tautologico in quanto ogni Giubileo è di per sé della misericordia - lettera che prende in esame il delitto dell’aborto, non abbiamo potuto reprimere un moto di sdegno e di sconforto per la volontà espressa di declassare quel crimine, l’aborto appunto, da peccato gravissimo (CDC, canone 1398 – CCC articoli n. 2270/1/2/3/4) - degno della massima pena, la scomunica “latae sententiae” caso riservato e al vescovo e, normalmente, da lui soltanto redimibile - a trasgressione ordinaria. Un vero organismo di etica geneticamente modificata. E a nulla serve averlo definito “gravissimo” in quanto non v’è chi non veda, in questo passaggio assiologico o dei valori, il tipico meccanismo del solito pensiero conciliare circiteristico quale si esprime con il ribadir la dottrina fissa ed eterna ma col concludere con una rettifica quale: “ribadito che… tuttavìa”, “sì… però”, “vietato… ma”.
Ma non è tanto questo l’aspetto che ci ha turbato e fatto insorgere lo sdegno, quanto un’evidente ed allarmante sproporzione che si coglie tra questo breve documento e l’enciclica “Laudato si’” (24 maggio 2015), e i comportamenti sociali e pubblici del Pontefice come spesso gli accade in particolari circostanze.
L’enciclica, strumento principe del Magistero Pontificale, è una ricognizione lunga e articolata – la prima di questo genere nella bimillenaria storia della Chiesa - sui mali, veri e supposti, che affliggono la Madre Terra (la Gaia new age) quali: l’inquinamento, la raccolta dei rifiuti, le biodiversità in pericolo, lo sfruttamento intensivo delle risorse da parte di talune multinazionali, la sperequata distribuzione della ricchezza ecc. per un totale di capitoli 6 (sei) distesi per 246 paragrafi.
Un’impressionante mole di pensiero e di parole che, nella maggior parte, ricalcano teorìe di pertinenza di chi governa il regno terreno ma poco o per niente consentanee a chi ha ricevuto la missione di ampliare la conoscenza e il desiderio del regno dei cieli. Uno sforzo mediatico con cui il Papa ha inteso indicare, nella gestione della cosiddetta “casa comune” (ma non era il Paradiso la casa comune dove il Signore ha riservato per i suoi amici molti posti?) una primaria attenzione alle cose di quaggiù come, ad esempio, la protezione di talune specie animali indicata quale imperativo categorico del cristiano che, certamente, non risulta essere estraneo alla cultura e alla sensibilità cattolica ma che, del pari, non si pone come oggetto primo di meditazione e di riflessione.
Di contro, sta la lettera “Misericordia et misera”, svolta per 22 (ventidue) brevi paragrafi e dove, solo dopo un largo giro da effetto sedativo, si arriva al tema centrale, al paragrafo 12 in cui il Papa così ordina: “In forza di queste esigenze, perché nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio, concedo d’ora innanzi a tutti i sacerdoti, in forza del loro ministero, la facoltà di assolvere quanti hanno procurato peccato di aborto”.
Non ci soffermeremo su questo declamare in falsa umile prima persona singolare ché, come spiegammo in altri interventi, sopprime quel solenne e ieratico NOI, rappresentativo della coralità ecclesiale “una cum Christo, sanctis, martyribus et conciliis”, con cui il Magistero parlava. Ci preme, invece, denunciare come, con questa apertura al perdono generalizzato, il delitto d’aborto venga rubricato su un livello inferiore alla protezione di talune specie animali o alla raccolta differenziata dal momento che, per siffatto tema ecologico, Bergoglio s’è speso con un libro di risonanza globale - col séguito, ricordiamo, di quel foto-zoosafari, sparato a led, l’8 dicembre del 2015, sulla facciata della Basilica di San Pietro, a spese di quelle multinazionali che la sua enciclica punge – mentre per l’omicidio di un innocente, ancora nel grembo alla madre, è stato sufficiente un paragrafo annegato in un mare di giulebbosa, amarulenta disquisizione sulla misericordia infarcita di citazioni.
Una letterina di 22 paragrafi. Ma che volete, confessò una volta, “non si può sempre parlare di aborto” anche perché “majora premunt” e, poi, con i visi “inespressivi di quei giovani che” Galantino dixit “ recitano il Rosario davanti alle cliniche abortiste” vien voglia di farci su una risata!
Ma ciò che lascia il sospetto di ben altre rivoluzioni sta nel séguito dei paragrafi, assente essendo l’indicazione della pena che il soggetto pentito deve scontare per lucrare il perdono di Dio. Quando in tempi gloriosi la Chiesa applicava a simile gravissimo delitto la medicina del rigore, al penitente venivano comminati corrispettivi percorsi di espiazione, di non facile e leggero compimento. Oggi, siamo sicuri, basterà la solita terna “Pater, Ave, Gloria”.
2 – L’Inferno? Questione di sola distanza. . .
In una delle solite omelìe svolte in quel di Santa Marta, Papa Bergoglio, il 25 novembre 2016 – così riferisce Avvenire, l’araldo della CEI (25 novembre 2016) - ha officiato la catechesi sulla dannazione eterna. E come è oramai di prammatica, lui, che cerca di sdrammatizzare tutto ciò che sa di sacro spavento, di santo timore, di remora etica, di educativo insomma, col tramutare cioè il timor di Dio in solo amore e misericordia, il senso di colpa con la nomina della rassicurante coscienza a giudice unico, anche per il tema escatologico dell’inferno ha fornito una sua personale e consolante interpretazione negando quella consueta immagine che, presente già nel V. T. (Dt. 32,22 / Gb. 24, 19 / Sal. 11, 7 / Is. 30, 33 / Is. 34, 39 / Giudt. 16, 20-21)) e nel Vangelo (Mt, 8, 12 / Mt. 13, 42 / Mc. 9, 42 / Lc. 16, 22) ci mostra questo sito dell’aldilà come luogo oscuro ove risuonano “per l’aere sanza stelle” ( Inf. III, 23) pianti, alti lai, dove stridono denti, dove arde un fuoco inestinguibile e dove il verme corrode i dannati. No! afferma tranquillizzante il Pontefice, no! “La dannazione è lontananza da Dio, non una sala di tortura”.
Che la dannazione sia lontananza da Dio è nozione di fede, così come di fede è anche l’esistenza del tormento, o tortura che dir si voglia, che il dannato soffre per questa lontananza abissale, perché se solo questione di distanza si trattasse, la cosa sarebbe vissuta dai dannati come uno stato di pungente nostalgìa. Ma purtroppo per loro, e contrariamente al candore di Bergoglio, la pena eterna è un fatto consustanziale e compresente alla lontananza da Dio; un effetto interno alla causa.
Nella parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro (Lc. 16, 19 segg.), Gesù parla di un fuoco reale e di una sete altrettanto reale, mentre in altri passi ci dice di pianto e di stridore di denti. E, sulla scorta dell’insegnamento di Cristo anche i Santi Padri parlarono di un fuoco corporale (Ge hennae ignis corporeus - S. Greg. Dial. 4, 29), così come la Scolastica (S. Th. I/II, 87, 4 - II/II, 79, 4 ad 4um – SCG. 3, 145 – 4, 90).
Ma a rendere vera e plasticamente terrificante questa realtà stanno le testimonianze di coloro che, per grazia del Signore a loro pro’ e a quello degli altri, ebbero la visione del baratro infernale, come, ad esempio, Santa Teresa d’Avila e i tre pastorelli di Fatima, di cui riportiamo i tratti salienti lasciando altri eventi che, al postutto, sono a conferma di questi due maggiori.
“L’ingresso (dell’inferno) era composto da un cunicolo molto lungo e stretto, come un forno assai basso, buio e angusto. Il suolo era composto di fanghiglia sporca e dall’olezzo nauseabondo e in esso v’erano innumerevoli e schifosi rettili. In fondo c’era come una concavità scavata in una parete, simile a una nicchia, dove fui posta tutta rannicchiata. . . . Il fatto è che non so spiegare come si sviluppino quel fuoco interiore e quell’angoscia che andavano ad aggiungersi a dolori e tormenti così gravi. . . Non c’è luce, ma tutto è tenebra fitta. Non capisco come possa essere che pur non essendoci luce si possa vedere quanto aborrisce la vista. . . . Poi ho visto altre cose spaventose, riferite ai castighi per alcuni vizî. . . il Signore volle davvero che io avvertissi quei tormenti e afflizioni nello spirito, come se il corpo li stesse patendo. . . Da qui è nata anche la grandissima pena che sorge in me per le molte anime che si condannano (in particolare per i luterani, perché, con il battesimo erano già divenuti membra della Chiesa)* [cfr. Teresa d’Avila: Tutte le opere. Ed Bompiani 2011, cap. 32, pag.515-519].
* Santa Teresa d’Avila, nata il 28 marzo 1515 e morta il 4 ottobre 1581, visse la Riforma luterana come una lacerazione della Chiesa, la tunica inconsutile di Cristo e, pertanto, considerò apostati tutti coloro che, già battezzati, avevano aderito allo scisma del monaco Lutero.
“ La Madonna ci mostrò un grande mare di fuoco, che sembrava stare sotto terra. Immersi in quel fuoco, i demonî e le anime, come se fossero braci trasparenti e nere o bronzee, con forma umana che fluttuavano nell’incendio, portate dalle fiamme che uscivano da loro stesse insieme a nuvole di fumo, cadendo da tutte le parti simili al cadere delle scintille nei grandi incendî, senza peso né equilibrio, tra grida e gemiti di dolore e disperazione che mettevano orrore e facevano tremare dalla paura. I demonî si riconoscevano dalle forme orribili e ributtanti di animali spaventosi e sconosciuti, ma trasparenti e neri. Questa visione durò un momento” (Laurent Morlier: Il terzo segreto di Fatima pubblicato dal Vaticano è un falso - Salpan editore 2005, pag. 21/22).
Se non è questa una sala di tortura. . .
La diciamo come battuta, ma temiamo che “El Papa”, sull’aire di queste sue catechesi ci verrà a dire che Gesù subì un finta morte, calcando le orme di quell’antico docetismo che insegnava essere il corpo di Cristo di natura fittizia, pura apparenza e illusione. Una battuta, certamente, ma chi si aspettava che la “moltiplicazione dei pani e dei pesci” era stata, per il Papa, non un miracolo ma una… condivisione? (26 luglio – XVII Domenica Tempo Ordinario).
3 – In morte… infidelis. (Il cordoglio di un Papa gesuita per la scomparsa di un tiranno cresciuto nelle scuole gesuitiche).
“Nel ricevere la triste notizia della scomparsa del suo caro fratello, l’eccellentissimo signor Fidel Alejandro Castro Ruz, ex presidente della Repubblica di Cuba, esprimo i miei sentimenti di dolore a vostra eccellenza e agli altri familiari del defunto dignitario, così come al governo e al popolo di codesta amata nazione” (Messaggio inviato dal Papa a Raul Castro in morte del fratello Fidel).
Papa Bergoglio: che orrenda differenza tra la sua azione fredda, astiosa e persecutoria, condotta con rigore staliniano contro gli inermi Frati dell’Immacolata dalle mani pure dal contatto con il Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Cristo, e il dolore espresso in morte dell’eccellentissimo dittatore comunista dalle mani lorde del sangue delle sue vittime!
Basta questo a qualificare il grado e la caratura della sua… misera misericordia.
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