SAN PIO E I PROGRESSISTI
San Pio da Pietrelcina non piace ai progressisti perché non glorificò il Concilio. Avete notato? Di Lui di questo uomo di Dio straordinario i cattolici progressisti non parlano mai: il grande "equivoco" del concilio
di Francesco Lamendola
Avete notato? Di san Pio da Pietrelcina, frate cappuccino che non si è quasi mai mosso dal suo convento di San Giovanni Rotondo, sul Gargano, ma che è stato uno dei più grandi santi del XX secolo, se non il più grande; stigmatizzato come san Francesco d’Assisi, intermediario di guarigioni miracolose, dotato dei doni della chiaroveggenza, della lettura delle anime, della bilocazione; infaticabile confessore (una media di 70 persone al giorno, fin quasi agli ultimi giorni: il che vuol dire dalle 12 alle 16 ore in confessionale, estate e inverno), padre amorevole e pietoso, consigliere e consolatore dei penitenti, dei tribolati, degli afflitti, maestro di vita e di fede, sacerdote dotato di una spiritualità intensissima, commovente (la sua Messa poteva durare anche tre ore, perché cadeva letteralmente in estasi davanti al Mistero Eucaristico), nonché uno dei più incompresi, calunniati, perseguitati (l’espressione non è eccessiva), anzi, perseguitato per due volte, a trent’anni di distanza, e proprio per volere dei suoi superiori, dal vescovo della sua diocesi, Manfredonia, su, su, fino alla Santa Sede (cioè fino a Pio XI e a Giovanni XXIII, che, se non ordinarono le persecuzioni, certo non vi furono estranei, né vi si opposero, tutt’altro): ebbene, di questo uomo di Dio assolutamente straordinario, come ne nascono uno su molte generazioni, i cattolici progressisti non parlano quasi mai, e, comunque, non ne parlano volentieri.
L’argomento li mette a disagio; scopre i loro scheletri nell’armadio, le loro ipocrisie, i loro inveterati e invincibili pregiudizi. Abituati a dare torto ai fatti piuttosto che alla loro ideologia – che è molto più vicina al marxismo che al Vangelo; e tanto peggio se Marx aveva torto su tutta la linea e se la storia ha sbugiardato le sue previsioni, non senza immensi bagni di sangue: essi non si abbassano per così poco ad ammettere i propri errori -, preferiscono pensare a san Pio da Pietrelcina come a un tipico “fenomeno” di una religiosità superstiziosa e semipagana, come alla tipica manifestazione dell’arretratezza culturale del profondo Meridione, rurale e cattolico (e qui “cattolico” assume una coloritura spregiativa, proprio come nel vocabolario marxista), al quale la Chiesa, proclamandolo santo, ha voluto dare una legittimazione postuma, pur avendo subodorato l’inganno, tanto per offrire un contentino a quei benedetti contadini semianalfabeti e archiviare, nello stesso tempo, un caso tanto imbarazzante – imbarazzante almeno per loro, per le loro idee e per il loro modo d’intendere il cattolicesimo. Le ragioni di una così scarsa simpatia sono essenzialmente due, oltre al quadro d’insieme testé delineato, di pretesa arretratezza, ignoranza, superstizione, magia, eccetera.
La prima: padre Pio non contestava l’autorità, né quella civile, né, tanto meno, quella religiosa: perfino davanti alle persecuzioni di cui fu vittima, alle ingiuste limitazioni alla sua libertà di sacerdote e di individuo, ai sospetti odiosi, alle calunnie, ai comunicati ufficiali che lo mettevano in pessima luce davanti al mondo, alla meschina e sacrilega astuzia di collocargli dei microfoni fin nel confessionale, per cercare di beccarlo in fallo: perfino davanti a tutto questo, la sua obbedienza alla Chiesa rimase perfetta, totale, immacolata; la sua rassegnazione esemplare, come quella di un santo, e simile a quella del suo grande e inarrivabile modello: Gesù Cristo. Davanti ad un vescovo simoniaco e concubinario, finanziariamente disonesto, infaticabile maneggione e calunniatore, anche davanti a un siffatto pastore, mai padre Pio alzò la voce per rispondere, per attaccare, e sia pure allo scopo di difendersi; mai assunse un atteggiamento irrispettoso. E la stessa obbedienza, la stessa rassegnazione, egli mostrò sempre, nell’arco di tutta la sua vita, che fu un autentico Calvario, per l’ostilità implacabile, malevola, incessante, di importanti uomini di Chiesa.
Ebbene, si chiederà qualcuno: perché mai un simile atteggiamento di obbedienza e di umiltà incondizionata avrebbe dovuto attirargli le antipatie dei cattolici progressisti? Semplice: perché esso è agli antipodi del loro. I loro grandi modelli sono i preti come don Lorenzo Milani, i quali, convinti, a torto o a ragione, di essere nel giusto, e di avere con sé il “vero” Vangelo di Gesù Cristo, non esitano a disobbedire al proprio pastore, a opporglisi, a incitare i loro seguaci alla disobbedienza; non esitano a criticare palesemente, aspramente, gli uomini di Chiesa (come i cappellani militari), ad additarli al pubblico disprezzo, e questo non per ragioni strettamente pastorali e religiose, anche se tali erano a parole; no, ma per ragioni ideologiche: perché quei confratelli non sono di sinistra come loro, non condividono le loro battaglie, non apprezzano il loro continuo agitarsi, smaniare e fomentare la ribellione e la discordia dentro la Chiesa, oltretutto assumendo costantemente il ruolo delle vittime e atteggiandosi a perseguitati dall’ingiustizia, ed a martiri incompresi dell’Idea. Logico: fino al Concilio Vaticano II, e ancora per qualche anno dopo di esso, i progressisti, per aver ragione, dovevano alzar la voce; dovevano spingere a forza la Chiesa nella direzione da loro voluta, secondo la legge del Progresso, del quale sono i veri e incrollabili discepoli, assai più che del Vangelo; dovevano far sì, loro che hanno capito tutto, loro che sanno meglio di chiunque altro cosa è giusto e cosa no, che, pur di realizzare un fine buono, cioè “modernizzare” la Chiesa, le si forzasse un po’ la mano, premendo sul papa, suggestionando i fedeli, organizzando conventicole e fazioni fra i vescovi e i cardinali: tutte cose che sarebbero emerse in piena luce in quell’11 ottobre 1962, allorché Giovanni XXIII aprì un concilio che pensava di chiudere entro due mesi, e che mai si sarebbe aspettato, e mai avrebbe desiderato – esiste un’ampia documentazione su ciò - veder prendere gli sviluppi che poi prese.
Pertanto, se per i cattolici progressisti l‘obbedienza non è più una virtù, come diceva don Milani, allora è chiaro che l’eroica obbedienza di san Pio da Pietrelcina, il quale avrebbe avuto mille valide ragioni per gridare al mondo di essere davvero perseguitato, e ingiustissimamente perseguitato, ossia perseguitato per la sua spiritualità e la sua santità, e non per il suo ribellismo ideologico, allora è chiaro, dicevamo, che la sua eroica obbedienza dà loro fastidio, non solo in se stessa, perché riflette un atteggiamento di sottomissione che è lontano mille miglia dal loro animus, ma soprattutto perché suona come un tacito, ma evidentissimo rimprovero al loro modo di porsi davanti alla Chiesa, immodesto, narcisista, spregiudicato e aggressivo. San Pio giungeva al punto di fare pressione sui suoi focosi sostenitori – e ne aveva, buon Dio; ne aveva più di quanti un don Milani si sarebbe mai sognato di averne, sia da vivo che da morto - perché si fermassero, perché si trattenessero, perché non provocassero, e sia pure a fin di bene, e sia pure dicendo la pura verità e non delle menzogne, uno scandalo all’interno della sua amata Chiesa: lui, un confessore che passava le giornate ad ascoltare e a rimettere i peccati e le miserie dell’umanità, e che per tutti aveva una parola d’incoraggiamento, di fede, talvolta brusca, ma sempre finalizzata alla salvezza dei peccatori. Invece, per i progressisti no, questo non è l’atteggiamento giusto di un prete, di un santo; il prete deve essere un agitatore delle masse, deve far sbocciare la coscienza di classe, deve accendere la voglia di riscatto nei poveri e negli sfruttati, e sia pure mettendo alla gogna gli adulti, i propri maestri e professori, nonché i vescovi troppo conservatori: hanno ben altro da fare, loro, che starsene chiusi fra le microscopiche pareti d’un confessionale, a blaterare preghiere e formule di assoluzione. Oh, no, giammai: essi devono salvare il mondo, devono raddrizzare le ingiustizie universali, devono spronare i popoli alla rivoluzione!
Oggi hanno assunto dei toni un tantino più dolci, almeno in apparenza, e metodi meno irruenti, per la semplice ragione che hanno quasi raggiunto la meta dei loro sforzi: impadronirsi della Chiesa, delle principali testate cattoliche, del consenso di molti cardinali e vescovi, di moltissimi preti e perfino qualche suora; e, ovviamente, della maggioranza (ma sarà poi vero?) dei fedeli laici. Ora che hanno il papa Francesco dalla loro parte, e il vescovo di Anversa che auspica il matrimonio religioso per le coppie omosessuali, e la Amoris laetitiache prospetta l’Eucaristia per i divorziati risposati; ora che godono delle teleprediche quotidiane di teologi insigni, come Enzo Bianchi e Vito Mancuso, maestri di relativismo e d’indifferentismo religioso spacciati per cattolicesimo “aperto”, “maturo” e, si capisce, “dialogante”, non devono più forzare i tempi; i tempi, finalmente, sono maturi: sono maturi per realizzare quella Chiesa che avevano in testa fin dai tempi di san Pio X (un altro santo, e papa questa volta), che vide per tempo le loro trame e non esitò a scomunicare le loro idee. Perciò, pazienza se il papa Pio X, e padre Pio da Pietrelcina, sono stati fatti santi; è stato solo un contentino per le plebi conservatrici: ma intanto la Chiesa va dove vogliono loro, cioè verso il Progresso e l’emancipazione dei popoli. Come insegnava quel padre Dall’Oglio che, nella guerra civile siriana, è andato a cacciarsi a testa bassa, perché i buoni cattolici non possono tollerare un tiranno come Bashar al-Assad; anche se il risultato della loro azione è stato il genocidio e la cacciata della forte minoranza cristiana che, in quel Paese, viveva da secoli, tranquilla e indisturbata, mentre ora è stata spazzata via in pochi mesi. Proprio come i preti di sinistra che, nel 1968, non potevano tollerare i bombardamenti americani sul Vietnam – ma che non hanno mai speso una parola sui massacri dei regimi comunisti, anche quando venivano diretti contro dei cristiani, per la sola colpa di essere tal: come in Unione Sovietica, in Cina, in Albania…
La seconda ragione della pochissima simpatia dei cattolici progressisti verso la figura di san Pio da Pietrelcina è che questi, davanti al Concilio Vaticano II, vide e comprese quel che stava accadendo nella Chiesa e ne rimase profondamente turbato e rattristato; lo vide e lo comprese subito, cioè prima e meglio di quanti – come Hans Urs von Balthasar, o lo stesso Joseph Ratzinger, poi papa Benedetto XVI – lo videro in ritardo, dopo essere caduti, da principio, nell’equivoco; ma che, quando lo videro, ne rimasero pur essi sconcertati e rattristati, e scrissero e fecero quanto era in loro potere per rimediare almeno ai guasti più evidenti e ai danni più clamorosi. Ora, è noto che, per i cattolici progressisti, il Concilio Vaticano II – e neanche quello storico e reale, ma quello da loro immaginato e mitizzato, che è ben diverso dal primo: tanto è vero che essi giurano e spergiurano continuamente non sul Concilio, ma su un non meglio specificato “spirito del Concilio” (con la lettera minuscola, sia ben chiaro), di cui loro soltanto possiedono le chiavi ermeneutiche - è la pietra del paragone di tutto ciò che è buono, vero e giusto nella Chiesa; di più: è la loro Bibbia, la loro fonte d’ispirazione, il loro supremo modello, anche più del Vangelo (che, infatti, si trovano a dover condividere con personaggi poco graditi, come appunto san Pio).
Tanto per cominciare, san Pio chiese e ottenne di poter seguitare ad officiare la Messa in latino, come aveva sempre fatto, come tutti i sacerdoti hanno sempre fatto, dal Concilio di Trento in poi. Il che la dice lunga sulla fondatezza dell’argomento “popolare” contro la Messa tridentina: se san Pio, che non era certo un intellettuale, e i cui fedeli erano, in larghissima maggioranza, persone semplici, con un basso livello d’istruzione, riteneva che non ci fosse alcun arcano, nel latino ecclesiastico, tale da rendere incomprensibile la sacra liturgia, allora gli si può credere. Ma il suo giudizio negativo non riguardava solo il rinnovamento (o lo stravolgimento) liturgico, bensì l’intero atteggiamento di fondo dei cosiddetti progressisti. Per essi, la Chiesa, rimasta ferma per dei secoli, doveva recuperare il tempo perduto e marciare risolutamente incontro al mondo; per lui, i santi si sono sempre beffati del mondo e dei mondani e si sono messi sotto i piedi il mondo e le sue massime (cit in: Yves Chiron, Padre Pio, Ed. Paoline, 1997, p. 334). Questo, dunque, è il vero problema: la relazione fra la Chiesa e il mondo. Per i progressisti, la Chiesa deve mettersi sulla lunghezza d’onda del mondo; per i cristiani “spirituali”, come san Pio, il mondo è un inganno, una trappola – e non occorre dire di chi -, e il cristiano deve stare bene attento a non cascarvi dentro.
Non c’è niente da fare: è un contrasto di fondo, radicale, inconciliabile. Nessuna mediazione è possibile; nessuna dialettica, nessuna acrobazia intellettuale. O si sta dalla parte dei progressisti, o si sta dalla parte di san Pio. Non possono avere entrambi ragione; uno dei due ha torto. O si sbagliano gli uni, o ha torto l’altro. A questo punto, ogni cristiano è invitato a fare chiarezza in se stesso, a interrogarsi, a prendere partito e dissipare ogni equivoco. Hanno ragione i progressisti, e la Chiesa deve andare incontro al mondo? Allora ha torto san Pio; e, con lui, hanno torto i santi, gli uomini e le donne migliori che la Chiesa ha suscitato in questi duemila anni. I progressisti sono arrivati ieri, per cos dire; i santi ci sono sempre stato. E i santi, tutti, hanno sempre sentito come padre Pio. È inutile dire: ma se fossero vissuti ai giorni nostri... Chiacchiere, sofismi. San Giovanni Bosco, tanto per fare un esempio, sapeva benissimo di andare controcorrente, rispetto alla modernità: ma se ne infischiava; meglio: era sicuro di non sbagliare, restando nel solco della Scrittura e della Tradizione.
San Pio da Pietrelcina non piace ai progressisti perché non glorificò il Concilio
di Francesco Lamendola
Eeeh, povero Roncalluzzo, che "non si aspettava" la piega presa dal Concilione... Lui, ciccinino, pensava senz'altro a una merenda tra amici, chiaro, chiarissimo... Del resto nemmeno Hitler, dopo l'Incidente di Gleiwitz, pensava a una guerra mondiale...
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