ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 14 dicembre 2016

Piccoli rigidi crescono..

Segno di “rigidità mondana” o di appartenenza alla chiesa?
(di Mauro Faverzani) È il Codice di Diritto Canonico a precisare, al can. 284: «I chierici portino un abito ecclesiastico decoroso secondo le norme emanate dalla Conferenza Episcopale e secondo le legittime consuetudini locali». E cosa preveda la Cei è reso molto chiaro dalla sua delibera n. 12 del 23 dicembre 1983, in cui si legge testualmente: «Salvo le prescrizioni per le celebrazioni liturgiche [che prevedono vesti apposite – NdR], il clero in pubblico deve indossare l’abito talare o il clergyman».  

Giovanni Paolo II, da parte sua, nella sua Lettera al Cardinale Vicario Ugo Polettidell’8 settembre 1982, parla dell’abito ecclesiastico come di un «segno distintivo», non solo per una questione di «decoro», bensì e soprattutto per il fatto d’evidenziare «la pubblica testimonianza che ogni sacerdote è tenuto a dare della propria identità e speciale appartenenza a Dio». Giovanni Paolo II fa poi un’affermazione importante: specifica cioè come porre tali questioni non significhi affatto essere “malati” di vacuo formalismo o di inutile rigorismo, stanti anzi le «conseguenze pastorali» implicite nella questione. E ribadisce: trascurare il valore di richiamo dell’abito ecclesiastico provoca un «impoverimento del nostro servizio sacerdotale».
Riflettendo su queste opportune e chiarissime indicazioni, peraltro tutte motivate, ancor più addolorano e sconcertano le parole pronunciate da papa Francesco nel corso dell’omelia tenuta nella cappella di Casa Santa Marta lo scorso 9 dicembre. «Su rigidità e mondanità, è successo tempo fa che è venuto da me un anziano monsignore della curia, che lavora, un uomo normale, un uomo buono, innamorato di Gesù e mi ha raccontato che era andato all’Euroclero a comprarsi un paio di camicie e ha visto davanti allo specchio un ragazzo – lui pensa non avesse più di 25 anni, o prete giovane o (che stava) per diventare prete – davanti allo specchio, con un mantello, grande, largo, col velluto, la catena d’argento e si guardava. E poi ha preso il “saturno”, l’ha messo e si guardava. Un rigido mondano. E quel sacerdote – è saggio quel monsignore, molto saggio – è riuscito a superare il dolore, con una battuta di sano umorismo e ha aggiunto: “E poi si dice che la Chiesa non permette il sacerdozio alle donne!”. Così che il mestiere che fa il sacerdote quando diventa funzionario finisce nel ridicolo, sempre».
Sarebbe dunque, deprecabile e censurabile accertarsi che il vestito calzi a pennello, prima dell’acquisto?
Il giovane sacerdote impegnato a provarsi talare, saturno e mantello, sarebbe ipso facto, secondo il Pontefice, colpevole di «rigidità e mondanità» e addirittura effeminato. Par che qui si sia persa traccia della tanto declamata «misericordia»: com’è possibile da una circostanza giungere ad un giudizio, anzi ad una sentenza tanto sferzante, quindi ad un processo alle intenzioni?
Com’è possibile sapere cosa avesse davvero in animo il reverendo tanto biasimato? Come si può, ad intermittenza, ostentar comprensione (ricordate il «chi sono io per giudicare?») di fronte a patenti violazioni della Dottrina cattolica, per poi accanirsi con chi agisca conformemente alle norme della Chiesa? Sino al punto da ammettere la prassi della crudele derisione, bollando il sacerdote come un «funzionario», per ciò stesso destinato a finire «nel ridicolo, sempre».
Disturba che un prete si vesta da prete? V’è il fondato dubbio che, in realtà, nell’esempio riportato possa non essere in questione l’atteggiamento, bensì l’abbigliamento, non la posa del reverendo, bensì la sua talare. Ma se è questo ad esser oggetto di furibonda censura, non mancano i motivi di inquietudine: come può il Papa contravvenire al Codice di Diritto Canonico? Le leggi della Chiesa sono rigido formalismo?
Vi fossero sacerdoti in talare! In molte Diocesi son “merce rara”, in altre una “razza estinta”. Forse sarebbero da preferirsi ad essi quei campioni di sciatteria, che girovagano in camicie a quadrettoni rossi e bermuda, in jeans e magliettine fantasia? Ad inquadrare correttamente la situazione (e la posta in gioco) provvedono ancora una volta i testi della Chiesa. Per i quali abiti diversi da quelli prescritti sono contrari alle norme: non basta una spillina con la croce, se l’abbigliamento è inadeguato.
È il can. 285 commi 1 e 2 del Codice di Diritto Canonico a raccomandare ai sacerdoti di astenersi da tutto quanto sia «sconveniente al proprio stato» o, in ogni caso, ad esso «alieno». Non risulta che tali disposizioni siano mutate. E, nel caso, andrebbe anche spiegato come ed in base a che cosa. Quel giovane sacerdote, arbitrariamente ed inopinatamente posto “all’Indice”, continui pure serenamente a provarsi l’abito! Ad altri, evidentemente, la talare va stretta, anche quando sia della taglia giusta… (Mauro Faverzani)
http://www.corrispondenzaromana.it/segno-di-rigidita-mondana-o-di-appartenenza-alla-chiesa/

Cambiate le parole del Padre Nostro, proteste in Olanda e Belgio


Diversi fedeli cattolici olandesi stanno protestando perché i vescovi dei Paesi Bassi e del Belgio hanno cambiato le parole di Padre Nostro così da proporne una “rilettura ideologica del testo”. Vox Populi, un gruppo laico cattolico, sta organizzando una petizione sostenendo che era più corretta la vecchia traduzione “bekoring” (“tentazione”, dal latino “temptationem”) mentre la nuova versione sostituisce la parola con “beproeving” (che significa “test”, “calvario”, o “tribolazione”).
Hugo Bos, leader olandese leader dei pro-life ha dichiarato che la traduzione “è in linea con la tendenza dei vescovi di ignorare il peccato e la tentazione al peccato” e discende dalla tendenza consolidata da parte del Catechismo olandese del 1965, che elimina sistematicamente il soprannaturale dagli insegnamenti della Chiesa.
Vox Populi ritiene che questa ultima “iniziativa dei vescovi belgi e olandesi farà solo aumentare la confusione all’interno della Chiesa e di conseguenza aumentare la crisi della fede”. Vox Populi sottolinea che il Catechismo della Chiesa cattolica è chiaro nel riferire l’ultima frase del Pater ad una richiesta di aiuto a Cristo per riuscire a resistere alla tentazione del peccato e del maligno, e non si tratta di una richiesta a Dio per scongiurare il dolore e la sofferenza materiale.
“La situazione attuale – conclude Vox Populi – non è più una crisi, ma la rovina della Chiesa Cattolica in Olanda. Infatti, 600-700 chiese cattoliche nei Paesi Bassi saranno dismesse entro il 2018”. Il cardinale Eijk ha ricordato che il 90 per cento dei cattolici frequenta la messa domenicale prima del Vaticano II. Adesso la percentuale che la frequenta è solo del 6 per cento. Michele M. Ippolito  13 dicembre 2016 



Matteo Orlandohttp://www.lafedequotidiana.it/cambiate-le-parole-del-padre-nostro-proteste-olanda-belgio/

Non c’è scelta più controcorrente che quella di usare la propria testa per seguire la Verità, specialmente dentro una Chiesa occupata dall’antichiesa. In tutto l’Orbe (ex)cattolico regna la stessa attitudine che circa settant’anni fa Giovannino Guareschi attribuiva agli italiani, i quali, spiegava lo scrittore, preferiscono alzarsi la mattina e trovare già tutto pensato.

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Ogni settimana Alessandro Gnocchi risponde alle lettere degli amici lettori. Tutti possono scrivere, indirizzando le loro lettere a info@riscossacristiana.it , con oggetto: “la posta di Alessandro Gnocchi”. Chiediamo ai nostri amici lettere brevi, su argomenti che naturalmente siano di comune interesse. Ogni settimana sarà scelta una lettera per una risposta per esteso ed eventualmente si daranno ad altre lettere risposte brevi. Si cercherà, nei limiti del possibile, di dare risposte a tutti.
PD
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Mercoledì 14 dicembre 2016
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Sono pervenute in Redazione:
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Caro Gnocchi,
seguo da un po’ la sua rubrica su Riscossa Cristiana e mi conforta perché leggo nei suoi interventi il chiarimento dei dubbi e del disagio sempre più forte che vivo come cattolico. Poi soprattutto mi sento meno solo. Mi sono sentito dare ultimamente addirittura del matto e poi anche accuse di spezzare l’unità della chiesa e altro dello stesso tipo. Ho 29 anni, sono in Comunione e Liberazione dai tempi del liceo. Da quando c’è Papa Francesco sono sempre più disgustato. Però se ne parlo con gli amici, con quelli del mio gruppo di scuola di comunità, quello che ho finora ricavato è stata una specie di emarginazione, sono considerato il rompiscatole un po’ da evitare. E poi mi si dice che in ogni caso il Papa non si discute. Neanche quando arriva a dire eresie e bestemmie? Per ora il risultato che ho avuto è stato solo quello di perdere amici, mi evitano, molto semplicemente. Non le dico le reazioni quando ho detto che volevo partecipare a una messa in rito antico. Per questo la ringrazio, perché leggo il “Fuori moda” e mi sento un po’ meno solo. La prego, non smetta.
Federico T.
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Caro dottor Gnocchi,
da qualche anno, specialmente da quando c’è papa Francesco, mi sono avvicinato alla tradizione. Il fatto è che più mi avvicino a questo ambiente più mi allontano dalla parrocchia. Non mi sono ancora deciso a frequentare solo la Messa tradizionale, come lei dice di fare, ma quando vado in parrocchia non riesco più a sopportare niente, dalle prediche fino ai teatrini dei fedeli. Per non parlare di cosa si sente dire nel consiglio pastorale, a cui ho deciso di non andare più. Il parroco, con cui ho parlato di questa mia difficoltà, e molti amici mi dicono che papa Francesco è un dono dello Spirito santo e mi consigliano di non leggere più certe cose. Ma ora che ho aperto gli occhi mi rendo conto di cosa vuol dire lei quando spiega che nelle nostre chiese c’è un’altra religione.
Grazie per quello che fa
Lorenzo Festa
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Caro Federico e caro Lorenzo,
se vi può consolare, la prima volta che mia moglie, parecchi anni fa, decise di accompagnarmi a un convegno di studi tradizionali lo fece con un solo scopo che enunciò così: “Voglio vedere se sono tutti matti come te”. Poi, siccome certa follia è contagiosa, la malattia ha fatto il suo corso in famiglia, ma non è stata una passeggiata.
Ricordo benissimo i tempi in cui andavo ancora alla Messa nuova contorcendomi allo scambio del segno di pace per evitare mani avide di una fratellanza farsesca, agitandomi sul banco durante le omelie da comizio, riuscendo a stento a trattenere qualche imprecazione durante le demenziali preghiere dei fedeli, celando malamente l’orrore davanti alla tavola calda della comunione. Poi, naturalmente, si doveva passare sotto le forche caudine degli sguardi di compatimento di un clero e di un laicato desiderosi di accogliere chiunque tranne quelli come me perché, mi spiegavano, “bisogna dire che idea di Chiesa si ha in testa”. Non me ne capacitavo, ma avevano ragione loro, perché praticavamo, e pratichiamo, due idee di Chiesa completamente diverse in quanto apparteniamo a due religioni diverse con riti diversi.
Quando ho finalmente messo a fuoco questo fatto e ho accettato la realtà per quello che è, mi sono pacificato. Siccome la mia religione non mi consente di pregare con appartenenti a religioni diverse, me ne sono andato per la mia strada senza farmi alcun problema e senza alcun senso di colpa, anzi: se dei pazzi mi giudicano pazzo, significa che sono normale.
Non so a che punto del percorso vi troviate, caro Federico e caro Lorenzo, ma è evidente quale sia la strada intrapresa. Che è quella giusta e, proprio per questo, stretta, faticosa e dolorosa. Soprattutto dolorosa, perché vi porta, come ha portato tutti quelli che vi hanno preceduto, a fare i conti con l’ambiente in cui siete nati e cresciuti e a misurarlo sulla concreta e inappellabile evidenza della fede cristiana. A un certo punto si comprende che non si possono più fare sconti, non si può tacere  davanti a errori e tradimenti, tanto più se vengono dall’alto. La libertà dei figli di Dio, che non sono quelli indicati da Bergoglio ma quelli che individua San Giovanni nel Prologo del suo Vangelo, costa cara, cari amici.
Movimento o parrocchia, associazione culturale o di volontariato non sono altro che macchine più o meno grandi del consenso. Lo sono da decenni e l’avvento di Bergoglio non ha fatto altro che mostrarlo senza più alcuna vergogna. Il capo ha sempre ragione e si china la testa per quieto vivere, per connivenza, per convenienza, per arraffare qualche poltrona o qualche strapuntino del potere. O, semplicemente, perché si sta così bene al calduccio di una sacrestia, di un palasport, di un meeting dove si sente di appartenere a un popolo o a una comunità che, inesorabilmente, finiscono per celare la Croce di Cristo dietro alla voglia di essere tanti e contare sempre di più nel consesso degli uomini. Non c’è più bisogno di scegliere in prima persona e, soprattutto, non c’è più bisogno di scegliere la testimonianza vera, il martirio. Certo, ogni tanto si scende in piazza, si fa un po’ di voce grossa, ma senza disturbare veramente il conducator, al riparo delle grandi manovre che i “capi” conducono altrove e su altri tavoli. Naturalmente, per il bene del movimento, dell’associazione, della diocesi o della parrocchia, ma non della Chiesa e nemmeno delle anime.
Capisco che tutto questo vi metta a disagio, cari amici. Ma l’avete voluto voi. Non c’è scelta più controcorrente che quella di usare la propria testa per seguire la Verità, specialmente dentro una Chiesa occupata dall’antichiesa. In tutto l’Orbe (ex)cattolico regna la stessa attitudine che circa settant’anni fa Giovannino Guareschi attribuiva agli italiani, i quali, spiegava lo scrittore, preferiscono alzarsi la mattina e trovare già tutto pensato. È su questo modello che Guareschi inventò il trinariciuto, il perfetto comunista con la terza narice praticata per far uscire il cervello dalla testa e far entrare le direttive del partito. L’eterna sindrome del militante che dice sempre e ovunque quello che pensa l’Unità. Ma la terza narice non è solo politica e non è solo comunista. È la tremenda tentazione dell’uomo che non vuole faticare e non vuole rischiare. Da questo punto di vista, non c’è peggior trinariciuto di quello cattolico, che, oltre che del cervello, si è scaricato anche dell’anima, cosicché gli va bene che il dio arcobaleno vada sugli altari in luogo del Dio cattolico, che la riforma protestante cassi il Concilio di Trento o che Giuda pontifichi al posto di San Pietro. L’ha detto il capo e dunque va bene. Non capisce, ma si adegua, come il Ferrini di “Quelli della notte”. Poi, a forza di adeguarsi, non si pone più neanche il problema di non capire.
Ma il vostro problema, cari amici, sta nel fatto che capite e non vi adeguate. Benedite Dio per una simile croce, perché è la sua Croce, quella che il mondo considera stoltezza. “La parola della croce” dice San Paolo nella Prima Lettera ai Corinti“infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio”.
Sta in questa stoltezza la nostra ragione, caro Federico e caro Lorenzo. Ce lo dice ancora San Paolo: “Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili. Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio. Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione”.
Qualche anno fa, a un amico sacerdote che cominciò a chiedersi che cosa stesse accadendo dentro la Chiesa, dissi di pensarci bene prima di avviarsi lungo quella strada, perché lo attendevano soltanto sofferenza, incomprensione, isolamento e rancore. D’altra parte, cari amici, che cosa può attendersi lo scandaloso granello che fa scricchiolare gli ingranaggi di una gioiosa macchina da guerra? Di essere schiacciato. Ma, siccome è un seme, poi germoglia.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo

“FUORI MODA” – la posta di Alessandro Gnocchi

Redazione14/12/2016

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