La diocesi di Milano si prepara alla visita di papa Francesco, prevista per il prossimo 25 marzo, e rilancia la forma comunitaria della Confessione. Amata dal card. Martini, ma che in passato ha portato ad abusi condannati da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Dopo più di un rinvio, sembra che questa sia la volta buona: la diocesi di Milano si prepara – di nuovo – alla visita del Santo Padre, prevista per il 25 marzo 2017, solennità dell’Annunciazione del Signore. Nell’auspicio che la visita di Francesco «non si riduca ad esperienza di una emozione intensa e passeggera», fanno sapere dal Consiglio episcopale milanese, «sarà opportuno che in ogni chiesa siano decisi e pubblicati orari di presenza assicurata del confessore e potrà essere fruttuoso che il sacramento della Confessione sia celebrato anche in forma comunitaria», così che «a nessuno manchi mai l’offerta della misericordia del Padre». Una modalità già sperimentata dal clero in Duomo il 4 novembre scorso, in occasione della solennità di san Carlo Borromeo.
«L’aspetto più importante di questo appuntamento è la scelta di vivere il sacramento della Confessione», sottolineava già allora il vicario episcopale per la formazione permanente del clero e segretario della Conferenza episcopale lombarda, mons. Mario Delpini. «Intendiamo proporre il Giubileo del clero ambrosiano come celebrazione penitenziale, cercando di valorizzare a pieno il senso ecclesiale, proprio del cammino di conversione». Un orizzonte comunitario particolarmente apprezzato dal card. Carlo Maria Martini.
«Ogni venerdì veda lo svolgersi di una celebrazione penitenziale comunitaria che aiuti il realizzarsi di un concreto itinerario di conversione; sarà questo, tra l’altro, un modo per valorizzare il senso della aliturgicità del venerdì di Quaresima nella tradizione della nostra liturgia», scriveva l’allora arcivescovo di Milano nella sua Lettera alla diocesi per la Quaresima 1984. «Sarà da prevedere, in particolare, la celebrazione in forma comunitaria del sacramento con la Confessione individuale. Ho chiesto agli uffici competenti la preparazione di un sussidio che faciliti la realizzazione di questi momenti». Proprio Martini, insieme ai cardinali Ballestrero, Magrassi e Pappalardo, nel 1983 si era già fatto portatore nel Sinodo dei vescovi di un percorso penitenziale da farsi durante la Quaresima, con incontri comunitari e un’assoluzione generale conclusiva. Mai approvato. Anzi, dallo stesso Sinodo sarebbe scaturita l’esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia di Giovanni Paolo II, che nel denunciare «la tendenza a offuscare il significato ecclesiale del peccato e della conversione, riducendoli a fatti meramente individuali, o viceversa, ad annullare la valenza personale del bene e del male per considerarne esclusivamente la dimensione comunitaria», condannava gli abusi della Confessione comunitaria impiegata ordinariamente.
Una posizione ribadita nel 2002 con il Motu proprio Misericordia Dei e nel 2006 dal successore Benedetto XVI, che in occasione della visita ad limina dei vescovi della Svizzera invitò a puntare su «una pastorale penitenziale che incoraggi la confessione individuale» e «a osservare rigorosamente le norme della Chiesa riguardanti l’assoluzione collettiva». Tappe di un lungo braccio di ferro che nel corso degli anni, ed in particolare dal 1974, anno della pubblicazione dell’Ordo paenitentiae, ha visto confrontarsi la Congregazione per la dottrina della fede, quella per il Culto divino e liturgisti, vescovi e sacerdoti che a più riprese hanno tentato esperimenti con la “terza forma” del rito, quella che prevede appunto l’assoluzione comunitaria, con modalità che in alcuni casi hanno oltrepassato quanto consentito dalla Chiesa.
In sintesi, sono tre le forme rituali del sacramento della Confessione previste dalla Chiesa: il Rito per la riconciliazione dei singoli penitenti, che è l’unico modo normale e ordinario della celebrazione sacramentale, nonché la forma più praticata, e prevede il colloquio in forma privata e segreta fra penitente e sacerdote, generalmente all’interno di un confessionale; il Rito per la riconciliazione di più penitenti, con la confessione e l’assoluzione individuali inserite in una più ampia celebrazione comunitaria della Parola di Dio, oggi per lo più limitato ad alcuni momenti di adunanza o a piccole comunità ecclesiali come, ad esempio, i neocatecumenali; infine il Rito per la riconciliazione di più penitenti, con la confessione e l’assoluzione generale, che si svolge in maniera comunitaria dall’inizio alla fine e che è ammesso solo in casi eccezionali di grave necessità, allorquando vi sia un imminente pericolo di morte o non siano disponibili confessori in numero sufficiente per ascoltare debitamente le confessioni dei singoli entro un tempo ragionevole (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1483). Questa terza forma, decisamente la più contestata, non è lasciata alla libera scelta, ma è regolata da un’apposita disciplina e non ha mai preso piede nella Chiesa, particolarmente in Italia.
L’Italia, anzi, è la patria della Confessione moderna. E se Trento è la culla della Confessione individuale, Milano lo è del confessionale. Se appare complesso tracciare una storia della Confessione – ma sembra confermata l’esistenza nella Chiesa primitiva di una confessione comunitaria dei peccati pubblici, perciò già noti, con conseguente pubblica penitenza, specialmente al termine di periodi forti, come la Quaresima – è certo che i confessionali, ovvero i luoghi deputati alla Confessione individuale, sono entrati a far parte dell’arredo delle chiese soltanto con il Concilio di Trento. Fu Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, a dare impulso alla loro diffusione, introducendoli dal XVI secolo nelle parrocchie della diocesi ambrosiana, primi modelli di una diffusione che sarebbe divenuta mondiale.
Perché continuare a discutere di Confessione collettiva, dunque? Certo non solo perché la Chiesa, a determinate condizioni, la consente. In un’epoca di confessionali vuoti– ma ne siamo proprio certi? – i sostenitori della “terza forma” non solo ritengono che essa potrebbe rappresentare una soluzione, ma che getterebbe anche le basi per un recupero del senso comunitario della fede. Proprio la Confessione collettiva, infatti, metterebbe in rilievo la dimensione sociale e comunitaria del peccato meglio della Penitenza individuale e – dicono – individualistica. Quest’ultima, poi, sarebbe anche particolarmente esposta alle differenze (talvolta ai limiti della contraddizione) fra confessore e confessore, soprattutto su alcuni temi caldi della matrimonialità e della sessualità.
Di contro, proprio il ruolo riservato alla comunità nella prassi penitenziale di alcune Chiese protestanti, ha più volte messo in guardia Roma circa il rischio di una “protestantizzazione” della Confessione. Anche il lungo percorso compiuto nell’attuazione delle indicazioni del Concilio Vaticano II circa il rinnovamento della celebrazione del sacramento della Penitenza non è privo di ombre. Particolarmente difficile si è mostrata finora la ricerca di un equilibrio fra la dimensione ecclesiale e quella personale della Confessione, dato che entrambe appartengono a questo sacramento, senza cedere a semplificazioni che attribuiscano la responsabilità delle colpe soltanto alla società deresponsabilizzando il singolo o, di contro, che isolino il penitente dal resto della comunità ecclesiale.
Cosa ne penserà Francesco? Figlio del Vaticano II come e più dei suoi predecessori e testimone diretto della dimensione sociale del peccato, il Pontefice incarna anche – per appartenenza gesuita – una via tradizionalmente individuale alla Confessione, come ha già dimostrato più volte durante il suo pontificato. Cosa sarà dell’esperienza di Francesco a Milano è presto per dirlo. Sempre ammesso che varchi finalmente il limes ambrosiano e quello della grande adunata al parco della Villa Reale di Monza.
7 Dic 2016 9.55
7 Dic 2016 9.55
Oggi nessuno si pente perché non sa di doversi pentire
https://gloria.tv/article/uSSiXjQazD862g4vNScHNrTfL
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Papa Francesco e il ruolo di Pietro che «accompagna la Chiesa, la lascia crescere, la ascolta, armonizza e restituisce»
(a cura redazione "Il sismografo")
Sinodalità, comunità, unità nella diversità. Sono questi altri temi approfonditi da Papa Francesco nell'intervista rilasciata al settimanale "Tertio", la ricchezza degli ultimi due sinodi sulla famiglia, che dopo un lungo lavoro di dialogo hanno prodotto l'esortazione apostolica Amoris laetitia, che vuole proprio essere un vivo esempio di armonizzazione di tutte quelle differenze che animano la Chiesa. Nasce dall'incontro e dalla sinodalità l'Esortazione post-sinodale, dal «movimento che va dall'alto in basso» e che ne ha sancito l'approvazione di più dei due terzi dei padri sinodali: custode e garante di questa unità è Pietro eAmoris laetita resta cum Petro e sub Petro. Segue il testo della domanda e risposta in italiano e spagnolo:
DOMANDA - A noi pare che Lei sta indicando il Vaticano II nei tempi di oggi. Ci indica vie di rinnovamento nella Chiesa. La Chiesa sinodale… Nel Sinodo ha spiegato la sua visione della Chiesa del futuro. Potrebbe spiegarlo per i nostri lettori?
https://cronicasdepapafrancisco.wordpress.com/2016/12/07/la-maggioranza-sinodale-silenziosa-e-manipolata/°
Papa Francesco e il ruolo di Pietro che «accompagna la Chiesa, la lascia crescere, la ascolta, armonizza e restituisce»
(a cura redazione "Il sismografo")
Sinodalità, comunità, unità nella diversità. Sono questi altri temi approfonditi da Papa Francesco nell'intervista rilasciata al settimanale "Tertio", la ricchezza degli ultimi due sinodi sulla famiglia, che dopo un lungo lavoro di dialogo hanno prodotto l'esortazione apostolica Amoris laetitia, che vuole proprio essere un vivo esempio di armonizzazione di tutte quelle differenze che animano la Chiesa. Nasce dall'incontro e dalla sinodalità l'Esortazione post-sinodale, dal «movimento che va dall'alto in basso» e che ne ha sancito l'approvazione di più dei due terzi dei padri sinodali: custode e garante di questa unità è Pietro eAmoris laetita resta cum Petro e sub Petro. Segue il testo della domanda e risposta in italiano e spagnolo:
DOMANDA - A noi pare che Lei sta indicando il Vaticano II nei tempi di oggi. Ci indica vie di rinnovamento nella Chiesa. La Chiesa sinodale… Nel Sinodo ha spiegato la sua visione della Chiesa del futuro. Potrebbe spiegarlo per i nostri lettori?
PAPA - La “Chiesa sinodale”, prendo questa parola. La Chiesa nasce dalle comunità, nasce dalla base, dalle comunità, nasce dal Battesimo; e si organizza intorno ad un vescovo, che la raduna, le dà forza; il vescovo che è successore degli Apostoli. Questa è la Chiesa. Ma in tutto il mondo ci sono molti vescovi, molte Chiese organizzate, e c’è Pietro. Quindi, o c’è una Chiesa piramidale, dove quello che dice Pietro si fa, o c’è una Chiesa sinodale, in cui Pietro è Pietro, ma accompagna la Chiesa, la lascia crescere, la ascolta; di più, impara da questa realtà e va come armonizzando, discernendo quello che viene dalle Chiese e lo restituisce. L’esperienza più ricca di tutto questo sono stati gli ultimi due Sinodi. Lì si sono ascoltati tutti i vescovi del mondo, con la preparazione; tutte le Chiese del mondo, le diocesi, hanno lavorato. Tutto questo materiale è stato lavorato in un primo Sinodo, che portò i risultati alla Chiesa; e poi si è tornati una seconda volta – il secondo Sinodo – per completare tutto questo. E da lì è uscita Amoris laetitia. È interessante la ricchezza della varietà di sfumature, che è propria della Chiesa. È unità nella diversità. Questo è sinodalità. Non calare dall’alto in basso, ma ascoltare le Chiese, armonizzarle, discernere. E dunque c’è un’Esortazione post-sinodale, che è Amoris Laetitia, che è il risultato di due Sinodi, dove ha lavorato tutta la Chiesa, e che il Papa ha fatto sua. Lo esprime in maniera armonica. È interessante: tutto quello che c’è lì [in Amoris laetitia], nel Sinodo è stato approvato da più dei due terzi dei padri. E questo è una garanzia. Una Chiesa sinodale significa che si dà questo movimento dall’alto in basso, dall’alto in basso. E nelle diocesi lo stesso. Ma c’è una formula latina che dice che le Chiese sono sempre cum Petro et sub Petro. Pietro è il garante dell’unità della Chiesa. È il garante. Questo è il significato. E bisogna progredire nella sinodalità; che è una delle cose che gli ortodossi hanno conservato. E anche le Chiese cattoliche orientali. È una loro ricchezza, e lo riconosco nell’Enciclica.
La maggioranza sinodale silenziosa e manipolata…
Il Santo Padre Francesco ha deciso di non rispondere direttamente e ufficialmente aiDubia dei quattro cardinali, tuttavia continua a farlo, trasversalmente, sempre attraverso interviste, quindi in modo poco ufficiale e al di fuori della “cattedra”, ossia, non imponendosi autorevolmente con il Magistero – che sarebbe vincolante per tutto l’urbe e l’orbe cattolico -, quanto piuttosto imponendo autoritariamente il proprio pensiero.
Questa è la volta di un’intervista al settimanale cattolico belga e riportata dal SIR – vedi qui – agenzia di informazione religiosa ufficiale, e poi sarà pubblicata dall’Osservatore Romano integralmente. La risposta del Papa – in sostanza: rispondo per NON rispondere – dice: “Tutto quello che c’è in Amoris laetitia, nel Sinodo è stato approvato da più dei due terzi dei padri. E questo è una garanzia…. Una Chiesa sinodale significa che si dà questo movimento dall’alto in basso, dall’alto in basso. E nelle diocesi lo stesso…”.
Ma ciò che i Padri sinodali approvarono fu un chiaro e distinto “NO” alla comunione ai divorziati-risposati mentre, l’atteggiamento del Pontefice e della conseguente esortazione, spinsero chiarissimamente dal lato opposto, ossia di quella minoranza che nei due Sinodi, facendo la voce grossa, volevano — e vogliono — imporre questa modifica fondata sulle opinioni e non sul Deposito della Fede. E del resto, tutto il grande problema della confusione, degli interventi e degli stessi Dubia, viene proprio da questa mancata chiarezza e da questa pretesa del gioco delle maggioranze.
Il primo è, appunto, la questione sinodale e della presunta maggioranza. È falso e fuorviante stabilire che dei sinodi possano modificare la dottrina dei Sacramenti a botte di maggioranze. Spiegava la questione l’allora Prefetto della CdF, il cardinale Ratzinger: «…. nella politica…. la minoranza deve chinarsi alla maggioranza, e questa minoranza può essere molto grande. (…) Più importante per la nostra questione è però un problema generale. Tutto quello che gli uomini fanno, può anche essere annullato da altri. Tutto ciò che proviene da un gusto umano può non piacere ad altri. Tutto ciò che una maggioranza decide può venire abrogato da un’altra maggioranza.
Una Chiesa che riposi sulle decisioni di una maggioranza diventa una Chiesa puramente umana. Essa è ridotta al livello di ciò che è plausibile, di quanto è frutto della propria azione e delle proprie intuizioni ed opinioni. L’opinione sostituisce la fede. (…)
La libertà, che noi ci aspettiamo con ragione dalla Chiesa e nella Chiesa non si realizza per il fatto che noi introduciamo in essa il principio della maggioranza. Essa non dipende dal fatto che la maggioranza più ampia possibile prevalga sulla minoranza più esigua possibile. Essa dipende invece dal fatto che nessuno può imporre il suo proprio volere agli altri, bensì tutti si riconoscono legati alla parola e alla volontà dell’Unico, che è il nostro Signore e la nostra libertà…» (Meeting di Rimini 1990).
È evidente che “la volontà dell’Unico” sulla questione dibattuta dai due Sinodi e dal Papa, è stata già espressa in Matteo 5,27; 31-32; e cap. 19, così come anche in Marco 10, 2-12 dove i discepoli rientrati in casa, non paghi forse della risposta di Gesù “lo interrogarono di nuovo” e Gesù, pazientemente, riconferma la medesima risposta. Qui, a fare i pignoli, il gioco della “maggioranza” la fecero proprio i farisei i quali imposero — a causa della durezza del cuore — il ripudio alla donna. Erano i Farisei che ai tempi di Gesù volevano difendere la loro maggioranza imposta a suon di leggi “in nome di Mosè”. Gesù viene ad annullare proprio questo giochetto delle maggioranze per rimettere al centro LA LEGGE DI DIO.
E visto che oggi è la festa di sant’Ambrogio, mettiamo proprio un suo passaggio importante sull’argomento: «Forse qualcuno potrà dire: “Ma allora perché Mosè ha comandato di dare il libello di divorzio e di licenziare la moglie?” (Mt 19,7 Dt 24,1). Chi parla in questo modo è giudeo, non è cristiano: egli obietta ciò che fu obiettato al Signore, e perciò lasciamo al Signore il compito di rispondergli: “Per la durezza del vostro cuore” – dice – “Mosè vi permise di dare il libello del divorzio e di ripudiare le mogli; ma all’inizio non era così” (Mt 19,8). Cioè egli dice che Mosè lo ha permesso, ma Dio non lo ha ordinato: all’inizio valeva la legge di Dio. Qual è la legge di Dio? “L’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà alla sua sposa, e saranno due in una carne sola” (Gn 2,24; Mt 19,5). Dunque chi ripudia la sposa, dilania la sua carne, divide il suo corpo» (Sant’Ambrogio, Exp. in Lc 8, 4-7).
Il secondo e breve appunto sono i Sacramenti, i quali NON possono essere fatti oggetto di maggioranze, perché non è così che i Padri hanno lavorato quando li offrirono alla Chiesa intera nel “deposito della Fede”. Si sta dando, oggi, l’impressione che la Chiesa in passato abbia agito da despota, da matrigna cattiva che senza ascoltare un sinodo abbia imposto queste leggi, ma questa è pura malafede e vigliaccheria! I Sacramenti e la loro disciplina per riceverli, non provengono da decisioni prese a tavolino.
I Sinodi si premunivano di rimuovere le eresie e quelle azioni che avrebbero piuttosto inquinato la dottrina sui Sacramenti. Così fece appunto l’ultimo grande sinodo, il Concilio di Trento, a riguardo dei Sacramenti minacciati dall’eresia Protestante. Questa fu ed è la vera garanzia anche per noi oggi!
Per concludere occorrerebbe ricordare al Santo Padre che se è vero che siamo “pecore”non siamo tuttavia privi del santo discernimento! Sappiamo bene cosa accadde in chiusura dell’ultimo sinodo, ben riportato dal prof. Roberto de Mattei e taciuto dagli altri organi di stampa (vedi qui) leggiamo questo passaggio:
«… la mattina del 23 ottobre, papa Francesco, che ha sempre seguito con attenzione i lavori,si è trovato di fronte a un inatteso rifiuto del documento redatto dalla commissione. Ben 51 Padri sinodali intervenivano nel dibattito, la maggior parte dei quali contrari al testo avallato dal Santo Padre. (…) Il documento non poteva essere certo ripresentato il giorno successivo in aula, con il rischio di venire messo in minoranza e di produrre una forte spaccatura. La soluzione di compromesso veniva trovata seguendo la via tracciata dai teologi del “Gemanicus”, il circolo che includeva il cardinale Kasper, icona del progressismo, e il cardinale Müller, prefetto della Congregazione della Fede. La commissione tra venerdì pomeriggio e sabato mattina rielaborava un nuovo testo, che veniva letto in aula la mattina di sabato 24 e poi votato, nel pomeriggio, ottenendo per ognuno dei 94 paragrafi la maggioranza qualificata dei due terzi, che sui 265 padri sinodali presenti era pari a 177 voti. (…) Discernimento e integrazione è il titolo dei numeri 84, 85 e 86. Il paragrafo più controverso, il n. 85, che fonda l’apertura verso i divorziati risposati e la possibilità per loro di accostarsi ai sacramenti – pur senza menzionare esplicitamente la comunione – è stato approvato con 178 voti a favore, 80 contrari e 7 astenuti. Un solo voto in più rispetto al quorum dei due terzi…».
È evidente di come l’esortazione sia stata poi sviluppata con un atteggiamento di sfida da parte di Bergoglio. Il documento che egli aveva avallato è stato infatti apertamente respinto dalla maggioranza dei Padri sinodali, quel 23 mattina… e fatto uscire dalla porta dal rifiuto dei vescovi, Papa Francesco lo ha fatto rientrare dalla finestra, attraverso l’imposizione di Amoris laetita scritta appositamente e volutamente in modo ambiguo, per trovare poi vescovi compiacenti alla sua scelta personale.
Perciò sia ben chiaro: non è affatto una maggioranza che ha elaborato l’esortazione papale, al contrario, si tratta proprio di una minoranza, di quella minoranza per altro rigettata dal sinodo, ma così agguerrita da mettere in crisi la Chiesa intera perché, occorre dirlo, il Papa è dalla loro parte e l’ha imposta alla Chiesa con l’esortazione.
Il Sinodo si espresse fedelmente alla dottrina, invece, come già ebbe modo di segnalare Benedetto XVI nella esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis, fino ad oggi mai citata da Papa Francesco, laddove disse chiaramente: «Il Sinodo dei Vescovi ha confermato la prassi della Chiesa, fondata sulla Sacra Scrittura (cfr. Mc 10, 2-12), di non ammettere ai Sacramenti i divorziati risposati, perché il loro stato e la loro condizione di vita oggettivamente contraddicono quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa che è significata ed attuata nell’Eucaristia» (n.29).
Concludiamo queste brevi riflessioni invitandovi a leggere questo articolo di Padre Giovanni Scalese: Referendum e… accompagnamento pastorale (vedi qui). L’argomento potrebbe esulare dalle nostre riflessioni, ma non è così, leggetelo, intanto vi lasciamo con queste sue parole che facciamo nostre: «È come se fossero divenuti ostaggi di una minoranza, esigua ma rumorosa, che impone a tutti la linea da seguire, facendosi forte del sostegno, vero o presunto, dei vertici della Chiesa…».
Buona solennità di Sant’Ambrogio a tutti!
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