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lunedì 5 dicembre 2016

Tapiro rosso

STORIOGRAFIA CATTOLICA SINISTRA

L’ermeneutica della discontinuità e le sue conseguenze: il caso Melloni. Cattolico progressista, inossidabile animatore della “scuola di Bologna” e vindice supremo di Dossetti padre nobile di tutti i cattocomunisti 
di Francesco Lamendola  
  

Alberto Melloni, classe 1959, reggiano, è considerato da alcuni, e si considera lui stesso, come uno dei massimi storici del Concilio Vaticano II, benché dello storico abbia tutto, tranne che l’obiettività, o, almeno, lo sforzo verso l’obiettività: cattolico progressista, agguerrito e inossidabile, animatore della cosiddetta “scuola di Bologna”, che sostiene l’ermeneutica della discontinuità – vedremo fra poco di che cosa si tratta -, non fa mistero del fatto di considerare “buono” tutto ciò che è andato, e che va, nella direzione indicata dai corifei dello “spirito conciliare”, e “cattivo” quel che vi si oppone, o che, semplicemente, mostra qualche dubbio o qualche perplessità. Buono, anzi ottimo, pertanto, è papa Francesco, così come lo è stato colui che ideò e convocò il Concilio, Giovanni XXIII; cattivi, Paolo VI, che lo chiuse “anzitempo” (?) e che, con la Humanae Vitae, mostrò addirittura di voler tornare indietro rispetto ai “traguardi” gloriosamente raggiunti; Giovanni Paolo II, decisamente conservatore e, per giunta, avversario della teologia della liberazione; e, naturalmente, Benedetto XVI, che osò perfino compiere qualche visibile passo indietro, come il ripristino parziale della Messa tridentina. Ma i giudizi più duri, più spietati, sono riservati ai tre Pio: a Pio X, che condannò solennemente il modernismo e che, per i suoi metodi autoritari, si può considerare il “precursore” dei moderni totalitarismi (niente di meno!); a Pio XI, che strinse con Mussolini i Patti Lateranensi; e a Pio XII, che fu, nell’insieme, un classico esponente di quella idea cattolica anticomunista e conservatrice, che Melloni considera, a quanto pare, la più sciagurata di tutte, e la più meritevole d’un biasimo inestinguibile.
Alberto Melloni si è autoproclamato il discepolo ideale, nonché il vindice supremo della memoria di Giuseppe Dossetti, il padre nobile di tutti i cattocomunisti di ieri e di oggi, colui che accarezzava l’idea di fondare un partito cattolico-laburista alla sinistra della Democrazia Cristiana (e forse anche del Partito Comunista). Nella sua crociata per riportare sulla scena la figura di questo grande “dimenticato”, Melloni si è prodigato in svariate iniziative editoriali e ha distribuito i suoi strali contro tutti i malcapitati, compresi gli stessi eredi politici di Dossetti, rei, a suo avviso, di averne “travisato” il pensiero, di non averne evidenziato a sufficienza la “centralità” nel quadro politico e ideologico italiano, di non condividere il suo ardente entusiasmo per questa figura scialba e ottusa, velleitaria e dogmatica, dell’ibrido cattolicesimo di sinistra.
Su Il Foglio di martedì 10 dicembre 2016 è uscito un articolo di Giovanni Tassani nel quale si offre al lettore un florilegio estremamente sintetico, ma quanto mai illuminante, delle idee-chiave del professor Melloni circa la storia recente della Chiesa cattolica in Italia.
Alcide De Gasperi? L’uomo della stabilità fine a se stessa; e, naturalmente, un conservatore (parola che, evidentemente, secondo l’ottimo professore, è già di per se stessa l’equivalente di una sentenza di condanna inappellabile).
Pio XII?  Il papa che ebbe la folle idea di sdoganare i fascisti nelle elezioni per Roma [quelle del 1952], d’accordo con Luigi Gedda che voleva, niente di meno, importare in Italia l’ideologia della Action Française. Se poi si aggiunge che fu lui, nel 1949, a fulminare la scomunica contro i “compagni” comunisti e socialisti…
Pio X? Colui che scatenò una repressione che, per i metodi di polizia segreta adottati, anticipa almeno un tratto del totalitarismo: una campagna che avrà come effetto quello di fabbricare un clero teologicamente scervellato, che segnerò in modo particolare l’Italia e il rapporto con tutti i conservatorismi, da quello sanguinario del fascismo a quello boccaccesco del berlusconismo (sanguinario, il fascismo italiano, che mandò a morte ventisette persone fino al 1940, e 26 dopo; mentre Stalin, nella gloriosa “patria dei lavoratori”, ne faceva fuori otto milioni? Basterebbe questa sola frase per capire di che stoffa sia fatta la storiografia di Melloni).
Si potrebbe continuare, ma crediamo che basti e avanzi. La faziosità iperbolica, quasi grottesca, di questi giudizi, si commenta da sé. Dire che Pio X precorse il fascismo a causa dei suoi sistemi di “polizia segreta” ha tanto fondamento storico, anzi, ancor meno, di quanto ne avrebbe definire papa Francesco uno strumento della Massoneria internazionale con il quale perseguire l’auto-demolizione della Chiesa cattolica. Oltretutto, Melloni non si abbassa a contestualizzare: non dice che il modernismo, pericolosissima eresia strisciante nella Chiesa, si insinuava subdolamente e vilmente (basti pensare alle Lettere di un prete modernista, piene di perfidi attacchi personali contro Pio X, che Ernesto Buonaiuti non ebbe mai il coraggio di riconoscere per sue, salvo poi levare alte strida come martire di una ingiusta persecuzione ecclesiastica, culminata nella scomunica). Eppure, senza questa contestualizzazione, anche i famigerati sistemi da “polizia segreta” di Pio X risultano incomprensibile, come potrebbero esserlo il capriccio di un tiranno irragionevole. Il fatto è che, per Pio X, la posta in gioco era altissima: la difesa della dottrina cattolica nella sua integrità e purezza; la Chiesa era in guerra, e nelle guerre non si può andar troppo per il sottile, specie se il nemico si nasconde e colpisce a tradimento. Ma anche per Melloni la posta appare alta: date le sue simpatie moderniste, è chiaro ch’egli ritiene la peggiore delle sciagure il fatto che il papa allora regnante non abbia fatto la minima apertura di credito ai modernisti. Un’ideologia contro l’altra, quindi: quella della Chiesa di Pio X, che era – anche questo va sottolineato – la Chiesa di sempre (Pio X non modificò in nulla la dottrina, semmai riformò intelligentemente alcuni aspetti della liturgia, e, in particolare, la musica sacra), dall’altra la Chiesa che avrebbe voluto, fin da allora, il professor Melloni; ma dove sono l’equanimità, la pacatezza, lo sforzo di obiettività dello storico? Ci pare che il giornalista Sandro Magister, tanto per fare un nome, che non è uno storico di professione, avrebbe però molte cose da insegnare a Melloni, in quest’ambito.
Dicevamo che merita un chiarimento la definizione della melloniana “scuola di Bologna” come sostenitrice dell’ermeneutica della discontinuità riguardo al Concilio Vaticano II. Si tratta di questo: da sempre, non solo gli storici, ma anche i cattolici un quanto tali, il clero e gli stessi papi succedutisi a partire da Paolo VI, si trovano schierati su due fronti opposti, fra coloro i quali sostengono che il Concilio si svolse nella continuità della tradizione cattolica, e coloro, come Melloni, che sottolineano i caratteri di discontinuità, se non proprio di esplicita rottura, rispetto alla Chiesa pre-conciliare. Questa posizione, insieme ad altre, che ne derivano o che la spiegano, fa sì che egli goda di molto credito proprio presso gli ambienti culturali progressisti che, la Chiesa, non l’hanno mai amata, e meno ancora amano la presenza cattolica nella società italiana, ma ai quali fanno tanto comodo personaggi come lui, che si prestano a interpretare, dall’interno di quella cultura, il suo volto “buono”, umano, fotogenico: tanto è vero che Melloni viene invitato molto spesso nei programmi culturali della terza rete televisiva, notoriamente comunista o neocomunista. Di rischiare di essere, quindi, poco più che un utile strumento nelle mani di quanti si propongono, da sempre, di cancellare le tracce della presenza cattolica nella società e nella cultura italiana, il professor Melloni non si dà pensiero: essere gradito ospite di quelle rubriche, evidentemente, e recarvisi con piglio cardinalizio, lo gratifica abbastanza da spegnere sul nascere, se pure ciò accadesse, qualunque scrupolo o sospetto di strumentalizzazione della sua presenza. Con ciò non volgiamo insinuare che non dovrebbe andarvi; chi è invitato, se si sente di andare, vada: Parigi val bene una Messa. Sarebbe cosa opportuna, operò, non andarci con l’atteggiamento che mostra il professor Melloni: quello di chi si trova ad una spensierata riunione tra amici, e oltretutto tra quelli che non dovrebbero essere considerati amici (in senso culturale e religioso), piuttosto che ad un insidioso dibattito storiografico; e che, invece di presentare i fatti nella maniera più spassionata possibile, porta vistosamente acqua al mulino delle proprie tesi: dossettiane, lazzatiane, vaticansecondiste, neomoderniste e cattoprogressiste. Detto ciò, bisogna aggiungere, per amore di verità e di completezza, che il suo caso non è affatto eccezionale, nell’odierno panorama della cultura cattolica: abbiamo visto e vediamo spesso pontificare, a quelle stesse rubriche, e con la stessa aria di complicità e, insieme, di palese compiacimento, fior fiore di vescovi, beninteso selezionati fra quelli debitamente progressisti, e più che disposti a ricevere l’imbeccata e ad insinuare malevole interpretazioni nei confronti dei loro colleghi “conservatori” e della idea di Chiesa che questi ultimi difendono.
Ma veniamo al nocciolo della questione: sostenere l’ermeneutica della discontinuità equivale ad affermare, esplicitamente, o, più spesso (come nel suo caso), implicitamente, che, dopo l’evento del Concilio Vaticano II, ha preso avvio una nuova Chiesa cattolica, diversa da quella preesistente; e che, non essendo tramontata subito la “vecchia”, si sono venute a creare, e a sovrapporsi, o a scontrarsi, e tuttora si scontrano, due differenti Chiese: quella tradizionalista e quella progressista. Il che equivale a dire che, nella Chiesa cattolica, è in atto, da oltre mezzo secolo, uno scisma, e sia pure uno scisma, per così dire, latente e strisciante. Ora, lo scisma è la peggiore sciagura che possa colpire la Chiesa: è l’equivalente della guerra civile nella storia di una nazione, Se ne rende conto, l’esimio professore? Si direbbe di no; e senza alcun dubbio, egli respingerebbe con sdegno l’equivalenza fra “discontinuità” e “scisma latente”. Eppure, se non si ha paura delle parole; se si sa guardare alle necessarie conseguenze di certi fatti e atteggiamenti; e se si possiede un sufficiente grado di onestà intellettuale, allora è ben difficile non giungere a una tale conclusione. Tanto è vero che Benedetto XVI, che quelle conseguenze le vedeva, da uomo intelligente qual era, sostenne sempre l’ermeneutica della continuità, anche a costo di qualche compromesso marginale: ma egli vedeva benissimo che ammettere una rottura fra la Chiesa di prima e quella di dopo il Concilio, equivale a riconoscere che la Chiesa attuale è qualcosa di sostanzialmente diverso da quella preconciliare. Il che implica immense conseguenze circa la questione della legittimità dell’una o dell’altra, per non parlare della spinosissima questione della divina ispirazione di essa: se lo Spirito Santo è presente nella Chiesa, quantunque peccatrice e umanamente fallibile, come ammettere una divaricazione come quella tacitamente ammessa dagli ermeneuti della discontinuità?
Qui bisogna essere franchi e smettere di nascondersi dietro un dito. È da troppo tempo che i cattolici progressisti lanciano il sasso e poi nascondono la mano; ora, poi, che si sentono forti e spalleggiati dal papa in persona, per la prima volta senza riserve e senza dubbi (i dubbi sono “uno scandalo”: queste le parole del Decano della Sacra Rota, monsignor Pio Vito Pinto, a proposito della lettera dei quattro cardinali Brandmüller, Burke, Caffarra e Meisner relativa alla Amoris laetitia, per i quali ha suggerito che il papa potrebbe punirli togliendo loro il cappello cardinalizio), la loro impudenza e la loro arroganza non conosce più freni, né senso del limite. Si sentono ormai liberi di dire e fare qualsiasi cosa, di lanciare qualsiasi accusa; di protestare apertamente per il fatto che Pio X sia stato innalzati alla gloria degli altari, e di suggerire punizioni esemplari per il clero dissidente rispetto a certe iniziative di papa Francesco. Continuano, però, a nascondere la mano per quel che riguarda l’essenziale: non vogliono, cioè, ammettere, che se è vero che essi, sulla scia del Concilio Vaticano II, o di una certa sua interpretazione estremista, rappresentano la “discontinuità” con la Chiesa cattolica preesistente, allora devono anche assumersi pienamente la tremenda responsabilità delle inevitabili conseguenze: lo scisma.
Ma tale è, ed è sempre stato, il nodo irrisolto, l’inconscio dilemma dei cattolici di sinistra. Bisogna che si decidano a saltare il fosso: o di qua, o di là. Non possono trascinarsi dietro eternamente le aporie di una condizione spuria, di un amalgama impossibile. Qualcuno diceva che non si possono servire due padroni nello stesso tempo. Ci sia consentita una similitudine, che non vuol essere offensiva, ma solo un po’ ironica. Alcuni psicologi dicono che la bisessualità non esiste: il bisessuale è solo un omosessuale non ancora convinto. Ebbene: anche noi vorremmo dire che il cattoprogressismo non esiste: il cattoprogressista è solo un progressista che vorrebbe tenere il piede in due staffe, perché non ha il coraggio di rompere gli ormeggi col Vangelo. E perché dovrebbe farlo, poi? È così piacevole sentirsi doppiamene a casa, con Marco Pannella e con papa Francesco. Il sogno del buon vecchio Hegel si realizza: la suprema sintesi dialettica, il superamento della tesi e dell’antitesi. Meraviglioso! Come diceva Pasolini: con Cristo, perché è l’amore, e con Marx perché è la giustizia. Pasolini, almeno, era sincero. I cattolici frequentatori dei salotti radical chic, invece...

L’ermeneutica della discontinuità e le sue conseguenze: il caso Melloni

di

Francesco Lamendola

1 commento:

  1. Bravo Professore! alla fine sono i soliti comunisti che non hanno l' onestà di dichiararsi per quel che veramente sono

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