ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 24 gennaio 2017

Gli eretici e gli apostati non ci sono più?

UN CASO DI COSCIENZA

    La Chiesa non espelle e non scomunica più nessuno: significa che gli eretici e gli apostati non ci sono più? Per inseguire un ecumenismo scriteriato si sta mettendo in pericolo l’unità della Chiesa e non si può più tacere 
di Francesco Lamendola  



È notte, gli uffici sono chiusi, tutti gli impiegati se ne sono andati a casa, da tempo, a godersi il meritato riposo. Solo il signor X, impiegato di modestissimo livello, si è fermato alla sua scrivania per smaltire del lavoro arretrato: anche se non molto apprezzato dai superiori, a causa della sua scarsa propensione alla modernità e alle innovazioni, in compenso è un uomo onesto e un lavoratore scrupolosissimo: il pensiero di avere del lavoro arretrato lo disturba profondamente, vuole mettersi a posto e chiudere tutte le pratiche aperte, non perché qualcuno gli stia con il fiato sul collo – semmai vorrebbero da lui un maggiore spirito d’iniziativa, un maggiore dinamismo, che comprende una certa quota di discrezionalità nel giudicare quali siano gli aspetti prioritari del suo lavoro – ma perché solo così si sente a posto con se stesso. Il signor X sta lavorando già da alcune oltre il normale orario d’ufficio, tutto è silenzio nei locali deserti, quand’ecco, ode una porta che si apre e dei passi, in corridoio, che a un certo punto si fermano, poi un’altra porta che si apre, ma non viene richiusa. Le videocamere, a quell’ora, sono spente: infatti, non dovrebbe esserci più nessuno, e, per ciò che riguarda le possibili minacce dall’esterno, bastano le telecamere fissate davanti all’ingresso della banca. Sì, perché il signor X lavora in una banca. Incuriosito, e anche un po’ allarmato, il signor X si alza e, badando a non far rumore, esce sul corridoio: vede subito la luce provenire dalla stanza del vicedirettore. La cosa si fa sempre più strana: in venti anni di lavoro, non lo ha mai visto tornare in banca, di notte, per nessuna ragione. Decide di non farsi vedere e di aspettare, al buio, quel che accadrà; dopo un poco, il vicedirettore esce, tenendo in mano una borsa, e si dirige con passo spedito verso il caveau, al piano sotterraneo, scendendo per le scale invece di usare l’ascensore e facendosi strada con una torcia elettrica, per non accendere la luce. Il signor X lo segue, sempre con la massima cautela, finché deve arrendersi davanti all’evidenza: il suo superiore sta facendo qualcosa non solo di molto irregolare, ma, quasi certamente, di losco.
Dopo aver disinnescato l‘allarme, digita il codice segreto, entra nel caveau, torna fuori due minuti dopo con la borsa ben gonfia, si guarda intorno per un attimo, poi si dirige velocemente verso l’uscita. Il signor X ha fatto in tempo a notare che indossa dei guanti di plastica, dunque è stato attento a non lasciare su alcun oggetto le sue impronte digitali. Dopo aver udito la porta d’ingresso chiudersi, il signor X resta lì, da solo, letteralmente instupidito, con il cuore che gli batte all’impazzata, la fronte imperlata di sudore, il respiro corto: non vorrebbe credere, letteralmente, a ciò che ha visto; preferirebbe pensare di aver sognato; si dà perfino un pizzicotto sulla guancia, come per destarsi da un brutto sogno. Ma è tutto vero, non è stato né un incubo, né un’allucinazione. E adesso, mio Dio, che cosa deve fare? Deve denunciare quel disonesto, naturalmente. Ma a chi? Alla polizia, al direttore? Sa che la strada giusta, o, almeno, la strada raccomandata dall’amministrazione, è quella di non spargere lo scandalo all’esterno; chissà, forse la cosa si può ancora, in qualche modo, rimediare; forse si può ancora chiarire. Il direttore, dunque: deve chiamarlo subito, deve informarlo di quanto è accaduto. Ma ecco che un terribile dubbio si insinua nella sua mente: verrà creduto? Non ha testimoni, non ha prove, niente tranne la sua parola: la parola dell’ultimo impiegato, contro quella del vicedirettore, stimatissimo nelle alte sfere, giovane, efficiente, simpatico, affidabile, con la fama di un uomo molto intelligente, molto capace e molto ricco d’iniziativa. A chi crederanno, fra loro due? E, se non crederanno al suo racconto, come verrà spiegata la mancanza del denaro che, certamente, è stato trafugato? Non c’era che lui, negli uffici deserti: gli altri impiegati lo hanno visto trattenersi lì. I sospetti cadranno proprio su di lui: disgraziatamente, essendo di turno alla camera di sicurezza, quella settimana – e solo quella settimana – anche lui è stato messo al corrente del codice segreto, che viene sempre rinnovato. Angosciato, il signor X non sa che fare.
Secondo caso. La donna delle pulizie di una grande ditta commerciale ha una relazione con un impiegato della dirigenza: lei è giovane e carina, e così, nonostante l’abisso sociale che li divide, sono diventati amanti. Nel fuoco della passione, lui le ha fatto delle rivelazioni scioccanti: fra le altre cose, che la ditta fornisce regolarmente materiali scadenti ai suoi clienti, specialmente quando si tratta di commesse statali, perché esiste una rete di complicità e connivenze con gli uffici dei clienti, una rete così ampia ed efficiente che comprende anche le autorità preposte ai controlli, compresi i rappresentanti locali della Guardia di Finanza, per non parlare dei politici e degli amministratori implicati nelle commesse. In pratica, si tratta di un vastissimo sistema clientelare che sfrutta il pubblico denaro per consentire facile guadagni a tutti quelli che ne fanno parte, mettendo a rischio la sicurezza e la salute degli ignari cittadini. La signorina Y, per quanto libera e spregiudicata nella sua condotta personale, non estende la sua mancanza di scrupoli alla sfera morale: quel che è venuta a sapere la riempie di sgomento, di rabbia, d’indignazione: per lei, che non guadagna neanche mille euro al mese lavorando duramente, e che in banca ha un conto corrente di poche centinaia di euro, quel che stanno facendo quei signori è semplicemente scandaloso. Un pensiero la tormenta: fare qualcosa. Ma che cosa? Lei, una umilissima donna delle pulizie, potrebbe mai puntare il dito contro dei pezzi grossi di una grande ditta commerciale, e, indirettamente, anche contro tutta una rete di pezzi grossi di altre ditte e della pubblica amministrazione? Oltre a inimicarsi terribilmente il suo amante, che non solo la pianterebbe all’istante, ma la minaccerebbe e, forse, la picchierebbe, le sue denunce, prive di qualunque elemento di riscontro, come verrebbero accolte? A chi dovrebbe rivolgersi? Chi sarebbe disposto a darle ascolto? E se capitasse proprio dagli stessi uomini che fanno parte della disonesta congrega? Le rovinerebbero la vita; la denuncerebbero per calunnia; la manderebbero in prigione. E dunque, che fare?
Terzo caso. A bordo di una grande nave da crociera è stato assunto, da poco, un nuovo aiuto-cuoco: l’ultima ruota del carro, come si dice, su un personale che comprende quasi duecento individui. Pelar patate non è un lavoro che conferisca prestigio, e, soprattutto, non offre prospettive di avanzamento; ma tant’è, quando si ha bisogno, si accetta qualunque lavoro onesto. Ora, un brutto giorno, il nostro aiuto-cuoco, chiamiamolo Z, un ragazzo di vent’anni, senza alcuna qualifica o referenza particolare, si trova, per puro caso, ad ascoltare una conversazione telefonica del comandante, che non ha mai visto se non di sfuggita, e col quale non ha mai avuto l’occasione di scambiare una sola parola. Da quello che ha sentito, Z. ha compreso una cosa sola, in mezzo a tante altre che gli sono rimaste oscure: che il comandante ha deciso di portare la nave sugli scogli, durante la manovra di avvicinamento al prossimo porto, perché è d’accordo, con alcuni suoi amici della società marittima, di attuare una truffa a danno della compagnia di assicurazioni. Si tratta di una cifra miliardaria: in ballo, però, c’è l’incolumità di circa mille persone che sono a bordo della nave, fra equipaggio e passeggeri. Da come parlava il comandante, pare che questo problema non interessi punto né a lui, né ai suoi amici: se ci saranno delle vittime, tanto peggio per loro; piuttosto, quel che lo preoccupa è di fare che le cose accadano in maniera tale da non creare spiacevoli conseguenze per lui, sul piani giudiziario. È già previsto che perderà il posto, ma, con la cifra che lo aspetta quando i suoi soci avranno intascato l’assicurazione, potrà rifarsi una vita e smettere di lavorare, per sempre. Da quel che l’aiuto-cuoco ha capito, si sta preparando una congiura per far ricadere la colpa sul comandante in seconda, in quanto è previsto che l’incidente accada durante il turno di notte, mentre il comandante sarà andato a riposare. Il macchinista, che fa parte del complotto, eseguirà male gli ordini, e poi addosserà la colpa al comandante in seconda. Un paio di falsi testimoni sono già stati istruiti in proposito. Per giunta, tutti sanno che al comandante in seconda piace bere, anche se, finora, ciò non ha mai influito sul suo lavoro. Sarà il capro espiatorio ideale. Il povero Z, da quando ha udito quella conversazione, non ha più avuto un istante di pace: non è preoccupato solo per la sua sicurezza, ma per quella di tutte le persone a bordo; se fosse solo per lui, gli basterebbe procurarsi per tempo un giubbotto salvagente: sarebbe l’unico a non rischiare nulla. Ma la sua coscienza non gli perdonerebbe mai di aver taciuto, davanti all’incombere di una tale minaccia sulla vita di tanta gente. E tuttavia che fare, con chi parlare? Un aiuto-cuoco, appena assunto, che accusa l’onorato comandante della nave, di un crimine gravissimo, peraltro non ancora commesso: chi mai gli crederebbe? Assurdo: gli riderebbero in faccia. Perderebbe il suo lavoro, senza ottenere niente di niente. E allora, come regolarsi?
Adesso lasciamo perdere la letteratura e passiamo alla realtà. C’è una cosa molto seria, che si chiama Chiesa cattolica: l’ha fondata Gesù in persona, il Figlio di Dio, e Dio Lui stesso, e l’ha affidata a Pietro ed ai suoi successori. Attualmente, essa comprende qualcosa come un miliardo e duecentocinquanta milioni di fedeli sparsi in tutto il mondo. Il messaggio che essa porta avanti, e che amministra con l’ausilio dei Sacramenti, cioè con l’aiuto soprannaturale di Dio stesso, ha dato speranza e significato alla vita d’immense moltitudini, nei duemila anni che vanno dalla sua fondazione. Molte persone vi hanno trovato una tale pace e una tale verità, da offrire la propria vita per difenderla e per testimoniarla. La sua importanza nella vita delle singole persone e in quella della storia mondiale è stata, ed è, semplicemente incalcolabile. Per duemila anni, essa ha insegnato il Vangelo, lo ha custodito, lo ha diffuso, lo ha spiegato, lo ha posto a fondamento della vita di tutti i credenti. Nel farlo, si è sempre ispirata ai due pilastri incrollabili della Scrittura e della Tradizione: e, così facendo, e  con l’aiuto dello Spirito Santo, non ha mai sbagliato sul piano dottrinale, anche se alcuni suoi membri hanno peccato sul piano personale, e ve ne sono che continuano a peccare anche al presente. Mai, però, neppure nei momenti più drammatici della sua storia, la Chiesa è caduta nell’apostasia o nell’eresia; mai ha insegnato dottrine erronee; e mai, in tal modo, ha posto in pericolo la salvezza delle anime. Vi sono stati dei papi, dei vescovi, dei sacerdoti e dei religiosi che hanno disonorato l’abito che indossavano, che hanno tradito il Vangelo, come Giuda tradì Cristo, e come san Pietro lo rinnegò, nel cortile del sommo sacerdote; mai, però, il Magistero della Chiesa cattolica ha insegnato dottrine erronee, mai ha deviato dalla verità della divina Rivelazione. Se alcuni pastori indegni sono stati di scandalo sul piano della condotta personale, mai nessuno ha osato essere di scandalo sul piano dell’insegnamento, portando i fedeli ad allontanarsi dalla Verità. E se pure qualcuno lo ha fatto, è stato prontamente espulso e scomunicato.
Oggi, e da tempo, la Chiesa non espelle e non scomunica più quasi nessuno. Ciò significa che gli eretici e gli apostati non ci sono più? Sarebbe troppo bello poterlo credere; ma non è così. La Chiesa non vive in paradiso; vive nel mondo: e, nel mondo, le debolezze umane non scompaiono, neppure fra la gente consacrata. L’orgoglio e la superbia intellettuale sono sempre in agguato: c’è sempre qualcuno che pretende d’interpretare il Vangelo a modo suo. Succedeva ai primordi della Chiesa, e ne parla anche san Paolo; succede pure oggi. Adesso, però, la cosa ha preso un’altra piega, assolutamente inedita: a deviare dalla dottrina cattolica non è questo o quel frate, questo o quel prete, questa o quella suora: è il vertice. Sono alcuni pezzi da novanta, cardinali, arcivescovi e vescovi; sono alcuni dei teologi più stimati (ma bisognerebbe vedere da chi), o, almeno, più pubblicizzati. E, quel che è peggio – infatti non era mai accaduto, con nessuno dei 265 papi precedenti – è il papa in persona. Non in modo troppo esplicito, per adesso: si tratta di una deviazione abile e sottile, dico e non dico, allusioni, sfumature, oggi qua, domani là: l’insieme, però, non lascia spazio a dubbi. Dopo circa quattro anni di pontificato (per più di tre dei quali siamo rimasti in silenzio, sempre più confusi, ma, comunque, disposti a mandar giù tutto, pur di non arrenderci all’inevitabile) si può e si deve concludere che papa Francesco sta deviando dalla dottrina cattolica e che sta cercando di trascinare tutta la Chiesa nella sua deviazione. Non volevamo crederci; abbiamo cercato di non crederci, per amore della Chiesa e per rispetto della figura del pontefice. Finché è stato possibile, abbiamo taciuto e tenuto per noi il nostro crescente turbamento, la nostra amarezza, il nostro sconforto. Non volevamo comunicarlo ad altri. E poi, chi eravamo noi per sollevare una questione così grossa, per formulare una denuncia tanto grave? A un certo punto, però, il caso di coscienza ci è apparso in una luce nuova. Non si trattava più di evitare uno scandalo alle anime sante; perché lo scandalo c’è già, e bisogna essere ciechi per non vederlo. Si trattava, e si tratta, della salute delle anime: salus animarum, suprema lex. Se un prete, un vescovo, o perfino un papa, danno scandalo con la loro condotta privata, certamente è un grave danno, ma non mette in pericolo la salvezza delle anime altrui. Se un prete, un vescovo o un papa, invece, insegnano una dottrina sbagliata, e fanno passare per verità cattolica una religione di loro invenzione, allora il pericolo c’è. E non si può tacere. Senza contare il pericolo per l’unità della Chiesa: mano a mano che lo scandalo cresce, cresce anche la possibilità d’uno scisma. Per inseguire un ecumenismo scriteriato, si sta mettendo in pericolo l’unità della Chiesa. È per questo che non si deve più tacere...

Un caso di coscienza

di Francesco Lamendola
http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=10919:un-caso-di-coscienza&catid=70:chiesa-cattolica&Itemid=96


DUE REGNI IN GUERRA TRA LORO

    I 2 regni sono la Chiesa e il mondo. Il mondo ha sempre odiato la Chiesa e cercato di combatterla e distruggerla. Che altro deve ancora accadere perchè i cattolici buonisti e dialoganti aprano finalmente gli occhi sulla realtà?di Francesco Lamendola  



Immaginiamoci due regni, che da moltissimo tempo stiano combattendo una guerra per disputarsi la sovranità su di un vasto territorio, ricco e popoloso: una guerra interminabile, estenuante, che si trascina da generazioni e generazioni, e della quale nessuno riesce a vedere una prossima conclusione. Tutti i tentativi di pace sono falliti, e i due sovrani, con i loro eserciti e con i loro popoli, sono tornati alle armo ogni volta con maggior determinazione, con una più strenua volontà di vittoria. Sono stati arruolati anche i giovanissimi, le donne hanno sostituito gli uomini in tutti i lavori dell'agricoltura, del commercio e dell'industria, sono stati contratti dei grossi debiti con i ricchi banchieri, e ogni singolo abitante è stato coinvolto negli scopi della guerra, nonché negli obiettivi della pace da conseguire attraverso di essa.
Poi, improvvisamente, uno dei due re decide di sospendere ogni offensiva, convoca i suoi generali e impone loro di non attaccare più, di restare con le armi al piede, anzi, di favorire una fraternizzazione fra le loro truppe e quelle del nemico. Solennemente, con aria compunta, egli dichiara loro che non c'è più alcun nemico, che si è combattuto invano e che le ragioni del buon vicinato, della solidarietà e della fratellanza umana devono prevalere. Aggiunge che bisogna estirpare sia nelle truppe, sia nella popolazione - e qui si rivolge ai suoi ministri - ogni spirito bellicoso; che bisogna riconvertire la produzione da tempo di guerra in quella del tempo di pace, che non si devono più fabbricare armi, ma aratri per il lavori dei campi. Infine, conclude dicendo che Dio li aiuterà nel nobile proposito di porre termine a così prolungate sofferenze, e che le generazioni future li benediranno e li ricorderanno con riconoscenza infinita.
Generali e ministri hanno ascoltato in silenzio; poi, come un sol uomo, escono dalla sala del consiglio e si affrettano ciascuno ad eseguire le istruzioni ricevute. I generali riuniscono le truppe, le informano delle decisioni del sovrano, incominciano a smobilitarle; ed esse, incredule e festose, si mettono senza indugio sulla via di casa. I ministri ritornano ai loro uffici e cominciano a diramare le nuove disposizioni; ovunque ci si abbandona alla gioia per la fine della guerra, sfilate di ringraziamento percorrono le strade, e inviti amichevoli vengono rivolti agli ex nemici, affinché vengano anch'essi e partecipino all'esultanza generale. Intanto ogni generale e ogni ministro incomincia a comportarsi come se fosse un piccolo sovrano, emana nuove disposizioni, prende decisioni autonome. Le truppe e la popolazione, a loro volta, formano degli organismi rappresentativi spontanei, e tutti incominciano a parlare in pubblico, a proporre modifiche a questa o quella legge, a suggerire riforme e novità: tutto questo con l'approvazione del sovrano, il quale, anzi, pur conservando la forma di governo della monarchia assoluta, ma solo sulla carta, non si stanca di incoraggiare forme sempre più avanzate di autogoverno, esperimenti sociali sempre più radicali, che investono ogni forma della vita pubblica.
In tanta esultanza, in tanta festa, c'è, però, qualcosa che non torna. Il nemico non ha smobilitato il suo esercito, non ha riconvertito le proprie attività produttive da quelle di guerra a quelle di pace. Continua, al contrario, a fabbricare armi, continua a richiamare sempre nuovi giovani nelle file dell'esercito. Il sovrano di quel regno non ha deposto affatto l'obiettivo di vincere la guerra e d'impadronirsi del vasto territorio conteso fra le due nazioni. La popolazione non si gode i vantaggi della pace, ma pregusta i frutti della prossima vittoria: molti progettano di trasferirsi nel regno vicino, non appena questo sarà stato occupato, e di sfruttarne le ricchezze a proprio vantaggio. Intanto, spie e sabotatori percorrono il regno che ha deposto le armi e sobillano i suoi abitanti a trastullarsi sempre più fiduciosamente nell'idea che la guerra sia finita per sempre, che non vi sia più nulla da temere e che non c'è ragione alcuna per stare in guardia contro eventuali sorprese. Alcuni ministri e generali si sono segretamente accordati con il re bellicoso, ne hanno ricevuto denaro e promesse, e ora, spronati dall'avidità e dall'ambizione, non tralasciano alcun mezzo per fiaccare ogni residuo di spirito combattivo e per favorire la diffusione di ogni sorta di vizio e di dissolutezza, affinché il regno sprofondi nella lussuria e nella gozzoviglia.
Soltanto pochissimi soldati e un unico comandante hanno accolto l'annuncio del re convertitosi alla pace, con stupore, sconcerto, angoscia. Sanno bene che il nemico non nutre gli stessi sentimenti di pace, però vedono che nessuno ha osato dirlo; constatano che non una sola voce si è levata, in quel fatidico consiglio, per ammonire il re contro i pericoli gravissimi insiti nella sua decisione unilaterale. Una guerra non finisce così, da un giorno all'altro, solo perché uno dei due contendenti ha deciso che non vale più la pena di combatterla: una guerra finisce quando uno dei due regni prevale sull'altro, oppure quando entrambi i sovrani si accordano per stipulare, di comune accordo e con eguale volontà, un vero e proprio trattato di pace. Ma qui non c'è stato alcun trattato, l'esercito nemico è intatto e pronto a scattare all'offensiva, nulla fa pensare che da lì possa venire un sincero desiderio di affratellamento. Le ragioni del contendere esistono tuttora, ed è assurdo pensare che si sia combattuto tanto a lungo senza ragione alcuna. Quell'unico comandante che è rimasto al suo posto, è stato criticato e deriso dagli altri; il re, alla fine, lo ha destituito e gli ha ordinato di allontanarsi. Fra le truppe, pochi reparti sono rimasti negli accampamenti, decisi a vigilare per difendere il paese, se le truppe nemiche sferreranno un'offensiva: cosa che molti segnai fanno pensare sia imminente. Ma quei pochi reparti sono isolati, e, alle loro spalle, non hanno né le simpatie, né il sostegno della popolazione. Al contrario: essi vengono visti come degli irriducibili amanti della guerra, che non vogliono rassegnarsi all'avvento della pace; e perciò sono odiati, vilipesi, calunniati. Sono doppiamente soli: soli di fronte al nemico, soli nella loro stessa patria.

E ora proviamo ad illustrare il significato di questa parabola.
I due regni sono la Chiesa e il mondo. Che siano in guerra, e che lo siano sempre stati, lo hanno sempre saputo entrambi: come vide bene sant'Agostino, tutta la storia umana, dall'avvento di Cristo in poi, è stata una lunga battaglia fra la Città di Dio, retta dall'amore, e la città dell'uomo, retta dall'egoismo. Il mondo lo ha sempre saputo e ha sempre odiato la Chiesa; ha sempre cercato di combatterla e distruggerla, ora assalendola dall'esterno, con calunnie, persecuzioni e guerre (che proseguono tuttora, se qualcuno se ne fosse dimenticato: mancano all'appello, negli ultimi tre o quattro anni, alcuni milioni di cristiani della Siria, dell'Iraq e di altri Pesi dell'Asia anteriore), ora infiltrandola e avvelenandola dal'interno, con eresie, scismi, apostasie. Anche la Chiesa, da parte sua, è sempre stata consapevole sia della guerra, sia della posta in gioco, e quindi del pericolo; e si è sempre regolata di conseguenza, difendendosi sia contro i nemici esterni, sia contro quelli interni. Talvolta lo ha fatto con severità eccessiva; talvolta, per difendersi, è passata all'attacco per prima, come nel caso delle Crociate; mai, però, ha smarrito la coscienza che il nemico la insidiava da ogni parte e che ogni distrazione, ogni debolezza, sarebbero stati poi pagati a carissimo prezzo. Non si è trattato solo di una difesa armata; crociate ed Inquisizione non sono state le sue sole armi; al contrario: la difesa principale è stata affidata all'istruzione dottrinale, per custodire la verità del Vangelo, e alla cura verso la santificazione quotidiana, dando il buon esempio e vigilando per proteggere i buoni costumi e la vita morale.
Poi è arrivato il Concilio Vaticano II. Pio XII ne aveva avuto l'idea, ma vi aveva rinunciato: non perché vecchio e malato, ma perché conscio del pericolo. Sapeva quanto la massoneria si fosse già infiltrata nella Chiesa, e, infatti, aveva dato a don Luigi Villa l'incarico di indagare per snidarla e denunciarla. Sapeva anche che alcuni vescovi e teologi di tendenza modernista non aspettavano altro per forzare la Chiesa su di un binario nuovo, per imprimerle la svolta da essi desiderata, rompendo con la Tradizione e iniziando una sottile, graduale, paziente opera di re-interpretazione della Scrittura, in senso semi-protestante. Sapeva anche che esponenti degli altri culti e delle altre religioni erano pronti, anch'essi, a sfruttare vecchi e nuovi sensi di colpa dei cattolici per i tragici eventi del XX secolo, e specialmente per il dramma del popolo ebreo: lui stesso, il papa, era stato oggetto di una perfida campagna denigratoria incentrata sul suo presunto "silenzio" davanti al genocidio perpetrato dai nazisti. Ma quando morì e venne eletto Giovanni XXIII, che pure era anziano e malato anche lui, ogni remora cadde, e le forze potenti che premevano per la convocazione del concilio, prevalsero. Nessuno saprà mai con assoluta certezza fin dove arrivassero le intenzioni di papa Roncalli, e fin dove le cose andarono oltre le sue previsioni e i suoi desideri. E non c’è bisogno, crediamo, di specificare chi sia stato quell’unico generale che non volle disarmare davanti al nemico: tutto di lui si può dire, ma non che sia stato un eretico; al contrario, egli fu l’esatto contrario di un eretico: chiese semplicemente di poter seguitare a servire Dio così come la Chiesa cattolica aveva sempre fatto, e sempre insegnato che si dovesse fare. A partire da quel momento, gli eventi presero un ritmo sempre più veloce, quasi frenetico: un vento di novità, una febbre di cambiamento squassò la Chiesa, dal vertice alla base; vi fu quasi una gara, fra i teologi e i vescovi più "avanzati", per spingersi sempre più innanzi, sempre più lontano dalla Tradizione, con il generoso e volonteroso supporto dei mass media, a loro volta indottrinati dalle forze occulte anticristiane. Ogni aspetto del cattolicesimo ne fu investito: non fu solo una riforma liturgica (e architettonica, tale da deturpare migliaia di chiese, cattedrali e abbazie millenarie), ma una rivoluzione totale, anche se quella decisiva - ossia quella dottrinale - venne attuata con eccezionale abilità e cautela, anzi, venne perfino negata, e questo mentre la si portava avanti, tenacemente, subdolamente, giorno dopo giorno, anno dopo anno. 
Sappiamo bene che parlare di "guerra" fra la Chiesa e il "mondo" suona male, malissimo, ai delicato orecchi di tutti i cattolici progressisti e neo-modernisti (questi ultimi li chiameremo ancora così, per praticità, ma sia chiaro che il modernismo è un'eresia e quindi che i modernisti non sono dei veri cattolici, ma degli anti-cattolici), e che essi rifiutano ogni metafora bellicosa, ogni accostamento, sia pure simbolico, fra la Chiesa e un esercito combattente. Si tratta di un problema loro. La verità è che la guerra esiste, anche se il "mondo" che odia la Chiesa, per usare le precise parole di Gesù (se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me), e contro il quale la Chiesa è, di fatto, in guerra, che piaccia o che non piaccia ai preti di sinistra, come padre Turoldo o come i vari don Gallo, non è tutto il mondo, ma quella parte di esso che è incompatibile con il Vangelo, perché fondata sull'amore di sé e sulla pretesa di fare dell'uomo il dio di se stesso. Perciò, tanto peggio per quei cattolici che non vogliono prendere atto della realtà, e che predicano il dovere di abbracciare tutti, anche coloro che odiano la Chiesa e vorrebbero vederla distrutta: si comportano esattamente come quel re di cui abbiamo parlato sopra, e come i suoi ministri e generali, inebriati dall'idea di una pace illusoria, di una fratellanza  artificiale e improvvisata, ma soprattutto irrealistica. Che altro deve ancora accadere, che non sia già accaduto, se non basta nemmeno che dei nemici di Cristo entrino in chiesa e sgozzino il sacerdote sull'altare, perché codesti cattolici buonisti e dialoganti aprano finalmente gli occhi sulla realtà? Ma tant'è: i pastori infedeli presenti nel clero cattolico, i cattivi teologi, e i cardinali e vescovi massoni, non metteranno mai le carte in tavola, non si presenteranno mai per quel che sono realmente. Seguiteranno a fingersi cattolici e a fingere che, nella Chiesa, nonostante la loro opera nefasta, non sia ambiato niente: mentre è cambiato quasi tutto, e, soprattutto, è cambiato l'essenziale.
L'essenziale è Dio, la sua presenza viva e vera: e questa presenza, nel cattolicesimo, è data dall'Eucarestia. Quando un cattolico entra in chiesa, per prima cosa cerca, o dovrebbe cercare, con lo sguardo, la lampada rossa che indica, sull'altare, la presenza del Santissimo. Ora in molte chiese non si capisce più dove sia il Santissimo; il tabernacolo è stato spostato, quasi nascosto; e in alcune, ahimè, già comincia ad essere spenta quella luce benefica, quella luce soprannaturale. Già alcuni teologi, che pur si definiscono ancora cattolici, incominciano ad insinuare che, nell'Ostia consacrata, non c'è la presenza reale di Gesù Cristo, ma che si tratta di una presenza simbolica: in altre parole, si stanno adoperando per eliminare Dio dalla Messa, e quindi per eliminare la presenza viva di Gesù tra i fedeli, e, con ciò, tutto il valore ed il significato della Messa. Questa, ormai, è la posta in gioco: e se siamo arrivati a questo punto, è perché, a partire dal Concilio Vaticano II, è stato permesso ai lupi travestiti da agnelli di spargere la loro zizzania in mezzo al grano, e di lavorare occultamente, ma con audacia sempre più esplicita, per demolire le fondamenta stesse del grandioso edificio, che Gesù in persona ha fondato due millenni or sono. Se, Dio non voglia, le cose proseguiranno secondo il ritmo attuale, arriverà presto il momento profetizzato da Pio XII: l'avvento di una Chiesa senza Cristo, di una religione senza Dio, di una redenzione senza conversione. E' davvero questo che vogliamo?
Forse ai signori ecumenisti postconciliari, ai sostenitori entusiasti degli incontri e delle marce inter-religiosi di Assisi, ai devoti ascoltatori di Enzo Bianchi ed estimatori della comunità di Bose, farebbe bene rileggersi questo solenne ammonimento (non è una semplice affermazione, non è una opinione personale: è un monito vero e proprio) di papa Leone XIII, che pure, forse per via della Rerum Novarum, viene solitamente gabellato dai modernisti per un pontefice progressista, secondo i loro desideri:
Che ognuno eviti qualsiasi rapporto con coloro che si nascondono dietro la maschera della tolleranza, del rispetto di tutte le religioni, della mania di conciliare le massime del Vangelo con quelle della rivoluzione, Cristo con Belial, la Chiesa con lo stato senza Dio.
Sono parole piuttosto chiare, e anche abbastanza forti: non è vero? 




C’erano due regni in guerra fra loro…

di

Francesco Lamendola

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