ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 23 gennaio 2017

In questo tempo di lupi

Il “senso della Chiesa” e il “senso del soprannaturale” 



A scorrere, anche velocemente, quanto abbiamo scritto in questi ultimi anni e quanto abbiamo riportato di ciò che è stato scritto da altri, si coglie un richiamo ricorrente a ciò che si è inteso chiamare “senso della Chiesa” e “senso del soprannaturale”. E cioè quel sentire che tiene sempre presente il valore soprannaturale della Chiesa e la necessità di appartenervi e di aderirvi, unito a quel sentire che considera sempre necessario uniformare i propri pensieri e le proprie azioni al convincimento che tutto è comunque retto dalla volontà di Dio e che quindi ogni cosa umana, sia pure la più inverosimile, è affidata alla misericordia e alla volontà di Dio attraverso la Sua Divina Provvidenza, soprattutto riguardo a quelle problematiche che umanamente appaiono irrisolvibili.

Non scriviamo questo in vista di un’analisi teologica o semplicemente logica del significato di queste due espressioni: non è nostra intenzione, né questo rientra nelle nostre modeste capacità e possibilità di semplice fedele, diciamo così, della strada.
Lo scriviamo in vista delle pratiche considerazioni che sono proprie del fedele comune e che in questi anni hanno prodotto e ancora producono tante perplessità comportamentali e tanti dubbi decisionali, di fronte allo stato invero disastroso in cui si presenta oggi la Chiesa cattolica, non in quanto opera di Nostro Signore, ma in quanto organismo retto e diretto da uomini di Chiesa che hanno dimostrato e continuano a dimostrare che si possa sentire, pensare ed agire non in conformità con l’insegnamento millenario della Chiesa, espresso anche ultimamente dai Papi fino all’avvento e al compimento del concilio Vaticano II.
In breve, se si è parlato e si continua a parlare di grave crisi nella Chiesa, lo si è fatto a partire dai pronunciamenti del Vaticano II e soprattutto dalle inevitabili conseguenze che questi hanno prodotto, tutte riconducibili non a teoriche e ipotetiche supposizioni, ma a tangibili e accertate parole, azioni e comportamenti delle massime autorità ecclesiali: papi, cardinali e vescovi.

Tale stato di cose è talmente noto ai fedeli che sembrerebbe inutile richiamarlo, se non fosse che esso ha prodotto e continua a produrre una vasta diatriba, soprattutto in ordine alla pratica reazione che si è inevitabilmente prodotta fin da dopo la conclusione del Vaticano II e che si è concretizzata principalmente intorno all’azione di Mons. Marcel Lefebvre che, non solo fondò appositamente la Fraternità Sacerdotale San Pio X, ma mise in essere le condizioni perché essa potesse continuare ad esistere e a perseverare nella sua azione contenitrice e riparatrice anche dopo la sua morte. Come di fatto è avvenuto.
Ne consegue che parlare della crisi nella Chiesa e delle sue eventuali possibili soluzioni, significa parlare anche della Fraternità e delle sue azioni e decisioni.

E’ in questo contesto che si è parlato di “senso della Chiesa” e di “senso del soprannaturale”, soprattutto a partire dalle considerazioni che sorgono nei fedeli rispetto alle decisioni che prende via via la Fraternità riguardo alla detta crisi e riguardo alla sua posizione rispetto all’autorità ecclesiale. Posizione che ultimamente ha finito col focalizzarsi intorno ad un suo riconoscimento canonico ufficiale, richiamando peraltro un’esigenza che esisteva già con Mons. Lefebvre fin da quando la Fraternità venne ufficialmente e unilateralmente considerata sciolta dal vescovo diocesano competente.

Ora, se si volesse tenere presente in primis il detto “senso della Chiesa”, considerando che la Chiesa, oltre ad essere opera soprannaturale di Nostro Signore, è anche ciò che visibilmente è noto ai fedeli in capo ai suoi responsabili con in testa il Papa, se ne dovrebbe dedurre che ciò che dicono e fanno i papi e i vescovi è tutt’uno con ciò che fa la Chiesa stessa, tale che tutta la questione a cui abbiamo accennato fin qui sarebbe una mera questione di uomini immaturi mancanti peraltro del “senso della Chiesa”.
Il Vaticano II, le sue applicazioni e le sue conseguenze, non sono altro infatti che opera della Chiesa e dovrebbe essere quindi inconcepibile che si possa sottoporre anche solo ad esame quest’opera come è stata portata avanti fino ad oggi dai papi e dai vescovi, che sono la Chiesa.
Se questa logica fosse fondata e legittima, anche la stessa opera di Mons. Lefebvre rientrerebbe nell’ottica di “mancanza di senso della Chiesa”.
Ma allora la domanda è: com’è possibile che si possa avere il “senso della Chiesa” e al tempo stesso, non solo analizzare, ma anche criticare e perfino contrastare e rigettare, l’operato della Chiesa nelle persone dei papi e dei vescovi, come è stato col Vaticano II e il suo seguito?
Domanda che non si pone solo per oggi, ma che interessa anche e principalmente Mons. Lefebvre e la sua Fraternità.
Com’è possibile che Mons. Lefebvre avesse il “senso della Chiesa” eppure abbia parlato ed abbia agito in contrasto con la Chiesa stessa nelle persone dei papi e dei vescovi e di ciò che questi hanno predicato, insegnato e praticato?
O questa domanda è speciosa e malvagia o ha una ragion d’essere. E siccome ha una ragion d’essere fin troppo evidente, e deve avere anche una risposta, si deve concludere che è proprio il “senso della Chiesa” che ha permesso e permette l’esistenza della critica e del rigetto di ciò che ha fatto la Chiesa in questi cinquant’anni nelle persone dei papi e dei vescovi.
Si deve concludere che è proprio in forza del “senso della Chiesa” che Mons. Lefebvre e la Fraternità hanno fatto bene e fanno bene a criticare e a rigettare quanto fatto dalla Chiesa nelle persone dei papi e dei vescovi.

Questa conclusione, per quanto possa sembrare in contrasto col “senso della Chiesa”, è invece in perfetta coerenza con esso, fino al punto che è proprio tale “senso della Chiesa” che impone la critica e il rigetto di quanto fatto dalla stessa Chiesa nelle persone dei papi e dei vescovi in questi ultimi cinquant’anni. E questo perché il “senso della Chiesa”, per essere realmente tale, può essere solo relativo al bene della Chiesa come l’ha creata e voluta Nostro Signore, indipendentemente da come l’abbiano gestita in questi duemila anni gli uomini preposti alla sua guida. Gli uomini passano, la Chiesa rimane.
Questo significa che, proprio perché si ha il “senso della Chiesa”, ci si trova a volte a criticare e a rifiutare ciò che fanno gli uomini che la rappresentano, papi compresi. E ci si trova costretti a farlo nonostante il Papa che, in teoria, dovrebbe essere tutt’uno con la Chiesa stessa. E diciamo “dovrebbe” perché i fatti dimostrano che in pratica tanti papi, e in primis quelli succedutisi da dopo il Vaticano II, hanno detto e fatto ciò che non corrisponde al bene della Chiesa; al punto da suscitare critica e rigetto e da imporre la necessità di ribellarsi ad essi se, mantenendo il “senso della Chiesa”, si vuole perseguire il suo bene e il bene dei fedeli, con in primis la salvezza delle loro anime, che è la suprema legge della Chiesa.

Ora, questa riflessione sul significato pratico del “senso della Chiesa”, non implica solo la considerazione di ciò che possono pensare o fare i fedeli in relazione alla crisi nella Chiesa, ma comporta il dovere di tenere presente tale “senso della Chiesa” anche in relazione a ciò che attiene alle decisioni della Fraternità circa il suo eventuale riconoscimento canonico.
Sarebbe, tale riconoscimento, rispondente al “senso della Chiesa” o corrisponderebbe solo al desiderio, alle aspettative e alle vedute, ancora una volta, degli uomini che compongono e dirigono la Fraternità?
La domanda non è infondata, poiché la diatriba che è nata in proposito non è una mera esercitazione salottiera di sfaccendati da sagrestia, ma una problematica che ha coinvolto e coinvolge la vita stessa di tanti sacerdoti e di tanti fedeli che per decenni hanno preferito l’ostracismo e l’etichettatura di “scismatici”, al quieto vivere di un’inaccettabile convivenza con l’operato e la predicazione attuate dagli uomini di quella stessa Chiesa di cui i primi hanno uno spiccato “senso”.

E’ possibile che tale “senso della Chiesa” possa condurre ad una contraddizione tra il perseguimento del bene della Chiesa e un certo comportamento che implica una separazione dalla Chiesa ufficiale, ma tale contraddizione è solo apparente, poiché se il rigettare la Chiesa ufficiale scaturisce espressamente dal possedere il “senso della Chiesa” è perché la Chiesa ufficiale, negli uomini che la rappresentano, si trova di fatto essa in uno stato di separazione con la Chiesa cattolica come l’ha voluta Nostro Signore. Al punto che, avendo davvero il “senso della Chiesa”, diventa necessario e doveroso mantenersi lontani dalla Chiesa ufficiale, sia per criticarne l’operato sia per rigettarlo.
Non si tratta affatto di volontà di “scisma” o di “scisma” pratico, ma della logica conseguenza di uno stato di fatto. Al punto che se le cose non stessero così, ne deriverebbe inevitabilmente che, non solo ogni critica ed ogni rigetto sarebbe illegittimo e anticattolico, già a partire dagli anni del Vaticano II, ma addirittura sarebbe infondata la stessa cosiddetta “crisi nella Chiesa”.

Ora, siccome la crisi nella Chiesa è anch’essa un dato di fatto, riconosciuto dagli stessi uomini della Chiesa ufficiale già a ridosso del Vaticano II, è giocoforza concludere che il “senso della Chiesa” comporta legittimamente, coerentemente e cattolicamente il rifiuto dell’operato dei moderni uomini di Chiesa e la necessità di stare lontani da essi sia come semplici fedeli sia e soprattutto come organismo ecclesiale come la Fraternità San Pio X.
Il contrario, non solo non è possibile, ma porta alla intrinseca conseguenza che far parte della struttura della Chiesa ufficiale equivalga a partecipare alla crisi in atto e, se possibile, ad accentuarla col far venir meno, o anche solo col mitigare, la critica e il rigetto.

Detto questo, è doveroso tenere presente la possibilità, che noi riteniamo impossibile, che un eventuale inglobamento nella struttura della Chiesa ufficiale possa permettere ai componenti e ai capi della Fraternità, di incidere nel tessuto umano degli attuali uomini di Chiesa, al punto da concorrere, con l’aiuto di altri ecclesiastici di buona volontà, al raddrizzamento delle sorti attuali della Chiesa e all’avvio di una soluzione della crisi.
In questa ottica si introduce l’altro concetto di “senso del soprannaturale”, che considera che, nonostante un’operazione come quella appena abbozzata sembrerebbe umanamente impossibile, dal punto di vista soprannaturale, e cioè con l’aiuto di Dio, l’operazione non solo sarebbe possibile, ma addirittura auspicabile: una sorta di predisposizione del tipo, aiutati che Dio t’aiuta.

Non neghiamo che la cosa abbia un certo fascino, come peraltro tutte le cose che si muovono su un piano che vuole prescindere dalla mera valenza umana, ma sentiamo istintivamente che lo stesso ragionamento, e lo stesso fascino, potrebbero valere per l’opzione opposta.
Intendiamo dire che avere “il senso del soprannaturale” non implica necessariamente che esso possa valere solo nel caso della Fraternità inglobata nella struttura della Chiesa ufficiale, ma, proprio in forza dello stesso “senso del soprannaturale”, debba valere anche nel caso della Fraternità che rigetta la struttura della Chiesa ufficiale e rimane per conto suo, nonostante tutto, fidando nell’aiuto di Dio perché il suo esistere e il suo operare possano di per sé aiutare la Chiesa ufficiale a ritrovare il vero senso della Chiesa con la sua tradizione, la sua dottrina, la sua liturgia e il suo innato rigetto delle innovazioni che la stravolgono e la trasformano in tutt’altro che la Chiesa voluta da Nostro Signore.
Se di “senso del soprannaturale” si tratta, sarebbe davvero fin troppo naturale e fin troppo umano, ritenere a priori che questa seconda possibilità sia improponibile: la sola proponibile essendo la prima.
Questo rivelerebbe chiaramente che, come dicevamo prima,  alla fin fine ciò che sembra prevalere in seno alla Fraternità è l’istanza umana, la quale, molto umanamente, viene presentata come scaturente dal “senso del soprannaturale”.

Sappiamo che, così come stanno le cose, questo nostro ragionare, che si può riassumere con una battuta: “meglio nessun tipo di riconoscimento”, possa fare pensare ad alcuni che noi si sia a priori contrari ad ogni rapporto col Papa, perché egli in fondo non sarebbe un vero papa cattolico; ma questo modo di vedere, che non etichettiamo di proposito, perché è fin troppo comodo ricorrere all’espediente dell’etichettatura per eludere la funzione intellettiva, tale modo di vedere, dicevamo, ha in effetti una sua qualche giustificazione, perché la considerazione che l’attuale non sia in realtà un vero papa cattolico non è cosa che nasce da una profonda riflessione teologica, ma vive nelle menti, nei cuori e nelle bocche di migliaia di fedeli cattolici che si sentono mossi a tanto proprio da quel “senso della Chiesa” che possiedono come veri cattolici.
Ma questa considerazione che, pur essendo fondata nei fatti, può far nascere in alcuni il timore infondato del non riconoscimento a priori del Papa come tale, non può avallare il suo rifiuto solo perché non piace a questo o a quell’uomo, chierico o laico, della Fraternità;  essa semmai avvalora il ragionamento fatto fin qui e permette di affermare che il “senso del soprannaturale” non è tale solo se corrisponde alle aspettative dei capi della Fraternità; esso è tale di per sé, Fraternità o no, riconoscimento canonico o no, ed è tale da indurre il fedele a rivolgersi alla Divina Provvidenza perché accorci il più possibile questo tempo di tribolazione per la Chiesa cattolica e per i suoi fedeli.

In questo tempo di lupi, che ormai hanno imparato benissimo a travestirsi da agnelli e a mescolarsi nel gregge del Signore per spingerlo nel baratro dell’eterna perdizione, Dio permettendo, è davvero imperativo usare il “senso del soprannaturale” per non lasciarsi prendere dallo scoramento e per rivolgersi a Dio e alla Santissima Vergine Maria con sentite e continue preghiere perché ci aiutino a rimanere saldi nella fede e sempre pronti a batterci per il bene della Chiesa e delle anime. E questo nostro pregare deve sempre tenere presente la raccomandazione di Nostro Signore di compiere questo nostro dovere “nella nostra camera” e non in mezzo agli altri e massimamente, nel nostro caso, in mezzo agli altri che o non pregano o pregano e operano per lo scopo contrario.

E’ sicuramente molto più fruttuosa, quindi, la preghiera fatta dai fedeli, chierici e laici, che rimangono appartati e distanti dalla Chiesa ufficiale – nella propria stanza -, di quella fatta dai fedeli, chierici e laici, che condividono le stanze vaticane e convivono e pregano in esse, credendo di trovarsi nel posto migliore e più gradito a Dio.


di Giovanni Servodio

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