ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 27 gennaio 2017

Mamma lo turkson!

Muro Usa-Messico: card. Turkson (Santa Sede), “speriamo altri Paesi non seguano esempio” di Trump


La Santa Sede è preoccupata per “il segnale che si dà al mondo” con la costruzione del muro tra Usa e Messico, voluto dal presidente statunitense Donald Trump per frenare le migrazioni. E si augura che gli altri Paesi, anche in Europa, “non seguano il suo esempio”. Lo ha detto oggi al Sir il cardinale Peter Turkson, presidente del Dicastero per la promozione dello sviluppo umano integrale, a margine di un convegno sulla “Laudato sì e gli investimenti cattolici” in corso alla Pontificia Università Lateranense. “Noi ci auguriamo che il muro non sia costruito ma conoscendo Trump forse si farà – ha affermato. La Santa Sede è preoccupata perché non riguarda solo la situazione con il Messico ma il segnale che si dà al mondo. Non sono solo gli Usa che vogliono costruire i muri contro i migranti, accade anche in Europa. Mi auguro che non seguano il suo esempio. Un presidente può anche costruire un muro ma può arrivare un altro presidente che l’abbatterà”.
http://agensir.it/quotidiano/2017/1/27/muro-usa-messico-card-turkson-santa-sede-speriamo-altri-paesi-non-seguano-suo-esempio/

Tutta la verità sul muro di Trump


Dopo l’avvertimento del Papa sui rischi del populismo che in passato ha creato mostri come Hitler – che molti media mainstream hanno interpretato come rivolto a Donald J Trump – dopo milioni di donne occidentali, non saudite né pakistane, scese in piazza per protestare contro quell’assassino di diritti umani che è Donald J Trump (forse l’Isis, proliferato sotto Obama, sarebbe una soluzione ai loro problemi?), dopo caterve di accuse sulla stampa più attenta al politically correct che ai fatti sui milioni di latinos che verrebbero espulsi da The Donald (Obama ne ha mandati via 2,5 milioni nel silenzio tombale di CNN & co) non poteva che arrivare il killeraggio mediatico al tycoon dopo la sua firma, l’altroieri, dell’ordine esecutivo per costruire il muro ai confini con il Messico.
In realtà Trump non ha fatto altro che mantenere un’altra promessa – dopo aver fatto uscire gli Stati Uniti dall’accordo transpacifico – visto che “Costruiremo il muro e lo faremo pagare al Messico” era stato – dopo il celebre “let’s make America great again” – il suo secondo mantra elettorale più sbandierato. Nonostante le tante speculazioni dei media su altezza, chilometraggio e costi, di sicuro esiste una legge approvata nel 2006 dal Parlamento Usa (il Secure Fence Act del 2006) con i voti decisivi di molti Democratici che oggi gridano alla scandalo grazie alla quale Trump non dovrà passare al vaglio del legislativo per ottenere il “via libera” ai lavori della più grande barriera di contenimento dell’immigrazione al mondo.
Inoltre è bene ricordare che sono oltre vent’anni – ovvero da quando nella campagna elettorale del 1995 Bill Clinton promise barriere per impedire il passaggio della frontiera agli illegali – che nessuno negli Stati Uniti arriva alla presidenza senza promettere la “mano dura” contro l’immigrazione clandestina proveniente dal Sud del Rio Bravo. Nessun “big media” impegnato nello sport giornalistico più praticato del momento, ovvero il “dagli al Trump” lo ricorda oggi, ma fu proprio Bill Clinton, avallando operazioni come la “Gatekeeper” in California, la “Hold the Line” ad El Paso (in Texas) e la “Safeguard” in Arizona, il primo presidente che, nell’ormai lontano e dimenticato 1994, introdusse barriere fisiche o, se preferite la terminologia inglese, “fences”, per difendere il confine Sud col Messico. Anche per questo Trump ha vinto, inutile nasconderlo con editoriali politically correct ma privi di qualsiasi legame con la realtà.
E anche se alcune agenzie di stampa nostrane hanno tentato di nascondere l’evidenza con “fact checking” farlocchi (probabilmente per contrariare Alessandro Di Battista che aveva ricordato più o meno le cose che qui scrivo) basta andare sul sito del U.S. Department of Homelland Security – proprio dove Trump ha firmato l’ordine esecutivo in questione – per scoprire che, con malcelato orgoglio, il 9 ottobre 2014, l’allora segretario della Sicurezza Interna di Barack Obama, Jeh Johnson, mostrava a media assai poco critici (almeno rispetto a quelli di oggi) i risultati del boom nella costruzione alla frontiera messicana delle “fences”. O come le chiamerebbe Trump oggi, del “muro”.
“Erano appena 77 miglia (124 Km) nel 2000 mentre”, diceva fiero ed applaudito dai giornalisti presenti Johnson, quel 9 ottobre 2014 “grazie al lavoro congiunto delle amministrazioni Clinton, Bush Jr ed Obama per rafforzare la nostra sicurezza, oggi le barriere (e cioè il muro) al confine con il Messico occupano almeno 700 miglia”, ovvero 1.127 chilometri, non uno di meno.
La già citata legge pro-muro del 2006 che oggi consente a Trump di dare l’inizio ai lavori con un semplice ordine esecutivo non preoccupandosi di Camera e Senato, del resto, fu voluta dal presidente dell’epoca, il repubblicano George Bush Jr (che non a caso ha votato per la Clinton e con Obama ha fatto i peggio disastri in Iraq, contribuendo alla nascita dell’Isis non catturando il suo fondatore Abu Musab al-Zarqawi quando persino Bin Laden lo “schifava”), e fu votata con entusiasmo e discorsi di elogio tanto dall’allora senatrice per lo stato di New York, Hillary Clinton, come dall’allora senatore dell’Illinois, Barack Obama. Certo, la “barriera” innalzata negli ultimi 20 anni dalle precedenti tre presidenze copre solo oltre un terzo degli oltre 3mila Km di confine, ma esiste eccome.
Soprattutto nella giornata della memoria che ricorda l’Olocausto la verità sarebbe opportuna raccontarla e allora – nell’attesa delle scontate polemiche che leggerete nelle prossime ore/giorni sui “grandi” media perché l’amministrazione Trump potrebbe imporre dazi del 20% sulle importazioni messicane per finanziare il muro (cosa che per la cronaca fanno 160 paesi al mondo, tra cui tutti quelli latinoamericani meno Cile, Perù, Paraguay e Panama- da anni il Brasile ha una tassazione media del 66,7% su gran parte dei beni importati senza che la CNN si sia mai scandalizzata) – finalmente Gli Occhi della Guerra ha scovato le prime, e sinora uniche, vere vittime delle politiche del losco figuro insediatosi da pochi giorni alla Casa Bianca: migliaia di polposi avocado messicani e centinaia di casse di succosi limoni argentini.
Già perché sono ben 120 le tonnellate di Persea americana (questo il nome scientifico dell’avocado) bloccate alla frontiera con il Rio Bravo da giorni, dopo che stessa sorte era toccata lunedì scorso a tutti i limoni argentini, banditi addirittura per 60 giorni dalla svolta trumpiana che intende – lo accenna Reuters dando la notizia – aiutare il settore dell’agricoltura statunitense.
Al di là delle politiche commerciali – staremo a vedere se tra due mesi i limoni argentini e gli avocado messicani potranno finalmente entrare negli States, sarebbe una vittoria senza precedenti per i difensori dei diritti della frutta – sui migranti clandestini, stando ai numeri reali, The Donald ne ha sinora rispediti al mittente molti di meno rispetto ad Obama il misericordioso. Quest’ultimo infatti, nella prima settimana del suo secondo mandato, ne aveva espulsi oltre mille, Trump poche decine. Per non dire dei 91 cubani rispediti all’Avana dal Messico a causa dell’abolizione da parte di Barack del decreto Clinton, che da 22 anni garantiva i diritti umani all’unico popolo oggi ancora costretto a vivere sotto il giogo di una dittatura. E che dire del muro al confine con il Guatemala sponsorizzato dal presidente messicano Enrique Peña Nieto, lo stesso che si lamenta dei muri che costruiscono gli altri, da oltre 20 anni? Questo per limitarci ai fatti che, al solito, sono sempre meno politically correct della realtà virtuale che vorrebbero imporci Soros e compagni.







http://www.occhidellaguerra.it/trump-allunga-il-muro-di-clinton-e-obama-ecco-tutta-la-verita/

TRUMP TRA CONTESE E ATTESE

    Trump la Nato e la geoingegneria clandestina: sarà in grado di determinare una vera “svolta” che possa mutare il quadro non solo politico ma “militare” in riferimento alla massiccia presenza bellica Usa in Europa e in Italia? di Cinzia Palmacci  



Negli Stati Uniti non tutti hanno digerito a cuor leggero la vittoria del candidato repubblicano Donald Trump, eletto, grazie ad una vittoria netta sulla rivale democratica Hillary Clinton, 45° Presidente della storia del Paese contro ogni pronostico e previsione. Migliaia di persone sono scese in piazza in molte grandi città per protestare contro la vittoria del “tycoon” al grido di “non è il mio presidente”, da New York a Washington D.C. passando per Seattle e Oakland. Che una parte di queste manifestazioni sia spontanea, nessuno lo vuole mettere in discussione. Ma se si analizzano a fondo questi moti di protesta contro il neo-presidente c’è anche dell’altro che merita di essere raccontato: ossia che un’altra fetta di queste proteste è de facto fomentata e finanziata ad arte da alcune associazioni molto potenti e influenti che fanno parte degli ambienti “radical” e progressisti americani. Organizzazioni che hanno dalla loro parte un’ingente quantità di denaro da offrire a nuovi adepti e attivisti dell’ultimo minuto, tanto da pagarli fior di quattrini per farli scendere in strada ad esprimere pubblicamente il proprio dissenso contro The Donald. Per esempio, chi finanzia la lobby USAction e le sue battaglie mirate ad aiutare i candidato affinché vengano eletti? Semplici donazioni di privati cittadini? Non solo. Ebbene, come dimostrato dalle mail declassificate dagli hacker di DC leaks nei mesi scorsi, tra i più importanti finanziatori dell’organizzazione c’è lui, descritto dagli stessi hacker come “l’architetto di ogni rivoluzione e colpo di stato degli ultimi 25 anni”, il magnate e speculatore finanziario George Soros, nemico giurato di Donald Trump (e Vladimir Putin) nonché accanito sostenitore di Hillary Clinton e importante sponsor della sua ultima campagna elettorale. Come si evince da un documento declassificato, il presidente della Soros Fund Management e della Open Society Foundations, avrebbe infatti donato tra il 2010 e il 2011 a USAction network di cui fa parte anche la Washington CAN!, una cifra pari a 300 mila dollari alla voce "USAction Education Fund" a favore della “più grande e importante organizzazione progressista degli Stati Uniti”. E dunque è certamente verosimile che i soldi provenienti dalle cospicue donazioni del magnate siano state impiegati per pagare quegli stessi attivisti che abbiamo visto in strada mentre riversavano tutto il loro odio e disprezzo nei confronti del neo-presidente americano. Un nesso a dir poco inquietante, che la dice lunga su quanto Donald J. Trump sia scomodo e avverso ai poteri della grande finanza internazionale e delle élite progressiste, le quali hanno evidentemente fomentato e soffiato sul fuoco della protesta, sfociata nella poi violenza e nell’insulto, nei confronti di un presidente democraticamente eletto dalla stragrande maggioranza degli americani.

Trump e l'ambiente

Di certo c'è poco da stare tranquilli se nella squadra di Trump alla Casa Bianca figura anche Myron Ebell, un lobbista noto per le sue posizioni negazioniste sui cambiamenti climatici, scelto da Trump come responsabile dell’Environmental Protection Agency (EPA), l’ente governativo statunitense responsabile per l’ambiente e il clima che equivale, grossomodo, a nominare un cacciatore di frodo a capo del WWF. Attualmente Ebell è il direttore della Global Warming and International Environmental Policy presso il Competitive Enterprise Institute (CEI), un think-tank finanziato tra gli altri dal gigante dell’industria petrolifera ExxonMobil e dai fratelli Koch, proprietari di un gruppo privato dedicato alla produzione di energia e alla raffinazione del petrolio, noti per essere dei convinti ecoscettici. Ebell, inoltre, presiede anche la Cooler Heads Coalition, creata nel maggio ’97 al fine di “sfatare il mito del riscaldamento globale mettendone in evidenza le errate valutazioni economiche, politiche di rischio” compiute nel corso degli anni. In materia energetica poi, tra le priorità del Tycoon, figurano il salvataggio dell’industria del carbone, l’estinzione di tutti i pagamenti statunitensi per i programmi Onu contro il riscaldamento globale e la cancellazione dell’accordo di Parigi sul clima, firmato lo scorso settembre tra Stati Uniti e Cina durante il G20 di Hangzhou e ratificato da 195 paesi. L’obiettivo dell’accordo di Parigi, che fissa i target per la riduzione delle emissioni dei gas serra ma chiude gli occhi sulla geoingegneria NATO vera responsabile dell'avvelenamento dell'aria, è di far sì che nel 2100 le temperature medie globali siano più alte di quelle dell’epoca pre-industriale di soli due gradi. Più volte nel corso della campagna elettorale, Trump aveva negato il riscaldamento globale, sostenendo che fosse una teoria inventata ad arte dai cinesi. Il miliardario aveva anche detto di voler rilanciare l'industria dei combustibili fossili, in modo da creare migliaia di nuovi posti di lavoro negli Stati Uniti. Tutto troppo prevedibile per un magnate del petrolio, risorsa esauribile e considerata "sporca" per il forte impatto ambientale.

Trump la NATO e la geoingegneria clandestina

Trump è chiaramente deciso quando dichiara “… l’Alleanza Atlantica per me è importante, ma visto che solo cinque Paesi pagano, dovrebbero pagare anche gli altri. La Nato così come è oggi è decisamente obsoleta essendo stato pensata molti anni fa, non è attrezzata per combattere il terrorismo islamico, è vecchia di troppi anni, ha dei problemi e i suoi membri si riparano dietro alla forza degli Stati Uniti”. Donald Trump si spinge oltre: “… dobbiamo cominciare a fidarci di Vladimir Putin (…) occorre trovare un accordo con la Russia per ridurre gli arsenali nucleari: ci sono delle sanzioni nei loro confronti, ma è arrivato il momento di fare un accordo…”. Ma già durante la campagna per le presidenziali, Trump aveva messo in discussione la Nato e il contributo sproporzionato all’Alleanza da parte degli Stati Uniti. Il neopresidente degli Stati Uniti sarà in grado di determinare una vera “svolta” che possa mutare il quadro non solo politico, ma soprattutto “militare” in riferimento alla massiccia presenza “bellica” Usa in Europa e in Italia? Che l’area del Mediterraneo sia il punto focale dove si gioca e si giocherà il futuro della specie umana non è solo un’ipotesi ma una realtà sotto gli occhi di tutti. Sigonella, Muos, Augusta e altre installazioni militari USA più o meno conosciute avranno un peso su eventuali “nuovi” accordi internazionali che potrebbero determinare scenari inediti? Forse potranno contribuire nelle decisioni di Trump le enormi spese che gli USA sostengono per mantenere gli esistenti apparati di guerra in Europa. Si tratta sicuramente di cifre rilevanti, molto rilevanti, e sicuramente Trump avrà modo di vagliare attentamente l’utilità del proseguimento di questo pesante esborso continuo di milioni e milioni (forse miliardi) di dollari in un momento in cui la crisi economica mette in difficoltà tutti, America compresa. Gli esperti militari dello staff di Trump dovranno valutare attentamente lo stato delle cose e decidere in merito in base allo scenario internazionale che il neo Presidente si porrà davanti, anche in riferimento agli impegni che dovrà assumere per l’immediato futuro nei confronti dei cosiddetti “alleati tradizionali” e dei rapporti nuovi con altre Potenze che dovrà instaurare. Un problema primario al quale dovrà dare risposte concrete. Per quanto concerne la geoingegneria clandestina portata avanti dalla NATO, pare che si possa solo contare sull'azione decisa degli attivisti. Negli Stati Uniti, gli attivisti contro la geoingegneria clandestina (non quelli pagati da Soros si spera) e più in generale contro i vari crimini governativi, a differenza di quanto accade nella nostra povera Italia, sono abituati ad agire in stretto contatto con le istituzioni. I cittadini interpellano i rappresentanti delle comunità locali, persino deputati e senatori del Congresso; li incalzano, li subissano di istanze: a volte questi attivisti sono persino invitati a partecipare alle sedute di consigli comunali e ai dibattiti di commissioni. Dunque è prevedibile che, entro poco tempo, gli attivisti pro ambiente prenderanno contatto con l’entourage di Trump per ottenere che le micidiali operazioni di geoingegneria illegale siano ammesse come reali ed interrotte quanto prima. A noialtri d'oltreoceano non resta che "sedere e aspettare" come evolvono gli eventi, diamo tempo a Trump per valutare se la sua politica avrà un impatto positivo o negativo sulla nostra salute e il nostro ecosistema già compromesso. Un dato è certo: Putin sa delle scie chimiche e fa di tutto per impedire che i tanker sorvolino gli spazi aerei russi. Visto il clima di collaborazione che i due presidenti vogliono instaurare, la questione sulle scie chimiche si apre a scenari imprevedibili. 

IL PRESIDENTE TRUMP TRA CONTESE E ATTESE

di

Cinzia Palmacci

1 commento:

  1. Dopo il premio nobel per la guerra, tanto amato dai media e dalla chiesa (?), la gente comune vota chi vuol difendere i valori fondamentali dell'occidente cristiano, davvero una cosa spaventosa per lor signori, le forze dell'anticristo sono al lavoro per rimediare è davvero dura per un cattolico constatare dove si trova la testa del serpente. Leo

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