A due mesi di distanza dalla notizia data da Settimo Cielo l'11 gennaio, la congregazione vaticana interessata, quella per il culto divino con prefetto il cardinale Robert Sarah, non ha ancora né confermato né smentito:
La notizia riguarda l'avvenuta istituzione, con il placet di papa Francesco, di una commissione finalizzata ad aggiornare i criteri per la traduzione dei testi liturgici dal latino alle lingue moderne, criteri stabiliti nel 2001 dall'istruzione "Liturgiam authenticam", voluta da Giovanni Paolo II a correzione del disordine precedentemente indotto dal meno autorevole ma influente documento "Comme le prévoit" del gennaio 1969.
La presidenza della nuova commissione sarebbe stata affidata all'arcivescovo inglese Arthur Roche, che è l'attuale segretario della congregazione per il culto divino ma fu anche a capo della commissione internazionale che produsse la traduzione inglese del messale entrata in uso nel 2010, ritenuta da molti il frutto più maturo dei criteri di "Liturgiam authenticam".
Tra i membri della nuova commissione vi sarebbero i liturgisti Corrado Maggioni, sottosegretario della congregazione per il culto divino, e Piero Marini, già maestro delle celebrazioni pontificie con Giovanni Paolo II, entrambi critici dei criteri di "Liturgiam authenticam" anche se non con la virulenza del loro sodale Andrea Grillo, professore al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo:
Rispetto a tutto questo il cardinale Sarah appare completamente a margine. Più volte umiliato pubblicamente, si trova a presiedere degli uffici e degli uomini che gli remano contro.
Ma la questione in gioco è molto più di sostanza di quanto appaia. In una stagione, infatti, in cui il magistero gerarchico è incerto o latita, sono proprio i testi liturgici a tramandare integra la grande tradizione della Chiesa. E quindi è sulla fedeltà a questi testi che si può attestare una "resistenza".
È ciò che scrive il professor Pietro De Marco al termine di questa sua nota sulla vicenda liturgica postconciliare.
La nota sintetizza una sua molto più ampia relazione tenuta alla fine di agosto del 2016 ad Assisi, all'annuale settimana di studio dell'Associazione Professori di Liturgia, i cui atti sono in corso di pubblicazione.
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IL MOVIMENTO LITURGICO COME PROBLEMA E COME"CHANCE"
IL MOVIMENTO LITURGICO COME PROBLEMA E COME"CHANCE"
di Pietro De Marco
1. ROMA FU ATTENTA, e fu la sua grandezza in decenni difficilissimi, nella tutela del Concilio autentico, non del Concilio-progetto dell’intelligencija teologica.
Già nel 1965, a settembre, sulla fine del Vaticano II, Paolo VI si sentì in dovere di palesare la sua "anxietas" sulla dottrina e il culto dell'eucaristia. Nell'enciclica "Mysterium fidei" lamentava che "tra quelli che parlano e scrivono di questo sacrosanto mistero, ci sono alcuni che circa le messe private, il dogma della transustanziazione e il culto eucaristico, divulgano opinioni che turbano l’anima dei fedeli, come se a chiunque fosse lecito porre in oblio la dottrina già definitiva della Chiesa".
Meno di tre anni dopo, nel maggio 1968, in occasione della pubblicazione delle nuove preghiere eucaristiche, era lo stesso "Consilium" preposto alla riforma liturgica a cedere al diffuso revisionismo teologico, nella circolare firmata dal suo presidente cardinale Benno Gut e dal segretario Annibale Bugnini, in cui, nello spiegare la teologia dell’anafora eucaristica, si leggeva (paragrafo 2, punti 2-3) :
"L’anafora è la narrazione dei gesti e delle parole pronunziate nell’istituzione dell’eucaristia. Ma [poiché] il racconto riattualizza ciò che Gesù fece […] si rivolge al Padre la preghiera di supplica: che renda efficace questa narrazione, santificando il pane e il vino, cioè, praticamente, facendone il corpo e il sangue di Cristo".
Difficilmente si poteva raggiungere, in un documento ufficiale, un grado così basso di teologia eucaristica a vantaggio dei luoghi comuni del memoriale, delle mode narrativistiche in esegesi, nonché di una coperta negazione del valore consacratorio della formula dell’Istituzione, a vantaggio dell’epiclesi che la precede.
Ma l’apice antiliturgico sarà l’istruzione "Comme le prévoit" del gennaio 1969 sui criteri di traduzione del messale; arrivava addirittura a premettere (n. 5) che il testo liturgico "è un mezzo di comunicazione orale. È anzitutto un segno sensibile con cui gli uomini che pregano comunicano tra loro".
Nonostante le espressioni correttive ("Ma per i credenti…"), la formula equivoca su cosa sia rito e i "principi generali" dell’istruzione, di conseguenza, riconducono la teologia della liturgia sotto le regole di una filosofia pragmatica del linguaggio (chi parla, come si parla, a chi si parla).
Si eleva a sistema, stravolgendola, la prassi tutta pastorale della cosiddetta "messa dialogata": già essa un’espressione fuorviante, poiché non di "dialogo" sacerdote-popolo si tratta, ma di "actio liturgica" essenzialmente rivolta a Dio.
La stessa celebrazione "versus populum", senza fondamento storico né teologico, appartiene a questo clima, con gli effetti "disorientanti" che ne derivano. Infatti l’asse cultuale-misterico, secondo cui e su cui Cristo celebra rivolto al Padre, e il sacerdote e il popolo con lui, è annullato.
2. VALE LA PENA di guardare da vicino la situazione dell’intelletto teologico alla fine degli anni Sessanta e la sua influenza sulla riforma liturgica.
Alla base stava, palesemente, un disequilibrio tra l’"in sé" rituale-misterico e sacramentale, promosso dalle menti migliori del movimento liturgico, da un lato, e l’istanza della partecipazione dei fedeli dall'altro, disequilibrio che indebolisce già la costituzione "Sacrosanctum Concilium".
Ma in quegli anni l’intelligencija cattolica sottintendeva, quasi mai esplicitandolo, molto di più.
Sottintendeva che la teologia doveva essere inverata dall’azione, per analogia con la cosiddetta filosofia della prassi, da Marx a Dewey. La liturgia era, per molti del movimento liturgico, questa azione. Si pensa il rito come qualcosa che genera la propria verità ed efficacia da se stesso, in quanto rito "umano".
Ad aggravare e disorientare il quadro del postconcilio interveniva dunque il fatto che la "actuosa participatio" dei fedeli al rito portava con sé il carico ideologico degli anni Sessanta-Settanta. Una dinamica antropocentrica e secolaristica (favorita dal prestigio di Karl Rahner, ma autonomamente coltivata in ambito francofono) prevaleva sulla concezione rituale-misterica che santifica e trascende l'uomo e sola può fare della liturgia "la fonte e il culmine" della vita cristiana.
Era il collasso della grande teologia liturgica degli anni Trenta, di Odo Casel, di Dietrich von Hildebrand, di Romano Guardini.
Caduto il clima ideologico dopo gli anni Settanta, la sensibilità ecclesiale e la teologia, nel suo complesso, dalla fondamentale alla pastorale, hanno compiuto una rotazione dalla prassi all’ermeneutica, dal realismo delle concezioni materialistiche del Vangelo alla teologia negativa, dalla militanza politica alla "autenticità relazionale".
La pastorale liturgica si è adattata facilmente. La liturgistica ha lavorato sia autonomamente che di conserva con le teologie, ma la ricerca ora filosofico-linguistica ora antropologica ora, ma molto meno, neo-personalistica, non poteva evitare la china: la perdita di realtà del momento sacramentale e del dato soprannaturale come tali.
L'"engagement" pedagogico-pastorale e l’indebolimento di cristologia, ecclesiologia e diritto canonico oggi permettono che si faccia ovunque perno sulla "spontaneità" formativa e in certa misura sull’autofondazione del cristiano e della comunità. Così il vissuto della messa è divenuto "partecipazione" socializzante a un incontro "festoso" più che festivo. La liturgia è assimilata ai giochi di comunità.
E appartiene a questo quadro il frequente squallore delle "nuove chiese", non pensate come "casa di Dio" ma come spazi a destinazione variabile, quindi senza significato proprio; dispendiose vacuità in cui l’"actio liturgica" è, alla lettera, spaesata e disorientata.
3. COME ALLORA SI PUÒ RECUPERARE, controcorrente, l’intelligenza della liturgia, umano-divina, regale e cosmica, in un'epoca in cui cristologia e mariologia sono "umanizzate" su paradigmi emozionali, relazionali, compassionevoli, impermeabili alla gloria e alla vittoria della Croce? In un’epoca di nichilismo benevolente e di "falsificazione del bene".
Lo si può.
Infatti, la liturgia e la pedagogia liturgica possono ancora trasmettere, se lo vogliono, un corpo integro di rivelazione divina, quello contenuto nella "lex orandi" correttamente intesa, quindi rigorosamente tradotta, non secondo "Comme le prévoit" ma secondo "Liturgiam authenticam" (2001) che valutava realisticamente oltre un trentennio di fatti e di errori.
La "lex orandi" non è solo una formula. È un corpo integro di dottrina, è Tradizione che oggi resta netta proprio nei testi liturgici, molto più che nelle teologie e nello stesso magistero gerarchico recente. Non si tratterà di animare assemblee dopolavoristiche o estatiche, o di realizzare delle nuove teatralità, ma di far perno sulla resistenza veritativa della Rivelazione depositata nei messali, nei breviari, e proclamata e attuata nella celebrazione responsabile.
La tensione tra l’"in sé" del rito e la sua espressione "partecipata" esige delle soluzioni teologiche rigorose, da cui soltanto possono discendere con sicurezza le soluzioni pratico-pastorali. Non viceversa. Da qui due avvertenze:
1. senza fede certa nel "mysterion" come "substantia" e nel simbolo in quanto epifania che apre intellettualmente e sensibilmente – con i sensi spirituali – all’Oltre come trascendenza, ogni sfida teologica tipo "dall’etico al simbolico" è già perduta in partenza;
2. non ci si affidi ad alcuna speranza di nuova generazione della verità cristiana dal rito inteso come immanenza creatrice, senza "logos". Il "logos" divino sussiste per sé, prima e dopo l’"actio". La liturgia sarebbe così un’altra vittima, dopo la catechesi, della deriva "attivistica" della teologia pratica.
Settimo Cielo
15 mar
Due pesi e due misure
In questi giorni capita di leggere articoli dai toni un po’ apocalittici, riguardanti presunti progetti di riforma liturgica, che avrebbero come obiettivo la creazione di un nuovo rito eucaristico che permetta la partecipazione di fedeli appartenenti a diverse confessioni cristiane. Di fronte a tali annunci, sinceramente, si rimane alquanto perplessi, dal momento che non si riesce a vedere che fondamento abbiano: di solito un articolo cita l’altro, senza mai fornire una fonte attendibile, che non siano le solite “voci” (o forse, piú probabilmente, all’origine c’è l’errata interpretazione di alcune informazioni credibili, ma non ben comprese).
Di fatto, l’unica notizia recente in ambito liturgico è quella della costituzione, presso la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti (CCDDS), di una commissione incaricata di rivedere l’istruzione Liturgiam authenticam. Me ne ero occupato nel post del 7 febbraio 2017. Nel post della scorsa settimana ho riportato la smentita del Prof. Grillo circa qualsiasi suo coinvolgimento nella commissione.
Ora viene una conferma dell’esistenza della commissione e i nomi dei suoi componenti dal blog di Francisco José Fernández de la Cigoña La Cigüeña de la Torre. Un articolo serio sulla questione, che riprende l’indiscrezione de La Cigüeña, è quello di Riposte catholique (una traduzione italiana nel sito Una Vox). Perché “serio”? Perché dimostra di essere bene informato e, soprattutto, si limita ai fatti, senza lasciare che la fantasia prenda il sopravvento. L’articolo riporta le reazioni a Liturgiam authenticam in ambito tedesco, italiano, anglosassone, spagnolo e francese. Quel che mi ha colpito maggiormente non è stato tanto il fatto che ci siano state opposizioni (lo si sapeva già), quanto piuttosto il diverso trattamento che è stato riservato dalla CCDDS ai diversi “episcopati” (metto la parola “episcopati” fra virgolette, perché sappiamo bene che molto spesso i vescovi non ne sanno nulla di certe questioni, venendo esse gestite per lo piú dai “tecnici”, nella fattispecie dai liturgisti). Io non conosco la situazione negli ambiti tedesco, francese e spagnolo (non sapevo, per esempio, che è uscita la nuova edizione del Messale in castigliano: sarebbe interessante vedere che cosa è venuto fuori, dal momento che era già stata autorizzata una diversa traduzione della formula di consacrazione per la Spagna e per i paesi latinoamericani). Conosco meglio (non perché abbia contatti con gli addetti ai lavori, ma solo perché faccio uso dei rispettivi testi) la situazione in ambito italiano e anglofono. A proposito dell’Italia, l’articolo afferma:
Bisogna dire che il mondo dei liturgisti italiani è molto ben organizzato in un efficace gruppo di pressione, in particolare attorno all’Associazione dei Professori di Liturgia, che insegnano alla Pontificia Università Sant’Anselmo, negli istituti liturgici di Padova, Palermo, Bologna, Milano e nei seminari diocesani. L’Ufficio Liturgico della Conferenza Episcopale Italiana è nelle loro mani, al pari delle importanti riviste liturgiche: La Rivista di pastorale liturgica e La Rivista liturgica.
Senza conoscere questi retroscena, mi ero accorto da solo che gli italiani erano ben ammanicati presso la CCDDS. Come ero giunto a tale conclusione? Attraverso una serie di osservazioni sui libri liturgici. Qui basterà fare un esempio, sufficiente a dimostrare la “corsia preferenziale” di cui l’Ufficio liturgico della CEI ha sempre usufruito presso il Dicastero.
Martedí della prima settimana di Quaresima. Vangelo del giorno: Matteo 6:7-15 (il Padre nostro). Nel Lectionary for Mass for Use in the Dioceses of the United States of America. Second Typical Edition, approvato nel 2001 a norma dell’istruzione Liturgiam authenticam, vengono apportate delle correzioni alla New American Bible(NAB) adottata da quel lezionario:
NAB 1986
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LEZIONARIO 2001
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“In praying, do not babble like the pagans,
who think that they will be heard because of their many words.
Do not be like them.
Your Father knows what you need before you ask him.
“This is how you are to pray:
Our Father in heaven,
hallowed be your name,
your kingdom come,
your will be done,
on earth as in heaven.
Give us today our daily bread;
and forgive us our debts,
as we forgive our debtors;
and do not subject us to the final test,
but deliver us from the evil one.
If you forgive others their transgressions,
your heavenly Father will forgive you.
But if you do not forgive others,
neither will your Father forgive your transgressions.
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Jesus said to his disciples:
“In praying, do not babble like the pagans,
who think that they will be heard because of their many words.
Do not be like them.
Your Father knows what you need before you ask him.
“This is how you are to pray:
Our Father who art in heaven,
hallowed be thy name,
thy kingdom come,
thy will be done,
on earth as it is in heaven.
Give us this day our daily bread;
and forgive us our trespasses,
as we forgive those who trespass against us;
and lead us not into temptations,
but deliver us from evil.
“If you forgive men their transgressions,
your heavenly Father will forgive you.
But if you do not forgive men,
neither will your Father forgive your transgressions.”
The Gospel of the Lord.
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Ho evidenziato in corsivo le modifiche apportate dal comitato Vox Clara (costituito presso la CCDDS) al testo della NAB, in base alle norme di Liturgiam authenticam. Le modifiche sono sostanzialmente due: la sostituzione della moderna traduzione del Padre nostro con la versione tradizionale (ancora usata nella liturgia) e la sostituzione di others (adottato dalla NAB in omaggio al politicamente corretto inclusive language) con men (traduzione letterale dell’originale τοῖς ἀνθρώποις). L’istruzione del 2001 viene dunque applicata alla lettera.
Che cosa accade in ambito italiano? In Italia, dove non è stato ancora pubblicata la nuova edizione del Messale (per i motivi illustrati nel citato articolo), è stato però pubblicato il nuovo lezionario, che utilizza la traduzione CEI della Bibbia del 2008. In questo caso, il nuovo lezionario è stato approvato senza apportare alcuna modifica al testo biblico approvato nel 2008. Può però essere utile fare un raffronto tra la vecchia e la nuova traduzione CEI:
CEI 1974
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CEI 2008
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Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole.
Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate.
Voi dunque pregate cosí:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome;
venga il tuo regno;
sia fatta la tua volontà,
come in cielo cosí in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.
Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celesteperdonerà anche a voi;
ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.
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Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole.
Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate.
Voi dunque pregate cosí:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in cielo cosí in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
e rimetti a noi i nostri debiti
come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori,
e non abbandonarci alla tentazione,
ma liberaci dal male.
Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieliperdonerà anche a voi;
ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.
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Anche in questo caso ho evidenziato le variazioni della traduzione del 2008 rispetto a quella del 1974. Ebbene, a parte qualche modifica di carattere puramente formale, se consideriamo la traduzione del 1974, quando ancora Liturgiam authenticam era di là da venire, potremmo dire che ne anticipasse inconsapevolmente i contenuti: versione tradizionale del Padre nostro; “uomini” tradotto letteralmente. Nella traduzione del 2008, adottata dal nuovo lezionario, invece, si modifica la versione del Padre nostro (nonostante si continui a usare nella liturgia la formula tradizionale) e si rende “uomini” con “altri”, esattamente come fa la NAB (nonostante che in Italia, grazie al Cielo, non sia cosí sentito come nel mondo anglosassone il problema del “linguaggio inclusivo”).
Ebbene, il nuovo lezionario è stato approvato nell’anno del Signore 2009 dalla CCDDS, durante il pontificato di Benedetto XVI, con S. Em. il Card. Antonio Cañizares Llovera Prefetto, S. E. R. Mons. Albert Malcom Ranjith Patabendige Don Segretario e il Rev. Padre Anthony Ward Sottosegretario, nessuno dei quali risulta essere di tendenze moderniste o bugniniane. Sono stati usati, nello stesso ambito, due pesi e due misure. Come si spiega? Dobbiamo attribuire il diverso trattamento a negligenza di chi doveva vigilare sull’esatta applicazione di Liturgiam authenticam? Oppure l’istruzione è stata temporaneamente sospesa in occasione dell’approvazione del lezionario italiano? Evidentemente è vero quanto sostenuto dall’articolo di Riposte catholique: in Italia c’è un “efficace gruppo di pressione” che riesce a ottenere quel che vuole, in barba a ogni normativa e a prescindere dai titolari pro tempore della Curia romana. E, aggiungerei, dello stesso Episcopato italiano: già nel lontano 1986 il Card. Giacomo Biffi si lamentava che nell’edizione del Messale italiano del 1983 erano state introdotte alcune nuove preghiere eucaristiche all’insaputa dei vescovi (si veda il mio post del 2 febbraio 2010). È proprio vero: come dice il proverbio, il mondo è di chi se lo piglia.
Q
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